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Mojoli Engineering

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Intervista di di Wild Goose

 

Io, vi confesso, ricevuta la notizia dello “stop” al progetto VA10, mi si è aperta una ferita davvero dolorosa. Da allora mi sono chiesto spesso se il “padre” di questo motore ne sapesse il vero motivo, se potesse dirci a che punto fosse lo sviluppo, e cosa ci si potesse aspettare se fosse stato prodotto in serie e montato sulle Moto Guzzi del XXI secolo.
Flashback: 19/05/2004
Lavorando a Cernusco S/N (MI), vengo a sapere che nella stessa zona del paese ha sede la Mojoli Engineering. Così, timidamente e senza pretese, mando una e-mail all’indirizzo che ho trovato sul loro sito proponendo una breve intervista e fornendo i miei dati per contattarmi, dando per improbabile una risposta (dicasi: sindrome di Calimero).
Il giorno dopo ricevo una telefonata sul mio cellulare, non riconosco il numero sul display ma decido di rispondere.
R: Pronto?
DM: Sì, sono Danilo Mojoli (Oddio, lui in persona… mi si gela il sangue: e mo’ che gli dico?) ho ricevuto una vostra e-mail per un’intervista…
WG: Eh sì… sa, è per Anima Guzzista: ormai comprende una comunità piuttosto vasta di appassionati… (volevo andare avanti a spiegare l’argomento dell’intervista, ma lui mi interrompe educatamente e con voce più vivace)
DM: Sì sì, vado spesso in quel sito. Eh, io devo confessare, la mia origine non è Guzzista, prima ho lavorato per Gilera… però sono molto affezionato alla Moto Guzzi, e ho lavorato su molti progetti di motori e componenti… non so se ha visto su Internet i nostri lavori, fra cui, ad esempio, un motore bicilindrico a V raffreddato a liquido…
Inizia una piacevolissima chiacchierata per telefono, in cui già si giunge nel vivo dell’argomento “motori per Guzzi”, così, cercando di tamponare il magnifico entusiasmo di Danilo Mojoli, senza apparire brusco, propongo di proseguire a quattro occhi. Così ci diamo appuntamento per Martedì 25 maggio.
Il colloquio che segue non sarà accompagnato da fotografie o effetti speciali. Ma vi assicuro che sarà piuttosto improntato sulla tecnica: Danilo Mojoli ha voluto descrivere il comportamento, i numeri, i calcoli fatti sul motore che abbiamo sognato per qualche mese: il VA10.
Ma non tutti hanno sentito parlare di un motore che avrebbe potuto fare ancora meglio per la casa di Mandello. Leggete un po’…

