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IL FALCONE

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di Giancarlo Sante Zulato

Tornato da militare, avevo ormai il demone della Guzzi ben radicato dentro: dopo le prime esperienze con la Sport 15 sidecar dello zio (a 12 anni) avevo guidato il Superalce, mitico “enduro” che arrampicava dappertutto…

No volevo cagafumo leggeri e isterici, DOVEVO avere un monocilindrico: orizzontale, e di 500cc!

Seppi da amici che a Chivasso c’era uno dei tanti che pescavano alle aste militari e aveva rimediato diverse moto tra cui una decina di Falconi, e corsi ad accaparrarmela.

Fui fortunato – cosi’ credevo – perche’ mi capito’ uno Sport, ex-Polstrada con tanto di parabrezza e porta-moschetto, appena radiato dal servizio. Diedi fondo ai risparmi di anni (allora 800mila lire erano ca 8/10 milioni di oggi) e saltai in sella col batticuore per l’emozione. Fu feeling immediato, ma feci in tempo a goderla pochi mesi prima di rendermi definitivamente conto che, a meno di un radicale restauro, il mezzo era troppo sfiancato e usurato per sopravvivere al traffico di Milano.

Non il poderoso motore, ma le minutaglie quotidiane: leva frizione, rinvio del cambio, pedale freno erano triboli continui pulire, cambiare, registrare, oliare…

Vendutolo, presi il NuovoFalcone, nuovo, fondo di magazzino dal Conce, avanzato da un lotto dei Vigili Urbani.

Era bianco, con le borse in lamiera originali. Aveva paragambe, paracilindro, scatola del carburatore tutti in lamiera: non prendevi uno schizzo, pulito come uno sccoter. Le selle erano separate, la posteriore fissata al porta-pacchi (porta radio nell’originale) che poteva sopportare ben oltre un quintale, ci trainai un’auto in salita dal garage sotterraneo di un amico. Anche cavalletti e pedane erano di pesante acciaio, forgiato e non stampato o di tubo cavo…

Era una moto evidentemente fatta per giovani reclute inesperte, da prendere a calci, sbagliare tutto e cadere allegramente che’ mica si rompeva nulla… Il Civile non mi piaceva, con quell’aria da “Stornello” cresciutello, il serbatoio affusolato e basso raccordato alla sella, pareva un ragazzino d’una volta con gli abiti troppo stretti e le maniche corte… e poi il filtro aria appiccicato al tromboncino e quegli scarichi finti snelli e il contagiri da moto finto-sportiva… Anche se aveva l’avviamento elettrico, che io NON VOLLI mai, anche quando divenne accessorio d’uso comune. Per i profani o Guzzisti “a V”, ricordo che la messa in moto, rigorosamente a pedale, era un momento esaltante (ma da NON ripetersi spesso, o in mezzo al traffico…): issato sul cavalletto centrale, tanto largo e solido da poterci ballare in piedi sulle selle in due come successomi a Carnevale; arrampicato sul lato sinistro, piede sinistro sulla pedana, destro sulla pedivella, ricerca del P.M. superiore, alzavalvola un accenno di gas e poi… GIU’ con tutto il peso, mollare l’alzavalvola e scendere con un salto per evitare eventuali “calci” che mandavano all’ospedale tanti motopesantisti…

Se la manovra era precisa, oltre allo sguardo di ammirazione delle fanciulle che si radunavano (eh si, facevi colpo allora, altro che Fantic Caballero…) ti gustavi per premio un minimo dalla sonorita’ suadente, che regolato bene a 600 giri faceva uno scoppio ogni quinto di secondo (avendo un giro “utile” su due, fanno 600/2=300/60 secondi al minuto…), perfettamente udibile come una nota di ¼ di un “andante”.

Pareva un gatto che fa le fusa, e non mancava un colpo, anche se decidevi di accompagnare a piedi la bella che aveva paura di salirci… in prima a 4 km. ora, senza bisogno di sfrizionare e docile nei suoi 215 kg.!!!

E poi. la ripresa, molto piu’ decisa dell’accelerazione da fermo, il tiro dei 25 hp che sembrano pochi ma con tanti chilogrammetri dietro… il ronfare da locomotiva a vapore, il clac-clac del cambio nello scalare, bilanciere prima indietro, guai alle staccate decise con 12,5 kg di imbiellaggio che si mettevano ad urlare per protesta insieme al castello delle punterie!!

Dopo l’acquisto, come tutti provai a vedere quanto “tirava”: tolto il parabrezza, lo lanciai al massimo, credo oltre i 4.500, il cambio era piu’ corto del Civile che sfiorava i 140, forse arrivavo a 125-130 max. Perfettamente stabile, ad un certo punto mi trovai con lo sguardo appannato; fermo, controlla gli occhiali che sono perfettamente puliti, riparti rilancia… mica tirare le marce, solo in quarta deciso insisto spalanco sempre di piu’ e ritorna la nebbia allo sguardo… due, tre volte poi capisco, anche i piedi scivolano dalle pedane, e una volta ho guidato un Manx da corsa: sono le VIBRAZIONI che scombussolano la vista…

Rimpiango tuttora di averlo dovuto vendere, anzi “dar dentro”: credo che, se fosse stato una moto americana, lo avrebbero prodotto ancora oggi, con freni a disco accensione elettronica e cinghia di kevlar… Ma il mio faceva parte di un lotto difettoso, richiamato dalla Guzzi con la sostituzione gratuita del blocco motore(!!!) ma il Conce non se n’era accorto, e per evitare che gli facessi causa mi accordo’ un favoloso sconto su una favolosa V850Gt Ambassador: ma questa e’ un’altra storia…

Bene mi fermo; mi e’ tornata voglia di Falcone, quasi quasi, il garage e’ ampio, la moglie “invecchia” (= si intenerisce, che avete capito??).

Ammazzali ‘sti vecchi!!! e quanto rompono co’ li ricordi de quanno che ereno pischelli!!!

Ma forse… ho annoiato?

Lampi… a 1500 watt!!

Riflessioni

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di Cinzia Restelli
Domenica pomeriggio di inizio giugno. Ieri.

“Caldo” non è un aggettivo valido, a quest’ora, per identificare la temperatura della brezza che mi accarezza il viso mentre guido verso l’autolavaggio, la sensazione che sto godendo è più identificabile con un sostantivo, direi. Più semplicemente, “tepore”.

Niente protezioni, oggi pomeriggio, niente giacca in cordura, niente plastiche a irrigidire la mia andatura, niente stivaletti a protezione delle mie caviglie, e non metto nemmeno la bandana al collo, che rimane naked, come la mia moto.

Pantaloni di tela leggera, t-shirt a manica corta, scarpe “da tennis”. Una canzonetta milanese, mi sovviene, e la canticchio sottovoce, sorridendo mentre guido “el purtava i scarp del teniiiis, el parlava in de per lü, rincorreva già da tempo un bel soooogno d’ammmmoreeeee…”

Solo il casco e i guanti, a protezione del mio andare.

Solo una canzonetta di trentacinque anni fa, a protezione della mia serenità.

Il viaggio è più breve di quello di un harleysta che va a bere un caffè al bar. Un brivido mi elettrizza-attraversa la schiena, con la velocità di un fulmine notturno durante un temporale: “Potrei farmi male cadendo in questi due kilometri tra il box di casa mia e il lavaggio auto?” Non mi importa, viaggio con la certezza che oggi niente di brutto potrà accadermi. Niente.

Incoscientemente felice.

Non ricordo le parole, fischietto.

Arriviamo, io e la mia Breva, al lavaggio auto. I box, allineati ordinatamente, sono tutti occupati tranne l’ultimo. Me ne accorgo dai semafori sul muretto all’ingresso: rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-VERDE, ma anche dagli allegri spruzzi di acqua che sfuggono all’ordine geometrico della costruzione rigida.

Passo dietro a tutti questi uomini, spesso accompagnati dalla propria compagna o dai figli, cercando di mostrarmi la meno impacciata possibile. Vorrei farmi piccola piccola, in quel momento, per non sentire su di me gli sguardi invidiosi delle donne e quelli stupiti o ammirati degli uomini.

Io oggi voglio solo starmene un po’ da sola, a pulire e lucidare la mia motina.

Nient’altro.

Accolgo invece con un gran sorriso e un saluto a V la risata sincera di un bimbetto che mi addìta e chiama con la sua vocina trillante: “Papyyyy guarda! la moto grande! come la tua!”

Proprio un bel frugolino, avrà si e no cinque anni, un bel “patatino” con le fossette birichine che mi fa ciao ciao con la manina libera dalla spugna, mi sorride, e corre dal suo “papy” per continuare ad impiastricciare la macchina di detersivo e simpatia.

Io e la mia timidezza odierna arriviamo, dopo un viaggio lungo quanto il giro del mondo, all’ultimo box. Entro e cerco di mettere il cavalletto sul cemento, invece che sulla griglia per lo scarico dell’acqua. Mi sento un poco più protetta, tra quei due muri bianchi, e certamente anche la mia privacy ne risente positivamente.

Scendo dalla moto, levo il casco e i guanti, tolgo lo zainetto pieno di stracci straccetti e creme per le cromature e la carrozzeria.

Mi avvio verso il distributore di gettoni, cercando di starci il minor tempo possibile, ma nonostante mi sia organizzata con la moneta contata, mi si avvicina un gentiluomo di mezzetà, anche trequarti, che con fare molto gentile mi chiede che moto è, modello, cilindrata, e certamente aveva anche lui una Guzzi (ma quanto parla?) qualche anno fa, e poi l’ha venduta, ma se tornasse indietro la terrebbe (perchè ho preso le monete da venti centesimi, invece che quelle da un euro?), ma che belle le Guzzi (ma quanto impiegano sti gettoni a scendere?) e come mi trovo… Rispondo educatamente, ma con un certo imbarazzo, perchè non voglio che la mia gentilezza possa venire fraintesa e automaticamente tradotta in “disponibilità”.

Finalmente vinco (ih ih!!) e la slot-machine sputa fuori i suoi gettoni, finisco il discorso, saluto cortesemente e mi defilo con un sorriso.

“Perché?” mi chiedo mentre torno alla motina “Perché una donna motociclista deve necessariamente essere considerata disponibile? Perché non ha attaccato bottone con una delle due signore che lavano l’auto nei box 5 e 8?”

Mi rispondo con una non-risposta: “Mah” e inizio a leggere le istruzioni del distributore.

Per fortuna, questo auto-moto-lavaggio consente di passare tra le varie opzioni (lavaggio preliminare, shampoo, risciacquo con osmosi, ecc.) senza dover aspettare che ogni volta finisca la temporizzazione collegata ad un gettone. “Così me ne avanza uno per prendermi una lattina di tè freddo al distributore automatico”. Un premio goloso per quando avrò finito.

Inserisco. Opzione 1.

L’acqua inizia ad uscire dalla pistola a spruzzo come una leggera pioggia di marzo. Mi viene quasi voglia di alzare il braccio e farmela cadere in testa, come una doccia fresca, alzando gli occhi chiusi verso il getto e aspettando che le gocce rimbalzino sul mio viso… Sogno sempre troppo ad occhi aperti.

