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Oneri & Onori del Guzzista Perfetto

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di Andrea aka “Beef”

Possedere una Guzzi, l’andarci in giro (più o meno) orgogliosamente in sella, ha in qualche modo cambiato il vostro approccio al motociclismo?

La risposta è sì, l’ha cambiato; ma per chiarire il punto è necessario che vi racconti la mia storia, la mia esperienza sulle 2 ruote.
La prima motocicletta che compro, una volta divenuto indipendente economicamente, arriva tardi, nel Maggio del 1994, e si tratta di un piccolo monocilindrico da 22 CV alla ruota, la Suzuki GN250…

Ho già 29 anni, non ho mai avuto un mezzo a 2 ruote, non lo so guidare e non so nulla di curve, frenate d’emergenza, pieghe, staccate e scalate di marcia, imparo lentamente seppur la moto in questione sia perfetta per un principiante: non mi considero un motociclista e non mi allontano mai troppo da casa (uso la moto per andarci al mare o in centro, alla stregua di uno scooter).
La moto in sé non mi fa impazzire, l’ho comprata perché costa poco (anche se la pagherò tramite finanziaria in 3 anni), consuma pochissimo (percorre circa 35 km con 1 litro di benzina) e c’ha anche un piccolo display sul cruscotto che ti segnala in che marcia sei…wonderful!

La seconda motocicletta, l’acquisto perché mi piace…e mi piace perché non piace a nessuno: si tratta della famigerata Aprilia Motò 6.5…

E’ la moto che se da una parte mi allarga gli orizzonti (ci faccio vari viaggi sul territorio nazionale, dal giro di tutti i passi dolomitici alla scoperta della Val d’Orcia, dalla Val Tiberina al Parco Nazionale d’Abruzzo) e mi fa diventare un mototurista – nonostante stiamo parlando di un monocilindrico da 650cc e circa 44 CV di potenza – dall’altra mi fa scoprire che la fratellanza fra centauri è una balla di proporzioni colossali: quasi nessuno risponde al mio saluto quando lo incrocio, molti di quelli con cui cerco un feeling fra una sosta alla pompa di benzina e un caffè al bar mi guardano altezzosi considerando l’Aprilia solo un curioso mezzo a due ruote, lo snobbano etichettandolo come una schifezza e in caso di problemi tecnici (batterie che muoiono tutte in gioventù), i problemi te li devi risolvere da te…rimango per strada molte volte, per fortuna ho l’assistenza stradale compresa nell’assicurazione.

Tutto cambia quando, a 10 anni dall’acquisto della GN250, entra nella mia vita LEI…

Con l’acquisto della verdelegnano, moto che al primo approccio definii né intuitiva e né molto maneggevole, realizzo il secondo grande sogno che avevo da adolescente, comprarmi una Moto Guzzi (il primo, per la cronaca, era quello di possedere un’Autobianchi A122, sogno che avevo realizzato da neo-patentato, auto con cui percorsi quasi 100.000 km e che ancora oggi rimpiango).

Cambia il mio approccio al motociclismo…ma qui passiamo alla seconda domanda…

Ha cambiato il vostro modo di approcciarvi agli altri centauri?

Anche in questo caso, la mia risposta è sì…e il motivo è rappresentato da una figura che, mio malgrado, devo introdurre: MIO PADRE.

Classe 1923, secondo di sei figli, nasce in seno ad una famiglia contadina, con un padre (mio nonno) invalido della Grande Guerra: il pane non manca mai, ma la vita dei campi è dura, le bocche da sfamare tante e si vive – e si acquista – lo stretto necessario, spesso tramite il baratto.
La fortuna di mio padre è che dopo aver fatto le scuole di avviamento professionale, a 16 anni inizia a lavorare, fa carriera, guadagna bene e si toglie parecchi sfizi, crociere nel Mediterraneo, viaggi e l’acquisto di ben 3 Vespe…a quasi 40 anni si sposa, esattamente al primo anniversario di matrimonio nasce mia sorella e, dopo due anni, il sottoscritto: mio padre ha già compiuto 42 anni.

Venendo al mio rapporto con lui, come ogni padre mi vorrebbe (quasi) perfetto, ottimo studente e brillante atleta, io non sono né l’uno né l’altro…il suo sogno di avere in famiglia un figlio medico – o ingegnere – si infrange al mio primo anno di superiori…non gli do mai una soddisfazione, non può mai vantarsi con parenti e amici di qualche mio risultato, non ho nessun talento particolare e questo scatena continue discussioni infuocate fra noi due.

Ma mio padre, senza saperlo, ha dentro il “SACRO FUOCO GUZZISTA” che brucia: proprio lui, vespista convinto, è un insospettabile ed inconsapevole guzzista.

Ricordo che ogni qualvolta pronunciava il nome “…Moto Guzzi…”, lo faceva seguire da una piccola pausa quasi a voler sottolineare la sacralità del marchio.

Ricordo che parlando di una gara endurance amatoriale a cui partecipò in sella alla sua Vespa 125 nel 1958 o forse nel 1959, parlando di un collega che correva nella categoria motoleggere, disse “…Gualtiero gareggiava in sella alla sua Guzzi…eehh…in fatto di moto aveva il meglio…”

Ricordo che quando gli dissi che mia sorella si era comprata la moto (una Breva 750), si arrabbiò molto dicendo che buttava i soldi, per poi commentare “…aaah, una Guzzi…vi sarà costata un occhio della testa…però è una Guzzi…”, una volta saputo che l’acquisto era una bicilindrica lariana.

Ma, in particolare, ricordo quando io comprai (usata) la verdelegnano

(Io) – …ho cambiato la moto…
(Lui) – …hai cambiato la moto?…quella che avevi non andava bene?…cosa hai comprato?…
(Io) – …vieni a vederla, è in garage…
(Lui) – …tutti ‘sti soldi buttati…ma te guarda se è il caso di spendere i soldi così…c’era bisogno di una moto nuova?
(Io) – …ECCOLA…E’ QUESTA…
(Lui) – …ah…ma è una MOTO GUZZI…
(una lunga pausa, poi la voce via via più roca, come rotta dalla commozione)
– …questa ti sarà costata una fortuna…E’ UNA GUZZI…
(Io) – …no papà…l’ho comprata usata e quindi non l’ho pagata tantissimo…

Dopo tanti anni, per la prima volta, vidi nel suo sguardo quell’orgoglio che un padre prova per il figlio quando questo fa qualcosa di grande e per lui, vespista convinto che in cuor suo aveva sempre “venerato” il marchio lariano, acquistando la V11 Sport avevo fatto qualcosa di VERAMENTE grande.

Quindi…come non posso amare la Moto Guzzi, un marchio, una moto, che ha compiuto il miracolo di rendere mio padre orgoglioso di me?
Non solo: secondo il suo punto di vista, guidare una Guzzi comportava dei doveri, andava guidata con giudizio, attenzione ed orgoglio, a testa alta: in sella bisognava essere dei cavalieri dalla lucente armatura.

E così, una volta salito in sella, mi trasformai.

Sono diventato il motociclista che saluta SEMPRE, per non dare l’impressione che i guzzisti siano spocchiosi o altezzosi.
Sono diventato il motociclista che se ne vede un altro fermo per strada, si ferma SEMPRE a dare una mano (anche se di meccanica non so una cippa!), prestare il cellulare, scortare fino al meccanico più vicino chi è rimasto in panne.
Sono diventato il motociclista che, se va a prendersi un caffè al bar insieme ad altri centauri che guidano moto di marchi diversi, deve giocoforza offrire SEMPRE il caffè a tutti gli altri.

Ma ho anche scoperto presto che avere una Guzzi – e guidarla con orgoglio – può creare dei problemi, fino ad avere STRANE discussioni che portano jettature…puoi finire colpito dal “fuoco amico”…e siamo alla terza domanda…

Vi ha creato in qualche modo problemi, rogne, sterili discussioni da bar di cui avreste volentieri fatto a meno, avreste voluto evitare?

La mia risposta è – ancora una volta – sì.

Le discussioni da bar, quelle fatte davanti ad un caffè, ad una birra o con le gambe sotto ad un tavolo mentre si condivide pane e companatico con altri centauri, mi creano (e mi hanno creato) problemi solo perché son sterili, fine a sé stesse: come dicevano i pragmatici latini, i gusti personali non si discutono ed è lapalissiano che se io guido una naked da 90 CV e tu una ipersportiva carenata da 150 CV, abbiamo gusti diversi, ma soprattutto cerchiamo cose diverse nella moto che abbiamo acquistato…non c’è bisogno di aprirci sopra un dibattito, ma soprattutto non c’è bisogno di ribadire tali differenze ogni volta che ci incontriamo per strada in sella alle rispettive moto.

Come non c’è nessun bisogno di “attaccare” un marchio in sé tanto per ribadire la (presunta) superiorità tecnologica della propria moto, andando poi a sottolineare (presunti) difetti delle moto prodotte sul quel ramo del lago di Como: dimostri solo la tua ignoranza in fatto di modelli passati e presenti usciti sul mercato…e faccio due esempi su tutti.

Qualcuno dei centauri con cui uscivo (circa 10 anni fa), riteneva assurda la disposizione dei cilindri a V frontemarcia sostenendo che il migliore raffreddamento era relativo, per non parlare della trasmissione ad albero cardanico: solo in Moto Guzzi avevano trovato valida una tale soluzione, forse a causa di progettisti impreparati e incompetenti (state parlando dell’ingegner Giulio Cesare Carcano?).
Poi io ricordavo la Honda CX 500 (bicilindrico a V di 80°, 496cc di cilindrata, 260 kg a secco, trasmissione finale a cardano per 50 CV di potenza) ed immediatamente si passava a parlare della disastrosa situazione socio-politica del Burkina-Faso.

Parlando del rapporto peso-potenza, altri sottolineavano ridicolo del V11 Sport…e anche qui a dire che solo sulle sponde del Lario potevano mettere in produzione una moto con caratteristiche così penalizzanti.
Poi io ricordavo la Yamaha BT Bulldog 1100 (bicilindrico a V, 1063cc di cilindrata, 240 kg a secco, trasmissione finale a cardano per 65 CV di potenza) e d’incanto il discorso cadeva sul prezzo degli ortaggi alle stelle.

Ma la parte più interessante dell’argomento è quella relativa agli incontri – e alle discussioni – con chi la pensa come te e alle STRANE conseguenza che questi portano come eredità.