25/05/2004
Raggiungo lo studio di Danilo Mojoli, che mi accoglie gentilmente. All’ingresso noto una bacheca di vetro contenente vari componenti e organi meccanici, fra cui una biella che sembrava di un camion. Ma non faccio in tempo a chiedere nulla, perché l’ing. Mojoli mi fa accomodare sulla poltrona di fronte alla sua scrivania. Probabilmente ha voglia di riprendere il discorso iniziato durante la prima telefonata, e infatti riattacca esattamente dove l’avevamo interrotto.
DM: …volevo farti vedere come avrebbe dovuto essere il VA10…
(da una cartella estrae un foglio con uno schizzo di un motore bicilindrico a V, dalle linee pulite e dalle dimensioni evidentemente compatte… )
DM: …questo sarebbe uno schizzo a mano, doveva essere un bicilindrico a V, ad acqua, ma anziché essere di 90 gradi come i motori tradizionali Guzzi, questo è un V a 75 gradi, con il blocco motore ruotato di 10 gradi in avanti, in modo da allontanare le teste dalle ginocchia.
WG: Certo…
DM: e poi la trasmissione finale è a catena perché per una moto sportiva pensavo di non usare il cardano….
WG: Come veniva girata la trasmissione da longitudinale a trasversale?
DM: con una coppia conica all’interno del motore.
WG: Guardando solo il primo disegno penso che questa (indicando lo schizzo) sarebbe dovuta essere la nuova filosofia Moto Guzzi, in linea con le concorrenti.
DM: Sì, doveva essere un po’ la novità, il rilancio perché… il discorso è stato che nel ’96 io sono entrato in Guzzi, in quell’epoca c’era il dottor Sacchi come Amministratore delegato, Ferrari all’ufficio tecnico; l’obbiettivo era quello di costruire una moto iper-sportiva per un uso “Sport Production”, poi stradale chiaramente, e un occhio alla SuperBike.
(Spalanco gli occhi. Mi rendo conto del potenziale economico e creativo ancora presenti in quegli anni, pur difficili)
DM: …ed è nato poi questo progetto…
(estrae un altro schizzo di una moto sportiva carenata, dalle linee piuttosto filanti ed aggressive, il monobraccio, e modeste aperture ai lati della carena che lasciano intravedere le teste del VA10…)
DM: …adesso questo era fatto a suo tempo in cui c’era il monobraccio, in realtà poi la moto doveva venire con il forcellone doppio, da questa parte c’era una capriata (a sinistra).
(altro schizzo riguardante il VA10 applicato sulle linee del telaio a lui dedicato, con relative proiezioni su avancorsa, escursione ruote e geometrie variabili)
DM: …questo è lo schizzo del motore… vedi, 10 gradi girato in avanti, in modo che le teste non possano interferire con le ginocchia, il cambio ad ingranaggi sovrapposti, in modo da ridurre la lunghezza del motore; si è cercato insomma di compattarlo il più possibile.
WG: da questo progetto cosa è stato realizzato infine? Fin dove si è arrivati?
DM: Il motore esiste come prototipo, funzionante naturalmente, è stato provato al banco. Il telaio invece non è stato realizzato perché lo stop è arrivato prima che riuscissimo fare la moto completa.
(Rimango composto, ma mi mordo la lingua dalla rabbia)
DM: Però il motore ha girato circa 70 ore al banco, per vedere diverse cose, come la curva di potenza, ed era partito bene, perché l’obbiettivo era di farne tre versioni: la SuperBike, la SP (Sport Production) e infine una versione più tranquilla, turistica. I tre step di potenza dovevano essere di 110 Cv per la versione più tranquilla, 130 per l’SP e poi l’obbiettivo era di 168 per la Super Bike. Con l’SP, al primo avviamento, siamo arrivati a 134 cavalli e mezzo.
WG: (Sento la mia lingua a brandelli) figuriamoci con un’adeguata messa a punto! (ora si soffre davvero).
DM: Eh, sì. Tant’è vero che la Weber Marelli, quando siamo arrivati a quella prestazione, ci ha comunicato che dovevamo cambiare gli iniettori perché quelli montati non erano più in grado di alimentare il motore per quelle potenze. Poi ci hanno fornito degli iniettori tipo quelli per le Ducati SuperBike per far andare avanti quello sviluppo, e invece ci hanno bloccato in quella fase. Non abbiamo neanche potuto provare quegli iniettori, che sicuramente sarebbero andati oltre.
(Segue un breve silenzio, per evitare che mi mettessi a piangere, rivolgo nuovamente lo sguardo sullo schizzo del VA10)
WG: …anche il percorso degli scarichi è diverso rispetto ai tradizionali Guzzi, è laterale.
DM: Sì, sono laterali, girati di 90 gradi, escono lateralmente. Comunque questi erano gli scarichi utilizzati per il banco, quindi non erano disegnati per stare in un telaio da moto. Questo motore era stato voluto appunto da Sacchi, l’Amministratore delegato, poi, via lui, arrivò Cecchinato, e anche lui spinse per fare questo motore, tant’è vero che l’abbiamo presentato poi… (riflette) nel giugno del novanta… novantanove. L’abbiamo presentato alla stampa a Mandello.
WG: Mi ricordo l’evento. Su Anima Guzzista ho visto le immagini e ho sentito la registrazione… (la sua espressione si fa perplessa: non dovevo forse parlare della registrazione del motore sul banco?)… eh, non mi ricordo in che occasione…
DM: (sorride) beh, in effetti, anch’io ogni tanto vado su Anima Guzzista, e mi ricordo che era uscita la registrazione di quel motore, ed era una delle registrazioni che avevamo fatto durante quella prova… non so da dove…
WG: (sorrido anch’io) dovevo tacere eh?
DM: No, anzi. Però c’ero rimasto, perché era una cosa che si era svolta tra noi quel giorno…
WG: forse l’entusiasmo era tanto anche tra i Guzzisti da volerlo sentire a tutti i costi.
DM: In effetti in Guzzi era molto sentito questo progetto, e c’era molta gente appassionata.
WG: Ma quindi cosa o chi ha decretato le stop al progetto? Motivi economici?
DM: No, beh, lo stop del VA10 è stato dato da Scandellari, nuovo Amministratore delegato, perché secondo lui quest’impostazione non era l’ideale per andare alle competizioni. Ora, siccome il marketing… siccome nel ’96 c’è stata una ricerca di mercato in 4 stati, ed era venuto fuori che la moto sportiva di Guzzi doveva avere quest’impostazione di due cilindri tipo tradizionale, insomma, allora abbiamo cercato di fare questo motore, restringendo la V a 75 gradi per ridurre gli ingombri laterali, raffreddato a liquido per la ricerca delle prestazioni… insomma, un motore moderno. Invece Scandellari riteneva che su una moto sportiva fosse da fare un motore con un’impostazione tipo Honda VTR o Ducati, così siamo passati a progettare il DM10…
(estrae uno schizzo a mano di un motore a V 90 gradi longitudinale, anche questo molto sobrio. Io non resisto alla tentazione e gli chiedo l’impossibile)
WG: C’è qualcosa tra questi schizzi che potrei eventualmente… fotografare?
DM: (in imbarazzo) eh, sarebbe roba riservata…
WG: Capisco, ci mancherebbe… (sigh). Solo un’altra cosa sul VA10: ho sentito molti appassionati sostenere che l’impostazione trasversale dei cilindri non è l’ideale per le competizioni non solo per un discorso di ingombri, ma anche per l’aspetto giroscopico che il volano comporta, non favorevole per leggi fisiche…
DM: (mi guarda con espressione tipo “cxxxo dici?”) Ora ti faccio risentire come girava questo motore… (dal PC apre l’mp3 con il suono del VA10 sul banco. Il motore tuona, aprendo una danza vertiginosa di giri al minuto).
WG: praticamente è come se non ci fosse un volano?
DM: …e calcola che questa era la versione SP, con il volano più pesante diciamo…
WG: non sento neanche un’esitazione…
DM: infatti, e pensa che non era neanche carburato. Erano i primi avviamenti.
WG: comunque ha girato in tutto 70 ore? E dopo?
DM: …e dopo sarebbe seguito il test di durata, di, diciamo, 250 o 300 ore, dove si fanno tutti i cicli per vedere se c’è qualche organo sottodimensionato… tieni presente che nelle 70 ore abbiamo distrutto tre volte l’albero del freno del banco! Il motore era talmente rapido a prendere i giri che l’inerzia del sistema del freno, siccome il banco era per 160 cavalli ed aveva una grossa inerzia, si era rotto tre volte. Quindi l’effetto giroscopico era davvero basso, perché il momento d’inerzia era davvero basso. Fra l’altro, per il fenomeno della coppia di rovesciamento, avevamo fatto un’altra cosa: l’ingranaggio che porta il moto alla distribuzione, aggiungendo massa, creava un effetto opposto per riequilibrare l’eventuale effetto giroscopico del motore.
WG: …una sorta di contralbero…
DM: esatto, anche se la massa non era pari, ma essendo contro-rotante, attenuava l’effetto giroscopico. Poi la frizione, che nei motori tradizionali svolge l’effetto “volano”, qui è laterale a dischi multipli, quindi non influisce sull’albero motore. Quindi su quel discorso lì son solo voci.
WG: Dunque, dopo 70 ore di lavoro com’erano le condizione del motore?
DM: I punti critici potevano essere l’albero motore perché aveva le manovelle disassate per equilibrare le forze di primo ordine. In effetti non si sono verificati problemi, malgrado il motore avesse rotto l’albero del banco e avesse quindi preso delle botte all’albero motore, perché nel momento che viene a mancare il freno del banco i giri del motore partivano alle stelle, quindi nel tempo di reazione per spegnere il banco si son sentiti dei bei fuorigiri. Ma non ha mai avuto problemi né di bielle né di altro. L’unico problema è stato per un errore nostro: un meccanico si era dimenticato di montare un sieger sullo spinotto del pistone, durante uno smontaggio di verifica, e non è successo niente di grave perché lo spinotto è venuto fuori lateralmente, il pistone aveva delle rondelle all’interno e una di queste rondelle si era staccata ed era andata in giro per il motore e si era infilata nella pompa di recupero dell’olio. Ce ne siamo accorti perché l’olio non ritornava più indietro nel serbatoio. Così abbiamo spento il motore e abbiamo controllato. Ma non ci sono stati danni nonostante il motore abbia girato con la biella che si era portata da una parte del pistone. Persino il tendicatena della distribuzione, che era un pezzo prototipale ricavato dal pieno, quindi di qualità abbastanza scarsa, non aveva dato il minimo problema. Insomma, era partito davvero col piede giusto.
WG: I cavalli erano arrivati a 134, 5. A quanti giri?
DM: Noi avevamo dei break-point di mappatura. Con quella configurazione il break-point era fissato a 9700 giri. I 134,5 cavalli erano a 9700 giri. Purtroppo però c’era il problema di portata degli iniettori, per cui il motore girava tranquillamente fino agli 11.000 giri, ma la potenza era limitata in quell’arco di giri. Invece aumentando la potenza… il problema era che non potevamo aumentarla noi perché eravamo già ad un tempo di iniezione piuttosto lungo, che sono 15 millisecondi. Era necessario quindi aumentare la portata degli iniettori e ridurre il tempo di iniezione: di solito si sta dagli 8 e gli 11 millisecondi. Alla fine non abbiamo avuto il tempo per provare i nuovi iniettori, se no eravamo oltre i 140 CV di potenza tranquillamente.
WG: Prima abbiamo accennato al…
DM: …al DM10, sì…
WG: Del DM10 se n’è parlato molto meno, è un motore ancora più misterioso…
DM: (sorride) …sì, era più misterioso perché il DM10 è questo… (mi propone uno schizzo del motore a disposizione longitudinale completato da un bellissimo telaio a tubi nella zona canotto e serbatoio, e a piastre in quella delle pedane, bello e originale )… questo doveva essere un motore a V longitudinale, un po’ del tipo “VTR”, con gli alberi sovrapposti così da compattare il più possibile le dimensioni, e qui la soluzione del telaio doveva essere un po’ questa, mista tubi in acciaio e piastre d’alluminio, infatti volevamo mantenere l’originalità della soluzione.
WG: anche se questa soluzione era destinata ad una moto carenata?
DM: Era prevista anche una versione naked… (mi mostra uno schizzo di una delle naked più belle che avessi mai visto. Non c’era Brutale né TNT che tenessero. Linee affilate e pulite, telaio in vista a tubi e un bellissimo bicilindrico V90 ad acqua; da ciascun cilindro usciva lateralmente un doppio condotto di scarico che si univa per poi proseguire pulito fino al silenziatore) così dava un senso di corposità, poi le pompe dell’olio esterne, il filtro dell’olio frontale, comodissimo da smontare, cioè con tutta la parte tecnologica in vista, con questi due scarichi che andavano in uno, poteva essere una cosa molto grintosa.
(segue qualche secondo di contemplazione…)
WG: Sono senza parole. Sarebbe stata una Guzzi modernissima, mantenendo però certi elementi suoi. Cosa dicevano le indagini di mercato?
DM: Nelle indagini di marketing sono state coinvolte Germania, Inghilterra, Francia e Italia. Due volevano la versione più sportiva, e altre due volevano una moto di questo livello, per questo è stata pensata anche la versione nuda che, per dire, alla Monster avrebbe fatto senz’altro una bella concorrenza.
(…)
