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Andar per colli e parchi dalla Savoia alla Liguria

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di Pietro Amante

Como, 10 agosto 1984

Da troppo tempo il mio Falcone Sport, classe 1952, restauro Libero Galanti, ammuffisce nel box, complice il lavoro fuori sede, il tempo inclemente ma soprattutto la pigrizia. Ovviamente non tengo conto dei giri dell’isolato, fatti tanto per tenere carica la batteria e lubrificato il pistone.

Ora però non ho più scuse: ho qualche giorno di ferie, gli amici mi aspettano a Santa Margherita Ligure la sera del 15 e non ho altri impegni. Decido quindi di partire la mattina del 13 (non sono superstizioso) percorrendo un …rinfrescante itinerario a cavallo delle Alpi Marittime: Como – Aosta – Piccolo S.Bernardo – Iseran – Galibier – Lautaret – Izoard – Vars – Bonette – Lombarda – Vinadio – Cuneo – Savona – Santa Margherita Ligure – Como.

Stando alla cartina Michelin rossa n.989 (la mia Bibbia), sono 1131 chilometri, che penso di ripartire in 304 (Como – Aosta – Bourg S.Maurice, con il colle del Piccolo S.Bernardo), 284 [tappa dei cinque colli (Iseran, Galibier, Lautaret, Izoard e Vars) con traguardo a Jausiers: se ce la fanno i ciclisti del Tour de France, perché non ce la possiamo fare anch’io e i 500 cc del mio Falcone?], 320 (arrivo a Santa Margherita via Bonette e Lombarda: questo percorso l’ho già fatto due anni fa venendo da Avignone, ma purtroppo ero a quattro ruote) e infine i 223 chilometri del ritorno a Como.

Viaggerò solo, come – quasi – sempre: a chi mi dà del pazzo, compresa l’onnipresente mamma, replico che non si tratta della Parigi-Dakar ma di zone frequentatissime (basti pensare alla Val d’Isère), e che il mio fido Falcone mi ha già portato con onore su Bernina, Furka, Gottardo, Ofen, S.Bernardino, Sempione, Spluga e Stelvio, tanto per stare sopra i 2.000 metri. Oggi provvederò alla valuta e domani metterò a punto la moto e me stesso (ovviamente l’ordine dei due interventi è strettamente gerarchico).

Como, 11 agosto

Per quanto riguarda la moto, è presto fatto: ho appena cambiato l’olio e il livello è OK; le gomme sono due ottime Pirelli MT53 seminuove; tiro e ingrasso la catena; cambio la candela; registro le puntine; smonto la vaschetta del carburatore, la pulisco e la rimonto con un piccolo accorgimento che ha già dato buoni risultati ad alta quota: spillo conico alla seconda tacca (posizione estiva), in modo da smagrire la miscela alle medie aperture del gas, così da prevenire ingolfamenti e bagnature di candela; getto massimo invernale (da 132/100), per ingrassare la miscela alle massime aperture e migliorare la combustione proprio quando al motore si chiede tutto.

Infine il momento della verità, terrore di ogni meccanico dilettante: l’avviamento a lavoro concluso. La compressione non manca (la pedivella regge senza batter ciglio i miei 80 chili) e già alla prima pedalata il motore inizia a scandire il tempo che, come in ogni grosso monocilindrico quattro tempi che si rispetti, è un “andante …con moto”.

Per quanto riguarda me, curo soprattutto la razionalità dell’abbigliamento e la vestibilità dei capi, dal momento che il tipo di percorso e la stagione possono determinare sbalzi termici anche di 30°C nell’arco di un’ora. Per quanto riguarda il bagaglio, è tutto raccolto in una capace borsa da serbatoio, in cui ho ancora molto spazio. Finora ho speso 9.000 lire (2.500 per la candela e 6.500 per una bomboletta “gonfia e ripara”).

La giornata di domani è tutta dedicata al compleanno del mio amato bene che, ahimè, detesta la moto e – qualche volta – anche il suo proprietario.

Como, 13 agosto

Superata senza eccessivi traumi la giornata di ieri (a parte un po’ di fatica per convincere Denise che salire in moto non comporta il decesso immediato), veniamo alla prima giornata di viaggio.

Piove su Como fino alle 14, quindi pranzo a casa e parto alle 16 sotto un cielo che non promette niente di buono. Inizio con il solito trucco che fa risparmiare tempo e denaro ai comaschi diretti alla Tangenziale Ovest di Milano: entro cioè in autostrada a Fino Mornasco, esco a Lainate ed entro in Tangenziale a Rho; dopo un chilometro, ecco l’autostrada per Torino, ed è noia fino ad Aosta, eccezion fatta per il panorama sul lago di Viverone (appena dopo Santhià) e sui castelli della Vallée; finora il traffico è scarsissimo. Invece la città di Aosta, dal punto di vista viabilistico, è il solito imbuto, dal momento che l’unica strada extraurbana raccoglie chi è diretto alle valli laterali, al Gran S.Bernardo, a Courmayeur, al traforo del Monte Bianco e infine, come me, al Piccolo S.Bernardo.

Finalmente raggiungo Pré S.Didier e attacco il passo: la strada è piuttosto stretta ma il fondo è ottimo; occorre prestare molta attenzione perché la vegetazione, fittissima fino a quota 1.800 circa, nasconde alcune curve molto insidiose. Salgo in seconda e terza, riservando la prima (che comunque è molto lunga) ad alcuni tornanti secchi che si trovano nei primi chilometri, che sono anche quelli a maggiore pendenza. Oltre quota 1.800 il paesaggio diventa tipicamente da alta quota: brullo (pascoli e rocce), in alcuni punti addirittura spettrale, pieno di alpeggi abbandonati; a un certo punto, con mia grande meraviglia – vista la stagione – passo tra due muraglioni di neve alti almeno tre metri.

Un chilometro scarso prima della vetta, al posto di frontiera italiano, il finanziere di servizio mi fa cenno di proseguire; meglio così, perché l’estrazione dei documenti dalla borsa, per mia disorganizzazione, sarebbe stata molto laboriosa.

La vetta del passo (2.188 mslm, a 276 chilometri da Como), che raggiungo alle ore 20, costeggia uno splendido laghetto, che ravviva un po’ il paesaggio; mi fermo per la foto di rito e, nella breve sosta, mi congelo: non vedo termometri, ma la temperatura dev’essere inferiore allo zero. In vetta ci sono alcuni grandi alberghi, chiusi e apparentemente abbandonati. Entro in Francia nel dipartimento 73 (Savoia); dopo pochi chilometri di discesa, anche il gendarme che presidia il posto di frontiera francese mi fa cenno di proseguire: vive la France! I 31 chilometri che portano a Bourg S.Maurice percorrendo la strada nazionale N96 per Chambéry sono molto diversi rispetto al versante italiano: malgrado la cartina Michelin sia di parere diverso, la strada è molto più larga e meno tormentata: è un classico misto-veloce, di estrema soddisfazione come guida, specie per chi disponga di tre freni a disco anziché – come me – di due tamburi laterali monocamma; peccato che il fondo stradale sia una sequenza di gobbe tipo “tôle ondulée” sahariana. La vegetazione, anche scendendo di quota, è meno fitta e più ordinata, cosicché si possono sempre vedere lunghi tratti di strada; in ogni caso, non ci sono curve traditrici.

Arrivo a Bourg alle 21, 309 chilometri dopo Como, e cerco una sistemazione. Davanti a un simpatico albergo vedo allineati tre “colleghi” olandesi: una BMW K100RS, una Yamaha XS 1100 e …un motore Honda CBX 1000 6 cilindri che, a un esame più attento, risulta essere una “special” con telaio Nico Bakker. Capisco di essere arrivato: infatti trovo l’ultima camera libera e un ottimo ristorante; due passi digestivi nel centro del paese, un pensiero di ringraziamento a chi mi ha risparmiato la pioggia e …buonanotte.

Bourg S.Maurice, 14 agosto

Mi sveglio prima delle 7: le mie orecchie cittadine non sopportano più a lungo lo scroscio del torrente che scorre sotto la finestra. Dato che non devo timbrare il cartellino, me la prendo con tutto comodo: doccia, colazione, vestizione e partenza alle 8,45. La strada della Val d’Isère, che culmina ai 2.770 mslm dell’Iseran, è la dipartimentale D902: ben segnalata, ampia, veloce, con ottimo fondo; la natura – splendida sia come paesaggio sia come vegetazione – è quella del Parco Nazionale della Vanoise, che comunica, attraverso il colle del Nivolet, con il Parco Nazionale del Gran Paradiso. A 25 chilometri da Bourg si costeggiano dall’alto la diga e il lago artificiale di Tignes; volendo, si può deviare per Tignes utilizzando la strada che corre sulla diga stessa.

Val d’Isère, 31 chilometri dopo Bourg, dà un’impressione comune ad altre stazioni sciistiche d’estate: un po’ malinconica, come se fosse paralizzata da qualcosa, piena di gente che non sa bene cosa fare. Mi fermo un’ora per le rituali cartoline.

Arrivo all’Iseran alle 11, 50 chilometri esatti dopo Bourg; da Val d’Isère a qui la strada è stretta, dissestata, resa difficile da parecchie curve insidiose che tendono a “chiudere”; il traffico è quasi inesistente e composto in prevalenza (!) da cicloturisti.

Riparto per Lanslebourg, che raggiungo alle 12 dopo 34 chilometri di discesa lungo una strada meravigliosa, veloce, con fondo perfetto; il panorama è, se possibile, ancora più incantevole, forse anche perché attraversa la parte più protetta del Parco della Vanoise. A Lanslebourg mi immetto sulla N6, che proviene dal Moncenisio; da qui a S.Michel de Maurienne sono 45 chilometri di superstrada poco interessante e piena di TIR assatanati, specie nel tratto da Modane a S.Michel, che riceve anche il traffico proveniente dal traforo del Fréjus.