Profezie che si auto-avverano con te che finisci, tuo malgrado, colpito dal “fuoco amico”.

ESEMPIO N° 1…due anni fa, sto tornando a casa in sella a “Lady Day” e arrivo ad un semaforo dove è appena scattato il rosso: neanche il tempo di fermarmi che vengo affiancato da un signore in sella ad una Royal Enfield, è il padre di una mia collega, uno che nella sua vita avrà avuto 30 o 40 moto diverse, fra cui molte Guzzi: mi riconosce, mi saluta e dopo avermi fatto i complimenti per la verdelegnano spara la sua profezia…

“…occhio però, perché ‘sta moto c’ha un problema grosso, la molletta del cambio che ogni tanto si rompe…”

Io faccio di sì con la testa, scatta il verde, lo saluto e parto…due giorni la “molletta mi molla”, è la quarta che rompo, ma io ho come il sospetto che il padre della mia collega mi abbia tirato jella…mah…

ESEMPIO N° 2…tre settimane fa, sto tornando dal lago di Cingoli, mi fermo per un caffè alla stazione di servizio di Monte Roberto, lungo la S.S. 76…esco e trovo un tizio che sta osservando “Madame Butterfly”, mi chiede come va, io gli dico che sono pienamente soddisfatto dell’acquisto, al che lo sconosciuto si presenta: a quanto capisco è veneto, guida un camion, è lì per lavoro, ma soprattutto si qualifica come GUZZISTA ex possessore di una Stelvio 1200 ed ora in sella ad una V100 Mandello…due parole, faccio per ripartire, lo saluto e lui, nel salutarmi, mi chiede…

“…hai avuto mai il problema dell’accensione a caldo? E’ una bella rogna, la moto non parte e finché il motore non si raffredda, tu sei bloccato…con la Stelvio sono rimasto fermo ore nei posti più impensati, poi fortunatamente ho fatto una piccola modifica e ho risolto…”

Gli rispondo che in 2 anni non è mai successo, lo saluto rapidamente e fuggo dalla sua profezia.

Il giorno dopo – ripeto, IL GIORNO DOPO – sto andando al lavoro, faccio scaldare bene il motore prima di partire, salgo in sella, innesto la prima marcia e sto per partire, quando mia moglie mi chiama dal balcone, scendo, non sento la sua voce, al che spengo il motore…parlo con mia moglie, ci accordiamo per la serata, risalgo in sella e premo il pulsante di avviamento…NESSUNA RISPOSTA, il quadro si accende, la pompa dell’iniezione carica il carburante, ma il motorino di avviamento non da segni di vita…riprovo e riprovo mentre penso alla profezia del giorno prima…alfine ci rinuncio, rimetto in garage la Breva 850, tiro fuori il V11 Sport e parto per il lavoro.

Quando la sera ritorno dal lavoro, provo a vedere se la Breva parte, quattro accensioni di seguito perfette, nessun problema, a motore freddo il motorino di avviamento gira alla perfezione e il motore romba che è un piacere…quindi nessun problema a batteria, contatti elettrici, relè, fusibili e motorino di avviamento, alla fine era solo la seconda profezia che si avverava.

Quant’è vario ed imprevisto il magico e fantastico mondo della Moto Guzzi…e quanto è difficile essere dei Guzzist!!!

Lamps, Vs. Andrea aka “Beef”.

Nascita del monumento a Giorgio Parodi

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di Elena Bagnasco

“Come e perché nasce il monumento dedicato a Giorgio Parodi?”

Con il Centenario della Moto Guzzi in avvicinamento nel 2021, ho pensato di realizzare qui a Genova una statua per ricordare nonno Giorgio, nella sua città e dove l’azienda venne costituita.
Non è stato semplice, sono partita con la mia idea e tanti ostacoli da superare, ma la passione che mi sostenuta è sempre stata tanta. Per prima cosa ho dovuto pensare a chi potesse realizzare una statua, non è cosa da tutti i giorni, poi prendere appuntamento in Comune per parlarne e individuare il luogo dove collocarla. Devo ringraziare i guzzisti genovesi che mi hanno messo in contatto con Ettore Gambioli, l’artista che ha realizzato il monumento di Guzzi e che ha entusiasticamente accolto la mia idea.
Altra questione da affrontare è stata la ricerca sponsor, non facile in una grande città come Genova, ricca di eventi e manifestazioni. In questo caso devo ringraziare “l’aquila di famiglia”, quella del tonno “Angelo Parodi”. Oggi il marchio è di proprietà della ICAT Food, azienda leader nel settore ittico e produttrice delle note scatolette gialle in vendita nei negozi di tutta Italia. Non tutti sanno che la “Angelo Parodi fu Bartolomeo”, il cui logo è appunto un’aquila, fu la prima società della famiglia Parodi. Angelo Parodi era il nonno di Giorgio e fu proprio con le azioni e il capitale della Angelo Parodi fu Bartolomeo che venne fondata la Moto Guzzi.Ma torniamo al monumento, come realizzarlo? Il 15 marzo 2021 era una data importante, ma ce n’era un’altra che mi stava a cuore: 28 marzo 2023, i cento anni dell’Aeronautica Militare. Conoscendo il grande legame del nonno con l’Aeronautica Militare volevo ricordarlo insieme a quello della Moto Guzzi: due centenari e una persona uniti da un’aquila dorata con le sue ali spiegate.


La decisione di rappresentare il nonno in uniforme d’aviatore fu mia. Era un pilota, amava volare più di qualsiasi altra cosa. Nonno volò finché non perse un occhio in guerra in Africa, in una missione di ricerca un compagno disperso, non rientrato alla base. Ma nonno era anche un uomo profondamente legato alla sua azienda e alla sua Elena, la moglie.
Così decisi di ricordarlo in alta uniforme della Regia Aeronautica, quella utilizzata il giorno delle nozze- Simbolicamente questa scelta conteneva tutto: l’aquila dorata dei piloti e poi della Moto Guzzi e il ricordo di sua moglie nel giorno del matrimonio. Ci tengo a ricordare che l’aquila dorata oltre ad essere il simbolo universale di tutti i piloti, civili e militari, è oggi anche quello dell’Aeronautica Militare. Giorgio Parodi scelse quell’aquila per ricordare i suoi amici Stefano Baglietto e Giovanni Ravelli, piloti anch’essi con i quali aveva volato nei cieli perigliosi della prima guerra mondiale e con i quali aveva condiviso il sogno di una “motocyclette” nuova e diversa dalle altre.


Mandai a Ettore le foto del matrimonio di nonno e parallelamente portai avanti tutte le pratiche con il Comune e la Sovraintendenza alle Belle Arti per il suo collocamento. Inizialmente la statua doveva essere posizionata a pochi metri dal portone del palazzo dove fu firmato l’atto di fondazione dell’azienda, in C.so Andrea Podestà 5, ma a pochi giorni dall’inaugurazione ci fu il colpo di scena: scavando per fare la gettata di cemento per posizionare la statua, fu scoperto un tunnel sotterraneo non mappato nelle planimetrie del Comune che rese impossibile quella scelta. La fortuna fu dalla mia parte e non lontano da lì fu individuato il luogo ideale per la sistemazione del monumento a Giorgio Parodi, dove ancora oggi si può ammirare in Via Mura delle Capuccine.
Da lì c’è una bellissima vista sulla città e spazio a sufficienza per far fermare la propria moto senza creare intralci al traffico.

E così si arrivò finalmente al giorno dell’inaugurazione, ricordo la pioggia torrenziale durante i discorsi, i miei figli bagnati come pulcini ad ascoltarmi, i miei genitori con mio fratello sotto un grande ombrello, ma ricordo che al momento dello svelamento fatto da mia mamma Marina, la figlia minore di Giorgio, l’acqua si fermò e le nuvole in cielo si aprirono per permettere il sorvolo delle Frecce Tricolori. Per me fu un momento di grande emozione, seppur il tempo fosse brutto e ci fossero ancora le limitazioni per l’emergenza COVID, non mancarono amici motociclisti e non, e in cielo “le ali” tanto amate dal nonno, quel 14 maggio 2021 resterà per sempre con me.”

Spiegazione del monumento:

Opera dello scultore Ettore Gambioli (autore anche del monumento a Carlo Guzzi a Mandello del Lario), raffigura Giorgio Parodi in piedi, appoggiato all’ala di un aereo, nell’atto di leggere ciò che è scritto su di un foglio, appoggiato sopra un libro.

La statua è ricca di elementi simbolici che meritano di essere approfonditi.

L’Ala è il primo elemento che testimonia la sua grande passione per il volo: Fu tra i fondatori dell’Aeroclub genovese, istruttore (la scuola di volo è intitolata a suo nome), e aviatore sportivo di grande successo in moltissime competizioni.
Giorgio è raffigurato in uniforme: egli, infatti, fu inquadrato nelle Forze Armate fin dal 1916 (quando si arruolò volontario) fra le file della Regia Marina e, successivamente nel 1929, della Regia Aeronautica (diventata Arma autonoma dal 1923), ininterrottamente fino al termine della Seconda guerra mondiale. La divisa è stata scelta per rappresentare lo spirito di servizio e di corpo, oltre la grande passione per il volo. Sebbene militare non di carriera, quale Ufficiale pilota in congedo rimase “a disposizione” del corpo di appartenenza e più volte richiamato in servizio.
Si può dire pertanto che fu militare, ininterrottamente, per ben 27 anni. L’uniforme e il volo costituiscono quindi un tratto estremamente caratterizzante la sua vicenda personale, che si dipana nel corso di un periodo storico difficile e caratterizzato da innumerevoli vicissitudini.
Sul bavero della giacca spiccano le “stellette”. In vigore dal 1871 , esse furono prima ornamento, e poi segno distintivo del militare in attività di servizio, di qualsiasi grado, arma e corpo. Un’ipotesi interpretativa le vede legate al nostro periodo risorgimentale quando il simbolo delle fortune dell’Italia era una donna con una stella in fronte o sulla corona portata sul capo, il famoso ‘Stellone’, allegoria appunto dell’Italia repubblicana. Le stellette quindi, oltre a indicare i gradi, hanno un significato simbolico, e appaiono tutt’ora al centro dell’emblema della Repubblica Italiana.