WG: Stavamo dicendo che, dopo lo stop al VA10…
DM: Scandellari aveva voluto questo motore. Però la cosa poteva essere una buona idea, anche per una questione di costi: col DM10 poteva essere anche questa moto (altro schizzo con lo stesso motore ma girato trasversalmente). Utilizzando gli stessi contenuti, l’albero motore, le teste, le bielle, si poteva fare un bicilindrico trasversale a V di 90 gradi, con trasmissione a cardano, che concettualmente ricorda la Honda CX con la frizione anteriore, ma più moderna.
WG: Mettendo la frizione sulla parte anteriore si poteva guadagnare spazio per attaccare un forcellone in una posizione ottimale, e si poteva avere così un interasse accettabile.
DM: Sì, l’interasse infatti doveva essere…(ci pensa un attimo) 1409 millimetri, oltretutto con un bel forcellone lungo, in modo che si può creare una buona sospensione per rendere più confortevole il veicolo. Infatti qui il forcellone veniva tipo 600 mm di lunghezza, una cosa che Guzzi…
WG: …non conosce…
DM: (sorridiamo entrambi)… il motore veniva bello compatto, anche se l’ingombro delle teste laterali c’era, ma trattandosi di una moto turistica… che però (estrae un altro schizzo con lo studio dinamico della moto) poteva piegare fino a 45 gradi con le sospensioni schiacciate a 2/3, che non è male!
WG: Senza aver fatto prove sul banco, perché questo motore è rimasto solo in fase di progetto, a grandi linee come si sarebbe comportato?
DM: Come prestazioni? Non si sarebbe discostato di molto rispetto al VA10. L’unica differenza sostanziale poteva essere che sul DM10 si sarebbe usata una biella più corta, per ridurre gli ingombri. Sul VA10 si montava una biella da 130 mm, sul DM10 era mi pare 124. Una biella più corta aumentava leggermente le forze di secondo ordine, però su un V a 90 non erano poi così elevate. Comunque 124 mm non sono poi pochi: se andiamo a vedere nelle moto da cross giapponesi a 4 tempi, hanno dei rapporti corsa/biella che fanno spavento.
WG: Adesso, in effetti, vi siete concentrati sui motori da cross a 4 tempi…
(Si apre una parentesi sul mondo fuoristradistico, in cui io ho parlato delle mie effimere esperienze nei campetti di periferia con la Gilera NE250, il cui motore era stato progettato in Gilera nell’83 o ‘84, su cui aveva lavorato anche Danilo Mojoli. Era davvero piacevole aver rispolverato un periodo bellissimo, su una delle mie moto più amate, parlando con la persona che ha contribuito nella sua creazione. E lo stesso Danilo Mojoli sarebbe andato avanti a raccontare i suoi anni ’80 in moto, ma ho dovuto riportare il discorso sulle nostre amate Guzzi.)
DM: dicevamo, questo motore l’avevamo anche denominato V-front, perché era appunto disposto in posizione frontale, e come dicevo, tutta la parte ferrosa era la stessa del DM10, ma sostituendo solo le parti in alluminio si potevano ottenere due motori al prezzo di uno e un quarto.
Infatti questa proposta era nata perché Scandellari avrebbe voluto un motore sportivo e uno turistico, ma non c’erano abbastanza capitali da investire.
WG: Sembra incredibile che anche per queste soluzioni sia stato dato lo Stop.
DM: (sospira)… eh, poi è arrivata Aprilia, Scandellari è andato via, e anche questa attività si è fermata per un cambio di strategia.
WG: Oltre a questi progetti, la Mojoli Engineering ha contribuito per la Moto Guzzi anche nella realizzazione delle punterie idrauliche.
DM: Mah, lo studio delle punterie idrauliche era stato fatto da una società esterna, perché con l’avvento di Aprila, si era incominciato a lavorare parecchio con società esterne. Noi abbiamo in seguito lavorato in Guzzi per l’affinamento perché c’erano un po’ di problemini di realizzazione. Alla fine ne è uscito il miglior compromesso. C’è da dire che in fase prototipale i test non avevano più dato problemi. Però ho sentito in seguito che alcuni California avevano dato qualche noia…
WG: In effetti, non si sa se sia un problema di progettazione o di realizzazione, ma in alcuni esemplari rimane facilmente inciso o usurato prematuramente l’albero a camme…
DM: …pressione specifica troppo elevata… però i prototipi avevano superati i test di durata, che simulavano in pratica il ciclo vitale di un motore. Non saprei dare un motivo dei problemi registrati negli esemplari di serie, anche perché dopo il passaggio alla produzione non abbiamo più seguito questa attività.
WG: Se dovesse esserci una nuova apertura e nuove richieste da parte di Moto Guzzi, voi ci sareste?
DM: Volentieri! Se Guzzi decidesse di portare avanti nuove iniziative e rilanciare… noi non avremmo alcun problema insomma.
WG: Riprendereste eventualmente lo sviluppo dei motori che abbiamo visto oggi?
DM: Andrebbero aggiornati. Quando è nato il VA10 aveva un alesaggio e corsa che era un 100×63,6, che poi è stato utilizzato anche dalla Honda VTR, successivamente è arrivata anche Ducati col 100×63,5 e adesso sono arrivati al 104 di alesaggio, quindi sono andati più avanti. I parametri del VA10 erano molto avanti nel ’96, ma parlando del 2004, anzi del 2005, bisognerebbe ritoccare alcune cosettine. Speriamo che chi entrerà in Moto Guzzi rilanci un po’ quest’aspetto.
WG: A proposito, qual è il parere dell’Ing. Mojoli sul futuro prossimo della Moto Guzzi?
DM: Mah, nel ’96 era stato fatto questo ragionamento: la Moto Guzzi ha delle moto tipo California, stava per nascere la V11, ma mancava un veicolo trainante come immagine, mentre Ducati aveva il 916. Quindi il VA10 doveva essere un veicolo dalle alte prestazioni, un motore con tecnologia moderna, da mettere su una moto molto sportiva. Poi da questo veicolo si poteva fare una serie di veicoli più tranquilli, come una naked, e poi continuare con i vari California, che il classico motore Guzzi è un po’ l’ideale per quel genere di moto, magari rivisto in chiave un po’ più moderna, perché ormai sente gli anni del progetto.
WG: Li sente anche parlando del California?
DM: Secondo me sì. Comunque l’importante era realizzare del veicoli un po’ più sportivi e trainanti come immagine, ecco.
WG: La MGS è stato un tentativo.
DM: La MGS è stato un buon “esercizio”, però c’era il grosso limite del motore, che non consente uno “sportivo moderno”. E’ paragonabile ad uno sportivo BMW, ma non ai modelli sportivi che ci sono adesso in giro. Credo che sia necessario che esca un veicolo che faccia concorrenza alla Honda SP2, alla Ducati 999 e cose del genere, per rilanciare l’immagine di Guzzi, che viene ricordata anche nelle competizioni. Il motore tradizionale Guzzi ha dei grossi limiti strutturali, non si può pensare di aumentare più di tanto i giri con un “aste e bilanceri raffreddato ad aria”.
WG: Neanche con la soluzione a camme rialzato?
DM: Quello era il motore Daytona del dottor John, ma ora ci sono in gioco le emissioni inquinanti, i consumi… quel motore ha dei limiti. Pensando al “camme rialzato” anche noi avevamo fatto un studio…
(io spalanco gli occhi per dire “ma quanta roba avete fatto??”, Danilo Mojoli sorride e prende un ennesimo schizzo)
DM: Pensavamo ad un veicolo chiaramente non ad alte prestazioni… perché in quegli anni, nel ’96 o giù di lì, avevamo lavorato veramente tanto. Dopo il VA10, il DM10 e il V-front, avevamo ideato il V12 a due valvole, in cui avevamo pensato alla distribuzione non più a catena, ma ad ingranaggi, svincolando però il comando delle pompe con un’altra coppia di ingranaggi, insomma… Poi abbiamo fatto anche il 4 valvole su questa impostazione.
Avevamo lavorato davvero tanto. Fra le altre cose avevamo pensato anche ad uno studio per una coppa dell’olio con filtro esterno e per una disposizione migliore per l’alternatore.
WG: avevate pensato a qualcosa anche per la serie piccola?
DM: No, per la serie piccola non avevamo fatto niente, anche perché già per quella grossa c’era parecchia carne sul fuoco. Fra l’altro anche le piccole cilindrate avevano parecchi limiti.
WG: Ma se dovesse ideare qualche soluzione al fine di concorrere con classi del tipo Hornet o SV650, a cosa penserebbe?
DM: Eh, a questo punto bisognerebbe arrivare ad un motore raffreddato a liquido, cosa a cui stanno arrivando un po’ tutti, come BMW. Bisogna fare un motore nuovo dopo aver capito cosa il mercato vuole.
WG: Tornando alla serie grossa, la Grezzi & Brian ha sviluppato modelli molto validi come ciclistica e rapporto peso/potenza. Questo grazie all’essenzialità del telaio rispetto al motore, sfruttando quest’ultimo come elemento stressato…
DM: Mah, c’è da fare molta attenzione a fare cose del genere. Io sono sempre stato un po’ contrario a rendere il motore un elemento stressato, nel senso che se il motore nasce con una certa struttura e una certa rigidezza può diventare al massimo semi-portante, ma un motore normale, dove, tanto per fare un esempio, tra gli interassi degli alberi del cambio si dà una tolleranza di più o meno 3 centesimi, se lo facciamo diventare portante vuol dire che tutto il carico che vede la moto viene trasferito, passa attraverso il motore. Allora capisci che una fusione in cui tu imposti una tolleranza di 3 centesimi per avere il cambio che lavora perfettamente, vai a sollecitarla con dei carichi dell’ordine di 400 chili, quei 3 centesimi lì… rischiamo di far lavorare male gli organi meccanici del motore. Quando noi progettiamo gli ingranaggi, cerchiamo di fare tutti i calcoli possibili per avere il maggior scorrimento, per avere una pressione specifica per dente molto bassa e così via; montiamo il cambio calcolando una tolleranza fra gli interassi, se poi ci applichiamo un carico di centinaia di chili si va a vanificare tutti gli studi fatti in precedenza.
WG: Ia ringrazio davvero tanto per il tempo…
DM: No no, per me è stato un piacere fare questa chiacchierata perché abbiamo dato un po’ sfogo ad anni di lavoro intenso.
WG: Già, solo che non riesco a capire se ora sto meglio o peggio, visto tutto quello che potrebbe aver avuto di buono Moto Guzzi, ma ha “goffamente” evitato.
DM: …immagina le persone che ci hanno lavorato. Io ho una persona con cui sono molto legato in Guzzi, che è Panizzo dell’attrezzeria: lui è il capo dell’attrezzeria. Ed è una persona speciale, oltre a Bruno ed Umberto Scola, con cui abbiamo condiviso il progetto e il montaggio del motore, e l’attrezzeria cercava di allineare i vari pezzi, perché i componenti principali venivano realizzati da società esterne specializzate, ma altri accessori venivano realizzati in Guzzi. E dovevi vedere il sig. Panizzo e gli altri che ci mettevano l’anima a realizzare quel motore. C’era una partecipazione eccezionale. E al primo avviamento erano accorsi tutti ed era stata stappata una bottiglia insieme a tutti gli altri che lavoravano in Guzzi, perché da anni non si sentiva girare un motore nuovo.
Andiamo ancora un po’ avanti a parlare della “maledizione” che continua a colpire la nostra Amata. Ma ormai è quasi ora di cena, e ad un certo punto dobbiamo proprio finire la chiacchierata. Esco dal suo ufficio con molta soddisfazione, anche se, a causa della mia inesperienza in campo giornalistico, non sono riuscito a convincerlo a farsi derubare di qualche immagine interessante. Ma è giusto così, Danilo Mojoli ama le sue creature, e ne è giustamente geloso.
Ma al di là della soddisfazione per l’intervista, che ha sicuramente prodotto cose interessanti, mi rimane una strana sensazione di malinconia, sapendo di quante cose buone poteva godere il marchio dell’aquila, e per ragioni ridicole non ne ha avuto modo. Penso a come la gente potesse guardare la sportiva Guzzi con un motore bicilindrico ad acqua, aggressiva, accattivante… prendersi la rivincita su tutti questi anni di illusioni e delusioni. Sicuramente Danilo Mojoli e le persone che hanno lavorato con lui ci credevano veramente, e quei motori sembravano essere ideati davvero bene.
Nei giorni in cui ho travasato a computer questa intervista, la MGS-01 Corsa, nata dalla passione di Grezzi & Brian, allevata da altri personaggi storici del marchio, e voluta anche dalla enigmatica volontà di Ivano Beggio, ha tirato fuori gli artigli nella 12 ore di Albacete. E senza gli esuberanti 160 cavalli del VA10, ma spinta dal buon vecchio ma rivisto 8 valvole del dott. John.
Allora la questione si riapre: se non venisse a mancare la passione, se si attuasse un sano, schietto, lungimirante e neanche fantasmagorico piano di marketing (e devo dire che da De Tomaso in poi è successo di tutto per far affossare il marchio) sarebbe così impossibile vedere la Moto Guzzi tornare a combattere?
Sapete a cosa apparteneva quella biella nella bacheca dello studio di Danilo Mojoli? Era la biella del VA10. Bellissima, pulita, perfetta. Mi piange il cuore sapere che quella biella non sfiderà mai la tortura inflitta dalla manetta delle prossime Moto Guzzi.