La motina è lì, ferma, sporca dall’ultimo giro nei campi dell’Est di Milano, su stradine tra l’impolverato e il post-pioggia di domenica scorsa, immerse tra i campi di grano e i papaveri e i fiordalisi come non ne vedevo da almeno vent’anni.

Inizio a sciacquare via delicatamente il fango superficiale e penso “La mota della moto”. He he! La cartina tornasole per accorgermi che sto bene, dentro di me: quando inizio a scherzare con le parole.

L’acqua scivola sulla Breva portando a terra lo sporco, e i miei pensieri tristi. Con uno straccio morbido lavo via i moscerini dal parabrezza, dal fanale anteriore, accarezzo la sella ed il serbatoio, giù lentamente fino agli scarichi e alle ruote.

Ssssshhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Bip. Fine dell’acqua e della malinconia.

Il bimbetto “patatino” passa davanti al mio box, seduto di fianco a suo padre, sporge una manina dal finestrino e mi saluta “ciao signora!”.

“Ciao, tesoro”, ricambio.

Inserisco. Opzione 2.

Il sapone inizia a riempire la moto di schiuma morbida, togliere lo sporco è ancora più semplice e … mi piace, la mia moto insaponata ha un che di sexy, è così vulnerabile, adesso, lo straccio passa agevolmente sul serbatoio, sui fianchetti, sui collettori, poi indietro, lungo gli scarichi, per risalire poi sul codino. Nessun attrito, nessuna asperità. Massima disponibilità. Massima fiducia. E’ una piacevole sensazione di dolce strofinamento, seguo tutte le sue sinuosità, la sua rotonda ingegneria meccanica. Non ci sono spigoli nella mia Guzzi, solo dolci linee, buone, amichevoli.

Scelgo l’opzione 3, ed un fruscio di nuvola d’acqua osmotica avvolge nuovamente la Breva.

Lo shampoo si arrende e scivola, come onde leggere, verso terra.

Ssssshhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Bip.

Mentre ripongo la lancia dell’acqua, guardo la Breva imperlata di pulito.

Faccio due passi fino al distributore automatico e mi prendo una fresca lattina di tè, torno alla moto e me la gusto lentamente. Ci voleva. E’ ora di togliersi dal settore di lavaggio, mi siedo per spostarla, incurante della sella bagnata che mi segnerà, sono certa, i pantaloni. Infatti, mentre giro la chiave ho una fresca sensazione tra le gambe, ma non importa. E’ piacevole.

La parcheggio nello spazio riservato all’asciugatura, poi torno a prendere zaino, casco e guanti.

Dallo zaino esce un tripudio di stracci di ogni materiale e colore e riesco ad utilizzarli tutti, da quelli per asciugare a quelli per lucidare a quelli per il parabrezza.

L’ultimo giro è dedicato alla lucidatura delle cromature.

Mi ritrovo inginocchiata di fianco a lei, per un ultimo controllo. Tutto ok. Mi piace, così. Mi rialzo soddisfatta, sono trascorse quasi due ore. Ripongo tutti i materiali nello zaino, allaccio il casco, infilo i guanti e parto. Si va a fare un giro. Un lungo, vanitosissimo, brillantissimo, giro.

Storia di un ex ragazzino e di una grossa moto (anzi due)

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di Marcello Molteni
Tutto cominciò, o sarebbe meglio dire ricominciò visto come andarono poi le cose, nel 1993 a Monza, la città dove vivo.

Quell’anno scorrazzavo soddisfatto in sella alla mia ultima moto: una Honda Transalp acquistata usata dopo aver venduto la mia precedente (e perfetta) Moto Morini Camel 501 ad un appassionato tedesco per un prezzo persino leggermente superiore a quello cui l’avevo acquistata; che matti questi tedeschi, pensai.

Un bel giorno mio fratello, che non appoggiava il suo sedere su una moto da almeno 10 anni, si presenta a casa mia a cavalcioni di un qualcosa che mi apparve come un largo, pesante, sgraziato e rumoroso bovino nero; era in realtà una Moto Guzzi IdroConvert 1000 del ‘75 avuta come sconto sull’acquisto di un’auto fuoristrada nuova, da un concessionario che probabilmente l’aveva sul gobbo da mesi e che non sapeva come disfarsene.

Ho immediatamente formulato tre ipotesi sul fatto che mio fratello avesse accettato quella “cosa” al posto dello sconto:

a) Rivendita immediata al primo tedesco di passaggio (memore del mio vecchio Morini) con conseguente guadagno economico

b) Necessità impellente, per motivi a me sconosciuti, di occupare parte del suo box con un ammasso di 250kg di metallo vario semi grezzo

c) Colpo di sole improvviso

L’ipotesi C mi sembrava la più plausibile ma, visto che eravamo solamente in marzo, apparve chiaro il motivo più orribile di tutti: lui intendeva veramente usarla e guidarla, e non solo, ma anche mia cognata non vedeva l’ora di accompagnarlo come convintissima passeggera.

In quel periodo le mie convinzioni e scelte motociclistiche erano basate su un approccio prettamente analitico (retaggio inconscio della mia professione in campo tecnico) tutto composto da grafici, cifre, misure e prestazioni, che assorbivo in quantità industriale dalle riviste specializzate.

Le mie conoscenze della Moto Guzzi, al contrario, si fermavano alle moto della Polizia o dei Vigili Urbani che incrociavo per strada e alle foto in bianco e nero di Falconi, Galletti e volatili vari che si vedevano ogni tanto in qualche articolo dedicato alle moto d’epoca.

Anche per questo, con l’andar del tempo rimanevo sempre più stupito da come quell’IdroConvert vecchio di quasi 20 anni attirasse l’interesse della gente, mentre il mio Transalp parcheggiato a fianco non veniva degnato di uno sguardo, sebbene fosse considerata da molti esperti del settore “Una delle migliori moto sul mercato e senza dubbio la più versatile”.

Per me era una cosa inspiegabile e dato che le cose inspiegabili hanno il potere di affascinarmi e contemporaneamente farmi incazzare proprio perché senza spiegazione logica, cominciai a “analizzare i dati in mio possesso” (eufemismo per: “Fermi tutti! Cos’è sta storia?”).

La prima cosa che notai fu il grande numero di raduni Moto Guzzi elencati nelle pagine dedicate delle riviste specializzate e la seconda fu che questi raduni erano organizzati praticamente in ogni continente. Come mai tutto ciò?

Provai cautamente a guardare quelle moto sotto un altro punto di vista, che esulava da grafici, cifre, misure e prestazioni, iniziando ad apprezzare la sensazione di solidità e sicurezza emanata da quell’incedere poderoso ma nel contempo leggero.

Cominciai a notare che le Guzzi hanno effettivamente una loro personalità; le riconosci a distanza, con quei due cilindroni a V, che quando le incroci sembra che ti dicano: “Io ne ho due, grossi così, e non ho intenzione di nasconderli. E tu?”.

Mi scoprii stranamente passivo nel farmi conquistare dall’inconfondibile rombo di quel motore instancabile; sembrava che le Guzzi volessero trasmettere un messaggio a chi stava loro in sella: “Non preoccuparti, ci sono qua io”.

Mi trovai a considerare il mio Transalp (ottima moto, niente da dire) solo come un mezzo di trasporto che serviva a portarmi da un punto A ad un punto B; praticamente un’auto a due ruote, nulla più.

Mi resi conto che la malattia comune a tutti i Guzzisti del mondo e che li rende tali spesso per tutta la vita, stava entrando in me ed io, per la verità, stavo facendo poco o nulla per impedire che ciò accadesse.

Probabilmente stimolato a livello subconscio da questo progressivo spostamento emotivo verso le Moto Guzzi, il mio cervello fece riaffiorare alla memoria, come in una specie di flash-back, un piccolo episodio ormai dimenticato accaduto tanti anni prima.

Mi rividi ragazzino, nella prima metà degli anni ‘70, col cono gelato da 50 lire che mi colava sulle mani, in sbigottita ammirazione davanti ad una grossa moto tutta lucida, nera e cromata, parcheggiata fuori dal bar vicino a casa mia; era una Moto Guzzi V7 California 850, seppi poi, veramente enorme e fantascientifica, un vero spettacolo, abituato com’ero a considerare moto “vere” persino i Ciao e i Garelli 50cc che furoreggiavano tra i ragazzi con un anno o due più di me (beati loro, già quattordicenni).

Rimasi fulminato e imbambolato a guardare quello scintillante monumento meccanico a “rispettosa” distanza (praticamente col naso appiccicato al serbatoio), fino a quando il legittimo proprietario, un omone con barba e capelli rossi che abitava nel quartiere, ci montò sopra, la mise in moto premendo quello strano tasto nero sul manubrio (magia) e, con un rombo fortissimo che mi risuonò dentro, sparì in direzione del centro.

Era il ricordo di un episodio che, inconsciamente, era stato rimosso ma che ora, come i due pistoni che ricevono dopo tanto tempo la spinta esplosiva della miscela aria-benzina innescata dalla scintilla delle candele, riprendono a scorrere alternativamente sempre più velocemente, coinvolgendo inevitabilmente nel loro movimento le bielle, gli alberi e gli ingranaggi del mio intimo più profondo.

Cominciai, dapprima timidamente e poi sempre con maggior confidenza, ad approcciarmi da “esterno” (dopotutto possedevo una moto giapponese) al mondo Guzzi, informandomi su riviste e libri riguardo la storia ed i modelli del marchio; scoprii l’inizio pionieristico, i campionati del mondo vinti a decine, le forniture alla polizia americana sbaragliando la concorrenza delle marche più importanti; e chi se lo sarebbe mai immaginato?

Nel frattempo un pensiero si stava facendo ogni giorno sempre più assiduo: possedere ora, da uomo, quella moto che mi aveva così colpito da ragazzino.

Cominciai a passare al setaccio gli annunci delle occasioni di tutte le riviste di moto che trovavo in edicola, fino a quando, dopo sei lunghi mesi di ricerca, eccolo: “Vendo Moto Guzzi V7 California 850, buone condizioni, ecc. ecc.”.

Era lei! Del ‘73 e di proprietà di un appassionato bresciano con troppe moto nel box e troppo poco spazio e tempo da dedicarvi; logico, una moglie e tre figli hanno le loro esigenze dopotutto!

Le condizioni generali della moto erano dignitose, anche se le mancavano alcuni particolari mentre altri erano stati modificati o sostituiti con roba non originale; il motore girava bene ma aveva le fusioni impregnate di sporco, la verniciatura del serbatoio era stata ritoccata a mano e alcune cromature si stavano deteriorando, ma per me in quel momento era la più bella e desiderabile di tutte.

Una rapida occhiata ai numeri di serie di telaio e motore (si sa, il rischio di taroccamenti è sempre presente), un breve giro di prova (che paura quei freni a tamburo per chi non ci è abituato), una certa contrattazione sul prezzo fingendo un certo disinteresse e distacco (a cui il venditore non credette neppure per un attimo) e l’affare era fatto; così verso la fine del 1994 la moto era parcheggiata nel mio box.