Sopra il taschino sinistro sono inseriti sei “nastrini” che rappresentano le sei decorazioni di cui fu insignito, cinque d’argento e una di bronzo. Una di queste per aver portato in salvo i suoi compagni, benchè gravemente ferito a un occhio, che poi perse, smettendo così di volare. Al di sopra dei nastrini l’aquila dei piloti, divenuta anche il simbolo della Moto Guzzi da lui fondata.

Giorgio è raffigurato nell’atto di leggere un foglio ritrovato nel libro. Si tratta della lettera con cui nel dicembre del 1919 il padre Emanuele Vittorio, lo informava della sua disponibilità a finanziare il progetto che, insieme al suo motorista Carlo Guzzi, avrebbe portato alla creazione del prototipo di quella che sarebbe stata la “normale”. Una motocicletta per l’epoca innovativa e caratterizzata da soluzioni tecniche all’avanguardia. Quella “carta” rappresenta metaforicamente sia l’inizio dell’attività imprenditoriale che Giorgio condusse fino alla sua morte, sia il forte legame famigliare che ha caratterizzato la storia dei Parodi.

Di carattere schivo e poco incline alla ribalta, Giorgio volle l’aquila degli aviatori come simbolo della Moto Guzzi (in ricordo del compagno Giovanni Ravelli, pilota, scomparso durante un volo di collaudo) e lasciò il nome dell’azienda a Carlo Guzzi, il progettista della nuova motocicletta, indicando in lui il tecnico, geniale “creatore” del veicolo. In omaggio a questo suo spiccato ‘understatement’ si è scelto di non includere nell’opera alcun elemento motociclistico, largamente presente invece nel monumento al Guzzi, sia per fedeltà alla vicenda storica (come detto, Giorgio non volle “apparire”), sia per inserire un ulteriore elemento descrittivo del carattere di Giorgio.

Infine il viso di Giorgio Parodi, assorto nella lettura della famosa lettera, ritrovata casualmente: è il ritratto di un uomo maturo. Poiché il marmo cristallizza il tempo, descriverne il corso richiede l’utilizzo di artifici narrativi spiccatamente allegorici; l’Autore ha quindi scelto il suo volto delle ultime immagini a noi pervenute per significare il senso del trascorrere del tempo e delle vicende.

La statua è collocata su di un belvedere che domina Piazza della Vittoria, dove l’Azienda ebbe uno dei suoi uffici, alla quale dà le spalle. Questa scelta permette al visitatore che volesse fotografare il monumento, di trovarlo incorniciato da una spettacolare skyline del centro di Genova. Sul lato opposto (quindi di fronte a Giorgio) si stende la passeggiata sopraelevata di Mura delle Cappuccine, inserita nei percorsi di “Wonderful Walking Genova”, un percorso urbano indicato da borchie bronzee a mo’ di “pietre d’inciampo” destinato sia a chi corre, sia a chi vuole camminare all’interno della città, scoprendone aspetti spesso ignorati e svolgendo attività fisica. Per i runner sono proposte alcune “stazioni” dotate di totem: utilizzando un QRcode si potrà visualizzare un breve filmato con una serie di esercizi fisici di riscaldamento e/o di distensione e di attività aerobica. Un ideale punto di incontro, di emozioni e di ‘photo opportunity’ non solamente per gli appassionati Guzzisti ma per tutti coloro che desiderano godersi una spettacolare vista della “Superba”.

 

Link alla spiegazione del monumento:

https://www.giorgioparodi.it/index.php/il-monumento

 

 

Andar per colli e parchi dalla Savoia alla Liguria

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di Pietro Amante

Como, 10 agosto 1984

Da troppo tempo il mio Falcone Sport, classe 1952, restauro Libero Galanti, ammuffisce nel box, complice il lavoro fuori sede, il tempo inclemente ma soprattutto la pigrizia. Ovviamente non tengo conto dei giri dell’isolato, fatti tanto per tenere carica la batteria e lubrificato il pistone.

Ora però non ho più scuse: ho qualche giorno di ferie, gli amici mi aspettano a Santa Margherita Ligure la sera del 15 e non ho altri impegni. Decido quindi di partire la mattina del 13 (non sono superstizioso) percorrendo un …rinfrescante itinerario a cavallo delle Alpi Marittime: Como – Aosta – Piccolo S.Bernardo – Iseran – Galibier – Lautaret – Izoard – Vars – Bonette – Lombarda – Vinadio – Cuneo – Savona – Santa Margherita Ligure – Como.

Stando alla cartina Michelin rossa n.989 (la mia Bibbia), sono 1131 chilometri, che penso di ripartire in 304 (Como – Aosta – Bourg S.Maurice, con il colle del Piccolo S.Bernardo), 284 [tappa dei cinque colli (Iseran, Galibier, Lautaret, Izoard e Vars) con traguardo a Jausiers: se ce la fanno i ciclisti del Tour de France, perché non ce la possiamo fare anch’io e i 500 cc del mio Falcone?], 320 (arrivo a Santa Margherita via Bonette e Lombarda: questo percorso l’ho già fatto due anni fa venendo da Avignone, ma purtroppo ero a quattro ruote) e infine i 223 chilometri del ritorno a Como.

Viaggerò solo, come – quasi – sempre: a chi mi dà del pazzo, compresa l’onnipresente mamma, replico che non si tratta della Parigi-Dakar ma di zone frequentatissime (basti pensare alla Val d’Isère), e che il mio fido Falcone mi ha già portato con onore su Bernina, Furka, Gottardo, Ofen, S.Bernardino, Sempione, Spluga e Stelvio, tanto per stare sopra i 2.000 metri. Oggi provvederò alla valuta e domani metterò a punto la moto e me stesso (ovviamente l’ordine dei due interventi è strettamente gerarchico).

Como, 11 agosto

Per quanto riguarda la moto, è presto fatto: ho appena cambiato l’olio e il livello è OK; le gomme sono due ottime Pirelli MT53 seminuove; tiro e ingrasso la catena; cambio la candela; registro le puntine; smonto la vaschetta del carburatore, la pulisco e la rimonto con un piccolo accorgimento che ha già dato buoni risultati ad alta quota: spillo conico alla seconda tacca (posizione estiva), in modo da smagrire la miscela alle medie aperture del gas, così da prevenire ingolfamenti e bagnature di candela; getto massimo invernale (da 132/100), per ingrassare la miscela alle massime aperture e migliorare la combustione proprio quando al motore si chiede tutto.

Infine il momento della verità, terrore di ogni meccanico dilettante: l’avviamento a lavoro concluso. La compressione non manca (la pedivella regge senza batter ciglio i miei 80 chili) e già alla prima pedalata il motore inizia a scandire il tempo che, come in ogni grosso monocilindrico quattro tempi che si rispetti, è un “andante …con moto”.

Per quanto riguarda me, curo soprattutto la razionalità dell’abbigliamento e la vestibilità dei capi, dal momento che il tipo di percorso e la stagione possono determinare sbalzi termici anche di 30°C nell’arco di un’ora. Per quanto riguarda il bagaglio, è tutto raccolto in una capace borsa da serbatoio, in cui ho ancora molto spazio. Finora ho speso 9.000 lire (2.500 per la candela e 6.500 per una bomboletta “gonfia e ripara”).

La giornata di domani è tutta dedicata al compleanno del mio amato bene che, ahimè, detesta la moto e – qualche volta – anche il suo proprietario.

Como, 13 agosto

Superata senza eccessivi traumi la giornata di ieri (a parte un po’ di fatica per convincere Denise che salire in moto non comporta il decesso immediato), veniamo alla prima giornata di viaggio.

Piove su Como fino alle 14, quindi pranzo a casa e parto alle 16 sotto un cielo che non promette niente di buono. Inizio con il solito trucco che fa risparmiare tempo e denaro ai comaschi diretti alla Tangenziale Ovest di Milano: entro cioè in autostrada a Fino Mornasco, esco a Lainate ed entro in Tangenziale a Rho; dopo un chilometro, ecco l’autostrada per Torino, ed è noia fino ad Aosta, eccezion fatta per il panorama sul lago di Viverone (appena dopo Santhià) e sui castelli della Vallée; finora il traffico è scarsissimo. Invece la città di Aosta, dal punto di vista viabilistico, è il solito imbuto, dal momento che l’unica strada extraurbana raccoglie chi è diretto alle valli laterali, al Gran S.Bernardo, a Courmayeur, al traforo del Monte Bianco e infine, come me, al Piccolo S.Bernardo.

Finalmente raggiungo Pré S.Didier e attacco il passo: la strada è piuttosto stretta ma il fondo è ottimo; occorre prestare molta attenzione perché la vegetazione, fittissima fino a quota 1.800 circa, nasconde alcune curve molto insidiose. Salgo in seconda e terza, riservando la prima (che comunque è molto lunga) ad alcuni tornanti secchi che si trovano nei primi chilometri, che sono anche quelli a maggiore pendenza. Oltre quota 1.800 il paesaggio diventa tipicamente da alta quota: brullo (pascoli e rocce), in alcuni punti addirittura spettrale, pieno di alpeggi abbandonati; a un certo punto, con mia grande meraviglia – vista la stagione – passo tra due muraglioni di neve alti almeno tre metri.

Un chilometro scarso prima della vetta, al posto di frontiera italiano, il finanziere di servizio mi fa cenno di proseguire; meglio così, perché l’estrazione dei documenti dalla borsa, per mia disorganizzazione, sarebbe stata molto laboriosa.

La vetta stradale del Piccolo San Bernardo, sul versante francese della strada

La vetta del passo (2.188 mslm, a 276 chilometri da Como), che raggiungo alle ore 20, costeggia uno splendido laghetto, che ravviva un po’ il paesaggio; mi fermo per la foto di rito e, nella breve sosta, mi congelo: non vedo termometri, ma la temperatura dev’essere inferiore allo zero. In vetta ci sono alcuni grandi alberghi, chiusi e apparentemente abbandonati. Entro in Francia nel dipartimento 73 (Savoia); dopo pochi chilometri di discesa, anche il gendarme che presidia il posto di frontiera francese mi fa cenno di proseguire: vive la France! I 31 chilometri che portano a Bourg S.Maurice percorrendo la strada nazionale N96 per Chambéry sono molto diversi rispetto al versante italiano: malgrado la cartina Michelin sia di parere diverso, la strada è molto più larga e meno tormentata: è un classico misto-veloce, di estrema soddisfazione come guida, specie per chi disponga di tre freni a disco anziché – come me – di due tamburi laterali monocamma; peccato che il fondo stradale sia una sequenza di gobbe tipo “tôle ondulée” sahariana. La vegetazione, anche scendendo di quota, è meno fitta e più ordinata, cosicché si possono sempre vedere lunghi tratti di strada; in ogni caso, non ci sono curve traditrici.