 

BARCELLONETTE 2004

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Geronimo e Ilenia Guida

 

….OVVERO , MA LE UOVA SODE COSA C’ENTRANO ??

Siamo negli anni intorno al 1830, l’Europa di allora vive fermenti delle nazioni che la compongono e le grandi monarchie fanno il bello e cattivo tempo sulle spalle della gente comune che deve mettere assieme il pranzo con la cena (come in tutti i tempi d’altronde, fin da Adamo ed Eva…).

Al di là dell’Oceano esiste un altra frontiera che promette ideali di successo e di benessere, un nuovo regno del Bengodi: i fratelli Arnoux decidono così di abbandonare il loro paesello natio a ridosso delle Alpi Francesi e di prendere il mare alla volta del Nuovo Mondo.
Il loro sogno li porterà in Messico dove inizierà per loro una nuova vita, ma mai avrebbero pensato, con la loro impresa, di cambiare il destino di altre migliaia di persone.

Difatti ritorneranno al paese d’origine fortemente arricchiti ed il loro percorso verrà imitato da altri abitanti della zona: una popolazione di 11.000 abitanti assisterà alla partenza di circa 5.000 di loro alla volta del Messico nell’ottica di dar vita laggiù a fiorenti industrie tessili portando il dinamismo e la tenacia tipica delle popolazioni alpine.

Questa in sintesi la storia di Barcellonnette, ridente cittadina a circa una cinquantina di chilometri dal più noto centro di Gap, nella zona bagnata dall’Ubaye, una quarantina di chilometri dopo il Colle della Larche (per i francofoni) o Colle della Maddalena per i piemontesi.

Geronimo racconta che vent’anni fa (la prima volta che si fermò con il suo V35 C) si respirava di primo acchito l’aria “mexicana” (ristoranti con menù a base di guacamole e fajitas, negozi con chincaglieria turchese ed abiti multicolore), mentre oggi di tutto ciò rimane ben poco, soffocato dalla “grande distribuzione” dei Carrefour e degli Ipermarchè.

Ebbene, come non portare un po’ di colore italico e di sano e robusto appetito motociclistico a questa località soggiornandovi dopo un itinerario di sogno fatto di curvoni veloci, pieghe e contropieghe di vario tipo e natura ??

Ed è così che gli “amichetti” di Aste & Bilancieri (una “brigata” di dodici persone tra maschietti e femminucce a bordo di otto rombanti Guzzi) sabato 12 giugno 2004, partono dalla periferia sud di Torino. Ci troviamo alla Loggia (già il nome:-)) … stranamente siamo in orario (beh… inizialmente… poi riusciamo a fare tardi con una colazione veloce all’autogrill). Al ritrovo le facce sono tutte sorridenti e desiderose di iniziare il viaggio… le moto scalpitano, questa cosa mi colpirà sempre: è l’entusiasmo del sapere che stai per vedere cose nuove e di farlo in compagnia di persone con cui stai bene e ti diverti. L’itinerario prevede km prima fino a Cuneo, abbandonando la troppo trafficata SS 20, per dedicarsi a più sane stradine alternative (non ce n’è uno di loro che rinuncerebbe ad una statale per un misero tratto di autostrada) e poi alla volta di Vinadio.

Qui ci fermiamo per il pranzo in una bellissima area attrezzata. Vinadio è conosciuta per le terme e per l’acqua minerale e le mura che la circondano sono stupende…
L’ing. stranamente non ha i panini con sè questa volta 🙂 in compenso c’è da stupirsi dell’organizzazione di questa che, a vedersi, sembrerebbe una banda di sciammannati all’avventura… LuPirata ha un kit da “rancho” a cui mancano probabilmente solo le bacchette cinesi e da buon amante di cibo e vino prepara manicheratti pronti a condividere con tutti… Ube e Frida hanno addirittura fette di pane differenziate “lui e lei”… Luca e Simona hanno addirittura la borraccia!!

Diventa molto difficile condensare in poche righe l’atmosfera goliardica che ormai è nata e cresciuta tra di noi: via via che i chilometri percorsi dalle nostre amate moto aumentano, emergono sempre di più i nostri caratteri, ci si intende al volo da uno sguardo degli occhi o da una battuta, segno che la moto è molto di più di un semplice mezzo di locomozione, è un “transfert” di emozioni e sensazioni.