Prima di guidarla passarono almeno due settimane; la guardavo, la mettevo in moto, la guardavo di nuovo mentre ronfava sorniona con quel minimo incredibile, la spegnevo, mi ci sedevo sopra, la confrontavo con le foto originali dei “sacri testi” Moto Guzzi e mi facevo i conti in tasca per le spese di un restauro professionale completo “chiavi in mano”; conclusione: non avevo soldi a sufficienza.

Il fatto è che l’unica maniera in cui riuscivo a concepire quella moto era riportarla esattamente nelle stesse condizioni in cui era uscita dalla fabbrica di Mandello del Lario nel 1973; quindi, sfruttando tutta la documentazione di quel modello che mi ero nel frattempo procurato (comprese le tavole dei ricambi) ed armandomi di pazienza e buona volontà, decisi che il restauro me lo sarei fatto (per quanto possibile) da solo.

Il 1995 fu un anno intenso passato tra ricerche nei mercatini dell’usato (“Quanto ha detto che vuole per quel clacson?”), pellegrinaggi dai ricambisti (“Forse ho ancora una di quelle leve in magazzino”), salassi dal verniciatore professionista (“Le verniciature fatte da me costano di più ma sono eterne”), annunci fatti pubblicare sulle riviste del settore (“Cercasi borse originali per…”), sfruttamento vergognoso di un carissimo amico, titolare di un’officina di lavorazioni meccaniche, per replicare quei particolari veramente introvabili (“Ho bisogno di una staffa esattamente come questa”) ed altre cose simili.

Ma soprattutto, da quell’anno ebbe inizio il mio pendolarismo a Carate Brianza alla concessionaria/officina/motoclub/ritrovo Moto Guzzi di Bruno (Scola) e del suo meccanico Tiziano (“Il rinvio del tachimetro è andato e questo cilindro sta perdendo il riporto”) che sopportano in maniera ghandiana la mia asfissiante presenza, quasi giornaliera, alle loro spalle mentre, per esempio, smontano il motore di un Le Mans o rispondono alle mie domande spesso cretine mentre, magari, registrano le valvole di un California; tutto questo solo perchè per loro ogni Guzzi bicilindrica è come una figlia ed il legittimo proprietario è spesso considerato alla stregua di un inevitabile accessorio (della moto, ovviamente).

Qui ho conosciuto parecchi “malati” di Moto Guzzi, uno fra tutti Davide, un ragazzo di una decina d’anni più giovane di me e proprietario di un V7 850 GT del ‘72; il fatto di possedere una moto simile alla mia, oltre a una sua simpatia innata e a un comune interesse “enciclopedico” sulle Guzzi, contribuì all’instaurarsi di un rapporto quasi immediato di amicizia che aiutò a trascinarmi velocemente in seno a quel gruppo di pazzi con i quali ho potuto dividere la passione per questo mondo che, giorno dopo giorno, sentivo sempre più appartenermi.

A questo punto occorre aprire una parentesi sulla psiche di quegli strani individui comunemente conosciuti come Guzzisti e guardati con sospetto o (peggio) compatimento dagli “altri” motociclisti.

Se domandate a 10 Guzzisti quali sono i motivi per i quali sono diventati appassionati di questo marchio, probabilmente riceverete 10 risposte diverse, anche se si potrebbero interpretare, più o meno a ragione, come 10 modi differenti di dare sostanzialmente la stessa risposta.

In effetti esistono molte sfaccettature e sfumature sui motivi di questa sorta di simbiosi uomo/macchina che colpisce persone tanto uguali nella passione per le Guzzi, quanto diverse nella vita di tutti i giorni; il sabato pomeriggio, da Bruno, si possono trovare a discutere tra loro l’operaio e il chirurgo sulla più efficace taratura delle sospensioni o l’impiegato di banca e la studentessa universitaria sulla migliore posizione di guida da tenere in curva sul bagnato, mentre l’ingegnere e l’architetto litigano amichevolmente sui pregi della propria moto e sui difetti di quella dell’altro.

Quando poi ci si organizza e si esce tutti assieme, sotto i caschi sparisce ogni differenza e si viene a creare quella sorta di spirito di branco monomarca del quale non sono mai riuscito a cogliere alcun aspetto negativo.

Tirando le somme, si può tentare di riassumere il concetto in una frase, sperando di non essere riduttivo: chi guida una Guzzi, sportiva, turistica o enduro che sia, è intimamente consapevole che ha sotto di se qualcosa di più di un motore, un telaio e due ruote e “sente” che quelle vibrazioni trasmesse ai polsi e allo stomaco quando si spalanca il gas, non sono solo il risultato di una mera sollecitazione meccanica.

Certo, parlare di “anima”, come ho sentito certe volte anche riguardo ad altri argomenti simili, mi sembra un po’ eccessivo, ma è indubbio che quel feeling particolare tra le Guzzi e i loro proprietari non solo esiste, ma è pure molto forte.

E’ una cosa che nessuno insegna o impone; o la si sente, anche poco alla volta, o non la si sente per niente, tutto qui.

Sì arrivò così all’inizio del 1996 e il restauro fu portato a termine; la moto era veramente, ma veramente perfetta, sia a mio parere che a quello di tutta la varia umanità che nel frattempo avevo coinvolto, spesso loro malgrado, in questa mia avventura.

Mancava solamente un ultimo obiettivo che avrebbe sproporzionatamente ingigantito il mio (già grande) ego; la sfida definitiva, la madre di tutte le omologazioni: la certificazione ASI con l’inarrivabile targa in ottone lucidato; così feci tutte le pratiche necessarie, corredate dalle indispensabili foto e spedii la richiesta di omologazione.

Qualche mese dopo, il postino mi consegnò un pacchetto; per scaramanzia feci finta che fosse un libro (che non avevo mai ordinato) o qualcosa di simile, ma quando aprii quella scatoletta di cartone e vidi la famosa targa in ottone con inciso il modello della mia moto, l’anno di costruzione e il numero di omologazione, mi sfuggì un risolino talmente ebete che sicuramente il postino nutrì forti dubbi sul pieno possesso delle mie facoltà mentali: probabilmente in quel momento aveva ragione lui.

Ora, quando scendo nel box, tolgo il telo alla mia moto e istintivamente mi soffermo quell’attimo a guardarla prima di salirci, mi sembra non sia cambiato poi molto da quel giorno fuori dal bar, nella prima metà degli anni ‘70.

Beh, forse un bel po’ di capelli in meno, ma col casco in testa non si nota.

Senza fare troppa retorica, devo dire che in questi anni la mia vita si è arricchita (al contrario del mio portafoglio): ho conosciuto persone eccezionali che mi hanno aiutato, ho cementato nuove e profonde amicizie che spero non si incrinino mai e ho condiviso la mia passione con persone a me vicine, spesso splendidamente prive di ogni cultura motociclistica.

Appena raggiunta la disponibilità finanziaria, e come inevitabile epilogo a questa piccola storia, mi sono comprato una Moto Guzzi Quota 1100 e ho venduto ad un mio collega il Transalp, puntualmente rubato in pieno centro a Milano tre settimane dopo.

Marcello Molteni

Terza GuzziMajalata

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di Stefano Annino

 

……senti, ti vuoi sbrigare per piacere?….è tardi! …l’appuntamento con gli altri è alle 10.00!…sono le 08.30 e siamo ancora in mutande!!……Drinn, drinn…..pronto!….(ma chi ca@@o rompe alle ottoemezzadidomenica!)…ah… ciao Antone’….come? Toni non si vede ancora?….No!…non l’ho sentito!….sara’ mica ancora al lavoro!….aspetta che ti passo la Raffa…..mettiti d’accordo con lei per piacere….Drinn, drinn…(il cellulofono)….pronto!….(ma chi ca@@orompealleottoemezzadidomenica!)… ah…ciao Salvo…..come dici?…Si, certo, l’appuntamento è confermato alle 10.00 al….No, aspetta!…come?….vabbé…alle 10.30…Toni ancora non si vede (avra’ mica smontato un treno?…nottetempo..)….

Così inizia, tra uno squillo e un’altro, il girello dei GuzzistiLiberi Romani al lago!

Finalmente si chiude la porta di casa (con dentro figlia ammalata e suocera) e si parte. La motina va che è una bellezza, non mi azzardo a superare i 90 all’ora sul GRA, pena mazzate da orbi sul casco, la Raffa è sensibilissima ai giri del bicilindrico….quando sente che il “trotterellare” supera i 3500 giri (…è piu’ precisa di un contagiri digitale tarato al plutonio attivo), allora…..sono tutti ca@@i miei….botte in testa da far rintronare pure un capoccione come a me!

Ecco il Centro Commerciale, con la coda dell’occhio ne conto 10 e penso…minchia quanti siamo oggi…sara’ proprio un bell’andare!

E sono baci e abbracci e caffé e cappuccino e cornetto e pisciatina (litri di pipì) e paje e ancora caffè…mentre si aspetta Toni e Antoni.

E finalmente il desman arriva con uno scarrafone (scerzo!) di 1000 SP2 trasformato in caffettiera (tutto nero e fumante….).

Si fa’ la conta … Alme!…..Ettore!…Carmine!…Toni & Antoni!..Salvo!…Maurizio!…Nello!….Ste’ & Raffa!…Scheggia!…Marco!…tutti presenti!…..e Ettore grida: “Se ‘nannamo!…che c’è il derby!…ca@@o! ‘za Roma! Aho! e daje aho che so’ le 11.00! ‘za Roma, Aho! Ahoooo, ahoooo!”.

E si parte….che bella combriccola di pazzi!!

E subito ci si stende in bel serpentone sulla Cassia. Belli! Pazzi! Liberi!

Talmente belli che pure gli alberi ormai spogli …si girano a guardare e le famigliole in macchina con i vetri appannati ci guardano e pensano…”ma questi qua?”…”‘ndo vanno?”.

E Carmine con Maurizio, Alme e Ettore (che pensa…3 a 1, no…4 a 1, no…6 a 1…..’za Roma!)..prendono l’allungo…e io per un attimo penso….ora apro er gasse…ma subito una violenta martellata (ma ‘ndo minchia ce l’aveva er martello!)..mi raggiunge sul casco,….. e devo chiudere a 2500 giri…e penso…mo’ s’engorfa…..pure Nello mi supera!…Pure Salvo con l’Amaca 1300 in rodaggio mi supera!…Pure il Tre ruote Piaggio con una tonnellata di patate fresche di giornata…mi supera! E penso…..” ma che bella journata de sole…l’aria serena….MO arriva la tempestaaaaaaa!”……o))))

Per fortuna che l’Amaca di Salvo deve essere rifornita ogni 30 minuti!

Ci si ferma dal benza!

La Raffa, con la schiena in “avanzato stato di decomposizione”, salta sul Nevada di Nello! Che bello! Che Bello!!

Gli ultimi 14 km prima di Bolsena….da solo!….’na figata!….peccato l’asfalto bagnato proprio in curva!!…azzo!…’za Roma! Forza Nello! Grazie Nello! Bello Nello!

In men che non si dica….ci si ritrova sulla riva del lago baciati da un sole che (manco a primavera….) ci scalda le ossa gelate….e sono panini al prosciutto, al formaggio al tonno, alla frittata….ammazza aho!