Arrivo a Bourg alle 21, 309 chilometri dopo Como, e cerco una sistemazione. Davanti a un simpatico albergo vedo allineati tre “colleghi” olandesi: una BMW K100RS, una Yamaha XS 1100 e …un motore Honda CBX 1000 6 cilindri che, a un esame più attento, risulta essere una “special” con telaio Nico Bakker. Capisco di essere arrivato: infatti trovo l’ultima camera libera e un ottimo ristorante; due passi digestivi nel centro del paese, un pensiero di ringraziamento a chi mi ha risparmiato la pioggia e …buonanotte.

Il primo cartello stradale francese, sulla strada del Piccolo San Bernardo

Bourg S.Maurice, 14 agosto

Mi sveglio prima delle 7: le mie orecchie cittadine non sopportano più a lungo lo scroscio del torrente che scorre sotto la finestra. Dato che non devo timbrare il cartellino, me la prendo con tutto comodo: doccia, colazione, vestizione e partenza alle 8,45. La strada della Val d’Isère, che culmina ai 2.770 mslm dell’Iseran, è la dipartimentale D902: ben segnalata, ampia, veloce, con ottimo fondo; la natura – splendida sia come paesaggio sia come vegetazione – è quella del Parco Nazionale della Vanoise, che comunica, attraverso il colle del Nivolet, con il Parco Nazionale del Gran Paradiso. A 25 chilometri da Bourg si costeggiano dall’alto la diga e il lago artificiale di Tignes; volendo, si può deviare per Tignes utilizzando la strada che corre sulla diga stessa.

La diga e il lago artificiale di Tignes

Val d’Isère, 31 chilometri dopo Bourg, dà un’impressione comune ad altre stazioni sciistiche d’estate: un po’ malinconica, come se fosse paralizzata da qualcosa, piena di gente che non sa bene cosa fare. Mi fermo un’ora per le rituali cartoline.

Lo squallore estivo di Val d’Isère

Arrivo all’Iseran alle 11, 50 chilometri esatti dopo Bourg; da Val d’Isère a qui la strada è stretta, dissestata, resa difficile da parecchie curve insidiose che tendono a “chiudere”; il traffico è quasi inesistente e composto in prevalenza (!) da cicloturisti.

Classica foto ricordo sulla vetta stradale dell’Iseran

Riparto per Lanslebourg, che raggiungo alle 12 dopo 34 chilometri di discesa lungo una strada meravigliosa, veloce, con fondo perfetto; il panorama è, se possibile, ancora più incantevole, forse anche perché attraversa la parte più protetta del Parco della Vanoise. A Lanslebourg mi immetto sulla N6, che proviene dal Moncenisio; da qui a S.Michel de Maurienne sono 45 chilometri di superstrada poco interessante e piena di TIR assatanati, specie nel tratto da Modane a S.Michel, che riceve anche il traffico proveniente dal traforo del Fréjus.

A S.Michel abbandono senza rimpianti la N6 e riprendo la D902 in direzione del Galibier. Dopo 17 chilometri di stupenda salita, sia stradale sia paesaggistica, raggiungo alle 13,15 Valloire, dove trovo un ristorante con piscina. Approfitto di entrambi e, ristorato a dovere, riparto alle 14,45 per il Galibier, che raggiungo alle 15,15 dopo altri 20 chilometri di salita entusiasmante. Da notare che il cartello segnaletico del colle, con relativa quota (2.556 mslm), non si trova in vetta, che si raggiunge invece dopo un paio di chilometri, con un ulteriore guadagno di quota, a 2.642 mslm. Dalla vetta stradale, salendo a piedi per pochi minuti, (cosa che a questa quota è molto penosa per chi fuma un pacchetto di Gitanes papier mais al giorno), si raggiunge una collinetta su cui sorge un cippo commemorativo.

La lapide commemorativa sul colle che sovrasta il Galibier

Riparto passando nel Dipartimento 05 (Alte Alpi) e, dopo quattro ripidi chilometri di discesa, mi trovo ai 2.058 mslm del Lautaret: per chi scende dal Galibier si tratta solo del punto in cui ci si immette sulla N91 Grenoble-Briançon, mentre per chi viaggia tra queste due città, si tratta in effetti del colle che rappresenta il punto più alto del percorso. La discesa su Briançon è molto bella (la N91 corre ai margini del Parco Nazionale degli Ecrins), salvo l’ultimo breve tratto dopo Chantemerle, che è molto trafficato e, come se non bastasse, mi regala pure un temporale. Niente di grave, mi asciugo al sole che illumina la salita all’Izoard: meno male, perché la strada è stretta, tortuosa e molto ripida; in compenso l’asfalto, rugoso e regolare, offre un grip eccellente. La natura è, a dir poco, splendida: stiamo attraversando il Parco Regionale del Queyras, che confina verso l’Italia con la Val Chisone, la Val Pellice e l’alta valle del Po. Alle 16,30 sono in vetta (2.361 mslm), 59 chilometri dopo il Galibier: anche qui una breve – e faticosa – camminata mi porta sul colle che domina il passo, su cui, in corrispondenza dei quattro punti cardinali, si trovano altrettanti pannelli di ceramica dipinta che rappresentano il panorama circostante.

Il pannello Est, sulla collina che sovrasta l’Izoard; in basso, il cippo commemorativo sulla vetta stradale del colle

La discesa, simile come tipo di strada, è assai diversa come panorama: il primo tratto ricorda la superficie lunare (tanto da meritarsi il nome di Casse Déserte), mentre verso Guillestre (siamo sempre nel Queyras) la strada costeggia a lungo e senza ripari un orrido spaventoso: se si fa un “dritto”, ci si ferma almeno 200 metri più in basso. Lascio Guillestre e, seguendo sempre la D902, salgo verso il Vars: la strada, bella e ben tenuta, non presenta particolari attrattive naturali, e giungo in vetta (2.111 mslm) alle 18,15, 53 chilometri dopo l’Izoard.

In vetta al Col de Vars

Passo nel dipartimento 04 (Alpi di Alta Provenza) e, scendendo verso Jausiers, lascio dopo 15 chilometri la D902 per la D900 (del Col de Larche o Colle della Maddalena). Qui avviene un piccolo guaio meccanico: non riesco a evitare una buca profonda, la forcella picchia un violento “fondo-corsa” e una deile due barre di attacco del parafango anteriore si dissalda: poco male, fossero tutte qui le grane! Arrivo a Jausiers alle 19, mi fermo e vado a piedi in cerca di un albergo: il centro è infatti, molto civilmente, chiuso al traffico motorizzato. Comunque, niente da fare, è tutto completo: non mi resta che cercare migliore fortuna a Barcelonnette, otto chilometri in direzione di Gap. Anche qui la situazione è simile, però – meno male – trovo ancora aperto (e sono quasi le 20) l’Ufficio del Turismo, dove un’impiegata super-efficiente mi trova una camera ammobiliata in un camping sulla strada per Pra Loup, appena fuori città, dandomi perfino una piantina per raggiungerlo più facilmente. Arrivo alle 20,15, 35 chilometri dopo il Vars e 313 chilometri dopo Bourg s.Maurice. Ceno, fraternizzo – a base di birra – con alcuni motociclisti tedeschi e infine, stracotto, mi infilo nel letto.

Barcelonnette, 15 agosto

Mi alzo con tutto comodo e, dopo doccia e colazione, provo a cercare, tanto per onor di firma, un’officina aperta per saldare il parafango; ma non mi illudo di trovarla, perché è Ferragosto anche in Francia; invece la trovo sulla strada per Le Sauze, a destra appena attraversato il ponte sul fiume Ubaye: un giovane e simpatico meccanico mi fa subito un lavoro a regola d’arte per 10 franchi (2.000 lire): meditate, gente, meditate! Torno al camping (otto chilometri fra andata in officina e ritorno), carico la moto, mi vesto e alle 11,30 parto per Jausiers, dove imbocco la D64 in direzione della Bonette; bisogna prestare molta attenzione, perché il nome del colle non è segnalato: l’unica indicazione è una freccia “Nice 120”, sulla destra, appena prima di entrare in paese.

In primo piano, la tavola di orientamento sul balcone che sovrasta la vetta stradale della Cime de la Bonette (2862 mslm); sullo sfondo la strada principale e, più in basso, una carrareccia militare di servizio

La strada, larga e ben tenuta nei primi 10 chilometri, si trasforma nei successivi 14 in un budello dal fondo pessimo per buche e “binari”, per fortuna perfetta dal punto di vista altimetrico (tutte le curve sono adeguatamente sopraelevate), in ogni caso molto difficile e impegnativa; il traffico è composto in grande prevalenza da cicloturisti di età abbastanza avanzata. Alle 12,15, 34 chilometri dopo Barcelonnette, raggiungo i 2802 mslm della vetta stradale.Bisogna precisare che la quota “ufficiale” del Col de la Bonette è 2.715 mslm, ma la strada originale, progettata dagli ingegneri di Napoleone III e tuttora praticabile, segue il profilo altimetrico della Cime e raggiunge appunto quota 2.802, mentre la strada che aggira la Cime a quota inferiore è molto più recente.

Il cippo commemorativo sulla cima stradale della Bonette (2802 mslm); è la strada asfaltata più alta d’Europa

Mentre sto fotografando la moto sullo sfondo del cippo che ricorda che siamo sulla strada carrozzabile asfaltata più alta d’Europa, mi avvicina un ingegnere nucleare della centrale di Grenoble che mi propone uno scambio immediato e alla pari tra il mio Falcone e la sua Kawasaki GPz 900R. Declino gentilmente l’offerta e, tutto orgoglioso, raggiungo con fatica i 2.862 mslm del colle che sovrasta la Cime, dove c’è una specie di balcone rotondo panoramico con al centro una rosa dei venti in pietra da cui lo sguardo spazia in ogni direzione per almeno 100 chilometri: mi assicurano che, in condizioni meteo favorevoli, si distingue perfino la Mole Antonelliana di Torino.