Se andare ad un “raduno” significa semplicemente cercare altri “malati” come noi e “stazionare” in una località per un certo numero di ore, un week-end come questo è molto di più: il percorso è stato concepito per “gratificare” il mototurista godendo di curve e panorami magnifici (il lago di Serre Poncon con le sue “madamoiselle” di pietra sono ASSOLUTAMENTE da vedere, così come il Parco Naturale del Queyras), ma sono le varie tappe, le varie esigenze di ciascuno di noi lungo il viaggio che ci fanno CONOSCERE veramente.

Un tempo estivo bello caldo con un cielo azzurro da favola ci accompagnerà all’andata e ci dovrà (ahimè) scaldare per ambedue i giorni visto le temperature “polari” che dovremo subire il giorno successivo.

Dopo un sabato sera passato a gustare le “delizie” francesi e messicane in un ristorante sulla piazzetta di Barcellonnette, con la compagnia del cuoco (naturalmente l’immancabile napoletano emigrato), la stanchezza si fa sentire e si cerca il meritato riposo, chi in tenda e chi in un bed & breakfast fuori dal centro. Che non si sia proprio in pianura lo si capirà di notte… le nostre tende e sacchi a pelo pur confortevoli nulla possono contro il freddo polare e l’umidità del vicino fiume: mi sono messo addosso tutto il “mettibile”, ma il freddo non passava… al mattino sembravo uno dei “poverelli” di “Miracolo a Milano” che si riscalda cercando il “raggio di sole” tra i pini…

Ma è solo l’inizio: il cielo si rannuvola, il vento ci fa presagire che sarà un ritorno sofferto anche se le nostre moto saranno più veloci e si lasceranno il brutto tempo a Barcellonnette per godere del percorso che circumnaviga il bacino artificiale di Serre-Poncon dove il polso destro, inevitabilmente, si lascia andare… (bella sparata dove i bicilindrici danno il meglio di se’…

Ripartiamo con meta Briancon, ma durante il tragitto la “sfortuna Guzzi” colpisce come sempre (eheheh, verrò punita per questa battuta, ma è pur sempre una piccola rivincita per il mio povero TU)…
La “vittima” questa volta è Christian, con la sua Guzzi supermodificata che perde il bulloncino del rinvio del cambio (personalmente ora so che esiste!) e rimane bloccata sui tornanti in terza…
Mentre lo stesso Christian inizia un tentativo di riparazione sotto l’attenta consulenza di MotoUbe, arriva il “mitico” Davide detto ormai “lingeniere” (sì, scritto così… per celia…) che, visto il danno, afferma: “…e che problema c’è, basta cambiare il bulloncino !” – “sì, bisognerebbe averlo” dice Geronimo… “appunto”… e “lingeniere” materializza dalla tasca di Eta Beta del suo Nevada 350 il bulloncino apposito, un rinvio del cambio, apposita chiave a tubo, etc… etc… insomma un’officina ambulante perfettamente attrezzata…

Ecco, Aste & Bilancieri vuol dire anche questo… la serena flemma di Davide, la capacità di tour leader di Luca, la voglia di fare chilometri di Christian ed Ermanno, la sana goliarda e generosità di Lupirata, la simpatia e l’affidabilità di Superbiondina, il savoir faire del mitico Geronimo… e tutte quelle caratteristiche personali di tutti che si “impastano” in quello che è l’obiettivo comune: la voglia di divertirsi andando in moto…

Dopo Briancon e le meritate crepes ben innaffiate di sidro (sia brut con la crepe saleè, vuoi doux con la crepe sucreè… come vuole l’etichetta) ci attende il ritorno in Italia e quindi… la pioggia, il freddo, insomma un ritorno all’autunno… quasi a voler mettere il suggello umido a questo week-end che ha visto di tutto e di più… ci lasceremo a Susa, ognuno per fare ritorno alle proprie casette… ciao amichetti…

E le uova sode cosa c’entrano ?? C’entrano, c’entrano… ma questa è un’altra storia e ve la racconteremo SOLO se uscirete con gli “amichetti di Aste & Bilancieri”…

“Grazie ancora a Geronimo per la disponibilità e per il suo splendido modo di raccontarci…”

Lo Staff in pista al Mugello!

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di Alberto Sala

 

La tentazione era troppo forte. “Fange, che dici se, gia’ che siamo li’, ci facciamo due giri in pista?”

“Ma c’e’ posto? Ma quanto costa? Ma non so se ho le gomme adatte… ho il gomito che mi fa contatto col ginocchio… OK, d’accordo, ci sta pure il Tatuato”.

Prenotare dei giri in pista, soprattutto su una pista ‘adulta’ come il Mugello da’ una strana sensazione. Man mano che si avvicina il giorno fatidico si passa in tre nanosecondi dall’euforia alla strizza, dal sogno di vedere per primo la bandiera a scacchi (anche se non e’ una gara) al pensiero che forse la passione per le farfalle turkmene sarebbe piu’ salutare alla nostra eta’ (intendiamoci: siamo categoricamente giovanissimi: e’ l’anagrafe che ci rema contro), e cosi’ via. D’altra parte, avendo programmato il nostro meeting dello staff al mitico Villino la Quiete (sede del nostro grande incontro di primavera) gia’ avevamo ‘allargato’ a qualche eccezionale ospite, per cui tant’e’, facciamoci del male e andiamo pure a farci umiliare dai missili terra-aria giapponesi. Ci avrebbero nel caso sorretto moralmente Claudio e Peppe di CPRacing, presenti casualmente pure loro con i loro 1100 Sport coi famigerati telai accorciati.

La mattina del fattaccio ci presentiamo clamorosamente in ritardo al primo turno, quello delle 9,20, cosi’, con la trachea ustionata dal cappuccino ingoiato a razzo e con le bricioline di brioche sui baffi eccoci al cancello di partenza, dove abbiamo pure la faccia tosta di appiccicarci l’adesivo numerato per essere immortalati dal fotografo del circuito. Siamo giunti talmente di fretta che la gente non ha fatto in tempo a sbigottirsi della pattuglia Guzzi (Fange/Le Mans, Alberto/Centauro, Andrea Tatuato/SP2 abilmente cammuffato e Mauro Iosca/V11 Sport) che gia’ entravamo in bagarre. Le condizioni meteo e la pista erano splendide, ma dopo poco due missili si cocciano alla Materassi lasciando una simpatica strisciata d’olio, per cui bandiera rossa. Attendiamo di nuovo il via, e mi sorprendo molto tranquillo. E’ proprio vero che la tensione pre-turno e’ spesso esagerata, perche’ di fatto girare in pista e’ molto meno pericoloso che su strada. Vedo pero’ Mauro stranito: “non mi trovo, mi mancano punti di riferimento”. “Ma ci sono i cartelli prima di ogni curva” gli replico. “Si, ma mi mancano le case, il guard-rail, o che so, le auto, eppoi perche’ si procede a senso unico?” Sono costernato. Realisticamente pensavo di fare il turno dietro Mauro Iosca ‘copiandolo’, vista la sua determinazione su strada… Bandiera verde: si riparte! Mi accorgo che il turno e’ tranquillo: non solo sono pochissimi quelli che ci doppiano, ma perdippiu’ io e Fange ci ritroviamo tra il cardano alcuni piu’ chiodi di noi. Mauro lo raggiungo tra la prima e la seconda Arrabbiata dove lo supero agevolmente, non per merito mio ma perche’ sbaglia clamorosamente traiettoria. Andrea poi e’ uno sciagurato: nonostante gli avessi spiegato insistentemente che non deve mai guardare gli specchietti ma deve preoccuparsi solo di fare le sue traiettorie, che sara’ cura di chi sopraggiunge a pensare a come superarlo, lo peschiamo intento a lasciarci passare rallentando vistosamente e allargando. Manca solo che ci stenda il tappeto rosso. Sara’ cazziato pure dal visagista che manco correva, essendo appiedato.

Insomma: restiamo io e Fange.

Il quale, alla facciazza dei dubbi sulle gomme sta molando come un fabbro, seminando frattaglie di pedane e cavalletti. Quel bastardo se ne fotte (giustamente, mica come me) che e’ il primo turno, quello per prendere le misure della pista e ‘scaldarsi’: mi infila impietosamente in staccata, e se non fosse per i miei scalpitanti equini (una doverosa parentesi: a meta’ rettilineo d’arrivo il contagiri mi sorprende con 9500 giri e un clamoroso fondoscala al tachimetro, stando a trequarti di gas!) e per quelle rarissime curve dove sono piu’ rapido (Arrabbiata 2) lo vedrei col binocolo.