A S.Michel abbandono senza rimpianti la N6 e riprendo la D902 in direzione del Galibier. Dopo 17 chilometri di stupenda salita, sia stradale sia paesaggistica, raggiungo alle 13,15 Valloire, dove trovo un ristorante con piscina. Approfitto di entrambi e, ristorato a dovere, riparto alle 14,45 per il Galibier, che raggiungo alle 15,15 dopo altri 20 chilometri di salita entusiasmante. Da notare che il cartello segnaletico del colle, con relativa quota (2.556 mslm), non si trova in vetta, che si raggiunge invece dopo un paio di chilometri, con un ulteriore guadagno di quota, a 2.642 mslm. Dalla vetta stradale, salendo a piedi per pochi minuti, (cosa che a questa quota è molto penosa per chi fuma un pacchetto di Gitanes papier mais al giorno), si raggiunge una collinetta su cui sorge un cippo commemorativo.

Riparto passando nel Dipartimento 05 (Alte Alpi) e, dopo quattro ripidi chilometri di discesa, mi trovo ai 2.058 mslm del Lautaret: per chi scende dal Galibier si tratta solo del punto in cui ci si immette sulla N91 Grenoble-Briançon, mentre per chi viaggia tra queste due città, si tratta in effetti del colle che rappresenta il punto più alto del percorso. La discesa su Briançon è molto bella (la N91 corre ai margini del Parco Nazionale degli Ecrins), salvo l’ultimo breve tratto dopo Chantemerle, che è molto trafficato e, come se non bastasse, mi regala pure un temporale. Niente di grave, mi asciugo al sole che illumina la salita all’Izoard: meno male, perché la strada è stretta, tortuosa e molto ripida; in compenso l’asfalto, rugoso e regolare, offre un grip eccellente. La natura è, a dir poco, splendida: stiamo attraversando il Parco Regionale del Queyras, che confina verso l’Italia con la Val Chisone, la Val Pellice e l’alta valle del Po. Alle 16,30 sono in vetta (2.361 mslm), 59 chilometri dopo il Galibier: anche qui una breve – e faticosa – camminata mi porta sul colle che domina il passo, su cui, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, si trovano altrettanti pannelli di ceramica dipinta che rappresentano il panorama circostante.

La discesa, simile come tipo di strada, è assai diversa come panorama: il primo tratto ricorda la superficie lunare (tanto da meritarsi il nome di Casse Déserte), mentre verso Guillestre (siamo sempre nel Queyras) la strada costeggia a lungo e senza ripari un orrido spaventoso: se si fa un “dritto”, ci si ferma almeno 200 metri più in basso. Lascio Guillestre e, seguendo sempre la D902, salgo verso il Vars: la strada, bella e ben tenuta, non presenta particolari attrattive naturali, e giungo in vetta (2.111 mslm) alle 18,15, 53 chilometri dopo l’Izoard.

Passo nel dipartimento 04 (Alpi di Alta Provenza) e, scendendo verso Jausiers, lascio dopo 15 chilometri la D902 per la D900 (del Col de Larche o Colle della Maddalena). Qui avviene un piccolo guaio meccanico: non riesco a evitare una buca profonda, la forcella picchia un violento “fondo-corsa” e una deile due barre di attacco del parafango anteriore si dissalda: poco male, fossero tutte qui le grane! Arrivo a Jausiers alle 19, mi fermo e vado a piedi in cerca di un albergo: il centro è infatti, molto civilmente, chiuso al traffico motorizzato. Comunque, niente da fare, è tutto completo: non mi resta che cercare migliore fortuna a Barcelonnette, otto chilometri in direzione di Gap. Anche qui la situazione è simile, però – meno male – trovo ancora aperto (e sono quasi le 20) l’Ufficio del Turismo, dove un’impiegata super-efficiente mi trova una camera ammobiliata in un camping sulla strada per Pra Loup, appena fuori città, dandomi perfino una piantina per raggiungerlo più facilmente. Arrivo alle 20,15, 35 chilometri dopo il Vars e 313 chilometri dopo Bourg s.Maurice. Ceno, fraternizzo – a base di birra – con alcuni motociclisti tedeschi e infine, stracotto, mi infilo nel letto.

Barcelonnette, 15 agosto

Mi alzo con tutto comodo e, dopo doccia e colazione, provo a cercare, tanto per onor di firma, un’officina aperta per saldare il parafango; ma non mi illudo di trovarla, perché è Ferragosto anche in Francia; invece la trovo sulla strada per Le Sauze, a destra appena attraversato il ponte sul fiume Ubaye: un giovane e simpatico meccanico mi fa subito un lavoro a regola d’arte per 10 franchi (2.000 lire): meditate, gente, meditate! Torno al camping (otto chilometri fra andata in officina e ritorno), carico la moto, mi vesto e alle 11,30 parto per Jausiers, dove imbocco la D64 in direzione della Bonette; bisogna prestare molta attenzione, perché il nome del colle non è segnalato: l’unica indicazione è una freccia “Nice 120”, sulla destra, appena prima di entrare in paese.

La strada, larga e ben tenuta nei primi 10 chilometri, si trasforma nei successivi 14 in un budello dal fondo pessimo per buche e “binari”, per fortuna perfetta dal punto di vista altimetrico (tutte le curve sono adeguatamente sopraelevate), in ogni caso molto difficile e impegnativa; il traffico è composto in grande prevalenza da cicloturisti di età abbastanza avanzata. Alle 12,15, 34 chilometri dopo Barcelonnette, raggiungo i 2802 mslm della vetta stradale. Bisogna precisare che la quota “ufficiale” del Col de la Bonette è 2.715 mslm, ma la strada originale, progettata dagli ingegneri di Napoleone III e tuttora praticabile, segue il profilo altimetrico della Cime e raggiunge appunto quota 2.802, mentre la strada che aggira la Cime a quota inferiore è molto più recente. Mentre sto fotografando la moto sullo sfondo del cippo che ricorda che siamo sulla strada carrozzabile asfaltata più alta d’Europa, mi avvicina un ingegnere nucleare della centrale di Grenoble che mi propone uno scambio immediato e alla pari tra il mio Falcone e la sua Kawasaki GPz 900R. Declino gentilmente l’offerta e, tutto orgoglioso, raggiungo con fatica i 2.862 mslm del colle che sovrasta la Cime, dove c’è una specie di balcone rotondo panoramico con al centro una rosa dei venti in pietra da cui lo sguardo spazia in ogni direzione per almeno 100 chilometri: mi assicurano che, in condizioni meteo favorevoli, si distingue perfino la Mole Antonelliana di Torino.

Lascio la Bonette alle 13 e passo nel Dipartimento 06 (Alpi Marittime): sono nel Parco Nazionale del Mercantour, che si estende verso Sud-Est fino quasi a Sospel. I primi 10 chilometri di discesa, lungo una strada stretta e piena di buche, mi presentano un paesaggio lunare, vagamente simile a quello trovato scendendo dall’Izoard, ma reso ancora più spettrale dalla presenza di Camp des Fourches, un intero villaggio di fortificazioni militari abbandonate; la vegetazione prende poi il sopravvento. Da S.Étienne-de-Tinée, in fondovalle, la strada assume il nome D2205 e diventa più rettilinea e regolare fino a Isola, 40 chilometri dopo la Bonette, dove la lascio per la D97, che mi porterà alla Lombarda e da lì di nuovo in Italia.

Fino a Isola 2000, rinomata stazione sciistica, la strada è straordinaria: larghissima e liscia come un biliardo, ma mista-stretta e con una pendenza che supera nel primo tratto il 15%; è l’ideale per chi disponga di una moto leggera e potente. Io, che non peso molto ma ho solo 24 CV e quattro marce), mi trovo accodato nientemeno che a una Rolls Royce Phantom VI, il cui autista è evidentemente alla ricerca di emozioni forti perché, malgrado le 2,4 tonnellate del suo “monumento”, tira al massimo, affrontando i tornanti con angoli di deriva che farebbero invidia ad “Azzurra” di Cino Ricci. Riesco a sorpassare la Rolls infilandola su una “S” con una manovra al [di là del] limite della correttezza e, 19 chilometri dopo Isola, arrivo a Isola 2000. L’impressione è quella ricevuta da Val d’Isère, ma elevata all’ennesima potenza: questa località, infatti, non ha “radici”, ma è stata creata dal nulla cinque anni fa in funzione esclusiva degli sport invernali, e d’estate evoca negli amanti della fantascienza l’immagine di uno spazioporto pieno di astronavi pronte a spargersi per la galassia.

Gli ultimi chilometri da qui alla Lombarda sono quanto di più pericoloso e difficile si possa trovare: strada larga non più di un paio di metri, strapiombante e priva di ripari, fondo quasi inesistente, tornanti mozzafiato, curve cieche in contro-pendenza, e chi più ne ha più ne metta. Alle 14,30, 64 chilometri dopo la Bonette, raggiungo finalmente i 2.351 mslm della vetta, dove ringrazio la Francia, la saluto e rientro in Italia. I 23 chilometri della discesa su Vinadio, che raggiungo alle 15,15, sono pieni di cuneesi, che non sono i famosi cioccolatini al rum, anche se, visto come guidano, mi viene qualche dubbio. Attraverso tre ambienti naturali profondamente diversi: ad alta quota c’è un lungo falsopiano in leggera discesa, tutto pascoli, laghetti e rocce, con molti campeggiatori liberi; scendendo si trova la classica foresta di conifere, con i suoi profumi inconfondibili; a bassa quota la strada, con una bella serie di tornanti in ottimo stato, porta a fondovalle passando per un fittissimo bosco di faggi e castagni.

A Vinadio, dove imbocco la Strada Statale SS21 del Colle della Maddalena, mangio qualcosa e riparto alle 15,45 diretto al casello autostradale di Mondovì, 74 chilometri dopo Vinadio, che raggiungo alle 17; attraversando Cuneo, non si deve perdere la nobile grandiosità della piazza dedicata all’avvocato e partigiano Duccio Galimberti. A Mondovì entro nell’autostrada A6 Torino-Savona, molto pericolosa fino al Colle di Cadibona, per via della carreggiata unica a sorpasso alternato. Dal casello di Savona-Vado a quello di Rapallo non ho nemmeno il tempo di guardarmi intorno, tanta è l’attenzione richiesta dall’intensità del traffico: il pagamento del pedaggio rappresenta un’autentica liberazione.