Lascio la Bonette alle 13 e passo nel Dipartimento 06 (Alpi Marittime): sono nel Parco Nazionale del Mercantour, che si estende verso Sud-Est fino quasi a Sospel. I primi 10 chilometri di discesa, lungo una strada stretta e piena di buche, mi presentano un paesaggio lunare, vagamente simile a quello trovato scendendo dall’Izoard, ma reso ancora più spettrale dalla presenza di Camp des Fourches, un intero villaggio di fortificazioni militari abbandonate; la vegetazione prende poi il sopravvento. Da S.Étienne-de-Tinée, in fondovalle, la strada assume il nome D2205 e diventa più rettilinea e regolare fino a Isola, 40 chilometri dopo la Bonette, dove la lascio per la D97, che mi porterà alla Lombarda e da lì di nuovo in Italia.

Fino a Isola 2000, rinomata stazione sciistica, la strada è straordinaria: larghissima e liscia come un biliardo, ma mista-stretta e con una pendenza che supera nel primo tratto il 15%; è l’ideale per chi disponga di una moto leggera e potente. Io, che non peso molto ma ho solo 24 CV e quattro marce), mi trovo accodato nientemeno che a una Rolls Royce Phantom VI, il cui autista è evidentemente alla ricerca di emozioni forti perché, malgrado le 2,4 tonnellate del suo “monumento”, tira al massimo, affrontando i tornanti con angoli di deriva che farebbero invidia ad “Azzurra” di Cino Ricci. Riesco a sorpassare la Rolls infilandola su una “S” con una manovra al [di là del] limite della correttezza e, 19 chilometri dopo Isola, arrivo a Isola 2000.

La rinomata stazione sciistica di Isola 2000, cinque chilometri prima di raggiungere il Colle della Lombarda

L’impressione è quella ricevuta da Val d’Isère, ma elevata all’ennesima potenza: questa località, infatti, non ha “radici”, ma è stata creata dal nulla cinque anni fa in funzione esclusiva degli sport invernali, e d’estate evoca negli amanti della fantascienza l’immagine di uno spazioporto pieno di astronavi pronte a spargersi per la galassia.

Gli ultimi chilometri da qui alla Lombarda sono quanto di più pericoloso e difficile si possa trovare: strada larga non più di un paio di metri, strapiombante e priva di ripari, fondo quasi inesistente, tornanti mozzafiato, curve cieche in contro-pendenza, e chi più ne ha più ne metta. Alle 14,30, 64 chilometri dopo la Bonette, raggiungo finalmente i 2.351 mslm della vetta, dove ringrazio la Francia, la saluto e rientro in Italia. I 23 chilometri della discesa su Vinadio, che raggiungo alle 15,15, sono pieni di cuneesi, che non sono i famosi cioccolatini al rum, anche se, visto come guidano, mi viene qualche dubbio. Attraverso tre ambienti naturali profondamente diversi: ad alta quota c’è un lungo falsopiano in leggera discesa, tutto pascoli, laghetti e rocce, con molti campeggiatori liberi; scendendo si trova la classica foresta di conifere, con i suoi profumi inconfondibili; a bassa quota la strada, con una bella serie di tornanti in ottimo stato, porta a fondovalle passando per un fittissimo bosco di faggi e castagni.

A Vinadio, dove imbocco la Strada Statale SS21 del Colle della Maddalena, mangio qualcosa e riparto alle 15,45 diretto al casello autostradale di Mondovì, 74 chilometri dopo Vinadio, che raggiungo alle 17; attraversando Cuneo, non si deve perdere la nobile grandiosità della piazza dedicata all’avvocato e partigiano Duccio Galimberti. A Mondovì entro nell’autostrada A6 Torino-Savona, molto pericolosa fino al Colle di Cadibona, per via della carreggiata unica a sorpasso alternato. Dal casello di Savona-Vado a quello di Rapallo non ho nemmeno il tempo di guardarmi intorno, tanta è l’attenzione richiesta dall’intensità del traffico: il pagamento del pedaggio rappresenta un’autentica liberazione.

Arrivo a Santa Margherita Ligure alle 18,45, 150 chilometri dopo il casello di Mondovì, a 353 chilometri da Barcelonnette e 975 da Como. Il ritorno a Como, la sera del 19 agosto, comporta altri 225 chilometri di autostrada senza storia, per un totale complessivo di 1200 chilometri esatti.

Consumi

Partenza da Como col pieno
Chatillon                       7,82         L 10000
Lanslebourg                 8,15         L 9100
Barcelonnette               6,82        L 7350
Demonte                      6,25         L 8000
Rapallo                         7,82         L 10000
Chiasso (pieno)            8,14         L 7550
Totale                         45,00         L 52000
Consumo 26,67 km/l (3,75 l/100 km); nessun rabbocco di olio. Gli importi in FF sono convertiti in Lit (1 FF=Lit 201,9).

Spese motociclistiche
Accessori (candela + bombolettagonfia & ripara) L 9000
Benzina                                                               L 52000
Autostrade                                                           L 14900
Saldatura                                                               L 2000
Totale                                                                 L 77900

Cartografia

Io ho usato solo la Michelin rossa n.989 (Francia) in scala 1:1 milione, che mi è stata più che sufficiente. Volendo essere perfezionisti, oppure avendo a disposizione più tempo per escursioni e/o deviazioni in loco, possono essere utili le Michelin gialle n.74, 77 e 81 in scala 1:200mila, che riportano anche le mulattiere di maggiore rilievo.

Documenti

Per la persona, bastano patente e carta d’identità o passaporto in regola; controllate che le scadenze non siano troppo prossime, perché in frontiera potrebbero sorgere difficoltà. Per la moto, sono richiesti il libretto di circolazione con il suo foglio complementare, la tassa di proprietà (ex bollo di circolazione) e l’assicurazione responsabilità civile estesa all’estero con la carta verde: a proposito della copertura assicurativa, verificate che i vostri massimali siano in regola con le ultime normative CEE.

Valuta

Entro i cinque milioni di lire annui e 1,6 milioni per viaggio, non ci sono limiti; l’unico vincolo è che la quota contanti in valuta estera non può superare, per ogni viaggio, il controvalore di 300mila lire; l’eccedenza va esportata sotto forma di traveller’s cheques. Personalmente ho acquistato 1500 franchi francesi (FF) che, al cambio del 10 agosto 1984, ho pagato lire 302.850, più commissione bancaria di lire 3000; data la minima eccedenza, i FF mi sono stati consegnati tutti in contanti, evitandomi il fastidio dei traveller’s cheques. Alle dogane, sia in uscita sia in rientro, non mi è stato chiesto nulla, anche se avevo con me le ricevute bancarie. Il 21 agosto gli 800 FF avanzati mi sono stati ricambiati a 198,5 lire/FF, con rilascio di una nuova ricevuta bancaria. Per chi preveda di espatriare spesso o comunque di superare il tetto dei cinque milioni annui, si consiglia di conservare per cinque anni le ricevute, sia bancarie sia delle spese sostenute all’estero.

Didascalie alle foto

Il cippo commemorativo della Lombarda, in territorio italiano; a destra sullo sfondo, fortificazioni militari abbandonate

GeoTermico – Aprile 2025

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di GiorgioEV80

Sono arrivato a casa Domenica, metà pomeriggio, con mooolta calma, facendomi tutti gli autogrill disponibili da Parma fino a oltre Milano per abbattere la terribile sonnolenza e noia che l’autostrada mi da.
Poco prima, sulla Cisa, vedevo le foto della grigliata finale prevista dal programma, che io ho saltato per motivi logistici…a ogni foto la domanda era: “ma percheca@@o non sono con loro!!!”.

Ma faccio un passo indietro…
La mia Cali arriva da un periodo nero, la scorsa stagione, dove a causa di molti problemi (soprattutto all’impianto elettrico) sono rimasto troppo spesso fermo sulla strada, impotente, in attesa del carroattrezzi.
…anchio non sto navigando in “acque serene” in realà, ma questa è un’altra storia…

I periodi difficili fanno parte della vita e quando si ha una passione come la nostra, ci può stare avere giorni nei quali ci si sente “scoraggiati” e in qualche modo “delusi” da quel Ferro al quale tutti i giorni parliamo e con il quale spesso ci confidiamo (parlo per me, ma penso di non essere il solo…).
Quindi cose importanti come, fiducia, forza e senso di libertà che possiedi quando pensi a frasi tipo “se voglio parto e Volo lontano perchè ci sei Tu con me”, si erano decisamente affievolite, si stavano sgretolando…
In qualche modo i problemi sembra siano stati risolti, ma, lo ammetto, la paura e l’ansia di intraprendere qualcosa di più impegnativo dell’uso quotidiano per andare al lavoro, o del giretto in zona del Sabato pomeriggio, mi attanagliavano la gola, non mi facevano stare bene.
(cambiare moto non è semplice e facile per me…).

Tutto sto pippone per arrivare a dire cosa quindi??

Che quando ho visto lo stricione di Anima Guzzista la in fondo, appena inforcato il viale che portava ai Mollica’s, mi è scattato un lacrimone.
Che da quel momento ho ritrovato la forza, la fiducia e la libertà che pensavo di non avere più.
Che avrei potuto fare il triss e il quadriss di panini al Lampredotto, perchè i primi due erano stati disintegrati dall’adrenalina che avevo in corpo in quel momento.
Che Sabato sera, dopo le millemila curve e tornanti superati brillantemente, mi sono reso conto avendone certezza del Cavallo di Razza che stavo cavalcando (a dirla tutta, per due/tre volte mi sono cacato in mano, ma non è stato per colpa Sua…il pilota, per mantenere un certo passo e non farsi “seminare” da quelli bravi che aveva davanti, non gli ha dato i corretti comandi…il pilota non è alla Sua altezza di sicuro!).
Che ringrazio la mia Cali per avermi dato tutto questo.
Che se fossi stato da solo ci avrei messo 10 giorni a fare i due giri del Sabato, da quante volte mi sarei fermato ad ammirare il paesaggio.
Che essere parte di uno stormo di Aquile è una delle cose più belle al mondo.
Che sarò sempre grato a tutti voi di AG che organizzate questi eventi, ai quali purtroppo non riesco a partecipare frequentemente.
Che ringrazio il capobranco di questo incontro, il Ticcio (con supporto di Simonetta), per essersi sbattuto ad organizzare e gestire alla grande questo splendido tour su e giù per le bellissime colline della sua Toscana.
Che mi dispiace per la moto di Piero, ero li davanti e mi è mancato un metro per poterla agguantare in modo da frenare la sua caduta limitando così il più possibile i danni dell’impatto con l’asfalto.
Che è necessario limonare sempre con Maria, o Tatiana, ocomeminkiasichiama.
Che non è vero che non è possibile dormire se in camera c’è Comodino, io ho dormito alla grande…ma forse ero svenuto.
Che assistere agli scontri verbali tra Demontistuttoattaccato e Zanda è un’esperienza da vivere.
Che al risveglio la Domenica mattina in camera all’ostello mi sono accorto di uno che la sera prima non c’era e mi sono chiesto “Chicazzè quello? Dove l’ho già visto?”…era il Presidente!
Che i vari Bombos, Baloo, Nello, Tood, Gigi, gli Sizzeri, Contabile & Contabilessa…Tutti (il mio cervello da pescerosso non riuscirà mai a ricordarli tutti) sono fondamentali presenze, la base per un bel gruppo.
Che mi sarebbe piaciuta una foto Tutti assieme con tutte le Moto.
Che…diobono, meglio se la chiudo qui…

Grazie di cuore.
A Tutti.