All’ultimo giro l’epilogo: mi ritrovo avanti a meta’ giro, sempre alle prese con un hondato 600 lento come la mia nonna in curva ma ovviamente razzo in rettilineo, cosi’ mi rallenta di continuo, e in piu’ all’ultima curva trovo pure un ducatozzo spaventosamente potente e alleggerito ma condotto da un vero chiodo. Io, manco fossimo su strada, rispetto il divieto di sorpasso in curva (temo sempre che il chiodo, vedendosi sorpassare all’esterno dia brutalmente gas a meta’ curva finendo a farfallle col sottoscritto), mentre Fange se ne fotte, e si esibisce in uno spettacolare sorpasso esterno al sottoscritto, alla Honda 600 e al 998, e sia pure per un pelo di martora giunge primo sotto la bandiera a scacchi. Beh, che dire? Lottare contro un Mistero Gaudioso non e’ mica facile, eppoi mi restava il turno del pomeriggio per attuare la mia vendetta.

Ma ecco che la sfiga ricorda a tutti che ci vede da Dio, e esattamente alle 17,34:17 (sei minuti prima del nostro turno) comincia a piovere. Entriamo in pista con la speranza che smetta, e in effetti succede: per la precisione tre minuti dopo il nostro turno. Io e Fange incazzati come sei bisce eravamo gia’ fuori da meta’ turno. Andrea invece tiene duro (d’altra parte non e’ che la sua condotta sia molto rischiosa) e si fa tutto il turno. Il suo commento finale: “avevo pagato tutto il turno, ecchecazzo”. “Joey” Iosca, mutilato al primo turno alla freccia anteriore sinistra per via di un’escursione nella sabbia (“non c’era la riga di mezzeria”) sentenziava che si trova molto meglio su strada. Un’altro Dunlop.

Malefica pioggia. Fange potra’ vantarsi di avermi battuto in pista, Andrea mi sfotte per essermi ritirato a meta’ del secondo turno, “Joey” Iosca non pervenuto, e in piu’ Goffredo e la fotografia dimostrano di essere fratelli di sangue come La Russa e Yossour’n’Dour (cosi’ le uniche foto ‘dinamiche’ sono quelle a Claudio e Peppe :-(( ). Pazienza, in fondo ci siamo divertiti come bambini (che peraltro siamo, si fotta l’anagrafe) sia in pista che al paddock con la presenza di Claudio e dei suoi amici, che oltre alle smodate chiacchiere ci hanno offerto la provvidenziale ombra del loro tendone, per non dire poi del resto della compagnia sopraggiunto al pomeriggio (Stefano Indaco con due graziose fanciulle, Sandra e Federica, ognuna con la sua moto. Eppoi abbiamo aggiunto un po’ di ‘colore’ al solito paddock fatto sempre da erreuni, cibierre, prefissi telefonici bolognesi e erreessevi. Oddio, a dire la verita’ c’erano anche due bavaresi kittate, con borse e baul… ok, scherzavo :-p

E’ bella la pista. Chissa’ che questa esperienza non possa avere un seguito, magari con tutti gli amici di Anima Guzzista…

 

POST SCRIPTUM

Innanzitutto grazie alla splendida compagnia, con menzione speciale per le simpatiche Sandra e Federica, che si sono adattate alla sporco gruppo guzzista magnificamente. Due sante.

Poi e’ da ricordare la strada tra Sasso Marconi e Pianoro, fatta di strane curve a raggio variabile e in piu’ in saliscendi, che mi sono gustato particolarmente al ritorno (eeh si, quanto conta l’allenamento), oltre alla Raticosa e Futa fatte da Bologna (nell’altro senso l’asfalto e’ terribile).

Ma non solo: qualsiasi strada sull’appennino tra Emilia e Toscana sembra il paradiso. Ce ne sono da perdersi. Lo dico col rimpianto di un lombardo costretto a vivere nella regione piu’ intasata e sciagurata. Vale la pena spararsi anche sessanta km di autostrada pur di raggiungere un po’ di pace sull’appennino.

Da ricordare pure la casuale scoperta di un ristorante che, come dicono gli inglesi, ‘fa esattamente al caso nostro’. Non so se rende l’idea la foto della fiorentina di brontosauro. Un ristorante di classe ma non classista: ci hanno servito e riverito anche se al passaggio lasciavamo la consueta scia di olio. Approposito (un minuto di silenzio, per favore):

non ci crederete, ma il Centauro di Indaco ne ha combinata un’altra. Meno male che e’ stata risolta abilmente. Io ci scriverei un libro. Da urlo invece l’accrocchio di Fange al suo Le Mans per risolvere la totale perdita del lubrificante dal circuito di sfiato: un bel tubo d’irrigazione verde che sfogava in una bottiglietta in prezioso PET del the’ con tappo arancione, piazzata a lato del semimanubrio destro. Hanno riso anche in Afghanistan alla domanda dell’esperto motociclista sul Giogo alla vista dell’accrocchio: “E’ il raffreddamento a liquido, vero?”

Victoria!

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C'è un minchia che sta dalla parte sbagliata con la macchina fotografica.

6° TROFEO DECCLA CARTAGENA, gennaio 2004

Testo di Goffredo. Foto di Luca Innocenti e Maurizio Pesenti. Filmati: Luca Innocenti

Bar Ristorante del Circuito di Cartagena,
Venerdì 23 gennaio 2004.

Mauro è appena sceso dal suo turno di prove libere del pomeriggio, finalmente la forcella va bene ma non c’è tempo per gioire che la causa del ‘rumorino che non mi piace’ lamentato da Mauro, è presto scoperta: collettore di scarico destro crepato.
Mauro “Abba” è rassicurante: “tranquilli, appena si fredda la saldiamo”. Approfitto del momento di pausa per prendere il laptop di Alberto ed eccomi seduto al bar del circuito (sì, ovvio, all’aperto: ci saranno 25 gradi oggi…) a scrivere queste note.

Possibile che ieri pomeriggio in quel di Malpensa fossimo a –2? Mah! Come diceva Hemingway “Non sono nato in Spagna ma non è stata colpa mia…” Guardando il cielo azzurro, cercando di non far sbriciolare il bocadillo quèso y hamòn sulla tastiera, mi trovo molto ma molto d’accordo col grande Ernest…

Ma procediamo con ordine, per quanto possibile. La cronaca dettagliata del viaggio di avvicinamento del Minchion Team a Cartagena ve la risparmio, uniche note degne di menzione il “uh, Madonnina Santa dell’Addolorata”, uscito con un filo di voce dalle labbra di Tiziano, più a suo agio su un Daytona che impenna piuttosto che su un Airbus al decollo ed un paio di espressioni in caratese-apriliese inintellegibili all’orecchio umano (qualcosa tipo: anved-ustialavà-chezinn-chelà) risultato dei commenti incrociati di vari brianzoli e del Tatuato sulle modelle delle pagine della rivista Moto Extreme…

Va invece segnalata la velocità di crociera, stimata intorno ai mach3, dei due poderosi vans (dire furgoni non fa fico…) affittati a Valencia dal Minchion Team. Sì, ben due vans e non una semplice macchina a nolo, visto che a forza di “quasi quasi vado anch’io a fare il tifo per quei minchioni” ci si ritrova in 14 a Malpensa!
Saltiamo tutto questo, l’arrivo in notturna al Manolo Hotel, i nuovi record di russata stabiliti, le docce del mattino che durano 5 giorni o 5 minuti a seconda del lato della porta in cui ci si trova ed andiamo senza indugi a bordo pista.