Arrivo a Santa Margherita Ligure alle 18,45, 150 chilometri dopo il casello di Mondovì, a 353 chilometri da Barcelonnette e 975 da Como. Il ritorno a Como, la sera del 19 agosto, comporta altri 225 chilometri di autostrada senza storia, per un totale complessivo di 1200 chilometri esatti.

Consumi

Partenza da Como col pieno
Chatillon                       7,82         L 10000
Lanslebourg                 8,15         L 9100
Barcelonnette               6,82        L 7350
Demonte                      6,25         L 8000
Rapallo                         7,82         L 10000
Chiasso (pieno)            8,14         L 7550
Totale                         45,00         L 52000
Consumo 26,67 km/l (3,75 l/100 km); nessun rabbocco di olio. Gli importi in FF sono convertiti in Lit (1 FF=Lit 201,9).

Spese motociclistiche
Accessori (candela + bombolettagonfia & ripara) L 9000
Benzina                                                               L 52000
Autostrade                                                           L 14900
Saldatura                                                               L 2000
Totale                                                                 L 77900

Cartografia

Io ho usato solo la Michelin rossa n.989 (Francia) in scala 1:1 milione, che mi è stata più che sufficiente. Volendo essere perfezionisti, oppure avendo a disposizione più tempo per escursioni e/o deviazioni in loco, possono essere utili le Michelin gialle n.74, 77 e 81 in scala 1:200mila, che riportano anche le mulattiere di maggiore rilievo.

Documenti

Per la persona, bastano patente e carta d’identità o passaporto in regola; controllate che le scadenze non siano troppo prossime, perché in frontiera potrebbero sorgere difficoltà. Per la moto, sono richiesti il libretto di circolazione con il suo foglio complementare, la tassa di proprietà (ex bollo di circolazione) e l’assicurazione responsabilità civile estesa all’estero con la carta verde: a proposito della copertura assicurativa, verificate che i vostri massimali siano in regola con le ultime normative CEE.

Valuta

Entro i cinque milioni di lire annui e 1,6 milioni per viaggio, non ci sono limiti; l’unico vincolo è che la quota contanti in valuta estera non può superare, per ogni viaggio, il controvalore di 300mila lire; l’eccedenza va esportata sotto forma di traveller’s cheques. Personalmente ho acquistato 1500 franchi francesi (FF) che, al cambio del 10 agosto 1984, ho pagato lire 302.850, più commissione bancaria di lire 3000; data la minima eccedenza, i FF mi sono stati consegnati tutti in contanti, evitandomi il fastidio dei traveller’s cheques. Alle dogane, sia in uscita sia in rientro, non mi è stato chiesto nulla, anche se avevo con me le ricevute bancarie. Il 21 agosto gli 800 FF avanzati mi sono stati ricambiati a 198,5 lire/FF, con rilascio di una nuova ricevuta bancaria. Per chi preveda di espatriare spesso o comunque di superare il tetto dei cinque milioni annui, si consiglia di conservare per cinque anni le ricevute, sia bancarie sia delle spese sostenute all’estero.

Didascalie alle foto

Classica foto ricordo sulla vetta stradale dell’Iseran.

Il primo cartello stradale francese, sulla strada del Piccolo San Bernardo.

La vetta stradale del Piccolo San Bernardo, sul versante francese della strada.

Il cippo commemorativo della Lombarda, in territorio italiano; a destra sullo sfondo, fortificazioni militari abbandonate

Il cippo commemorativo sulla cima stradale della Bonette (2802 mslm); è la strada asfaltata più alta d’Europa.

GeoTermico – Aprile 2025

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di GiorgioEV80

Sono arrivato a casa Domenica, metà pomeriggio, con mooolta calma, facendomi tutti gli autogrill disponibili da Parma fino a oltre Milano per abbattere la terribile sonnolenza e noia che l’autostrada mi da.
Poco prima, sulla Cisa, vedevo le foto della grigliata finale prevista dal programma, che io ho saltato per motivi logistici…a ogni foto la domanda era: “ma percheca@@o non sono con loro!!!”.

Ma faccio un passo indietro…
La mia Cali arriva da un periodo nero, la scorsa stagione, dove a causa di molti problemi (soprattutto all’impianto elettrico) sono rimasto troppo spesso fermo sulla strada, impotente, in attesa del carroattrezzi.
…anchio non sto navigando in “acque serene” in realà, ma questa è un’altra storia…

I periodi difficili fanno parte della vita e quando si ha una passione come la nostra, ci può stare avere giorni nei quali ci si sente “scoraggiati” e in qualche modo “delusi” da quel Ferro al quale tutti i giorni parliamo e con il quale spesso ci confidiamo (parlo per me, ma penso di non essere il solo…).
Quindi cose importanti come, fiducia, forza e senso di libertà che possiedi quando pensi a frasi tipo “se voglio parto e Volo lontano perchè ci sei Tu con me”, si erano decisamente affievolite, si stavano sgretolando…
In qualche modo i problemi sembra siano stati risolti, ma, lo ammetto, la paura e l’ansia di intraprendere qualcosa di più impegnativo dell’uso quotidiano per andare al lavoro, o del giretto in zona del Sabato pomeriggio, mi attanagliavano la gola, non mi facevano stare bene.
(cambiare moto non è semplice e facile per me…).

Tutto sto pippone per arrivare a dire cosa quindi??

Che quando ho visto lo stricione di Anima Guzzista la in fondo, appena inforcato il viale che portava ai Mollica’s, mi è scattato un lacrimone.
Che da quel momento ho ritrovato la forza, la fiducia e la libertà che pensavo di non avere più.
Che avrei potuto fare il triss e il quadriss di panini al Lampredotto, perchè i primi due erano stati disintegrati dall’adrenalina che avevo in corpo in quel momento.
Che Sabato sera, dopo le millemila curve e tornanti superati brillantemente, mi sono reso conto avendone certezza del Cavallo di Razza che stavo cavalcando (a dirla tutta, per due/tre volte mi sono cacato in mano, ma non è stato per colpa Sua…il pilota, per mantenere un certo passo e non farsi “seminare” da quelli bravi che aveva davanti, non gli ha dato i corretti comandi…il pilota non è alla Sua altezza di sicuro!).
Che ringrazio la mia Cali per avermi dato tutto questo.
Che se fossi stato da solo ci avrei messo 10 giorni a fare i due giri del Sabato, da quante volte mi sarei fermato ad ammirare il paesaggio.
Che essere parte di uno stormo di Aquile è una delle cose più belle al mondo.
Che sarò sempre grato a tutti voi di AG che organizzate questi eventi, ai quali purtroppo non riesco a partecipare frequentemente.
Che ringrazio il capobranco di questo incontro, il Ticcio (con supporto di Simonetta), per essersi sbattuto ad organizzare e gestire alla grande questo splendido tour su e giù per le bellissime colline della sua Toscana.
Che mi dispiace per la moto di Piero, ero li davanti e mi è mancato un metro per poterla agguantare in modo da frenare la sua caduta limitando così il più possibile i danni dell’impatto con l’asfalto.
Che è necessario limonare sempre con Maria, o Tatiana, ocomeminkiasichiama.
Che non è vero che non è possibile dormire se in camera c’è Comodino, io ho dormito alla grande…ma forse ero svenuto.
Che assistere agli scontri verbali tra Demontistuttoattaccato e Zanda è un’esperienza da vivere.
Che al risveglio la Domenica mattina in camera all’ostello mi sono accorto di uno che la sera prima non c’era e mi sono chiesto “Chicazzè quello? Dove l’ho già visto?”…era il Presidente!
Che i vari Bombos, Baloo, Nello, Tood, Gigi, gli Sizzeri, Contabile & Contabilessa…Tutti (il mio cervello da pescerosso non riuscirà mai a ricordarli tutti) sono fondamentali presenze, la base per un bel gruppo.
Che mi sarebbe piaciuta una foto Tutti assieme con tutte le Moto.
Che…diobono, meglio se la chiudo qui…

Grazie di cuore.
A Tutti.

Come sono diventato Guzzista: Massimo Montersino

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di Massimo Montersino

Ho avuto la Vespa 125 primavera a 16 anni ma ero follemente innamorato delle auto!
Appena ho avuto la patente B ho venduto il Primavera e comprato una Fiat 500 del ’64 poi, negli anni, ho speso tanto, troppo in auto.
Le moto erano quegli oggetti rumorosi e fastidiosi guidati da gente in tuta che rovinavano i miei giri in auto…
Ma gli anni passano e le cose cambiano: a inizio anni 2000 facevo circa 100.000 km/anno in macchina e cominciavo ad odiarla.
Quando mia moglie mi chiedeva di andare da qualche parte nel we per me era una sofferenza usare la macchina: una domenica, in coda tornando dal mare, noto alcune moto e scooter, molte con due passeggeri, che passano le file ma, soprattutto, non sono “intutati”, sembrano felci, sono bei mezzi…

Mentre penso che potrebbe essere ora di provarci mia moglie dice “e se ci comprassimo una moto?”. ‘ attirata da caschi colorati e dai pupazzetti sui bauletti, dalla sensazione di libertà, dalla voglia di fare qualcosa assieme diverso dal solito.

Un amico guzzista mi fa provare la sua Nevada: l’idea di cambiare le marce anche nei we mi fa desistere ma l’idea prende forma: arriva un X9 200 e scopriamo un mondo che piace a tutti e due!
Dopo un paio d’anni l’X9 200 viene sostituito da un X9 500 con cui scorrazziamo per tutto il Nord Ovest, quando cominciano i we e le puntate oltralpe si evidenziano i limti del mezzo: scendendo dall’Izoard arrivo a Briancon senza freni.