Antonella Desman ha preparato panini pure per i pesci e le anatre del lago! …..se semo magnato tutto…pure le anatre!

Quante stronzate! Quante risate! Quante ne ha dette….! Come chi!…Tutti!….tranne Ettore…che pensava …..”…5 a 1, no!…7 a 0, no! ‘za Roma!”…..(per la Cassia driblava le macchine come se fosse Totti!).

Rompo il ghiaccio (meglio dire le palle)! “Si parte? Che strada si fa? La Flaminia? Siiiii!” . E Scheggia tira fuori dal tascone la “cartina”….tanto per vedere bene il percorso….Agip? No! Touring? No!…GPS!!!…E si studia il percorso!

Capito tutti?

CORO : “SIIIIIIII”

E fu cosi che Nello e Maurizio arifanno la Cassia e NOI ad aspettare sulla bretella per Orte….con Antoni che prova a telefonare, con Ettore che continua a bestemmiare…”c’è il derby…’za Roma!…12 a 1…”…con Salvo che dice (guardando la Sua bella….”che bella! Ma quanto bevi!…dimmi quanto bevi!…perchè non mi dici quanto!”…..

A un certo punto un boato scuote il silenzio incantevole di un tranquilla domenica di dicembre…..”AHO! AAHHOOOO!!!….SE NANNAMO?….. C’E’ ER BERBYYYY….FAMO TARDI!….’ ZA ROMA!”

Ettore stava perdendo la pazienza!…..

Alle 16.00 circa il bel gruppone riparte…..Appuntamento con Nello e Maurizio…..e Raffa!….dal benza sul GRA!!!

EVVAIIII!

Apro il gasse!…..(era ora!)….

Non vedo piu’ nessuno……I fari degli altri…sempre piu’ lontani…Che bella sgroppata sulla bretella per Orte…..!

E finalmente la Flaminia!

Carmine …….con il suo bel V11 prende il volo!

Io dietro Scheggia (niente male per un Vada…retro, belle pieghe, un bell’andare, mi vede dietro a 0,0000001 millimetro e piega e piega e piega e allunga e allunga e piega e piega e allunga e piega, ecc. ecc. ecc.)….lo passo in una curva a destra d’esterno rimanendo in carreggiata….Opsss!

Un attimo….e non lo vedo piu’!

Opss! Ecco Carmine…un bel manico pero’!

Pero’…..supero pure il V11!….. Opsss…

Gli ultimi 20 km di Flaminia, sono stati uno spasso!

Con Carmine mi sono proprio divertito….Grazie Nello per:

– esserti incollata la Raffa;

– aver capito fischi per fiaschi!

Ed ecco il GRA…ed ecco il benza….ed ecco la Raffa!…Mi domanda: “Sei andato piano?”…..”Ceeeerto, come un Tre Ruote della Piaggio carico di patate novelle!”…… rispondo….

Ed Ettore era gia’ allo Stadio…..”14 a 1. No! 17 a 0. No!……’za Roma!”…

L’ultimo caffè del pomeriggio, tracannato in un autogrill sul GRA, chiude la BELLA giornata.

Saluti, baci, abbracci, pipì (tanta a litri e per tutti…)…… e alla prossima!

L.L.

Ste….il Lemaniano

P.S. Se rinasco mi ricompro il Le Mans UNO, 1, 1° serie, Prima serie, quello prima del II e del III e del IV e …”fanculo” al Molesto che sfotte e dice un cumolo di cazzate! Prrrrr! Thiè! Prrrr!

Di Le Mans ce n’è UNO! E basta!

ZIO BIGIN

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di Giancarlo S. Zulato

 

Questa e’ una storia vera, di quelle tramandate in famiglia come un cimelio prezioso, di tempi antichi. Una storia di uomini, di passioni, di moto. Di MotoGuzzi.

L’ho sempre chiamato Zio Bigin, anche se non era propriamente mio “zio”.

Era parente acquisito, fratello della moglie di mio zio paterno e compagno d’infanzia di mio padre; tanto bastava allora, nelle famiglie che si ritrovavano puntualmente, Natale un matrimonio un funerale, nel basso Piemonte di tanto tanto tempo fa… Quando noi tutti “cuginetti” ci trovavamo a ruzzare gridare e farci dispetti, e dopo una certa eta’ ad amoreggiare di nascosto…

Dunque, zio Bigìn. Tanto amico di mio padre con lui erano cresciuti insieme; vita da contadini di una volta, gia’ grandi quando adesso si e’ ancora alle medie, lavorare fuori casa alla vendemmia, alla mietitura alla mungitura per avere qualche lira da spendere liberamente e fare mostra da spavaldi, la bicicletta sportiva (Gloria, la marca di allora) per girare le balere della pianura, coltello in tasca tanto per darsi delle arie, le prime scazzottate coi fascisti o per difendere la piu’ bella, quella che poi sposava il fattore ricco e magari dopo di notte ti apriva di nascosto la porticina del retro… Storie raccontate ammiccando, le donne aggruppate a chiaccherare e non sentire – o forse a far finta di non sentire – e noi ragazzini li’ intorno divisi per gruppi di interesse, naturalmente i grandicelli coi maschi a bersi i racconti e i discorsi…

Discussioni animate: Guzzi e Bartali, Coppi e Gilera, Anquetil e Magni, e Mondial e Maserati e Ferrari…

La guerra no, stranamente di quella non parlavano gli uomini, delle sofferenze la prigionia la liberazione seppi solo piu’ tardi, dei rastrellamenti le bombe le armate di passaggio solo le donne anziane si rammentavano a vicenda.

Zio Bigin e la sua passione segreta. Lui che era uomo tutto d’un pezzo, niente osteria ne’ carte ne’ “case”; vita tranquilla, lavoro tanto, la cascina alzarsi prima dell’alba le vacche i vecchi da accudire la bella moglie, saggia e lavoratrice anche lei da accontentare e i figli da crescere.

Poi, un giorno la tragedia; venne convocato il consiglio di famiglia e papa’ parti’ d’urgenza: la zia, cioe’ sua moglie, voleva separarsi, aveva scoperto il tradimento, era tornata in casa dai genitori e sbraitava che il marito era pazzo uno scriteriato insomma un rovinafamiglie…

Sapemmo tutto al ritorno di papa’, che nel duplice ruolo di amico d’infanza del marito ma anche parente autorevole della moglie era stato eletto arbitro naturale. Tornato dalla guerra smagrito e sofferente ma figlio unico e coi genitori piu’ malconci di lui, Zio Bigin si era messo a lavorare e ritirare su’ la cascina.

Soddisfazioni solo dal frutto del duro lavoro e poche distrazioni: solo, la balera il sabato, e per andarci le alternative erano poche; in bici, e via in gruppo ma poca confidenza, uomini e donne separati e solo qualche battuta; oppure la moto, e rimediavi la piu’ bella da accompagnare e poi darci un appuntamento….

Con due soldi ereditati e le economie dei genitori lui compro’ un Airone Guzzi , bello rosso e cromato, veloce come il vento per quanto le strade allora consentivano.

Gia’, le strade: tutte rovinate dalla guerra, bombe e carrarmati, pietre sporgenti, forature assicurate e camere d’aria introvabili.

Cosi’ un giorno, sposato da poco e padrone assoluto della cascina con tutto quel che comportava, la prima tragedia: e’ il ’47, una strada alzaia, di quelle dritte che costeggiano i canali; la moto lanciata, un carro da fieno che balza con la rincorsa per superare l’erta fangosa… Le gomme rappezzate oltre il limite non tengono piu’ la frenata e scoppiano, la moto si infila sotto il carro e zio Bigìn che vola e ricasca malamente: due gambe spezzate in piu’ punti, la rovina se non ci fosse l’ospedale da campo americano, che stava smobilitando. Lo trasportano, lo salvano; dopo qualche mese le gambe sono a posto, almeno per quanto si poteva pretendere di quei tempi.

Anche allora, consiglio di famiglia: un fattore e padre di famiglia che resta invalido e’ una tragedia, il benessere sta appeso a un filo e terra, bestiame, lavorare duro e buona salute sono la sola previdenza conosciuta… Promette di vendere la moto e mai piu’ salire sopra uno di quei mostri; rinsavira’ e fara’ vita seria, solo lavoro lavoro e risparmiare, ma…

Ma non puoi vivere come se fossi gia’ morto, a 30 anni; Bigin non conosceva altro che il lavoro e la famiglia, mai visto all’osteria con le carte o un bicchiere in mano fuori pasto, braghe e scarpe nuove solo quando necessarie, figurarsi poi le donne d’altri…

L’Airone rimase, nascosto nel fienile sotto un telo, celato tra le balle di fieno, in paziente attesa. Magari accarezzato di nascosto prima dell’alba, complici le vacche silenziose e con la moglie impegnata tra pollame e conigli dall’altra parte del cortile…

Messa all’alba e lavoro anche la domenica, le bestie hanno sempre fame e il bisogno di mungerle non conosce festa. Solo un giorno l’anno la zia mollava la sorveglianza: la domenica di Pasqua, messa grande alle 10 poi un dito di vermuth e biscottini con le amiche, a casa per mezzogiorno. E in quelle poche ore frenetiche presto, rimontare candela e batteria controllare l’olio due colpi di pedale… e via, inutile raccontare a motociclisti COSA si poteva godere anche se per poche, fuggevoli ore l’anno…Il pieno per i prossimi 364 giorni…Finche’ un giorno, nel ’61, una vicina pettegola che ritarda alla Messa…

Sbollita la furia, rientrato lo scandalo, riappacificati gli animi: grazie anche a papa’ che in moto – Gilera lui – ci andava ancora regolarmente, Bigin ottiene la grazia: potra’ usare la moto in determinate date, Pasqua e poche altre, ufficialmente e alla luce del sole.

E cosi’ quando una domenica, dopo tanti anni, io che finalmente guidavo, torniamo a trovarli, lui ormai piccolo e magro mi porta al fienile, piano e amorevolmente sposta le balle solleva il telo…

Lucida e perfetta, ancora nuova con le cromature e gli ori dei filetti e le guance nere, le manopole bianche tese all’infuori come un paio d’ali e il faro ammiccante che ti invita a partire… E’ cosi’ che ho conosciuto la moto dello zio; il bellissimo Airone 250 e’ poi restato li’, i figli irremovibili a vendermelo ed io con il rimpianto…

Ma forse e’ stato meglio cosi’, non avrei saputo conservarla e magari l’avrei rovinata nell’incoscienza giovanile e nel traffico di Milano.

Zio Bigin da lassu’ ora puo’ rimirarsi la sua moto, e magari discutere con papa’ su quanto sia meglio dell’ottobulloni Gilera, magari insieme a Omobono Tenni (pilota Guzzi) e tutti gli altri guzzisti e gileristi…

Ciao zio Bigin, ciao papa’, che possiate cavalcare in eterno le strade del cielo; dove Golf e scooteroni non saranno mai ammessi…

Vabbe’ scusatemi, ma ‘sta storia si vede che bolliva dentro da tanto

tempo.

Mettetemi pure in moderazione per un anno, cambiate sito segretamente

per togliermi di torno… ma prima o poi doveva uscire!!