Sono in questo preciso istante le 17,46 e tiriamo i primi positivissimi bilanci:
la moto va molto bene e le varie sessioni nelle quali si sono succeduti Roberto, Mauro ed Alberto sono state messe a frutto in maniera impeccabile: ad ogni turno, Tiziano e Bruno ascoltavano i vari commenti ed intervenivano apportando le dovute correzioni. Non succede nulla di trascendentale se non un problema di assetto dovuto alla forcella che non ne voleva sapere di fare il proprio dovere. Alla fine, una volta smontata, ecco che viene individuata la responsabile: una ranella di diametro insufficiente che, anziché tenere a bada la molla al suo posto dentro lo stelo si divertiva a tuffarcisi dentro. Sono cose che le ranelle a posto non fanno. Una veloce visita al box a fianco e la ranella del diametro giusto è recuperata. Aggiungiamoci anche un rabbocco miscropico con un olio leggermente più denso (classico caso di effetto-placebo in pista) ed ecco che la riparazione è fatta: i tempi spuntati dal nostro trio nei turni successivi dimostreranno la bontà dell’intervento: dal 2,08 spuntato da Roberto al mattino si passa all’ottimo 2,04 inanellato da Alberto nel pomeriggio. Ma ecco che ripiombiamo in medias res con Alberto che non solo mi porge una bibita (grazie) ma mi confida scuotendo la testa che non c’è solo uno scarico da saldare ma anche un alternatore da recuperare visto che quello della moto è in briciole.
Può il vostro cronista continuare impassibile di fronte ad una così ferale notizia? Riusciranno i nostri prodi a sistemare la moto per domani?
Staremo a vedere. Per adesso, godetevi la prima carrellata di immagini mentre io torno al box per saperne di più.

Aeroporto di Valencia, Domenica 25 gennaio, ore 23,25.
Mmm… Vediamo… E adesso da dove proseguo? Sono qui mezzo stravolto che attendo l’aereo e so – uh se lo so – che il Minchion Team ha vinto, ma che cronista sarei a cominciare dalla fine? Fortunatamente non sono un giornalista, quindi proseguiamo come ci pare. La marmitta viene riparata nella notte, l’alternatore viene sostituito e sabato mattina il Minchion Team si trova una moto perfetta per le prove e le qualificazioni. La sessione è bella pimpante e il Minchion Team spunta un buon tempo che gli vale il 13° posto in griglia su 45 partenti. L’onore della partenza, in puro stile Le Mans, col pilota che deve fare una corsa verso la moto sapientemente tenuta accesa dal meccanico tocca a Mauro. Il Dottor Iosc parte benissimo passando almeno tre partenti di slancio. Il rombo di quaranta moto diventa musica, sigla, sipario: si comincia!
-Come? Chiamano già il nostro volo? Ah, va bene, allora il report lo continuerò da casa. Eccovi intanto le foto della partenza e dei primi giri.

Parigi, Martedì 27 Gennaio

Mi sforzo di non pensare alla neve che ho trovato a Milano e a Parigi e ritorniamo al sole di Cartagena.
La gara è iniziata ed il Minchion Team veleggia tranquillo tra il 16 ed il 14 posto.
Su tempi inferiori anche di 10 secondi a giro (!!) i piloti dei Team GuzziMoto Box e Classic Co portano avanti la loro battaglia personale per la vittoria: vederli sfrecciare in sella a potentissime e bellissime Guzzi è una grande emozione.
I piloti si alternano alla guida secondo i ritmi suggeriti da Tiziano. Visto che siamo qui per divertirci, più o meno questo era lo spirito iniziale, facciamo tanti cambi così vi divertite senza stressarvi e in più teniamo in carica la batteria. Che spettacolo vedere Stefano e Sergio procedere al rifornimento mentre Tiziano con dei cavetti metteva in carica la batteria. Il tutto ovviamente mentre un pilota scendeva ed uno saliva! Ma in una gara di Endurance tutto può succedere, anche che la dea bendata decida di prendersi cura di un Team in maniera speciale. Che Omobono stesse intercedendo per noi, iniziamo a pensarlo al sessantesimo giro quando Roberto, trovatosi in staccata impegnato in un sorpasso molto ostico nei confronti di un avversario che a chiudere il gas non ci ha pensato proprio, si è trovato costretto a pinzare troppo tardi e completamente fuori traiettoria. Il più classico dei classici dritti a fondo rettilineo risultava inevitabile. Ma tranquilli, non solo Roberto non cade ma riesce anche a non far spegnere la moto e terminate le sue sabbiature rientra in corsa.
Ma che dico rientra? Risfonda! Ignora il cartello BOX e in tre giri infila una progressione della quale noi parleremo un giorno ai nostri nipotini: 2:04; 2:02; 2:00!!! Il giro in due minuti netti gli varrà il titolo di Fastest Minchion on Earth per questa edizione. Sull’onda dell’entusiasmo gli altri due Minchion Riders spingono come forsennati. I tempi dello scorso settembre sono un pallido ricordo ma persino i tempi dell’ultima sessione di prove libere ormai vengono stracciati sistematicamente.
Quando ogni tanto ci scappa un 2:05 per il quale ieri sarebbe partita la ola, adesso a bordo pista si commenta: “mah, avrà trovato dei doppiati…”
Omobono, non pago di autare il Minchion Team, ci mette del suo nel visitare gli altri box… Una dopo l’altra le due moto del Classic Co si ritirano, fermate da problemi meccanici. Altre scuderie non si ritirano ma sono costrette a lunghe soste ai box per ovviare ai problemi più diversi: c’è chi è caduto e non può ripartire perché la moto va ma mancano le pedane (!) c’è chi ha qualcosa che non va nel cambio e sarebbe pure una cavolata ripararlo ma bisogna aspettare che si freddi e così via. Stremata da cadute e sbuffi d’olio si arrende anche la velocissima Guzzi del Team Valentini di Roma.
In questo scenario, le operazioni al Box del Minchion Team appaiono perfette e sincronizzate come un’orologio svizzero oliato al Motul.
Intanto il cronomentro ci conferma che le terribili Ducati NCR e Honda Bol d’Or, rivali dirette di categoria Open continuano a rimanere inesorabilmente dietro…
Porque nosotros valemos!

Ad un certo punto si ritirano anche le pompatissime Guzzi del Team Segarra!!! O cacchio ma allora…
Ci casca l’occhio sul monitor: primi di categoria e terzi assoluti. In un momento di lucido realismo chiamo Andrea per fargli filmare il monitor: “hai visto mai, dovesse andar male, potremmo sempre dire che, per un attimo siamo stati primi…”
Ma non servirà il filmato… la moto continua a viaggiare che è una bellezza. Bruno l’ascolta passare e commenta: “canta ancora bene”. Tiziano impone una nuova strategia con cambi meno frequenti. Alberto e Roberto tentano di opporsi alla foga del Team RD (non mi ricordo il numero) bloccato per molti minuti ai box e che ora corre verso il podio con due moto indiavolate da 1:55 a giro: è una lotta impari ma che contribuisce a mantenere dei ritmi serrati. Alberto vola tranquillissimo su medie impensabili solo ieri e Roberto si giustifica di un 2:03: “scusate se ho rallentato ma avevo perso una lente!!!”.
A Mauro invece tocca l’ultimo turno. Non riusciamo ad approfittare del cambio ai box in contempranea con la RD che occupa la quarta posizione per passarle davanti, quindi per Mauro adesso si tratta “solamente” di mantenere la posizione, non farsi passare e soprattutto portare la moto oltre la bandiera a scacchi. Ai box siamo ormai dei camaleonti con un occhio alla pista ed uno al monitor. Siamo sempre primi di categoria, quinti assoluti; attaccare la Yamaha per il quarto posto assoluto è follia, difendere il primo posto di categoria un’ordine! Mancano tre minuti, due, uno, ci siamo, Mauro è sempre lì, eccolo eccolo!!!
VICTORIA!!
E adesso, che cominci la fiesta, la premiazione, i balli e poi i saluti e l’arrivederci a settembre sotto il segno del bellissimo motto del Classic Co:
In velocitate gaudium!


Ringraziamenti vari:
ho vissuto una splendida esperienza ad un prezzo inferiore di una vacanza tutto compreso a Cesenatico. Ma non sarebbe certo andata così senza:

Mauro Abbadini.
Un mito. Chi ha provato ad organizzare eventi sa quanto sia difficile essere sempre disponibili ed attenti alle esigenze di tutti. Sono orgoglioso, e so di scriverlo a nome di tutti, di vedere il nome Anima Guzzista su una sua moto.
A lui, a Miguel Angel, ad Alberto ‘Teto’ ed a tutto lo staff Deccla di nuovo mille grazie e complimenti.

Bruno Scola e Tiziano Di Castri.
Senza farla troppo lunga: vederli all’opera su delle moto da corsa è un privilegio. Se poi solo si capisse quello che si dicono…

Corinna e Stefano.
Rispettivamente Cronometrista e Addetto al Rifornimento ufficiali del Minchion Team. Corinna non ha sgarrato di un millesimo in cinque ore di rilevamenti e Stefano ha quasi sempre tolto il tappo prima di versare la benzina.