Nel frattempo mio figlio ha compiuto 18 anni: in sostituzione dello scooter chiede una custom, giriamo per concessionari fino a quando troviamo una Nevada 350 tenuta benissimo.
Si appassiona lui, io scopro il fascino di quel marchio con l’Aquila.
Per cercare aiuto e suggerimenti sulla Nevada 350 (che aveva le sue belle magagne) scopro Anima Guzzista: il contagio è definitivo!
Dopo la disavventura dell’Izoard la decisione è presa: compriamo una moto vera!
Una Moto Guzzi ovvio.. ma quale?
Prima scelta: la Nevada 750.
Noleggiata da Agostini, durante la prova capiamo che non fa per noi, troppo piccola, mia moglie è scomoda rispetto al benchmark del X9: uno dei ragazzi di Agostini ci fa salire su una Norge ed è amore a prima vista per entrambi

Il resto è storia: 15 anni di Norge in giro per l’Europa, tanti amici trovati qui su Anima, il gruppo dei Guzzisti Novaresi che si frequenta da quasi 15 anni..

Ora la Norge ha quasi 100.000km, invecchiando sta diventando difficile da gestire, mia moglie ha una protesi al ginocchio e fa fatica a salire: ogni tanto pensiamo di cambiarla ma con l’Aquila sul serbatoio non troviamo un’alternativa così continuiamo a rimandare e a usare la rossa Norge “Baloo”.

Cosa la sostituirà? Non lo so, forse finiremo la nostra carriera motociclistica con lei e invecchieremo su una Vespa: così il cerchio si chiuderà.

Buona strada!

Come sono diventato Guzzista: Alberto Sala

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di alberto Sala

Partendo dall’inizio, e cioè dalla nascita quasi biologica della passione motociclistica, che definirei pubertà delle due ruote, giravano tra amici diverse moto, e le mie preferenze (solo teoriche, visto che non potevo a 16-18 anni permettermela) erano per le custom, soprattutto la Honda CB500 custom (quella col motore tipo Guzzi raffreddato ad acqua), la GoldWing 1100 non carenata, e le Harley, che avevo visto per la prima volta nel paese di mia nonna in Friuli vicino alla base militare di Aviano sin dalla più tenera età e mi affascinavano esageratamente. Ogni tanto facevo qualche giro con gli amici alternandomi alla guida: ricordo soprattutto due vacanze, una nelle Alpi bavaresi con un Ducati scrambler 450 (magnifico), ed una in Austria con un BMW K100RT (gran granturismo, ma fredda esteticamente e motore ‘elettrico’). Cominciavano a delinearsi i gusti anche per il motore: tra un monocilindrico tuttacoppia e un quadricilindrico elettrico, meglio un bel bicilindrico.
Poi, coi primi soldini dei primi lavori post maturità mi comprai una Vespa 200 Rally di seconda mano (che tuttora posseggo ed adoro; si chiama Giulia), che trattai come una vera moto (non potendo averne una vera), per cui ferie in Spagna, con tanto di tenda e fidanzata al seguito (che poi sarebbe divenuta moglie e fedele compagna in moto), Toscana, e due volte in costiera amalfitana. Si erano delineati i due punti fermi per le vacanze: moto (beh per ora Vespa) e tenda: in una parola libertà.
Giunti al matrimonio, e conquistata una relativa (ho detto relativa) indipendenza economica, decidemmo io e Gigi (non sono gay, è mia moglie, al secolo Rosella) ci guardammo attorno per comprarci di seconda mano una moto vera, in grado di aumentare il comfort, la sicurezza (soprattutto) e le distanze percorribili. Inizialmente ero orientato su un Yamaha Virago 1100, che mi sembrava molto carina; era una custom, e pensavo fosse comoda. Comunque doveva essere una custom bicilindrica (gli altri motori sono solo errori genetici).
Ma poi avvenne il fatto.
Stavamo percorrendo con la fida Giulia le interminabili sequele di curve e controcurve che ornano la costiera Amalfitana, quando mi sorpassa un tizio con una strana custom bianca, che si inclinava dolcemente e ritmicamente per le curve a velocità sostenuta ma con leggerezza, senza dare l’impressione di alcuna difficoltà né di peso. Ho riconosciuto subito la moto: era un California II bianco.    …. folgorato.
Certo, … perché non ci ho pensato prima? Il California II era un vecchio modello ormai, ma che fascino, e per la miseria se piegava! Mi ci voleva una GUZZI.
Al ritorno a casa incominciammo l’affannosa ricerca per le riviste e in Secondamano, e dopo aver visto un Nevada 750 prima serie che chiedeva però troppi soldi e un primo California II bianco, prima promesso poi negato, ecco l’annuncio giusto; ecco la NOSTRA moto. California II nero, con borse originali, parabrezza originale, carenatura, autoradio (fin troppo) al giusto prezzo. Non vi dico la paura quando sono partito per portarla a casa! Erano tanti anni che non guidavo una vera moto, dopotutto! Paura svanita dopo 50 metri di guida: “non è pesante, ed è facile da condurre” sono stati i primi pensieri. E la domenica seguente, quando abbiamo fatto il primo ‘giretto’ ufficiale insieme (ovviamente sulle strade a lei più care e piene di ricordi, quelle della sponda lecchese del lago), non stavamo più nella pelle dalla felicità. Ancor oggi, dopo tanto asfalto divorato, il ricordo più bello è quello di quel primo giro. Quasi come l’altro ricordo classico di una prima volta nella vita (quasi, ragazzi, quasi) 😉 .
Il resto, fatto di viaggi lunghi e brevi, di tanti km e di tante soddisfazioni, fino addirittura all’acquisto di un Centauro (che e’ un vero lusso di moto), non hanno fatto che accrescere ulteriormente la passione, e mi (ci) hanno dato la certezza di aver fatto la scelta giusta.
In LIBERTÀ.

Presentazione Associazione GP ed Elena Bagnasco

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Giorgio Parodi Le ali dell’aquila - statua commemorativa

Oggi vi voglio introdurre l’associazione GP e la dott.ssa Bagnasco che magari alcuni di voi già conosceranno ma che meritano certamente un approfondimento.
Ho avuto il piacere di chiacchierare con la sig.ra Elena telefonicamente e ho trovato una persona che ha un sincero entusiasmo per il nostro amato marchio, buon sangue non mente a quanto pare, e con
cui sono andato subito d’accordo. Con Elena abbiamo pensato di portare avanti la storia di Parodi,
come sta facendo appunto con la sua associazione, per poter promuovere e divulgare il più possibile
la storia dietro a Moto Guzzi approfondendo argomenti che spesso non sono nemmeno noti ai più. Iniziamo quindi oggi raccontando un poco chi è sono l’Associazione ed Elena stessa e ci aggiorneremo più avanti con ulteriori articoli dedicati all’argomento.

L’Associazione Giorgio Parodi
L’Associazione Giorgio Parodi viene costituita nel 2019 in vista delle celebrazioni genovesi per il centenario della fondazione della Moto Guzzi. Soci fondatori dell’Associazione sono Elena Bagnasco – nipote di Giorgio Parodi – e l’Aeroclub di Genova che fu fondato da Giorgio nel 1928, insieme al fratello Enrico e l’amico Giorgio Profumo. L’Associazione è una piccola realtà: Elena ne è il presidente e ne fanno parte, quali consiglieri, i suoi figli Alessandro ed Arianna. Il fine dell’Associazione è storico – culturale per ricordare principalmente la figura di Giorgio Parodi attraverso eventi, conferenze, libri e comunicazione social.

Elena Bagnasco
Elena, figlia di Marina la più piccola dei figli di Giorgio Parodi rimasta orfana di papà e mamma quando aveva solo nove anni, è cresciuta in un ambiente dove tutti le parlavano del Dott. Giorgio, di quello che aveva fatto e di quanto sia stato buono e generoso con tutti. Il ricordo della figura del nonno ha ispirato e ispira Elena nel ricordarlo e, soprattutto, raccontare quanto di bello e nobile ha fatto nella sua breve vita. Con qualche anno di ricerca e studio di documenti di famiglia e degli Archivi Storici, nonché con l’aiuto di qualche amico, Elena ha approfondito la vita di Giorgio Parodi, le sue passioni per la velocità, pilota di aerei, moto e imbarcazioni, ma, soprattutto, di quanto ha fatto come imprenditore quale fondatore della Moto Guzzi insieme al papà Manuelìn.
Malauguratamente la famiglia Parodi non è stata fortunata, oltre al nonno Giorgio e alla nonna sono
mancati presto anche i due fratelli della mamma Marina, creandosi di fatto un grande vuoto storico culturale sui Parodi a cui Elena sta cercando di porre rimedio. La grande epopea dei Parodi – a partire dall’ “impero” industriale fondato dal trisnonno Angelo e consolidato dal bisnonno Manuelìn, termina purtroppo con la scomparsa di Giorgio. Onorarne la memoria e raccontare anche quanto i Parodi hanno costruito quali imprenditori illuminati sul territorio Ligure e non solo è un dovere per chi è venuto dopo: questo è il sentimento che appassiona Elena nella sua continua ricerca e studio sul nonno Giorgio e sulle origini della famiglia. E’ non soltanto una grande opportunità di arricchimento personale per Elena ma anche una occasione di riscoprire e svelare valori storico – culturali a coloro i quali sono appassionati di storia di impresa, economia e motociclette.