Come sono diventato Guzzista: Massimo Montersino

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di Massimo Montersino

Ho avuto la Vespa 125 primavera a 16 anni ma ero follemente innamorato delle auto!
Appena ho avuto la patente B ho venduto il Primavera e comprato una Fiat 500 del ’64 poi, negli anni, ho speso tanto, troppo in auto.
Le moto erano quegli oggetti rumorosi e fastidiosi guidati da gente in tuta che rovinavano i miei giri in auto…
Ma gli anni passano e le cose cambiano: a inizio anni 2000 facevo circa 100.000 km/anno in macchina e cominciavo ad odiarla.
Quando mia moglie mi chiedeva di andare da qualche parte nel we per me era una sofferenza usare la macchina: una domenica, in coda tornando dal mare, noto alcune moto e scooter, molte con due passeggeri, che passano le file ma, soprattutto, non sono “intutati”, sembrano felci, sono bei mezzi…

Mentre penso che potrebbe essere ora di provarci mia moglie dice “e se ci comprassimo una moto?”. ‘ attirata da caschi colorati e dai pupazzetti sui bauletti, dalla sensazione di libertà, dalla voglia di fare qualcosa assieme diverso dal solito.

Un amico guzzista mi fa provare la sua Nevada: l’idea di cambiare le marce anche nei we mi fa desistere ma l’idea prende forma: arriva un X9 200 e scopriamo un mondo che piace a tutti e due!
Dopo un paio d’anni l’X9 200 viene sostituito da un X9 500 con cui scorrazziamo per tutto il Nord Ovest, quando cominciano i we e le puntate oltralpe si evidenziano i limti del mezzo: scendendo dall’Izoard arrivo a Briancon senza freni.

Nel frattempo mio figlio ha compiuto 18 anni: in sostituzione dello scooter chiede una custom, giriamo per concessionari fino a quando troviamo una Nevada 350 tenuta benissimo.
Si appassiona lui, io scopro il fascino di quel marchio con l’Aquila.
Per cercare aiuto e suggerimenti sulla Nevada 350 (che aveva le sue belle magagne) scopro Anima Guzzista: il contagio è definitivo!
Dopo la disavventura dell’Izoard la decisione è presa: compriamo una moto vera!
Una Moto Guzzi ovvio.. ma quale?
Prima scelta: la Nevada 750.
Noleggiata da Agostini, durante la prova capiamo che non fa per noi, troppo piccola, mia moglie è scomoda rispetto al benchmark del X9: uno dei ragazzi di Agostini ci fa salire su una Norge ed è amore a prima vista per entrambi

Il resto è storia: 15 anni di Norge in giro per l’Europa, tanti amici trovati qui su Anima, il gruppo dei Guzzisti Novaresi che si frequenta da quasi 15 anni..

Ora la Norge ha quasi 100.000km, invecchiando sta diventando difficile da gestire, mia moglie ha una protesi al ginocchio e fa fatica a salire: ogni tanto pensiamo di cambiarla ma con l’Aquila sul serbatoio non troviamo un’alternativa così continuiamo a rimandare e a usare la rossa Norge “Baloo”.

Cosa la sostituirà? Non lo so, forse finiremo la nostra carriera motociclistica con lei e invecchieremo su una Vespa: così il cerchio si chiuderà.

Buona strada!

Come sono diventato Guzzista: Alberto Sala

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di alberto Sala

Partendo dall’inizio, e cioè dalla nascita quasi biologica della passione motociclistica, che definirei pubertà delle due ruote, giravano tra amici diverse moto, e le mie preferenze (solo teoriche, visto che non potevo a 16-18 anni permettermela) erano per le custom, soprattutto la Honda CB500 custom (quella col motore tipo Guzzi raffreddato ad acqua), la GoldWing 1100 non carenata, e le Harley, che avevo visto per la prima volta nel paese di mia nonna in Friuli vicino alla base militare di Aviano sin dalla più tenera età e mi affascinavano esageratamente. Ogni tanto facevo qualche giro con gli amici alternandomi alla guida: ricordo soprattutto due vacanze, una nelle Alpi bavaresi con un Ducati scrambler 450 (magnifico), ed una in Austria con un BMW K100RT (gran granturismo, ma fredda esteticamente e motore ‘elettrico’). Cominciavano a delinearsi i gusti anche per il motore: tra un monocilindrico tuttacoppia e un quadricilindrico elettrico, meglio un bel bicilindrico.
Poi, coi primi soldini dei primi lavori post maturità mi comprai una Vespa 200 Rally di seconda mano (che tuttora posseggo ed adoro; si chiama Giulia), che trattai come una vera moto (non potendo averne una vera), per cui ferie in Spagna, con tanto di tenda e fidanzata al seguito (che poi sarebbe divenuta moglie e fedele compagna in moto), Toscana, e due volte in costiera amalfitana. Si erano delineati i due punti fermi per le vacanze: moto (beh per ora Vespa) e tenda: in una parola libertà.
Giunti al matrimonio, e conquistata una relativa (ho detto relativa) indipendenza economica, decidemmo io e Gigi (non sono gay, è mia moglie, al secolo Rosella) ci guardammo attorno per comprarci di seconda mano una moto vera, in grado di aumentare il comfort, la sicurezza (soprattutto) e le distanze percorribili. Inizialmente ero orientato su un Yamaha Virago 1100, che mi sembrava molto carina; era una custom, e pensavo fosse comoda. Comunque doveva essere una custom bicilindrica (gli altri motori sono solo errori genetici).
Ma poi avvenne il fatto.
Stavamo percorrendo con la fida Giulia le interminabili sequele di curve e controcurve che ornano la costiera Amalfitana, quando mi sorpassa un tizio con una strana custom bianca, che si inclinava dolcemente e ritmicamente per le curve a velocità sostenuta ma con leggerezza, senza dare l’impressione di alcuna difficoltà né di peso. Ho riconosciuto subito la moto: era un California II bianco.    …. folgorato.
Certo, … perché non ci ho pensato prima? Il California II era un vecchio modello ormai, ma che fascino, e per la miseria se piegava! Mi ci voleva una GUZZI.
Al ritorno a casa incominciammo l’affannosa ricerca per le riviste e in Secondamano, e dopo aver visto un Nevada 750 prima serie che chiedeva però troppi soldi e un primo California II bianco, prima promesso poi negato, ecco l’annuncio giusto; ecco la NOSTRA moto. California II nero, con borse originali, parabrezza originale, carenatura, autoradio (fin troppo) al giusto prezzo. Non vi dico la paura quando sono partito per portarla a casa! Erano tanti anni che non guidavo una vera moto, dopotutto! Paura svanita dopo 50 metri di guida: “non è pesante, ed è facile da condurre” sono stati i primi pensieri. E la domenica seguente, quando abbiamo fatto il primo ‘giretto’ ufficiale insieme (ovviamente sulle strade a lei più care e piene di ricordi, quelle della sponda lecchese del lago), non stavamo più nella pelle dalla felicità. Ancor oggi, dopo tanto asfalto divorato, il ricordo più bello è quello di quel primo giro. Quasi come l’altro ricordo classico di una prima volta nella vita (quasi, ragazzi, quasi) 😉 .
Il resto, fatto di viaggi lunghi e brevi, di tanti km e di tante soddisfazioni, fino addirittura all’acquisto di un Centauro (che e’ un vero lusso di moto), non hanno fatto che accrescere ulteriormente la passione, e mi (ci) hanno dato la certezza di aver fatto la scelta giusta.
In LIBERTÀ.

Presentazione Associazione GP ed Elena Bagnasco

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Giorgio Parodi Le ali dell’aquila - statua commemorativa

Oggi vi voglio introdurre l’associazione GP e la dott.ssa Bagnasco che magari alcuni di voi già conosceranno ma che meritano certamente un approfondimento.
Ho avuto il piacere di chiacchierare con la sig.ra Elena telefonicamente e ho trovato una persona che ha un sincero entusiasmo per il nostro amato marchio, buon sangue non mente a quanto pare, e con
cui sono andato subito d’accordo. Con Elena abbiamo pensato di portare avanti la storia di Parodi,
come sta facendo appunto con la sua associazione, per poter promuovere e divulgare il più possibile
la storia dietro a Moto Guzzi approfondendo argomenti che spesso non sono nemmeno noti ai più. Iniziamo quindi oggi raccontando un poco chi è sono l’Associazione ed Elena stessa e ci aggiorneremo più avanti con ulteriori articoli dedicati all’argomento.

L’Associazione Giorgio Parodi
L’Associazione Giorgio Parodi viene costituita nel 2019 in vista delle celebrazioni genovesi per il centenario della fondazione della Moto Guzzi. Soci fondatori dell’Associazione sono Elena Bagnasco – nipote di Giorgio Parodi – e l’Aeroclub di Genova che fu fondato da Giorgio nel 1928, insieme al fratello Enrico e l’amico Giorgio Profumo. L’Associazione è una piccola realtà: Elena ne è il presidente e ne fanno parte, quali consiglieri, i suoi figli Alessandro ed Arianna. Il fine dell’Associazione è storico – culturale per ricordare principalmente la figura di Giorgio Parodi attraverso eventi, conferenze, libri e comunicazione social.