 

Domenica bresciana

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Di Alberto Sala

 

Incredibile.
A volte succede.
Anche se francamente non ci credevo ormai più.
Chissà, sarà stato il caldo, o l’orario.
Ma certo non mi sarei mai aspettato di farmi parecchi dei 400 km di domenica senza traffico.
Oserei dire quasi senza auto. E anche senza moto. Roba da sentirsi solo, per un lombardo abituato a viaggiare a cavallo della striscia bianca (non quella che si tira, minchioni) o in piena ‘corsia dei rifiuti’ come si potrebbe definire ormai la corsia d’emergenza delle autostrade, dove sei quasi certo, se riesci a cavartela con le travi, i palloni da calcio, le bottiglie e i resti decomposti dei copertoni scoppiati, di rimanere infilato a tradimento da un bullone malefico nel gommone da 200 euro.

Già da tempo bazzico il bresciano. Non nel senso che ho un amante dalle “ù” pronunciate, ma nel senso del territorio. Come un segugio alla ricerca della preda, in questo caso un pezzo di nastro asfaltato car-free, quando posso mi butto (a tratti anche letteralmente) alla ricerca della strada perduta. Non prima di aver passato ore iperscrutando la cartina del Touring del Nord Italia, ipotizzando, fiutando, scovando trasversali e obliqui percorsi, possibilmente seguendo i bordi verdi che anche nella sua iconografia significano bei paesaggi.
Ma non escludendo anche apparenti anonime strade gialle con tanto grigio attorno. Soprattutto dopo aver scoperto il tratto Idro-Lumezzane.
Una strada che i bordi verdi se li scorda. E forse, in fondo, a lei non importa una cippa.

E’ da questa zona, generalmente conosciuta solo dai cottimisti per via delle tante ferriere presenti, che parte il tour di domenica.
Breve salto autostradale per levarsi di torno la fastidiosa e torrida pianura, uscita a Palazzolo e in poche rotonde arrivo a Iseo. Si fa sul serio (e anche sul Serio) da qui.

Salendo verso Polaveno lasciandosi il lago alle spalle già si comincia a respirare. La densità auto/chilometro quadrato si fa da 7.540 circa (Twingo più Twingo meno) a meno di dieci. Anche la calura comincia a ghermire meno. Basta salire un po’ di quota, anche senza Quota. Difatti stavo con Centauro Pupa®. Ancor più discinta di freni dopo Adria (che è un circuito massacrante per i liquidi DOT-10), ma non a tal punto da essere veramente pericolosa: si può ancora domare (quando serve, s’intende).

Dopo Polaveno si piega verso Gardone, che giustamente fa rima con stradone. Largo quasi come un’autostrada devo dire che aiuta a passare quasi indenni da semafori. Poi, una decina di chilometri addentro alla Valtrompia, appena prima che si possa definirla ‘Alta Valtrompia’, svolta a destra alla chiesina (c’è spesso una svolta in prossimità della chiesina: mica tutti reggono le omelie) e via in salita, in direzione Castro. Che a dispetto del nome non taglia nessuna goduria, anzi: la colonnina dell’indicatore del traffico segna un “non pervenuto” perfino di moto: le curve si fanno più ravvicinate inizialmente, per poi, scollinato un timido passo, distendersi in “Best Centauro Style”: sapete (o voi sommi fortunati cavalcanti tale mostro), quello stile di curva così meravigliosamente indossato dal nostro miglior cavallo, ove con nitriti e squotimenti giouiousi adora gettarsi a ventre basso. Non siamo ancora in presenza del miglior asfalto della giornata, ma già si assapora la libertà dalle catene catalitiche e multijet che ti assalgono anche in altre valli lombarde.

Trapassato Castro, siamo ormai in prossimità del secondo bacino lacustre odierno, quello di Idro. Ci arrivo attorno alle dodici e trenta, fors’anche tredici (bello scordarsi del tempo): l’orario preferito per asserragliarsi a tavola. Ergo: strada costiera assolutamente sgombra! VIVA!

La strada costiera occidentale (precisazione inutile: non esiste quella orientale) del lago d’Idro è tanto gettonata dalle auto quanto bella. E’ un bel misto frutta, un po’ lento ma spesso sfocia nel veloce, a tratti velocissimo, con a destra naturalmente lo smeraldo del lago sempre presente. Senza fare il minchione mi rendo conto che in un attimo l’acqua è sparita e sono già al bivio per Madonna di Campiglio o per il lago delle fiabe di Ledro. Memore della struggente bellezza delle pose plastiche raggiungibili col suo asfalto rossiccio, viro (considerate le dimensioni il termine appare appropriato) a destra e dopo aver attraversato un paese di cui non colgo il nome bensì il profumo e la luce, che mi ricordano i paesini friulani assolati della mia infanzia, poggio le gomme sul nastro color amaranto, puntinato ogni tanto da qualche tipico scintillio e dal retrogusto fruttato (dopo il corso di sommelier bitumoso alla “Centro Bitumati 2000” di Martinengo mi lancio con malcelato snobismo nei distinguo) e comincio la degustazione. Leggermente disturbato da due villici su 748 e 996 dediti a spaccare la minchia percorrendo avanti e indietro sempre lo stresso tratto iniziale della via per la valle di Ledro, proseguo nella mia ripresa di confidenza con le pieghe per lasciarmi alle spalle (soprattutto la destra) il post-trauma. Sì, perchè il problema non è tanto il trauma, ma la lontananza conseguente dalla moto: è questo lasso di tempo che ti rovina e ti insinua paura. Naturalmente con tutta calma, alla ricerca della spensieratezza perduta. Così, scrollata la polvere, dò un colpo di frusta fino ai campi di fiori che aprendosi fanno da preludio a questo angolo di paradiso trentino (si avverte assai il passaggio di regione) corollato da un laghetto assolutamente delizioso, cui difficilmente manco visita annuale.

Ormai si è fatto il giusto naturale orario di pranzo anche dei minchia, per cui mi levo con enorme soddisfazione gli strati di pelle nera per svaccarmi in costume e asciugamano in riva al lago, rigorosamente in ombra.
Ma non sono qui per raccontarvi del relax post-ruttino e relativo pisolo: c’è ancora tanta strada da fare. Sperando sia ancora libera e ribelle.

Il tempo quando si è soli passa più lentamente e offre più possibilità: perchè tornare subito dalla Gardesana? Proviamo a vedere un po’ com’è il lago di Tenno (e soprattutto, il relativo necessario sentiero d’asfalto). Ci penserà poi la statale verso Arco, dopo Stenico a riportarmi a Riva (del Garda). Una volta uscito dal tunnel, passaggio ‘doganale’ tra val di Ledro e Riva, salgo a nord con ai piedi sempre asfalto rosso. E poco o null’altro. Cambiano i profumi, non il piacere di scivolare sulle curve in sequenza, fino allo smeraldo intenso e spettacolare del quarto lago odierno, piccolo e invitante. Dopo un ultimo sguardo all’acqua dallo specchietto retrovisore, la strada sale dolcemente fino ai settecento metri dal mare di massima escursione, scollinata la quale si apre improvvisamente un panorama largo e vasto, di quelli che capitano di rado. Bellissimo.

Scendo a fondo valle da una gola di granito e da tornantoni larghi come Fange per poi assaporarmi il profumo delle tante vigne lungo la statale per Riva, dove poi imbrocco la Gardesana occidentale, strada meravigliosa e impervia, con le sue strette e buie gallerie abbagliate all’uscita dai risvolti luminosi che sole e vento disegnano sul pelo del lago di Garda, accolto dal profumo intenso di sempreverdi e di arbusti al sole di Limone, vera perla dell’alto Garda. Qui il caldo mi impone una doverosa sosta per abbeverarmi abbondantemente. Sotto la tuta di pelle si sta raggiungendo la temperatura di fusione del piombo. Urge un rimedio.
Lascio il fascino della Gardesana per salire a destra, in prossimità di Gargnano, per la val Toscolano, e lambire il sesto lago della giornata, quello di Valvestino, alla ricerca di fresco e di strada pura. E trovo entrambi. Questo tratto non è definibile ‘misto stretto’: di più. Per parecchio il tratto più lungo di rettilineo non supera i dodici metri. Comincio a dondolare a tal punto da dovermi inghiottire una xamamina. Il cambio smette di servire ad alcunchè: fino all’approssimarsi del lago si dosa solo la manopola del gas (a volte mi chiedo perchè gas, visto che non vado a GPL, ma nel dubbio tengo aperto). Se qualcuno mi vedesse da dietro potrebbe equivocare, dato che il susseguirsi di curve è talmente fitto da farmi sculettare come Sylvester alla vista di Marc Almond. Ma chi vuoi che mi veda? Non c’è quasi nessuno. Curiosamente poi per quasi tutto il tragitto le poche moto pervenivano tutte in senso opposto.

E quando arrivi a Idro, quando diresti ‘è finita’, quando sei già sfamato abbondantemente di curve e solitudine motociclistica, ti resta il ritorno del primo tratto bresciano, quello (visto a rovescio) di Castro e della discesa a Iseo. Col sole di fronte, che disegna dentro la tua visiera i magici effetti del filtro “Lens Flare” di Photoshop a giocare con le ombre degli alberi nelle curve a sinistra, ti ri-lanci nei curvoni in appoggio in solitaria beatitudine, godendoti appieno il piacere vibrante del quattro valvole sempre in forma.

A tal proposito, in precedenza, sulla Gardesana ho dimenticato un simpatico episodio, presunto ma credo assai probabile. Avevo raggiunto una R1 seconda serie con zainetto lillipuziano appeso (buon per lei, su quella moto essere microbi è un vantaggio), dall’autista allegrotto. Per un pò procediamo in trenino fino alla prima galleria, dove, per recuperarlo per via delle auto difficili da superare decido di spalancare un po’ la manetta mettendo a conoscenza degli astanti dentro al tunnel cosa succede quando si ruota insistentemente la manopola destra in associazione alla micidiale accoppiata Termignoni-Mistral. Ehm… un lieve sorrisetto obliquo, misto di imbarazzo e piacere mi si stampa in volto, e la R1 si fa improvvisamente da parte. Per tutta la seguente permanenza sulla Gardesana (soprattutto in coincidenza delle ulteriori gallerie) preferirà parzializzare il gas per starmi dietro. Al che, ipotizzando lo scopo della manovra, naturalmente decido di proseguire la Sinfonia in G dur, Opera Bicilindrica 4V, etichetta La Voce del Minchione (con Iosca al posto del cane accanto al megafono), portando a tratti l’impeto a ottomila e cinquecento giri. Non c’è teatro migliore al mondo delle gallerie a cupola della Gardesana. Il termine ‘assordante’ va ridefinto completamente. La pienezza orchestrale è da far impallidire i Berliner. Mi sono immaginato il ragazzo sulla R1 contento dei suoi cavalli rauchi ma estasiato dai miei pochi ma intonati da Dio. Chissà se sarà stato davvero così?