(statua commerativa di Giorgio Parodi, gruppo Giorgio Parodi Le ali dell’aquila ©)

Come sono diventato Guzzista: Cristiano Petrosino

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Guzzista non per caso
Il destino era già scritto.
Non poteva essere altrimenti.
Sono diventato motociclista nel settembre del 1978. La mia prima volta in moto è un ricordo indelebile, inciso nella memoria come una profezia: avevo 5 anni e 9 mesi, e mio padre mi portava a scuola. Seduto davanti a lui, stretto tra le sue braccia e il serbatoio giallo della sua Gilera 150, ero già immerso in un mondo fatto di rombi e vento in faccia. Era la sua seconda moto dopo la Lambretta della gioventù, ma per me era il primo segno del destino. (Oggi ci ritirerebbero la patente all’istante, ma allora era vita, era libertà).
Da quel momento, i motorini non mi hanno mai interessato. Mentre tutti sognavano il Fifty, io sognavo la Moto Guzzi. E non una qualunque. Mio padre, con due figli e tante responsabilità, non aveva più la moto, ma nel profondo la desiderava ancora. Il suo sogno proibito? Una V35. Ma il vero Graal era la California, non solo una moto, ma una visione mitologica.
Io crescevo, e il sogno cresceva con me. Passavo stagioni intere a “leccare le vetrine” della concessionaria Stagi di Sampierdarena, a Genova, sognando un V50 o un Nevada, ma senza il becco d’un quattrino. Così, dopo un inevitabile 125 PX, nel 1992 acquisto di nascosto la mia prima moto da Biemme Moto : una Suzuki 400F del 1981, con un miliardo di chilometri sulle spalle. Poi un vecchio Transalp (JANUA), e finalmente, con il primo lavoro vero, nel 1998, una Suzuki Inazuma 750 nuova di zecca.
Ma non era bicilindrica. E non era Guzzi. Avevo una moto, sì, ma non LA moto.
Poi arriva Mario Ponskin,un carissimo amico, con il suo Moto Guzzi 1000 SP bianco e rosso. Folgorazione. Rivelazione.
Quella moto parlava un’altra lingua, vibrava in un altro modo, respirava diversamente. Da lì in poi, il destino prende il sopravvento. Passo ai bicilindrici con una Suzuki TL 1000Se non li abbandono più (con un’unica eccezione: una Kawasaki H2SXSE, ma chi può resistere a quella macchina del tempo?). Poi, finalmente, la Guzzi V10 Centauro Sport, rossa. Un’astronave, un’opera d’arte meccanica, un carattere da domare. Ma non ero pronto. Le Guzzi non si possiedono, si comprendono. E io non ero ancora abbastanza maturo per interpretarla. Dopo una parentesi con una Ducati ST3 (la mia seconda moto preferita), arriva il momento della verità: il sogno di mio padre diventa il mio. Moto Guzzi California Touring 1400. Comprata in Marocco, vissuta sulle strade africane, riportata a casa in un viaggio epico: Casablanca-Parigi in moto, attraverso deserti e montagne. Ma Parigi non è il suo habitat. È troppo ingombrante per la città, ed è tempo di cambiare. Provo di tutto: KTM Super Duke 1290, Kawasaki SX SE, Multistrada. Potenza, elettronica, quickshifter… Ma non c’è niente da fare. Non è questione di numeri o prestazioni.
Manca l’anima.
Vendo tutto e torno all’origine: una Guzzi V11 Ballabio, perfetta, con scarichi aperti che cantano una sinfonia d’acciaio. Un motore che pulsa, che scalpita, che regala sensazioni vere. Poi un Stelvio NTX, perché mia moglie vuole stare comoda. Moto straordinaria, ma forse un po’ troppo alta per me. E nel frattempo, per quasi dieci anni, un desiderio rimane lì, a farsi strada dentro di me. Il Griso SE nero.
Lo trovo. Lo guardo. Ci salgo sopra. E so.
Questa è LA moto. Quella che resterà per sempre. Quella che qualcuno erediterà quando il tempo avrà finito il suo giro. Quella su cui mi ritrovo, stretto al serbatioio , 47 anni dopo.
GUZZISTA NON PER CASO
Guzzista, Not by Chance
It was already written. Fate had decided.
I became a motorcyclist in September 1978. My first time on a bike is a vivid memory, etched into my mind like a prophecy. I was 5 years and 9 months old when my father took me to school on his Gilera 150. I sat in front of him, nestled between his arms and the bike’s yellow fuel tank. That was his second motorcycle after the Lambretta of his youth, but for me, it was the first sign of destiny. (Nowadays, that would mean instant license suspension and vehicle impoundment, but back then, it was just life. Freedom.)
From that moment on, I had no interest in mopeds. While everyone else dreamed of the Fifty, I was already dreaming of a Moto Guzzi. Not just any Guzzi—the Guzzi. My father, now with two kids and a family to support, no longer owned a bike, but deep down, he still wanted one. His dream? A V35. But the true Holy Grail was the California—not just a motorcycle, but a myth, a legend.
As I grew up, the dream grew with me. I spent endless seasons “licking the shop windows” at the Stagi dealership in Sampierdarena, Genoa, longing for a V50 or a Nevada, but I never had the money to make it happen. So, after an inevitable Vespa 125 PX, I finally bought my first real motorcycle in 1992—from Biemme Moto, secretly, without my mother knowing: a Suzuki 400F from 1981, with a billion kilometers on it. Then came an old Transalp (JANUA), and finally, with my first real job in 1998, a brand-new Suzuki Inazuma 750.
But it wasn’t a twin-cylinder. And it wasn’t a Guzzi. I had a motorcycle, yes. But I didn’t have THE motorcycle.
Then came Mario Ponskin, a dear friend, with his white and red Moto Guzzi 1000 SP. That was it. A revelation. A lightning boltstraight to the soul.
From that moment on, destiny took over. I switched to twin-cylinders with a Suzuki TL 1000S, and I never looked back. (Well, except for a brief affair with a Kawasaki H2SXSE, but who could resist that time machine ?)
Then, finally, the Guzzi V10 Centauro Sport, in red. A spaceship. A masterpiece. A mechanical enigma with a soul. But I wasn’t ready. You don’t just ride a Guzzi—you understand it, you interpret it.And I wasn’t mature enough yet.
After a brief detour with a Ducati ST3 (my second-favorite bike), I finally fulfilled my father’s dream—which had become mine: The Moto Guzzi California Touring 1400.
I rode it for three years in Morocco, where I was living at the time. Then, I took an epic ride from Casablanca to Paris on it. But once in the French capital, I realized—this bike was too big for city life. It was time for another change.
I tried everything: KTM Super Duke 1290, Kawasaki SX SE, Ducati Multistrada. Power, electronics, quickshifter… but something was missing.
The soul.
So, I sold everything and went back to the source: a Guzzi V11 Ballabio, pristine, as if it had just rolled out of the factory. Open exhausts, a symphony of raw sound. A heart that beats with passion. Then, a Stelvio NTX, because my wife wanted comfort. A fantastic machine, though maybe a bit too tall for me.
And all this time, for nearly ten years, one desire kept simmering inside me. The Griso SE, in black.
I found one. I looked at it. I sat on it. And I knew.
This was THE bike. The one that will stay with me forever. The one someone will inherit when my time is up. The one that brings me full circle, tight to the fuel tank, 47 years later.
Guzzista, not by chance.

Uinterparti e riflessioni

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di Giuliano Arcinotti

Milano è alle spalle, e ancor di più Mandello, casa, eppure sto andando a casa, quella vera, la moto la strada la conosce ormai è abituata a questo percorso e dopo la breve sosta in autogrill ho 2 ore per fare un po’ di riflessioni.

Già perché questo cielo sotto cui viaggiamo non è bellissimo, è quel bel grigio topo che va bene sulle auto tedesche e che è di casa in val padana…. ma pazienza a fine febbraio non si può pretendere troppo, va già bene che non piova, e poi gli alberi secchi e scuri sfogliati di ogni orpello che si stagliano contro il grigio del cielo con i loro rami sempre più fini come le arterie che finiscono in capillari sono quasi belli da vedere e aiutano a riempire la testa di pensieri.

Già perché quando viaggi da solo soprattutto in strade belle dritte e monotone come la A1 tutto cambia e rallenta e ti ritrovi a pensare a riflettere e ti torna in mente tutto quello che hai appena vissuto, e stai bene, per forza stai bene, perché dopo una serata come quella di sabato in cui siamo riusciti grazie al mitico Mek1 e alle sue conoscenze ad avere un ospite così stellare come il grande Paolo Nespoli, si proprio quel Paolo Nespoli, dopo aver avuto ospiti d’onore come Vanni Bettega e consorte, Bruno Scola, l’ex presidente Alberto “Totogigi” Sala, Enrico “Guzzi Rock” Santacatterina, i grandiosi Sick Parvis, ma anche e soprattutto tutte le Anime Guzziste intervenute, beh dopo una serata così non puoi che stare bene.

Rivedere amici che non vedi da troppo tempo ti riempie il cuore anche se purtroppo si invecchia non si sta più bene come prima ma poterli abbracciare è un bel momento davvero e merita da solo tutte le ore di guida con freddo e pioggia che fai in moto.

E poi oh ma abbiamo potuto premiare l’astronauta che ha portato in orbita sulla ISS la toppa di Anima Guzzista, con quel 57 che racchiude in sé tutta Anima Guzzista e non solo noi se vogliamo, perché se ci pensi in quel 57 ci sono i sogni di tutti i Guzzisti che come noi sono legati a Moto Guzzi non solo dal possedere una moto, ma sono legati a Moto Guzzi dalla passione per lei, perché non c’è niente da fare è diversa, è una malattia e lo sappiamo bene qui dentro e guai a guarirne, guai a farsela passare questa insana malattia. E quindi grazie di nuovo e ancora una volta a Mek1 perchè se non era per te ringraziavamo l’aria, che comunque è pur sempre l’aria di Mandello eh 😊, e grazie a Vanni e signora e al Bruno Scola nazionale che sono venuti perché hanno saputo che c’era il Uinterparti è questa è una dichiarazione d’affetto per tutti noi che ha un peso enorme visto da chi viene, proprio come il premio preparato da quel sant’uomo di Ettore Gambioli che va anche lui ringraziato davvero di cuore.

Senza dimenticarsi della prestazione dei Sick Parvis che insieme a sua maestosità Guzzirock Enrico hanno riempito i nostri timpani di sano ROCK!!! ecco si è stato davvero spettacolare e in quei momenti mi è dispiaciuto non essere in grado di fare riprese fotografiche e video come si deve anche solo con un cellulare perché sarebbe stato bello farvi vedere cosa vi siete persi se non siete venuti, ma credetemi quando vi dico che questi sono i momenti che meritano, questi sono i momenti che vanno davvero vissuti.

E poi c’era Alberto che mi ha spronato a fare bene, ed è pesante per me il suo sprone, perché come Vladimiro e Fange prima di me si tratta di personaggi che sono la storia, le fondamenta di Anima Guzzista, perché senza di loro Anima Guzzista non sarebbe ancora oggi quella che è. Se Fange è stato il primo presidente di AG che ha dato il via insieme a Goffredo ed Alberto a tutto, Alberto è stato colui che l’ha portata alle dimensioni maggiori possibili, e Vladimiro è colui che ha saputo traghettarla ai giorni nostri nonostante i social, nonostante la pandemia, nonostante tutto. Come ebbi modo di dire in passato ha chiuso un mostro sacro come Motociclismo e noi siamo ancora qui e direi che siamo ancora belli vivi e arzilli.