Elena Bagnasco
Elena, figlia di Marina la più piccola dei figli di Giorgio Parodi rimasta orfana di papà e mamma quando aveva solo nove anni, è cresciuta in un ambiente dove tutti le parlavano del Dott. Giorgio, di quello che aveva fatto e di quanto sia stato buono e generoso con tutti. Il ricordo della figura del nonno ha ispirato e ispira Elena nel ricordarlo e, soprattutto, raccontare quanto di bello e nobile ha fatto nella sua breve vita. Con qualche anno di ricerca e studio di documenti di famiglia e degli Archivi Storici, nonché con l’aiuto di qualche amico, Elena ha approfondito la vita di Giorgio Parodi, le sue passioni per la velocità, pilota di aerei, moto e imbarcazioni, ma, soprattutto, di quanto ha fatto come imprenditore quale fondatore della Moto Guzzi insieme al papà Manuelìn.
Malauguratamente la famiglia Parodi non è stata fortunata, oltre al nonno Giorgio e alla nonna sono
mancati presto anche i due fratelli della mamma Marina, creandosi di fatto un grande vuoto storico culturale sui Parodi a cui Elena sta cercando di porre rimedio. La grande epopea dei Parodi – a partire dall’ “impero” industriale fondato dal trisnonno Angelo e consolidato dal bisnonno Manuelìn, termina purtroppo con la scomparsa di Giorgio. Onorarne la memoria e raccontare anche quanto i Parodi hanno costruito quali imprenditori illuminati sul territorio Ligure e non solo è un dovere per chi è venuto dopo: questo è il sentimento che appassiona Elena nella sua continua ricerca e studio sul nonno Giorgio e sulle origini della famiglia. E’ non soltanto una grande opportunità di arricchimento personale per Elena ma anche una occasione di riscoprire e svelare valori storico – culturali a coloro i quali sono appassionati di storia di impresa, economia e motociclette.

(statua commerativa di Giorgio Parodi, gruppo Giorgio Parodi Le ali dell’aquila ©)

Come sono diventato Guzzista: Cristiano Petrosino

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Guzzista non per caso
Il destino era già scritto.
Non poteva essere altrimenti.
Sono diventato motociclista nel settembre del 1978. La mia prima volta in moto è un ricordo indelebile, inciso nella memoria come una profezia: avevo 5 anni e 9 mesi, e mio padre mi portava a scuola. Seduto davanti a lui, stretto tra le sue braccia e il serbatoio giallo della sua Gilera 150, ero già immerso in un mondo fatto di rombi e vento in faccia. Era la sua seconda moto dopo la Lambretta della gioventù, ma per me era il primo segno del destino. (Oggi ci ritirerebbero la patente all’istante, ma allora era vita, era libertà).
Da quel momento, i motorini non mi hanno mai interessato. Mentre tutti sognavano il Fifty, io sognavo la Moto Guzzi. E non una qualunque. Mio padre, con due figli e tante responsabilità, non aveva più la moto, ma nel profondo la desiderava ancora. Il suo sogno proibito? Una V35. Ma il vero Graal era la California, non solo una moto, ma una visione mitologica.
Io crescevo, e il sogno cresceva con me. Passavo stagioni intere a “leccare le vetrine” della concessionaria Stagi di Sampierdarena, a Genova, sognando un V50 o un Nevada, ma senza il becco d’un quattrino. Così, dopo un inevitabile 125 PX, nel 1992 acquisto di nascosto la mia prima moto da Biemme Moto : una Suzuki 400F del 1981, con un miliardo di chilometri sulle spalle. Poi un vecchio Transalp (JANUA), e finalmente, con il primo lavoro vero, nel 1998, una Suzuki Inazuma 750 nuova di zecca.
Ma non era bicilindrica. E non era Guzzi. Avevo una moto, sì, ma non LA moto.
Poi arriva Mario Ponskin,un carissimo amico, con il suo Moto Guzzi 1000 SP bianco e rosso. Folgorazione. Rivelazione.
Quella moto parlava un’altra lingua, vibrava in un altro modo, respirava diversamente. Da lì in poi, il destino prende il sopravvento. Passo ai bicilindrici con una Suzuki TL 1000Se non li abbandono più (con un’unica eccezione: una Kawasaki H2SXSE, ma chi può resistere a quella macchina del tempo?). Poi, finalmente, la Guzzi V10 Centauro Sport, rossa. Un’astronave, un’opera d’arte meccanica, un carattere da domare. Ma non ero pronto. Le Guzzi non si possiedono, si comprendono. E io non ero ancora abbastanza maturo per interpretarla. Dopo una parentesi con una Ducati ST3 (la mia seconda moto preferita), arriva il momento della verità: il sogno di mio padre diventa il mio. Moto Guzzi California Touring 1400. Comprata in Marocco, vissuta sulle strade africane, riportata a casa in un viaggio epico: Casablanca-Parigi in moto, attraverso deserti e montagne. Ma Parigi non è il suo habitat. È troppo ingombrante per la città, ed è tempo di cambiare. Provo di tutto: KTM Super Duke 1290, Kawasaki SX SE, Multistrada. Potenza, elettronica, quickshifter… Ma non c’è niente da fare. Non è questione di numeri o prestazioni.
Manca l’anima.
Vendo tutto e torno all’origine: una Guzzi V11 Ballabio, perfetta, con scarichi aperti che cantano una sinfonia d’acciaio. Un motore che pulsa, che scalpita, che regala sensazioni vere. Poi un Stelvio NTX, perché mia moglie vuole stare comoda. Moto straordinaria, ma forse un po’ troppo alta per me. E nel frattempo, per quasi dieci anni, un desiderio rimane lì, a farsi strada dentro di me. Il Griso SE nero.
Lo trovo. Lo guardo. Ci salgo sopra. E so.
Questa è LA moto. Quella che resterà per sempre. Quella che qualcuno erediterà quando il tempo avrà finito il suo giro. Quella su cui mi ritrovo, stretto al serbatioio , 47 anni dopo.
GUZZISTA NON PER CASO
Guzzista, Not by Chance
It was already written. Fate had decided.
I became a motorcyclist in September 1978. My first time on a bike is a vivid memory, etched into my mind like a prophecy. I was 5 years and 9 months old when my father took me to school on his Gilera 150. I sat in front of him, nestled between his arms and the bike’s yellow fuel tank. That was his second motorcycle after the Lambretta of his youth, but for me, it was the first sign of destiny. (Nowadays, that would mean instant license suspension and vehicle impoundment, but back then, it was just life. Freedom.)
From that moment on, I had no interest in mopeds. While everyone else dreamed of the Fifty, I was already dreaming of a Moto Guzzi. Not just any Guzzi—the Guzzi. My father, now with two kids and a family to support, no longer owned a bike, but deep down, he still wanted one. His dream? A V35. But the true Holy Grail was the California—not just a motorcycle, but a myth, a legend.
As I grew up, the dream grew with me. I spent endless seasons “licking the shop windows” at the Stagi dealership in Sampierdarena, Genoa, longing for a V50 or a Nevada, but I never had the money to make it happen. So, after an inevitable Vespa 125 PX, I finally bought my first real motorcycle in 1992—from Biemme Moto, secretly, without my mother knowing: a Suzuki 400F from 1981, with a billion kilometers on it. Then came an old Transalp (JANUA), and finally, with my first real job in 1998, a brand-new Suzuki Inazuma 750.
But it wasn’t a twin-cylinder. And it wasn’t a Guzzi. I had a motorcycle, yes. But I didn’t have THE motorcycle.
Then came Mario Ponskin, a dear friend, with his white and red Moto Guzzi 1000 SP. That was it. A revelation. A lightning boltstraight to the soul.
From that moment on, destiny took over. I switched to twin-cylinders with a Suzuki TL 1000S, and I never looked back. (Well, except for a brief affair with a Kawasaki H2SXSE, but who could resist that time machine ?)
Then, finally, the Guzzi V10 Centauro Sport, in red. A spaceship. A masterpiece. A mechanical enigma with a soul. But I wasn’t ready. You don’t just ride a Guzzi—you understand it, you interpret it.And I wasn’t mature enough yet.
After a brief detour with a Ducati ST3 (my second-favorite bike), I finally fulfilled my father’s dream—which had become mine: The Moto Guzzi California Touring 1400.
I rode it for three years in Morocco, where I was living at the time. Then, I took an epic ride from Casablanca to Paris on it. But once in the French capital, I realized—this bike was too big for city life. It was time for another change.
I tried everything: KTM Super Duke 1290, Kawasaki SX SE, Ducati Multistrada. Power, electronics, quickshifter… but something was missing.
The soul.
So, I sold everything and went back to the source: a Guzzi V11 Ballabio, pristine, as if it had just rolled out of the factory. Open exhausts, a symphony of raw sound. A heart that beats with passion. Then, a Stelvio NTX, because my wife wanted comfort. A fantastic machine, though maybe a bit too tall for me.
And all this time, for nearly ten years, one desire kept simmering inside me. The Griso SE, in black.
I found one. I looked at it. I sat on it. And I knew.
This was THE bike. The one that will stay with me forever. The one someone will inherit when my time is up. The one that brings me full circle, tight to the fuel tank, 47 years later.
Guzzista, not by chance.

Uinterparti e riflessioni

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di Giuliano Arcinotti

Milano è alle spalle, e ancor di più Mandello, casa, eppure sto andando a casa, quella vera, la moto la strada la conosce ormai è abituata a questo percorso e dopo la breve sosta in autogrill ho 2 ore per fare un po’ di riflessioni.

Già perché questo cielo sotto cui viaggiamo non è bellissimo, è quel bel grigio topo che va bene sulle auto tedesche e che è di casa in val padana…. ma pazienza a fine febbraio non si può pretendere troppo, va già bene che non piova, e poi gli alberi secchi e scuri sfogliati di ogni orpello che si stagliano contro il grigio del cielo con i loro rami sempre più fini come le arterie che finiscono in capillari sono quasi belli da vedere e aiutano a riempire la testa di pensieri.

Già perché quando viaggi da solo soprattutto in strade belle dritte e monotone come la A1 tutto cambia e rallenta e ti ritrovi a pensare a riflettere e ti torna in mente tutto quello che hai appena vissuto, e stai bene, per forza stai bene, perché dopo una serata come quella di sabato in cui siamo riusciti grazie al mitico Mek1 e alle sue conoscenze ad avere un ospite così stellare come il grande Paolo Nespoli, si proprio quel Paolo Nespoli, dopo aver avuto ospiti d’onore come Vanni Bettega e consorte, Bruno Scola, l’ex presidente Alberto “Totogigi” Sala, Enrico “Guzzi Rock” Santacatterina, i grandiosi Sick Parvis, ma anche e soprattutto tutte le Anime Guzziste intervenute, beh dopo una serata così non puoi che stare bene.