Sono le 19 ormai, dopo l’ultimo tratto di strette curve si staglia in controluce il lago d’Iseo dove discendo rapidamente (sempre senz’auto attorno), per piombare in pieno rientro da weekend milanese al lago in autostrada. Grazie al cielo per poco, con gambe e ginocchia dolenti ma felice di aver scovato un raggio verde nel tramonto bresciano.

Storia del Lario

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di Fenca

 

“Ciao a tutti, vorrei raccontarvi la mia storia guzzistica.
Ho 36 anni e possiedo la Breva da poco più di 2 anni con immensa soddisfazione.
Ancora adesso non riesco a capire perché mi sia innamorato della moto poiché da ragazzo non possedevo neppure il motorino, ma ormai ho rinunciato a trovare una spiegazione logica. Finalmente è uscito prepotentemente il mio lato istintivo ed emotivo, lasciando da parte la razionalità che mi ha sempre contraddistinto.

L’anno scorso di questi periodi al ritorno da un negozio di moto e abbigliamento scorgo con la coda dell’occhio qualcosa di rosso all’interno della vetrina di un concessionario auto.
Chiedo al mio amico (che tra parentesi è passato da anonimo scooterista a felice possessore di Nevada) di tornare indietro per vedere cosa fosse.
Mi avvicino alla vetrina quasi a toccarla con il naso e riconosco una Lario rossa.
Già venti anni fa mi piaceva la linea anche se era ancora ben lontana da me la passione.
Giro intorno alla moto solo con l’immaginazione e vedo che è sporca, polverosa e piena di ragnatele. Buon segno, penso.
Ritorno dopo qualche giorno e chiedo informazioni al concessionario facendogli capire che non sono un appassionato che la vorrebbe a qualunque prezzo, anche se appena salgo in sella e mi allungo ai semimanubri provo un leggero brivido.
Cerco di coinvolgere anche mio padre nell’eventuale acquisto anche perché di sicuro ci sarà da smontare la moto a pezzi per verificare che tutto funzioni.
Passano comunque i mesi invernali e primaverili senza alcuna decisione in merito, finché un giorno ci mettiamo d’accordo per andarla a prendere. Evidentemente ci siamo convinti a vicenda.
Affittiamo un furgoncino, lo riempiano di corde, cartoni e tavola come rampa e partiamo alla volta del concessionario. Il prezzo era già stato pattuito qualche giorno prima e i documenti erano in preparazione.
Entriamo nel salone subito in direzione della moto e la portiamo al furgone dove ci aspetta la mia ragazza pronta con le porte aperte e le funi. Prendiamo la rincorsa, siamo sulla rampa e ….traaacc. Ci guardiamo sorpresi per capire quale è al causa del rumore come di plastica che si spezza. Il puntale, noo! Cominciamo bene!
Già il puntale che non abbiamo considerato. Si è solo spezzato in due senza andare in mille pezzi. Poco male si riparerà in qualche modo.
Non vi nascondo la mia contentezza di bambino quando siamo ripartiti con la moto caricata nel furgone alla volta di casa.

La moto è stata smontata pezzo a pezzo durante i caldi giorni estivi.
Tutto sommato la moto era a posto: qualche cavo elettrico sostituito, i carburatori smontati e puliti, i componenti meccanici del motore e della trasmissione in buono stato, cambiati oli, filtri, candele, regolati i carburatori.
Insomma dopo due mesi di smontaggio, controlli, verifiche e rimontaggio la moto emette un bel suono di scarico e di aspirazione.

Spesso esco con la Lario, lasciando la Breva in garage da sola sperando che non si ingelogisca.

Già che ci sono vi racconto anche cosa mi è accaduto pochi mesi fa.
Una domenica, dopo un giretto da solo perché la donna aveva freddo, torno a casa e poco prima di parcheggiare vedo uno in macchina che, entrando nel cortile, rallenta, mi guarda e guarda la moto.
Lo guardo, rallento e mi fermo dove ha parcheggiato la macchina per chiedere il motivo della sua attenzione.
Il tipo riguarda la moto e mi chiede che modello sia. “Una Lario” gli rispondo.
“Lo sa che anche io avevo una Lario tempo fa, poi mio figlio mi ha convinto a venderla per comprare una Hornet che ogni tanto utilizzo. Ma lo sa che mi pare quella che avevo io”.
Gli propongo di guardarla meglio, di ricordarsi la targa, di osservare qualche particolare. Poi per dissipare i dubbi gli chiedo il nome.
Mi risponde, nel contempo ci presentiamo e gli confermo che il suo nome in effetti compare nel libretto di circolazione.
Gli ho visto gli occhi illuminarsi.
Mi racconta la sua storia e mi ringrazia di far circolare la Lario. Prima di andare a pranzare mi confida: “Questa domenica per me è cominciata male per questioni personali, ma dopo averla incontrata mi sento molto contento. Vedere la moto è come ritrovare il proprio cane dopo averlo smarrito. Se ha bisogno mi chiami”

Sono andato a casa pieno di felicità perché una cosa simile non credo che capiti spesso e perché ho constatato che la moto, in particolare le nostre moto, rappresentino un modo unico per conoscere gente, stringere amicizie e rendere partecipi di emozioni chiunque.

L’Anima delle Guzzi

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di Apparente-Guzzista

“Oggi voglio proprio marinare il rientro in ufficio e farmi un bel giretto in moto, come ai vecchi tempi….ai tempi della scuola quando, il primo giorno di primavera sceglievo un posto, con una bella vista dove potevo mirare la natura che si risvegliava e così, con la mia bicicletta, mi godevo la giornata, alla faccia degli impegni.“

Così cominciò quel pomeriggio del 21 marzo.
Presi la mia Nevada 750 e andai dal mio amico Michele, Guzzista, proprietario di una Nevada 350.
La strada per arrivare da lui era trafficata ma, il pomeriggio si presentava con un sole che a dispetto dei giorni precedenti, grigi e piovosi, dava il suo benvenuto alla primavera appena nata.
Arrivato sotto casa sua, diedi due colpi di gas della mia Guzzi e subito dopo lo vidi spuntare dalla finestra, attratto dal richiamo di quel suadente suono a lui straordinariamente ammaliante. Ci salutiamo, lui scende immediatamente, viene in strada, ci accostiamo e lì cominciò il chiacchieriggio simpatico e gustoso tra due amici che condividono la stessa passione.
Ad un certo punto Michele mi confessa: “Sai, anche Alberto è d’accordo con te. anche secondo lui, faccio male a non valutare l’occasione che mi viene offerta da Stefano .” Stefano è il proprietario di una splendida Moto Guzzi California che dopo appena un anno dall’acquisto è costretto a venderla, poiché deve trasferirsi temporaneamente all’estero per lavoro e non può portarsi con sé la sua amata cavalla di metallo. Alberto inveceè l’amico di Michele, esperto di moto, attualmente a piedi per cause di forza maggiore, al quale viene spesso richiesto parere su scelte e decisioni.
Io di rimando gli dico: “ su dài, che aspetti a definire l’accordo con Stefano? Mi sembra onesta la sua proposta e soprattutto tu coroni un sogno. Non è forse il tuo sogno cavalcare una cali? Bene, questa è quella che fa per te. E’ una cavallina, che presto perderà il suo padrone. Le tue cure e le tue attenzioni eviteranno che resti triste e in balia di un freddo e insensibile concessionario, avido e attento solo ai guadagni.”
Michele, alle mie parole, tacque, si assorse nei suoi pensieri e subito dopo cambiò argomento.
Continuammo a chiacchierare e mentre passeggiammo, poco distanti dalla mia Hacuna, incontrammo Alberto. Subito Michele, si affrettò a presentarmi Alberto, persona dal piglio sicuro e molto affabile. Dopo le presentazioni di rito, la “cerimonia” ebbe il suo giusto epilogo: osservare al “microscopio” la mia Hacuna. Michele indicò con la mano il posto dove sostava lei, Alberto le girò intorno, la guardò, la scrutò e con occhio attento, piglio professionale non tardò ad enunciare la sua “diagnosi”. ”E’ proprio una bella moto. Complimenti! Anche tu hai avuto fortuna a trovare una moto così ben tenuta!” E continuando: “ Invece questo testone, perde il suo tempo in inutili riflessioni. Acquistare o no la Cali di Stefano. Io l’ho vista. E’ una gran bella moto, nuova, tenuta maniacalmente e dai colori molto simpatici.” Dopo le parole di Alberto, girai immediatamente lo sguardo verso Michele per carpirne le reazioni gestuali ma lui niente, inflessibile come una sfinge, sembrava disinteressato a tutto quello che gli stavamo dicendo. Mi pareva sospetto quell’atteggiamento.
Proseguimmo la passeggiata affrontando i discorsi più disparati ma, quello circa l’eventualità di acquistare la Cali di Stefano, no. Per Michele sembrava tabù. Mi era oltremodo strano quel suo atteggiamento.
Arrivò l’ora dei saluti. Il sole ormai era andato a riposare, stanco delle fatiche del giorno. La sera aveva preso servizio quotidiano e sembrava già fresca e poco invitante perché ci si attardasse ancora. Misi in moto e partii per far ritorno a casa non senza aver fatto di tutto per allungare la strada che porta verso casa.
Una volta chiusa la porta del garage, squilla il cellulare, penso: “ Saranno i miei, preoccupati per il ritardo inconsueto”. Invece no, era Michele. “Ancora su quella cazzo di moto sei?” Disse con fare seccato di chi cerca il suo interlocutore ma non riesce a trovarlo che solo dopo un sacco di tentativi. “Perché ti meravigli, ho sbagliato strada e ho allungato.” E lui: ”sempre le stesse scuse. Ti devo dire una cosa importante: ho chiamato Stefano e ho acquistato la moto!”, ed io: “ma no! Veramente? Complimenti! Hai fatto la cosa giusta.”
Però, conoscendo Michele, che si entusiasma anche quando, in moto, riesce a schivare una famiglia di moscerini che gli va incontro, ascoltando la sua voce piatta, priva di enfasi pensai, qui qualcosa non va! Il sogno della sua vita, la meta raggiunta eppure, l’entusiasmo sembra essersi dimenticato di lui. Mi trattengo ancora un po’ per fargli ancora i complimenti e gli do appuntamento per il giorno seguente.
In serata, durante la cena ripensavo a quell’ultima telefonata con Michele. Non riuscivo ad unire i tasselli di quel mosaico, qualcosa non mi quadrava.
Il giorno seguente, al lavoro, non riuscivo a distrarre la mente da quella vicenda che non funzionava come doveva, secondo me. Per un po’ ho anche dubitato della convinzione di conoscere Michele ma, ero troppo certo delle sue reazioni e quindi il tarlo si faceva sempre più incessante.
A metà mattinata mi squilla il cellulare. E’ Michele! ” Michele ciao, come va?” e lui: “ Cosa mi consigli di fare? Io non posso tenere due moto. Come faccio?” ed io gli rispondo con calma: “devi vendere la tua, non c’è alternativa, ti devi disfare della moto e cominciare a goderti la tua California”. Con fare rammaricato mi dice: ” Io sono innamorato della mia moto, io non posso separarmi da lei; lei è parte di me, della mia esperienza. Io ho sognato fin da piccolo di diventare un Guzzista. Ero attratto dal suono che emettevano le marmitte delle Guzzi quando, in paese le vedevo sfilare davanti a me, cavalcate da felici proprietari orgogliosi di possederle e di mostrarle in tutta la loro bellezza. Quando passavano, davanti ai miei occhi si imprimeva l’immagine dell’aquila che era lì per spiccare il suo volo, insieme al suo possessore, per volare insieme verso la libertà.
Quando ebbi la fortuna, a quasi cinquant’anni, di comprarmi la mia Nevada 350, io allora toccai con mano il significato di quello che vedevo. Solo lei, mi ha regalato le emozioni che sognavo da bambino, Io non posso tradirla, io non posso separarmi da lei!” Il suo appello era così accorato da emozionarmi al punto di non aver più il coraggio di continuare quella telefonata.
Lo salutai e gli promisi che mi sarei fatto sentire più tardi, magari ne avremmo discusso meglio.
La giornata trascorse in fretta con il rimbombare delle parole di Michele nella mia testa. Non riuscivo a distogliermi da quell’appello accorato, dal quel bisogno di trovare una soluzione giusta per la sua moto, per la moto di cui Michele era innamorato. Cederla voleva dire per lui, tradirla, tradire tutte quelle esperienze che con lei aveva condiviso dopo tanto averla sognata. Feci una considerazione: ma si può essere innamorati al tal punto per una moto? Evidentemente si! Ed era la cosa che complicava tutto il resto delle vicenda. Cosa si poteva suggerire, in alternativa, alla cessione della sua moto? Bella storia!
La giornata trascorse.
L’indomani, mentre mi apprestavo ad andare al lavoro, mi squilla il cellulare e mi sento dire: “Hai un minuto?” Era ancora Michele. Io penso, prima di dargli la disponibilità ad ascoltarlo, per bacco non sono in grado di dargli nessun consiglio! Speriamo bene!! “si ti ascolto, dimmi.” E lui: “ adesso ti leggo un fax che mi è appena pervenuto. È scritto da Stefano.” Il fax recitava così: “Michele, ho deciso di scriverti perché mi rendo conto di non farti cosa gradita.
Finora ero abituato a tenere fede alla parola data, ma ti prego di capirmi. Da ieri sera, dopo il momento di aver realizzato che la moto non era più mia, non sono più lo stesso; questa notte non ho dormito serenamente, il pensiero mi ossessiona.
Se veramente sei guzzista convinto, puoi sforzarti di capirmi, ho comprato questa moto con tanta gioia, ho finalmente realizzato un sogno che avevo da tempo; inoltre questa moto l’ho comprata come regalo per aver conseguito un traguardo per me importantissimo: essermi laureato, dopo grossi sacrifici, a 48 anni.
Un sogno realizzato che meritava di essere completato con un altro sogno che avevo nel cassetto. C’è un altro motivo: ho un figlio di 26 anni che è rimasto profondamente deluso dalla notizia della vendita, sperava che un giorno gliela regalassi.
Per questi motivi ti chiedo di scusarmi e perdonarmi per questa decisione che ti ferirà, ma sono sicuro che sarai in grado di comprendermi.
Troverai sicuramente una moto bella come la mia e probabilmente ad un prezzo più favorevole per te.
Sono disposto ad aiutarti a trovarla, e ci incontreremo di frequente sulle nostre belle Moto Guzzi, un marchio glorioso che merita la nostra passione.
Scusami ancora.
Ti saluto con affetto, Stefano.”
Michele finito di leggermi la lettera di Stefano mi disse: “Grazie a Stefano ho compreso che non ci sarà mai più un’altra moto nella mia vita. Io ho avuto la stessa notte di Stefano. Questa mattina mi sono destato che ero un’altra persona. L’insonnia e la frustrazione mi hanno fatto compagnia per l’intera notte.”
Stetti in silenzio.
Questa storia non poteva essere casuale. L’amore per una Moto Guzzi, è un amore particolare. Ove scocca, attiva una sorta di anima che è propria nelle Guzzi. Quando scegli una Guzzi e perché l’amerai. Non l’acquisti per semplice gusto ma lo fai perché, prima o poi, sarà parte di te e non potrai più farne a meno di lei. Non puoi possederla come un oggetto inanimato, un semplice mezzo di trasporto.
Bellissimo essere Guzzisti.
Presi fiato, e risposi: “ Michele, ha vinto l’affetto, hanno vinto i sentimenti, quelli più veri. Riposa tranquillo e sii certo che la tua Guzzi continuerà a regalarti quelle emozioni che ti faranno continuare ad essere orgoglioso di lei. Ciao.”