E quindi lo sprone di uno come Alberto, che per me è un riferimento come dicevo, è un impegno morale enorme, perché non posso deludere chi stimo così tanto, giacché significherebbe deludere anche tutti voi, e questo non è tollerabile. Sarà necessario cambiare e adeguarsi, e devo essere io il primo a farlo e con me i ragazzi dello staff, oddio ragazzi …. magari fossimo ragazzi 😂

Quindi dobbiamo essere più presenti che mai, non per limitare o cazziare o essere più intransigenti ma perché dobbiamo essere semmai più inclusivi dobbiamo fare in modo che ci siano ancora più voci, ovunque non solo sul forum e sul sito che spero di portarvi rinnovato a breve, ma anche sui social, e quindi dobbiamo cambiare per adeguarci e essere presenti, che non significa aprire le porte del gabbione e far entrare la qualunque ma significa semmai essere più collaborativi con tutti.

Spero di riuscire a trovare la strada giusta, e spero che tutti voi siate sempre qui a dare il vostro aiuto proattivo allo staff, a me, ai moderatori, al direttivo di AG, perché dobbiamo continuare a fare bene, non solo con gli eventi, che sembrano aver iniziato nel migliore dei modi, ma anche con la vita comunitaria.

Diciamo che oggi dopo aver riflettuto sulle mie riflessioni ^_^ sono decisamente motivato a far bene, ma come già detto in passato Anima Guzzista non sono io eh, siamo tutti noi e quando vi verrebbe voglia di ringraziare qualcuno per il forum, o un evento o altro, ricordatevi che Anima Guzzista è fatta dai suoi utenti, da chi contribuisce, da chi si adopera come ha fatto l’altrettanto grande LucaF che ha pensato anche al buon Giancarlo GSZ per ricordarlo, insomma Anima Guzzista è fatta dalle persone, non è un luogo virtuale, non più di come sia virtuale la vostra anima, e non è virtuale quando ci incontriamo dal vivo e ci riabbracciamo dopo tanto tempo, quindi dateci una mano e insieme continuiamo a fare di questa associazione quello che è: una cosa bella.

Link foto Giuliano

Una cariolata di moto ?

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Motor Bike Expo
Verona 2025

di Giuliano Arcinotti

È mattina, mattina presto, e ho tutto pronto per partire per andare al Motorbike Expo di Verona, due ore e mezza di strada, un po’ di freddo, poche curve tanti rettilinei e tante moto.
Iniziamo subito partendo da sano minchione con una mezz’oretta di ritardo, ma poco male non ho nessuno che mi corre dietro e tutto il tempo che mi serve per arrivare.
La Cisa scorre veloce, come sempre, anche con quel poco di nebbia e di umidiccio che c’è per terra il problema è quando finiscono le curve quando ed iniziano i rettilinei della bassa, quella bella pianura padana che regala splendide nebbie e climi che solo chi la ama li sopporta, io amo la Liguria ci sto proprio bene in Liguria, come fanno a vivere in pianura padana? Cioè davvero d’inverno come fate? Ma non è questo il momento per affrontare questi temi.
Finito di attraversare la nebbia e dopo aver navigato in un mare di umidità per circa un’ora e mezza, arrivo a Verona posteggio la moto pago il biglietto e sono dentro .
La fiera non è enorme, non è grossa come l’Eicma per intenderci, ma si difende bene e soprattutto è il posto ideale per chi ama il mondo custom che mi ha accolto nella mia adolescenza motociclistica.
Esibizioni di trial e motocross sono affiancate da aree prova per veicoli leggeri elettrici e per qualche moto della Yamaha e Harley Davidson. I padiglioni invece al solito ospitano sia le case madri che tutte le aziende che operano nel settore del motociclismo.
Buona parte della fiera è occupata da espositori che sono veri e propri rivendite di capi di abbigliamento materiale tecnico e chi più ne ha più ne metta.
Come prima cosa mi metto in contatto con i ragazzi della Hat e visto che sono disponibili li passo subito a trovare.
Faccio due chiacchere e cerco di capire come potremmo collaborare e ci sono diverse opportunità che potrebbero fare al caso nostro, ma queste le vedremo più avanti, cercando di farle coincidere anche con gli impegni che ci siamo già assunti per quest’anno motociclistico. Posso senz’altro dire che ho trovato un bell’ambiente di persone alla mano e che hanno obiettivi sicuramente interessanti anche per noi.
È ancora presto per il mio appuntamento con Fabio Colombo di Moto Air Bag quindi decido di visitare lo stand Guzzi e cercare qualche altro espositore interessante.
Non trovo tutti quelli che cerco ma c’era davvero un mare di produttori di accessori , forse pure troppi e per l’occasione decido di passare oltre dato che non avendo canali diretti con cui presentarmi non era forse l’occasione migliore, per quest’anno, mi dico, di carne al fuoco ne abbiamo ed è meglio fare poco e bene che fare tanti malamente.
Vi lascio quindi con qualche scatto a caso fatto alle moto che mi sono piaciute di più e vi dico che allo stand Moto Guzzi era difficile fotografare le moto da sole perché c’era parecchia gente. L’età media non era certo quella dei ragazzini ma anche i prodotti sono più da pubblico adulto anche se non mi sarebbe dispiaciuto vedere più gioventù, in ogni caso ho visto parecchio interesse e questo è cosa buona.

Molto bella devo dire la V7 Sport con le forcelle upside down con una doppia regolazione ma che non ho capito come agissero, ci voleva un certo Baloo qui, chissà come sta il perno ruota di queste V7….
Dal vivo poi ho trovato molto bella anche la Stelvio nella colorazione dedicata al passo da cui prende il nome che in video non apprezzavo più di tanto onestamente, davvero notevole e sicuramente più interessante dei colori base in cui è stata proposta fino ad ora.
Belle anche le nuove colorazioni della V100 sia la nuova S che la Wind Tunnel (peccato per l’occasione persa di usare l’italiano) che è la colorazione preferita del sottoscritto ovviamente e carini gli accessori Guzzi che mi riservo di approfondire meglio se riuscirò a metterci le mani prossimamente.
Bella la parte della fiera dedicata al mondo custom che era davvero importante come dimensioni e che permetteva di rifarsi gli occhi, non sempre eh, alcuni prodotti onestamente non li trovavo gradevoli, ma per chi apprezza il mondo custom diciamo che c’era di che guardare.
Molto bella anche la sezione dedicata al mondo accessori e viaggi, veramente ricco e con tante offerte.

Alle 13 mi sono incontrato con l’ottimo Fabio Colombo di Moto Air Bag e ho trovato una persona precisa, preparata e con belle idee che condivido in pieno e che spero di poter portare su Anima Guzzista in tutte le forme che abbiamo ipotizzato, ma che saranno oggetto di un articolo dedicato non appena partiremo.
Ragazzi gli airbag da moto sono forse l’unico vero strumento salva vita, insieme al casco, che possiamo usare per migliorare enormemente la nostra sicurezza, come dice Fabio, i motociclisti si dividono in due categorie, quelli che hanno un airbag e lo usano e quelli che devono ancora comprarlo. Non vi sto dicendo di comprare quello di MotoAirBag come non ve lo dirà mai Fabio di MAB, ma dotatevi di un airbag, fatelo per voi e per chi vi aspetta a casa ogni giorno.
E ora vi lascio, cerco di imbastire quelle che sono state le chiacchiere fatte con Fabio per farle diventare realtà insieme allo staff di Anima Guzzista e vi saluto.

Campagna tesseramento 2025

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Link tesseramento

I fari sono accesi, i motori avviati. Un nuovo anno da visitare scoprendo strade e persone o rinnovando l’incontro con essi, cavalcando le moto che -noi diciamo – hanno un’anima, che non ci entrano solo in garage ma nei pensieri, nei progetti, nei discorsi da scambiare con quelli come noi, parlando o scrivendo fin nei dettagli, sul forum che ci fa da diario collettivo. A volte il viaggio, la gita, il percorso trova ispirazione proprio leggendo l’esperienza di un altro che, magari, ha anche la soluzione a qualche capriccio della moto, avendolo riscontrato risolto e poi scritto a beneficio di tutti. Anima Guzzista è nata e cresce per la passione di persone che non si accontentano di andare in moto ma si sentono parte di una collettività e di una storia; il tesseramento è un segno ed un contributo tangibile non solo al mantenimento del patrimonio di cultura Guzzista finora raccolto ma anche una spinta a costruire ancora, con il sorriso che si accende sotto la visiera e si dispiega come le ali di un’aquila.

Ci sono una serie di novità che dobbiamo sottoporvi e quindi andiamo con ordine, per motivi legati alla variazione delle cariche sociali è variata anche la banca dell’associazione e pertanto vi invito a prendere nota delle nuove coordinate bancarie che troverete in calce alla presente e nei moduli di adesione.

Un’altra novità è data dalla metodica di adesione, da quest’anno difatti adopereremo la piattaforma Yapla (troverete il sito più avanti) che ci permetterà di gestire la parte contabile delle adesioni, cosa di non poco conto per chi come noi deve arrangiarsi in modo “artigianale” con contabilità e bilancio, e che permette di pagare le adesioni in modo rapido e semplice tramite i seguenti canali:

  1. Bonifico bancario, quello da preferire per semplicità ed economicità
  2. Carte di credito/debito, Google wallet e Apple pay, che prevedono un piccolo costo per noi ma di enorme facilità d’uso per tutti
  3. Paypal e Satispay, tramite i QR code che troverete sempre sulla piattaforma, quest’ultimo con un piccolo obolo da versare ma davvero poca cosa
  4. Contanti durante gli eventi e i raduni, facile rapido solo in certe occasioni però

Sulla piattaforma dovrete registrarvi con un nuovo account, dedicato appunto alla piattaforma Yapla e seguendo le istruzioni che troverete sulla stessa, e precisando i seguenti dati:

  • Nome e Cognome
  • Nickname (lo stesso del forum)
  • E-mail (anche questa sarebbe meglio fosse la stessa utilizzata sul forum)
  • Una nuova password (a vostra scelta)
  • Dati fiscali per la ricevuta che verrà emessa dal sistema automaticamente (nell’immediato per i pagamenti con carta di credito/debito o Google/Apple pay) e quindi:
    • Nome e cognome
    • Residenza
    • Codice fiscale

Una volta registrati, e pagata la quota di adesione, che per inciso è ridotta a € 25,00 per i soci ordinari e € 40,00 per i soci sostenitori, riceverete una comunicazione e-mail che vi ringrazia per l’adesione e la ricevuta di cui sopra.