Rivedere amici che non vedi da troppo tempo ti riempie il cuore anche se purtroppo si invecchia non si sta più bene come prima ma poterli abbracciare è un bel momento davvero e merita da solo tutte le ore di guida con freddo e pioggia che fai in moto.

E poi oh ma abbiamo potuto premiare l’astronauta che ha portato in orbita sulla ISS la toppa di Anima Guzzista, con quel 57 che racchiude in sé tutta Anima Guzzista e non solo noi se vogliamo, perché se ci pensi in quel 57 ci sono i sogni di tutti i Guzzisti che come noi sono legati a Moto Guzzi non solo dal possedere una moto, ma sono legati a Moto Guzzi dalla passione per lei, perché non c’è niente da fare è diversa, è una malattia e lo sappiamo bene qui dentro e guai a guarirne, guai a farsela passare questa insana malattia. E quindi grazie di nuovo e ancora una volta a Mek1 perchè se non era per te ringraziavamo l’aria, che comunque è pur sempre l’aria di Mandello eh 😊, e grazie a Vanni e signora e al Bruno Scola nazionale che sono venuti perché hanno saputo che c’era il Uinterparti è questa è una dichiarazione d’affetto per tutti noi che ha un peso enorme visto da chi viene, proprio come il premio preparato da quel sant’uomo di Ettore Gambioli che va anche lui ringraziato davvero di cuore.

Senza dimenticarsi della prestazione dei Sick Parvis che insieme a sua maestosità Guzzirock Enrico hanno riempito i nostri timpani di sano ROCK!!! ecco si è stato davvero spettacolare e in quei momenti mi è dispiaciuto non essere in grado di fare riprese fotografiche e video come si deve anche solo con un cellulare perché sarebbe stato bello farvi vedere cosa vi siete persi se non siete venuti, ma credetemi quando vi dico che questi sono i momenti che meritano, questi sono i momenti che vanno davvero vissuti.

E poi c’era Alberto che mi ha spronato a fare bene, ed è pesante per me il suo sprone, perché come Vladimiro e Fange prima di me si tratta di personaggi che sono la storia, le fondamenta di Anima Guzzista, perché senza di loro Anima Guzzista non sarebbe ancora oggi quella che è. Se Fange è stato il primo presidente di AG che ha dato il via insieme a Goffredo ed Alberto a tutto, Alberto è stato colui che l’ha portata alle dimensioni maggiori possibili, e Vladimiro è colui che ha saputo traghettarla ai giorni nostri nonostante i social, nonostante la pandemia, nonostante tutto. Come ebbi modo di dire in passato ha chiuso un mostro sacro come Motociclismo e noi siamo ancora qui e direi che siamo ancora belli vivi e arzilli.

E quindi lo sprone di uno come Alberto, che per me è un riferimento come dicevo, è un impegno morale enorme, perché non posso deludere chi stimo così tanto, giacché significherebbe deludere anche tutti voi, e questo non è tollerabile. Sarà necessario cambiare e adeguarsi, e devo essere io il primo a farlo e con me i ragazzi dello staff, oddio ragazzi …. magari fossimo ragazzi 😂

Quindi dobbiamo essere più presenti che mai, non per limitare o cazziare o essere più intransigenti ma perché dobbiamo essere semmai più inclusivi dobbiamo fare in modo che ci siano ancora più voci, ovunque non solo sul forum e sul sito che spero di portarvi rinnovato a breve, ma anche sui social, e quindi dobbiamo cambiare per adeguarci e essere presenti, che non significa aprire le porte del gabbione e far entrare la qualunque ma significa semmai essere più collaborativi con tutti.

Spero di riuscire a trovare la strada giusta, e spero che tutti voi siate sempre qui a dare il vostro aiuto proattivo allo staff, a me, ai moderatori, al direttivo di AG, perché dobbiamo continuare a fare bene, non solo con gli eventi, che sembrano aver iniziato nel migliore dei modi, ma anche con la vita comunitaria.

Diciamo che oggi dopo aver riflettuto sulle mie riflessioni ^_^ sono decisamente motivato a far bene, ma come già detto in passato Anima Guzzista non sono io eh, siamo tutti noi e quando vi verrebbe voglia di ringraziare qualcuno per il forum, o un evento o altro, ricordatevi che Anima Guzzista è fatta dai suoi utenti, da chi contribuisce, da chi si adopera come ha fatto l’altrettanto grande LucaF che ha pensato anche al buon Giancarlo GSZ per ricordarlo, insomma Anima Guzzista è fatta dalle persone, non è un luogo virtuale, non più di come sia virtuale la vostra anima, e non è virtuale quando ci incontriamo dal vivo e ci riabbracciamo dopo tanto tempo, quindi dateci una mano e insieme continuiamo a fare di questa associazione quello che è: una cosa bella.

Link foto Giuliano

Una cariolata di moto ?

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Motor Bike Expo
Verona 2025

di Giuliano Arcinotti

È mattina, mattina presto, e ho tutto pronto per partire per andare al Motorbike Expo di Verona, due ore e mezza di strada, un po’ di freddo, poche curve tanti rettilinei e tante moto.
Iniziamo subito partendo da sano minchione con una mezz’oretta di ritardo, ma poco male non ho nessuno che mi corre dietro e tutto il tempo che mi serve per arrivare.
La Cisa scorre veloce, come sempre, anche con quel poco di nebbia e di umidiccio che c’è per terra il problema è quando finiscono le curve quando ed iniziano i rettilinei della bassa, quella bella pianura padana che regala splendide nebbie e climi che solo chi la ama li sopporta, io amo la Liguria ci sto proprio bene in Liguria, come fanno a vivere in pianura padana? Cioè davvero d’inverno come fate? Ma non è questo il momento per affrontare questi temi.
Finito di attraversare la nebbia e dopo aver navigato in un mare di umidità per circa un’ora e mezza, arrivo a Verona posteggio la moto pago il biglietto e sono dentro .
La fiera non è enorme, non è grossa come l’Eicma per intenderci, ma si difende bene e soprattutto è il posto ideale per chi ama il mondo custom che mi ha accolto nella mia adolescenza motociclistica.
Esibizioni di trial e motocross sono affiancate da aree prova per veicoli leggeri elettrici e per qualche moto della Yamaha e Harley Davidson. I padiglioni invece al solito ospitano sia le case madri che tutte le aziende che operano nel settore del motociclismo.
Buona parte della fiera è occupata da espositori che sono veri e propri rivendite di capi di abbigliamento materiale tecnico e chi più ne ha più ne metta.
Come prima cosa mi metto in contatto con i ragazzi della Hat e visto che sono disponibili li passo subito a trovare.
Faccio due chiacchere e cerco di capire come potremmo collaborare e ci sono diverse opportunità che potrebbero fare al caso nostro, ma queste le vedremo più avanti, cercando di farle coincidere anche con gli impegni che ci siamo già assunti per quest’anno motociclistico. Posso senz’altro dire che ho trovato un bell’ambiente di persone alla mano e che hanno obiettivi sicuramente interessanti anche per noi.
È ancora presto per il mio appuntamento con Fabio Colombo di Moto Air Bag quindi decido di visitare lo stand Guzzi e cercare qualche altro espositore interessante.
Non trovo tutti quelli che cerco ma c’era davvero un mare di produttori di accessori , forse pure troppi e per l’occasione decido di passare oltre dato che non avendo canali diretti con cui presentarmi non era forse l’occasione migliore, per quest’anno, mi dico, di carne al fuoco ne abbiamo ed è meglio fare poco e bene che fare tanti malamente.
Vi lascio quindi con qualche scatto a caso fatto alle moto che mi sono piaciute di più e vi dico che allo stand Moto Guzzi era difficile fotografare le moto da sole perché c’era parecchia gente. L’età media non era certo quella dei ragazzini ma anche i prodotti sono più da pubblico adulto anche se non mi sarebbe dispiaciuto vedere più gioventù, in ogni caso ho visto parecchio interesse e questo è cosa buona.

Molto bella devo dire la V7 Sport con le forcelle upside down con una doppia regolazione ma che non ho capito come agissero, ci voleva un certo Baloo qui, chissà come sta il perno ruota di queste V7….
Dal vivo poi ho trovato molto bella anche la Stelvio nella colorazione dedicata al passo da cui prende il nome che in video non apprezzavo più di tanto onestamente, davvero notevole e sicuramente più interessante dei colori base in cui è stata proposta fino ad ora.
Belle anche le nuove colorazioni della V100 sia la nuova S che la Wind Tunnel (peccato per l’occasione persa di usare l’italiano) che è la colorazione preferita del sottoscritto ovviamente e carini gli accessori Guzzi che mi riservo di approfondire meglio se riuscirò a metterci le mani prossimamente.
Bella la parte della fiera dedicata al mondo custom che era davvero importante come dimensioni e che permetteva di rifarsi gli occhi, non sempre eh, alcuni prodotti onestamente non li trovavo gradevoli, ma per chi apprezza il mondo custom diciamo che c’era di che guardare.
Molto bella anche la sezione dedicata al mondo accessori e viaggi, veramente ricco e con tante offerte.

Alle 13 mi sono incontrato con l’ottimo Fabio Colombo di Moto Air Bag e ho trovato una persona precisa, preparata e con belle idee che condivido in pieno e che spero di poter portare su Anima Guzzista in tutte le forme che abbiamo ipotizzato, ma che saranno oggetto di un articolo dedicato non appena partiremo.
Ragazzi gli airbag da moto sono forse l’unico vero strumento salva vita, insieme al casco, che possiamo usare per migliorare enormemente la nostra sicurezza, come dice Fabio, i motociclisti si dividono in due categorie, quelli che hanno un airbag e lo usano e quelli che devono ancora comprarlo. Non vi sto dicendo di comprare quello di MotoAirBag come non ve lo dirà mai Fabio di MAB, ma dotatevi di un airbag, fatelo per voi e per chi vi aspetta a casa ogni giorno.
E ora vi lascio, cerco di imbastire quelle che sono state le chiacchiere fatte con Fabio per farle diventare realtà insieme allo staff di Anima Guzzista e vi saluto.

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