Sulla preparazione della mia vecchia Guzzi da corsa

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Sulla preparazione della mia vecchia Guzzi da corsa

di Mototopo

In motocicletta la tentazione a correre è ovunque e si annida dietro alle occasioni più impensate, come ad una partenza al semaforo, mentre fermi, in moto al rosso, ci affianca la solita inconsapevole quanto riprovevole faccia smanettante col gas.
La competizione insita nel correre e nell’anelito alla vittoria è un cancro; è ovunque. Per questo forse è umana. La competizione e la sfida si insinuano, infide e sottocutanee; anestetizzano le nostre coscienze e le appuntiscono come frecce tese verso bersagli sempre più lontani, difficili, e soprattutto sempre più insignificanti e distanti da noi e dal nostro reale benessere.
Al primo vagito è già competizione quando la madre con i parenti inizieranno i confronti di peso, di altezza e di tono ugolare con gli altri neonati; così come la morte, in ultimo, diventerà una sfida personale nello strappare giorni di vita, quasi che la propria presenza al mondo non abbia altro significato se non rappresentare rabbiosi la propria ultima vendetta.
A me è già successo ed anche voi, prima o poi, sentirete quella voce tentatrice che dal profondo del vostro cuore o da dietro l’angolo del garage perentoria dirà: “Mai sarai un vero minchia se una Guzzi da corsa non farai”.

Miiiinkia!!! – mi son detto!

E adesso come si fa una moto da corsa? Dove inizio per fare la mia Guzzi da corsa? Decido di iniziare andando in libreria; quella a fianco del mio garage. Mi propongono subito un saggio dal titolo inequivocabile: “Sulla preparazione di una Moto Guzzi da corsa”.

Beeeene!!! – mi son detto!

Il saggio inizia con una citazione che da lì a poco si dimostrerà più che illuminante: “La moto da corsa deve diventare il prolungamento del proprio corpo: tra il pilota e la sua moto ci deve essere la totale identificazione e l’assoluta simbiosi. Essa deve diventare lo strumento tecnico del nostro corpo finalizzato alla vittoria”.

Miiiinkia!!! – mi son detto!

Mi è bastata quella frase per capire tutto quello che dovevo fare alla mia vecchia Guzzi. Non so se perché ero già abbastanza intelligente o piuttosto già assai minchia. Comunque sia, cestino il libro e inizio con certezza la mia opera. L’analisi comparata tra il mio corpo e il suo futuro strumento di vittoria mi portò subito a realizzare i seguenti interventi.
Nuove valvole cardiache e trachee maggiorate.
Una delicata e minuziosa lucidatura dei condotti orali per meglio farle apprezzare l’aria di vittoria presto vicina.
L’inevitabile trapianto di due bei nuovi polmoni altrettanto maggiorati.
Un bel radiatore osmotico per alleviarle l’affanno quando il passo sarà più lungo della gamba. Le indispensabili sacche e cateteri per tutti quei liquidi più o meno oleosi.
Il reimpianto completo in treccia metallica e arti flottanti di tutto l’apparato tenditore e vascolare.
Il misterioso albero della vita ks.
Una foratina a quella ciclopica trottola volanica.
Una visita accurata dallo specialista ortopedico per le necessarie modifiche e riparazioni alla struttura ossea portante.
Un’amputazione decisa dei due femori inferiori del telaio, tanto è sempre andata e sempre andrà su due ruote.
Piccoli ma mirati interventi di chirurgia plastica per meglio affinare la sua fisionomia aerodinamica.
Una drastica riduzione e riassemblaggio dell’apparato elettrico del sistema nervoso visto che ad una certa età la saggezza potrà esprimersi senza una eccessiva profusione di contatti neurali.
Il consueto pannolone sotto coppa per arginare tutte le possibili incontinenze nei momenti di maggior sforzo dinamico.
La mia Guzzi da corsa è da tempo finita e nonostante tutto questo popo’ di lavoro non ho ancora vinto una gara.

Miiiinkia!!! – mi son fatto!

Dovevo forse finire di leggere quel libro? Ho forse sbagliato qualcosa nella preparazione della mia moto da corsa? In quale campionato dovrei correre per tornare finalmente vittorioso con il mio nuovo strumento di guerra finalizzato alla vittoria? A cosa potrà mai servire la mia motocicletta da corsa? Che Guzzi da corsa ho mai fatto?

Sulla preparazione della mia vecchia Guzzi da corsa

Questa storiella illustrata è dedicata a Tatuato poiché io so che nel profondo del suo cuore è un figlio dei fiori e sulla superficie un inquieto amante dei cannoni…

Il mio viaggio in California, quando si dice sfiga

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di stefano qv

Non ho un buon rapporto con la mia California,l’ho comprata usata quasi per caso,affascinato dalle sue forme e dai commenti di moto mangiakm e indistruttibile,tutte cose che effettivamente sono vere,il problema di questa moto,come si dice spesso,sono io.

Non sono mai stato un motociclista da moto del genere della California,ho sempre avuto moto sportiveggianti,per cui quando uso il Cali dopo qualche km entro in modalità “sport” e cerco di guidarla come se fosse il v11,metto i piedi sulle pedane posteriori mi acquatto sul serbatoio e cerco di guidarla sportivamente..intendiamoci,paragonata ad altre moto della sua categoria il Cali è come un 998,ma per il mio metro di misura,rimane …una California.
Nonostante questo,del mio Cali apprezzo molte cose,è infaticabile,posso caricarla come un mulo,è relativamente comoda.

In questo periodo sto traslocando…una cosetta da niente,dalla Germania alla Sardegna,questi ultimi due mesi sono stati un viavai di viaggi per il trasloco,il lavoro,la casa ecc…le cose da trasportare sembrano non finire mai,ma sono quasi alla fine,e la scorsa settimana dovevo andare in sardegna per seguire un corso di formazione per il mio nuovo lkavoro,e io ho pensato che potevo aprofittarne per trasportare un pò di cose,e qui arriva il primo quesito che mi sono posto:
Con cosa trasporto tutta questa roba?
Considerando che la temperatura è di 3°sopra lo zero e che sono possessore di un Suv e di una grande e comoda berlina teutonica,la scelta è logicamente caduta sulla California.
Un trasloco con la California…tutti mi hanno preso per il coglione che sono…ma io non ho cambiato idea,ho detto California,e california sarà!..d’altronde,Minkioni si resta!

Avevo due settimane di tempo per prepararmi,ho fatto un check alla moto:olio ,filtri,valvole,gomme,freni,ho aumentato il precarico alle molle post,ho spruzzato WD40 dappertutto,ho tirato tutte le viti da tirare,ho preparato le valigie,e caricato per bene la batteria.
Ho usato il Cali per tutta la settimana precedente al viaggio,se c’è qualche rogna,dovevo rendermene conto…niente,nessun problema,la mia Guzzi Guzza che è una bellezza.