Qualora abbiate deciso di pagare con Bonifico, contanti o Paypal/Satispay dovrete darci il tempo di registrare l’incasso una volta ricevuto, quest’operazione purtroppo non può essere automatizzata ma deve ancora essere fatta da qualcuno a mano.

Nella causale del bonifico vi preghiamo di indicare il vostro nickname, cognome e nome per poter collegare il pagamento all’adesione e abbinare i dati tra i database.

Il nostro compito sarà poi quello di inviarvi al solito la tessera in formato digitale, mentre per quanto attiene le spille e le targhette con l’anno di iscrizione invece è stato deciso di fare la consegna delle stesse in occasione degli incontri e degli eventi. Laddove non sarà possibile si provvederà alla spedizione della spilla con il contributo spese opportuno, ma la cosa migliore è ovviamente farsi vivi ed essere presenti agli incontri.

È tutto non c’è altro, dovevo dirvi questo, vi invito quindi a aderire numerosi, un piccolo gesto come l’adesione ad Anima Guzzista è il modo migliore per aiutare ed essere concretamente presenti al nostro fianco. E non ultimo è anche il vostro modo di acquisire voce in capitolo perché, se è vero che cerchiamo sempre di accontentare tutti gli utenti del forum, certamente gli associati hanno la possibilità di decidere con più incisività sul destino dell’associazione stessa e perché no, diventare domani i futuri membri dello staff da cui dipenderà Anima Guzzista.

Grazie a tutti coloro che vorranno aderire e buona strada a tutti quanti.

Nuovo iban intestato a

Associazione Sportiva Anima Guzzista

Crédit Agricole Ag. Di La Spezia n° 00162

Iban IT 20 D 06230 10706 0000 4102 5349

Link tesseramento

STORIA DI CUSCINETTI STERZO, FORCELLE E DI UN POVERO PERNO RUOTA DA SALVARE

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di Marco “Baloo”

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una “forcella” oscura, che la diritta (sempre forcella) era smarrita.
Bene, credo che queste parole siano tra le più citate da qualche secolo a questa parte. Spero che il grande Vate mi perdonerà se le adopero in modo così blasfemo per iniziare il racconto del lavoro che ho svolto sulla mia bellissima Moto Guzzi V100 Mandello e per giunta, ROSSA.
La cosa che mi ha messo più in difficoltà, molto più della parte tecnica nel trovare le soluzioni pratiche per fare le modifiche che avevo in mente, è stato il cercare di far capire quali erano le motivazioni che mi spingevano a fare questo lavoro. Ma andiamo per ordine.
Felice possessore di una moto che mi ha da subito trasmesso un fascino che nessun’ altra prima aveva fatto, ho dovuto affrontare alcuni episodi che hanno fortemente messo in crisi la mia fede e devozione assoluta.
La prima voce maligna a penetrarmi….. No, questa parola, non so perché, ma non mi piace. Mi correggo. A ferirmi, si meglio, a ferirmi come un pugnale affilato, è stata la notizia che nelle forcelle fosse presente una sola molla, ubicata nello stelo di destra.
CRISI! Com’è possibile!? Come può un canguro saltare se ha una molla sola?!?
Mi rivolgo ai concessionari MG per avere notizie o meglio smentite ad un’eresia di tale livello ma, al contrario, mi arrivano solamente conferme! Inizia repentino uno stato depressivo, mi cimento in prove tecnico/empiriche che mi portano a piegarmi su una sola gamba e provare a rialzarmi.
Alzo la moto sui cavalletti, la copro con un telo…. Non la adopererò mai più!!!
Sostegno dal mondo Guzzista:
”Ma che te ne frega di quante molle ha? C’ hai corso fino adesso? Va bene? E allora, “belin” (licenza poetica), vai e non rompere i…(licenza poetica libera a vostro piacimento).
Torna la ragione. Non può essere! Io smonto tutto e controllo.
Due! Due!! Sono due!!! Due belle molle che spingono gagliarde come nessun’altra moto ha avuto prima! Diavoli malefici che mettono in giro certe voci.
“Vabbè, ha due molle. Ora sarai contento! Ma l’idraulica? Quella no. E’ una e una soltanto. Puoi fare tutte le prove che vuoi”. Percepisco una sghignazzata goduriosa in questa affermazione.
Riflessione: Avendo iniziato questo racconto in modo così bizzarro, non ho la più pallida idea di come riuscirò a proseguire. Anzi, non ricordo neanche più bene cosa dovevo dire. Pausa.
Riprendiamo da:” Felice possessore di una moto che mi ha da subito trasmesso un fascino che nessun’ altra prima aveva fatto”, notavo però un comportamento anomalo dello sterzo che ha trovato conferma il giorno in cui ho deciso di sollevare la ruota anteriore per vedere che non ci fossero impuntamenti girando a destra e a sinistra. Effettivamente in posizione centrale lo sterzo aveva un leggerissimo, quasi inavvertibile, blocco che opponeva una certa resistenza muovendolo in ambo le direzioni, cosa talmente minima da non esigere alcun tipo d’intervento.
Macinando altre migliaia di chilometri, quella che era una leggera percezione era però diventata una vera e propria difficoltà che implicava un necessario controllo dello stato dei cuscinetti dello sterzo.
Seppur ritenendo di avere le capacità adeguate ad affrontare questo lavoro, prima consulto per bene il manuale officina della V100 Mandello onde evitare di incappare in errori grossolani. Da subito mi rendo conto che avrò bisogno di alcuni attrezzi che non possiedo ma che lavorando in un’azienda molto attrezzata, sono in grado di costruire.
Per prima cosa ho fatto una bussola per mollare le ghiere che fissano il perno forcella al telaio

Così sono riuscito a togliere il piantone dello sterzo fig1 per scoprire che effettivamente i cuscinetti erano parecchio nicchiati, soprattutto la pista esterna superiore fig 2 e 3.

Le spiegazioni che mi sono dato per giustificare un danno così evidente dopo appena 24 000 km, anzi, in realtà già da molto prima, sono state una quasi assenza di grasso, un assemblaggio avvenuto con poca cura e poi ho trovato un’escrescenza di saldatura sull’alloggiamento della pista superiore del telaio e per questo veniva a mancare la planarità fig 4.
Per togliere le piste esterne dal telaio è necessario procurarsi un estrattore per cuscinetti, io ne ho preso uno economico di scarsa qualità in Amazon ma che con qualche modifica ha fatto il suo lavoro. ESTRATTORE:

Per togliere la pista interna inferiore fig1, la pratica corretta sarebbe quella di scaldare per bene la piastra inferiore e con una pressa fare uscire per sotto il perno dello sterzo, che è posizionato per interferenza. Questa pratica, anche se corretta, penso che possa essere molto “stressante” per il materiale, così ho preferito tagliare la pista con una piccola fresa ad aria. PISTA TAGLIATA:

I cuscinetti originali sono FAG a sfera a contatto obliquo e credo siano una scelta di alta qualità anche se probabilmente sono più delicati rispetto a quelli conici a rulli che però, posso dire per esperienza, col tempo tendono ad accumulare gioco non dovuto all’usura ma per la deformazione della gabbia interna che contiene i rulli. Comunque quest’ultimi sono disponibili come opzione agli originali, personalmente ho scelto di rimontare quelli a sfera anche se costano quasi il triplo degli altri, circa 130€ scontati.
Rimontiamo tutto. Cosa serve? Per prima cosa inizio ad installare le piste esterne sul telaio (ovviamente ho rimosso il difetto nella sede che menzionavo prima). Poi il parapolvere e la pista interna sul perno del piantone. Questo è il lavoro che richiede più attenzione ed esperienza perché bisogna intervenire senza toccare minimamente le parti di scorrimento delle sfere e nemmeno le parti in prossimità di queste. Bisogna far avanzare le piste in modo assiale evitando che si intraversino o che si grippino perché ciò potrebbe portare del materiale tra il cuscinetto e la sede.
Per le piste esterne mi sono costruito due cilindri di alluminio uniti da una barra filettata da M12

Meglio installare una pista alla volta ingrassando le superfici di scorrimento

Per la pista interna ho lavorato un tubo di alluminio e adoperato la pressa.