Dovevo partire il sabato mattina alle 06.00,e il venerdi alle 19.00 parcheggio il cali in garage,attacco le borse rigide,sistemo la borsa da serbatoio e il borsone sul sedile del passeggero,fisso il casco di riserva e varie altre cose con il ragno elastico,il sacco a pelo che fa tanto “uomo di mondo” anche se viaggerò in cabina sul traghetto..perchè io valgo.

SABATO….ore 05.00,suona la sveglia,mi alzo e mi faccio la doccia…sono impaziente,non vedo l’ora di partire…mi vesto e porto Tonino(Il mio canO) a fare la sua passeggiata,ha capito che succede qualcosa di strano,forse sente che il suo padrone va via,e quando rientro dal giro non mi perde di vista un attimo,quel cane è meglio di una persona..sembra voglia dirmi di non lasciarlo e di portarlo con me.
Resisto allo sguardo triste di Tonino e inizio a vestirmi…fuori è buio e fa freddo,il termometro indica un paio di gradi sopra lo zero,e io sono ansioso di testare tutta la mia attrezzatura ,che ho comprato,e che come un pirla non vedo l’ora di indossare.Magliettina in microfibra,sottotuta antifreddo garantito “polo nord e dintorni”,calze comprate apposta da Louis pantaloni tecnici imbottiti stivali tecnici imbottiti,jacket con le protezioni ,sottogola imbottito,giubbotto granraidterradelfuococheilfreddomifaunapippa…sono quasi pronto,saluto il canO ed esco fuori,metto il Cali in posizione e indosso il sottocasco,fare manovra con il Cali carico mi ha fatto sudare,nonostante la temperatura polare,sento le vampate di caldo sotto l’abbigliamento “meglio così ” ho pensato “si vede che non ho speso i soldi alla caxxo stavolta”,quindi proseguo con la mia vestizione,casco,sottoguanti e guanti imbottiti,sono pronto!|
Mi inserisco con un agile gesto tra la borsa da serbatoio e il borsone fissato sulla sella posteriore,e adagio le mie terga sulla sella preventivamente ricoperta da una pella d’agnello (sono troppo previdente  )…isso il Cali sulle sue ruote e faccio rientrare il cavalletto…sudo…giro la chiave….e pigio il pulsante…il motorino gira ma la moto non parte…”MERDA!!!!”,riprovo,stessa storia..il motorino gira allegro ma il cali non si avvia….faccio il giro dei controllini mentali…la benza è aperta,il pulsantino maledetto è sulla posizione RUN…tutto quadra,riprovo spegnendo i fari,ma la moto non parte…e riprovo fino a quando la batteria si scarica….”MERDISSIMA!!!!”
Scendo dalla moto,mi tolgo in casco velocissimo insieme ai guanti e mi fiondo in garage alla ricerca dei cavetti,che stranamente,trovo subito,rientro in casa,risaluto il cano,prendo le chiavi del SUV e ritorno fuori,tolgo la pella d’agnello dal sedile,tolgo il sedile,apro il cofano della macchina collego i morsetti,giro la chiave del Cali…magia! la moto parte allegra ,fa freddo e il minimo è un pò incerto,tiro il manettino dell’aria per tenerla su di giri,scollego i cavi e li rimetto in garage,chiudo il cofano e riporto le chiavi in casa,risaluto Tonino,chiudo la porta e corro verso la moto,sono sudatissimo,un caldo soffocante che permea il mio corpo e che non riesce a sfogarsi all’esterno..una sauna!..arrivo alla moto e inizio a rivestirmi,metto gli auricolari e accendo il lettore mp3,infilo il sotto casco con i jefferson airplane che mi urlano nelle orecchie,casco e occhiali,tengo d’occhio il contagiri pronto ad accelerare se la lancetta va troppo giù,sottoguanti,guanti…rieccomi pronto…sudato come un cinghiale.
Mi infilo dentro la moto,accellero,tiro su il cavalletto tiro la frizione premo il pedale “Clang!” la prima è entrata…e la moto si spegne!

Tristezza e Fastidio!

Riprovo con il pulsantino d’avviamento…niente…la batteria è troppo scarica.
Daccapo!
Via il casco e i guanti,cerca i cavetti,vai in casa a prendere le chiavi della macchina…il cano mi guarda e ormai non sa più cosa pensare,collego i cavi dopo aver smontato la pella e il sedile del cali,la moto parte come una stronza rispondendo allegra alla manopola del gas…stavolta non mi freghi…erano le 07.30 del mattino e i miei vicini hanno sentito una moto a 4000 giri fissi…chissenefrega!
Smonta tutto e riponi i cavi in garage,rimonta la sella con la pella,chiudo il cofano metto le chiavi in casa…il cano mi manda a cagare,mi rivesto sottocasco casco sottoguanti e guanti,inforco la moto e finalmente parto per il mio viaggio transeuropeo.

Attraverso il centro abitato e mi immetto in autostrada,tutto funge..nelle orecchie la musica mi tiene vigile,l’insopportabile calore inizia a trasformarsi nel piacevole tepore che mi accompagnerà per tutto il viaggio,inizio a controllare mentalmente le cose,i documenti,la benza i fari,un’occhio negli specchietti per vedere se il bagaglio è ancorato….sono in aiutostrada,ho percorso 7 km,e inizio a pensare che me ne mancano circa 800 per arrivare a destinazione…ma la moto inizia stranamente a perdere giri…la musica nelle orecchie mi impedisce di sentire bene,ma indubbiamente qualcosa non va…la moto perde giri e inizia a rallentare…non risponde più all’acceleratore “MERDA!!!!”,smetto di accelerare e accosto,la moto si ferma e il motore si spegne!”MERDISSIMA!”
Cosa fare?
Provo inutilmente con il pulsantino…inutilmente appunto!
Niente da fare…il mio traghetto parte alle 20.30,sono le 08.00 e io ho fatto appena 7 km.cosa fare?è sabato,e tutti quelli che conosco saranno a letto a quest’ora,ma provo lo stesso a telefonare a qualcuno…dopo dieci telefonate a vuoto,mi risponde un mio collega di lavoro…gli spiego la situazione e gli dico di venire con i cavetti in autostrada,lui accetta e mette giù…secondo me mi ha pure mandato a caxxare…non so perchè ma non mi sembrava contento di essere svegliato così presto,è un dubbio che mi tormenterà per sempre!

Mi appoggio al guard rail,mi accendo una paglia e guardo la moto…le macchine passano e anche i camion…uno di questi passa e con lo spostamento dell’aria fa cadere il casco per terra “MERDA!!!”vado a raccoglierlo sperando che non si sia rotto,mentre controllo il casco con il fumo che mi va negli occhi,si accosta una pattuglia della famigerata POLIZEI…con cui non ho proprio dei rapporti idilliaci,non sono un delinquente,ma ho avuto modo di constatare che a volte essere Italiani non vuol dire essere ben visti…mi chiedono cosa succede,e io rispondo che non ci sono problemi,si è fermata la moto e sto aspettando il carro attrezzi…risposta”si sbrighi a togliere la mot,non può sostare in corsia di emergenza” “ok!” dico io.
I pulotti se ne vanno e io chiamo il mio amico
-Giorgio,dove caxxo sei?”
-Buoingiorno anche a te…
-dove sei?si è appena fermata la pula,mi hanno detto di sparecchiare in fretta!
-arrivo tra venti minuti
-MERDA!
-buongiorno anche a te!

Metto giu e accendo un’altra cicca…controllo il casco,apro la cerniera del giubbotto…sto scoppiando di caldo….guardo il traffico che sfreccia tenendo ben saldo il casco tra le mani…continuo a guardare l’orologio…sono passati 15 minuti…e vedo un’altra macchina della POLIZEI che si ferma
-.Tutto bene?
-Si,sto aspettando il carro attrezzi,la mot non parte…
-non può sostare in corsia di emergenza,se riceviamo un’altra segnalazione chiamiamo noi il carro attrezzi.
-Grazie signori Pulotti,spero che il mio arrivi presto,ormai sarà questione di attimi.
-Arrivederci!
-Vaffancxxo!

I pulotti vanno via e io richiamo Giorgio

-Dove sei?
-Sto arrivando…
-Sbrigati!
-Ben svegliato…
-vaffancxxo!

Sono nervosissimo,ho caldo,ho fretta,ho paura dei pulotti e devo assolutamente essere a Genova entro le 20.30,e sono quasi le 09.00…accendo un’altra paglia…mi guardo intorno,e finalmente vedo arrivare la Chrisler di Giorgio.si ferma dietro al Cali e mi saluta sconsolato come a dire “solo un minkione come te può partire in moto con questo freddo…te lo avevo detto”.
mi passa i cavi mentre io smonto per l’ennesima volta il sedile con la pella dalla moto e collego i morsetti alla batteria…come al solito,il Cali parte al primo colpo….delego Giorgio all’accelerata anti spegnimento mentre io mi rivesto…auricolari,sottocasco,casco,sottoguanti,guanti,e via inserimento in moto…dico a Giorgio di seguirmi per un pò,metto la prima e parto.
Faccio dieci km e faccio segno al mio amico di girare…la moto va bene…e io mi appresto a fare gli 800 km che mi separano dalla mia meta….

Sono arrivato a Genova alle 19.40…ho fatto il biglietto e sono riuscito a imbarcarmi…mi hanno rubato i guanti mentre facevo il biglietto,ma in compenso la moto non mi ha più dato problemi,ma la sfiga ha continuato a perseguitarmi comunque sotto forma di un benzinaio che mi ha fatto cadere il casco nuovo rompendo la visiera,costringendomi ad indossare quello di riserva con la visiera graffiatissima ed obbligandomi a fare la serravalle a velocità lumaca perchè non vedevo una cippa… la sfiga è continuata in sardegna quando il telaietto del bauletto posteriore ha pensato di svitarsi, rimanendo incastrato nel fanale posteriore,fortunatamente un automobilista mi ha fatto accostare…e io ho perso mezza mattinata a rimontare il telaietto in mezzo alla 131…in compenso non si è fermata neanche una pattuglia di poliziotti …

Dopo tutto questo,dovrei odiare quella moto,la Moto Guzzi in generale,il motociclismo e tutto quello che ruota intorno a questo mondo a due ruote…e invece,sono qui che rileggo il mio riassuntino di persona sfigata e rido pensando che queste avventure mi fanno amare l’essere motociclista,l’essere una persona fuori dalle solite regole…quando penso a tutti gli automobilisti che mi hanno sorpassato in autostrada guardandomi meravigliati,ai motociclisti che in macchina mi vedevano viaggiare e alzavano il pollice per salutarmi dal finestrino o ai bambini che dal lunotto posteriore mi sorridevano ,per poi sbracciarsi quando li salutavo con un lampeggio…ecco,alla fine sono un minkione,e mi basta poco per essere contento…sono contento di essere motociclista…e ancora di più di essere Guzzista!
Di ‘ste robe ne farò finchè campo!
e poi,alla fine…800km sono passati in fretta.

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