A questo punto ho ingrassato e rimontato tutto

Il libro officina dice di fare un pre-serraggio per adattare i cuscinetti, ad una coppia di chiusura di 60nm e azionare ripetutamente lo sterzo in ambo i lati per poi rimollare e richiudere ad una coppia di 30nm. Sinceramente 60nm mi sembravano troppi e sono arrivato, in vari step, fino a 45nm, per poi richiudere definitivamente a 30nm. Il risultato mi è sembrato ottimo.
Bene, tutto è pronto per rimontare gli steli. Sono lì, in un angolo, dove li ho messi quando li ho smontati. Prendo in mano il primo, il destro, bello con i suoi foderi neri, le cromature e le anodizzazioni neutre. Che eleganza, con la sua forma quasi fallica e che funzionando ricorda simbolicamente un amplesso. Mi ci appassiono al punto che comincio a spingerlo giù e su, giù e su. Mi sembra di sentire l’olio che passa attraverso le lamelle dei freni idraulici, ammorbidendo il movimento dell’andare e venire come se volesse assecondare le mie mani senza violenza.
Riflessione: sto seriamente pensando di adoperare due inchiostri di colore diverso come nel libro “La storia infinita”. Uno per la parte razionale e l’altro per quella irrazionale. Mi rendo conto però, che tecnicamente non sono in grado di farlo e quindi continuo in monocolore. Fine riflessione.
Anche l’altro è lì, il sinistro, il gemello omozigote, una fotocopia, pronto a condividere ogni singolo metro d’asfalto, buca, asperità. Voglio pompare anche lui, hanno sempre fatto le cose assieme e non voglio essere io a dividerli. Eccoti……
Vacca miseria! È una furia indemoniata che mi scappa di mano reagendo al mio peso come fosse un Tagadà (ricordi di quando andavo al Luna Park). Mi torna in mente la vocina del diavoletto che mi aveva avvisato.
Sono fregato! Mi avvio verso il telo con il quale intendo coprire nuovamente e sigillare la moto facendo finta che non esista più e dedicarmi ai francobolli (che non ho, prima che qualcuno mi chieda di mostrargli la collezione).
NO! Io sono io!! Ce la posso fare!!! Posso correggere questa menomazione degenerativa, questa mancanza di una parte di cromosoma (sinceramente qui mi riferisco più agli ingegneri o agli affaristi che per risparmiare hanno concepito una schifezza simile) e riabilitare SX a diventare come DX. Ho tralasciato XX e XY ma secondo me il richiamo è palese.
Cerchiamo una spiegazione, entriamo nel mondo dell’irrazionale, in quel posto astratto, etereo, sfuggente, dove tutto e il contrario di tutto trovano una loro ratio con una logica certosina che appare inconfutabile ma solo per chi la sta concependo e assolutamente impenetrabile per chi ne ascolta la spiegazione.
Perché modificare le sospensioni di una moto?
“Facile, perché vuoi migliorarne l’assetto!” No. “La guidabilità!?” No. “sono rotte?” Assolutamente no. (tra virgolette riporto una vocina che potrebbe essere spiegata con la mia coscienza razionale ma che in realtà rappresenta i guzzisti del forum ma sempre nella mia testa).
“E allora perché fai tutto sto casino? La moto va bene?”
Benissimo. Il perno.
“Il perno?”
Lo so, non è facile. C’è chi va in moto guardando i paesaggi, chi è ansioso di raggiungere qualche posto meraviglioso, chi è inebriato dalle prestazioni e dagli ingaggi, c’è chi non vede l’ora di “spalancare” dopo una curva per poi arrivare ugualmente ultimo (ogni riferimento è puramente casuale).
Io mentre cavalco il mio destriero non faccio altro che interrogarmi su cosa stia facendo ogni singola parte meccanica che lo compone, un’analisi continua ed esasperante alla ricerca di possibili anomalie o carenze.
Buche, salti, rallentatori, frenate al limite. Gli steli vorrebbero essere liberi di muoversi ognuno a modo suo, secondo la loro indole, il loro carattere. Uno veloce e nervoso mentre l’altro è calmo e riflessivo, Malgrado siano così diversi sono costretti a sopportarsi perché uniti da un patto di tolleranza, uniti da un povero perno che cerca di farli andare d’accordo e che allo stesso tempo deve anche tenere attaccata la ruota anteriore cercando di non farla flettere così come gli steli vorrebbero facesse.
Dico, come si fa a raggiungere una meta serenamente quando c’è in corso una tragedia di tale entità? Non sono pronto a sopportare l’ansia e lo stress che ciò mi può provocare.
(Sono più incasinato di prima. Come faccio a continuare la parte tecnica? Cancello momentaneamente tutto e poi, forse, re-incollo.)
Si può fare! Ne sono convinto. Tutti quelli che ho consultato mi hanno detto di no. Officine specializzate dicono di montare cartucce after market che la moto migliora tantissimo (NON MI INTERESSA MIGLIORARE LA MOTO COME LO INTENDI TU!!!).
Avere tutti contro mi invoglia ancora di più a fare il lavoro. La mia moto sarà ancora più mia, sarà unica…. Oppure dovrà montare delle cartucce after market.
(cambio colore dell’inchiostro a vostro piacimento)
Analizziamo da un punto di vista tecnico quali sono le maggiori difficoltà e le differenze tra lo stelo destro (con idraulica) e quello sinistro (senza). Esternamente le differenze visibili sono i tappi superiori, il destro con regolazione del precarico molla e del freno dell’estensione mentre il sinistro non ha niente. Poi i piedini inferiori dove si attacca la ruota. Il destro ha il foro ruota di diametro inferiore, 25mm, e per sotto ha un foro che alloggia una vite per tenere il pompante interno. Il sinistro ha il foro per il perno ruota che è da 30mm mentre manca completamente il foro per fissare un nuovo pompante e diciamo che questa sarà la vera modifica da fare per ottenere il risultato tanto agognato e cioè di trasformare lo stelo di sinistra ad immagine e somiglianza di quello destro.
Inizio a smontare il tutto per vedere come affrontare le modifiche e mi metto in moto (nel senso che mi attivo) per trovare i pezzi presenti nello stelo di destra ma che mi mancano per modificare quello di sinistra. Fortunatamente Alex di AG, che ringrazio, ha una moto uguale alla mia che ha fatto modificare e molto gentilmente ha accettato di vendermi i pezzi avanzati che erano esattamente quelli che mi servivano.

Cosa positiva è che i foderi degli steli sono perfettamente uguali ed intercambiabili, quindi quello che era a sinistra rimarrà al suo posto senza dover fare modifiche. Le molle invece sono uguali ma posizionate in modo diverso. La destra è infilata nel pompante e rimane nella parte alta dello stelo, mentre a sinistra è dentro allo stelo nella parte bassa.
Pompante destro in tre foto

Stelo di sinistra

Per togliere la molla di sinistra bisogna svitare una ghiera avvitata nel bordo superiore dello stelo

Per farlo mi sono costruito l’attrezzo nella foto seguente. La ghiera poi non va rimontata, ho provato anche a modificarla ma la molla non scorre bene all’interno.

A questo punto anche gli steli erano perfettamente uguali e pronti, rimaneva da smontare i piedini per verificarne le differenze e capire se era possibile modificare quello di sinistra per alloggiare e fissare il pompante. Per togliere i piedini bisogna per prima cosa svitare il grano laterale che fa da fermo. Questo grano è fissato con la loctite e poi ribattuto, quindi bisogna assicurarsi che la chiave faccia una forte presa e soprattutto è necessario scaldare bene il pezzo. Dato che la sua chiave a brugola tendeva a scivolare, gli ho piantato dentro un inserto torx che lo ha fatto svitare senza problemi. Prima di passare a togliere i piedini, bisogna ripristinare le creste di filettatura dentro al foro filettato perché sicuramente sono state deformate dalla pressione del grano stesso, questo per evitare che svitando il piedino, si rovini l’intera filettatura. Per fare questo, io ho adoperato una piccola fresa ad aria a punta e una punta da segno.
Ora sopraggiunge il problema di tenere fermi gli steli, senza che si rovinino, per svitare i piedini e allora mi sono fatto questo supporto in alluminio per prenderli nel mandrino del tornio. Alla fine, scaldando bene, si sono svitati più facilmente di quello che mi aspettavo.

Mi accorgo da subito che il piedino sinistro da modificare ha delle differenze sostanziali e che non è possibile riprodurre una copia esatta di quello destro. Ha una profondità maggiore e quindi il pompante si posizionerebbe in un punto più basso rispetto all’altro, cosa facilmente risolvibile mettendo uno spessore. Soprattutto ha meno materiale in corrispondenza del perno ruota e se procedessi nel fare la sede della vite per tenere il pompante nello stesso modo dell’altro, si potrebbe indebolire troppo. Decido allora di passare ad una vite più piccola, da 8 invece che da 10 e con testa ribassata. Mi costruisco una maschera per fare il foro …

… e con un lamatore riproduco la sede della testa della vite

Ora rimane da affrontare il fatto che il pompante per essere fissato, ha un foro filettato da 10mm passo 1 ed io devo adoperare una vite M8. Risolvo la cosa costruendo una boccola con filettatura esterna da 10×1 e interna da 8×1,25

Ora torniamo a quanto detto precedentemente sulla differenza di profondità del piedino di sinistra e per correggere quella che sarà l’altezza del pompante, ho costruito uno spessore di alluminio da infilare nel piedino stesso.

Mannaggia! Un centesimo di differenza, non ci voleva. Vabbè, faro meglio la prossima volta.
A questo punto è tutto pronto per essere rimontato ed inizio col riassemblare i piedini.

La filettatura degli steli l’ho appena sporcata con della Loctite 243 mentre i grani li ho fissati con la più forte 270.
Proseguo con il mettere in sequenza le parti che compongono gli steli installando dei paraolio nuovi. Per inserire i paraolio sugli steli, oltre ad aver sporcato per bene di olio ogni parte, ho adoperato il trucco del sacchetto di nailon e cioè quello di avvolgere con un pezzo di nailon dove si deve far scorrere il paraolio nuovo, così gli fa da guida salvando la superficie di contatto. Invece, per inserire i paraolio nelle loro sedi nei foderi, non avendo un attrezzo specifico, per non rischiare di rovinarli, ho preso un paraolio vecchio e l’ho tagliato in modo da ricavarne 2 mezze lunette che ho adoperato per spingere dentro i paraolio nuovi.

Ed ecco il risultato finale

Riflessione finale:
Ora la mia moto ha due steli perfettamente uguali, entrambi con la regolazione del precarico della molla e dell’estensione dell’idraulica, la compressione invece era fissa e quindi allo stato attuale risulta essere raddoppiata. Questa cosa era in parte voluta perché la moto mi è sembrata da sempre troppo morbida nell’anteriore, soprattutto di idraulica. L’estensione abbiamo detto che è regolabile e quindi in caso si può ammorbidire. Comunque, per cercare di compensare e correggere questo possibile “indurimento”, ho pensato di adoperare un olio più fluido, sono passato dal 7,5 al 5.
Il risultato è ancora tutto da scoprire e non vedo l’ora di fare la prima uscita su strada, ma il proposito che ha dato inizio a tutto questo casino credo che abbia raggiunto il suo obiettivo.
Il povero perno ruota è salvo e giuro che mi è sembrato che mi strizzasse l’occhiolino l’altro giorno prima che lo montassi.
Grazie a tutti per il sostegno e la pazienza.

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