Andrea Kubrick Tatuato.
Lost in Minchiation, il suo documentario-musical sull’evento sarà probabilmente selezionato per gli Oscar 2004. Da non perdere la “Ducati Dance” e “I consigli di Andrea a Tiziano su come vincere una gara”.
A breve in edicola.

Albi “e poi, e poi, e poi” Arnoldi.
Il filosofo del box. Gran conversatore fino a che non vi si addormenta in grembo nei pub di Cartagena. Aspettiamo con ansia il suo report.

Maurizio du Madagascar, Sergio e Remo.
Fornitori ufficiali di arance ed altre delizie ai Box. Senza quei biscotti alla fragola(!?!) probabilmente la gara sarebbe andata diversamente.
Maurizio è stato inoltre il fotografo ufficiale del Minchion Team e Remo il sommelier del box, visto che lui la benzina non la versa, la decanta. Pare sia stato visto anche assaggiarla…

Luca.
Come fotografo e cineasta non delude le aspettive. Quando tocca a lui fare la doccia e dice:“fra cinque minuti esco” delude le aspettative.

Alberto – Business as Usual – Sala
Mauro – Perché io testo – Iosca
Roberto- due zero zero – Masperi
Perché loro valgono.

G.
PS: Miguel Angel, por favor, para settembre basta con las favas. Gracias.

(per i filmati occorre Quicktime)
GALLERY

RASSEGNA STAMPA SoloMoto

Ode ai trionfatori di Cartagena
di AleCafè

Pistoni, circuiti, curve e motori
Io canto di color ch’in terra Ispana
Con gesta che qui ognun di fare brama
Andaron, e tornaron vincitori
Non pugna, nè un Gano traditore,
non mori da buttare dritti in mare
Ma curve con il cuore da affrontare
Per risultare infine vincitore!
Eroi Guzzisti, cuore puro e forte
Si gettan nella mischia della pugna
Vassi chi corre, alcuno mugugna:
Tal’è somma armonia in quella corte.
I prodi sono tre come si suole
Dai nomi altisonanti e nobiliari,
Ma i visi sono a tutti familiari
Qual fossero compagni delle scuole
Alberto dai baffetti assai pungenti
Si tuffa a destra e a manca senza pena
Affronta curve in quinta e in sesta piena
Sa infliggere sconforto e patimenti
Ser Iosca col suo fare assai preciso
Gareggia come in punta di fioretto
Lo stile suo s’è fatto più perfetto
Il suo proceder sempre più deciso
Ser Masperi non ci ha certo sorpresi
Il cranio suo viril è chiaro segno
Di gran capacità e duro impegno
Per per l’avversari render sempre lesi
Che dire poi di quei che di scudieri
Han preso posto, e fanno buona vece
Che tra un “porcone” ed una santa prece
Motori e cambi rendon sempre fieri?
Parrebber relegati a sorte oscura,
Ma torto gli faremmo e pure grosso
Se ai tre dessimo carne, e a lor sol’l’osso
Per l’esito della grande avventura!
Orsù citiamo i nomi e facciam festa
Diciamo di Ser Scola e di Tiziano
Si canti il nome loro in modo piano
Si renda la lor opra manifesta!
E poi come scordar tutt’i restanti
Citarli mi sarebbe un poco ostile
E non perchè io voglia sembrar vile
Ma invero non conosco tutti quanti!
Dirò soltanto chi m’è manifesto,
E spero che nessuno si risenta
Se in seguito qualcun mi si presenta
D’aggiungerlo alla lista sarò lesto
E allora che si parli di Goffredo
Che in terra di Lutezia vive ed opra
La gloria sua tutta la Francia copra
E pure Italia tutta se ben credo.
Il prode Andrea dal cuore puro e forte
Da sè si dice scarso di pisello:
Tatuossi sulla schiena l’uccello
Di Guzzi, che ci porta buona sorte.
Nomar m’è d’uopo di Ser Abbadini
Ch’un di conobbi in terra Ambrosiana
Persona mi sembrò ben saggia e piana
Di gusti signorili e sopraffini
Ma il tempo sopraggiunge della pugna!
Deh cavalieri dai ferrei cavalli
Le nobil terga coperte dai calli
Copritevi! Che già la moto rugna!
Gli scarichi, a guisa d’Olifante,
Già sparan fuoco e fiamme con gran possa
La moto colorata nera e rossa
Ha l’aria d’averne viste già tante.
Coraggio, vi si chiede di lottare
La Nike, donna, assai è capricciosa
Un giorno di quà, di là poi si posa
Sta a voi cercarla per poi ben trionfare!
Le ore scorron leste e coinvolgenti
La zuffa si ripete senza posa
A turno uno combatte e due riposa
La sorte arride ai tre nei loro intenti!
Han vinto! Sia giubilo e tripudio!
Si suonino le squille senza sosta
I tre brandiscon fieri la gran posta
E relegano gli altri al gran ripudio!
Chi ha perso con le pive dentro al sacco
S’en torni da dov’era mal venuto;
I tre con far più o meno astuto
Han dato a tutti quanti il matto scacco!
Ritornano gli eroi d’Andalusia
Han vinto con le moto di Mandello
Il premio del metallo ch’è più bello!
Di casa ormai riprendono la via.
Ritornano in Italia vincitori
E narrano le gesta a chi è rimasto
Ci narreranno di quel fiero pasto
Che si son fatti d’altri corridori
Li accolgano le squille a perdifiato
E forse anche una salva di cannoni
E se saranno veramente buoni
Il vino gli offrirò freddo e stappato.
I calici leviamo fino al cielo
Beviamo lesti il nettare di Bacco
E poi ridiamo insieme dello smacco
Ch’agli avversari ha ben bruciato il pelo!

 

© Anima Guzzista

Firestarter Garage

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di GianJackal

 

Pescara, sabato 13 dicembre 2003

Il nickname FunBoy non vi dice nulla? Ma lo abbiamo visto firmare tanti post sul nostro Forum! E se ci fate caso le iniziali “F.B.” sono le stesse di un certo Filippo Barbacane che realizza da alcuni anni nella sua officina a Pescara delle eccezionali special su base Guzzi. Ancora niente? Nomi come Kimera,Ciclope, Bellerofonte o FSG004 non vi aiutano? Ma allora siete proprio dei casi disperati!
Eppure sono sicuro che questa foto vi rinfrescherà la memoria… no Alessandra, non l’ho scattata io, magari… no, ehm, dicevo “magari” così per dire… no Alessandra, metti giù il ferro da stiro, no… ARGH!
A parte gli scherzi, era da tempo che volevo andare a trovare Filippo nel suo “atelier”, per parlargli di una special su base California (la MIA California, ovviamente…) e per fargli un’intervista a nome di Anima Guzzista.

GianJackal: Breve storia del Firestarter Garage…

FunBoy: La cosa è iniziata 10 anni fa, più o meno. Il nome deriva dal fatto che il firestarter – il pulsante d’accensione – è il punto da dove inizia tutto e il garage perché i primi lavori li facevo proprio sotto il garage di casa mia. Prima di aprire il Firestarter Garage facevo un altro lavoro e la moto era solo una passione. Poi una mattina mi sono svegliato, m’ha preso male e mi sono messo subito a cercare un locale, ho trovato questo, il giorno dopo l’ho affittato e ho incominciato a lavorarci dentro. È stata proprio una cosa di getto… prima mettevo le mani sulle moto solo per me o per gli amici e la cosa finiva lì.

GJ: che lavoro facevi prima?

FB: Niente di particolare, sono sempre stato con mio padre, ha un negozio qui a Pescara di tutt’altro genere. Ma io quel lavoro non lo volevo fare, preferivo avviare un’attività che riguardasse una delle mie due passioni: la moto o le arti marziali, che pratico ed insegno da una vita. Quindi dovevo scegliere tra aprire una palestra o un’officina: sapete bene come è andata a finire!

GJ: Da chi hai preso la passione e le nozioni necessarie per mettere le mani sulle moto?

FB: Da nessuno, per quanto riguarda la moto, assolutamente da nessuno. Ho imparato tutto sfogliando quelle poche riviste che esistevano dieci anni fa, in pratica quasi inesistenti. Prendevo il seghetto a mano, vedevo le altre moto che erano corte, tagliavo il telaio e poi pian piano cominciavo a realizzare cose belle. Poi magari l’amico che faceva il fabbro ti diceva “guarda, che così non si taglia, fallo così…”, un altro amico che ti dava un’altra dritta e così via. Comunque io ho sempre avuto il brutto vizio che qualsiasi cosa vedevo fatta da qualcun altro, dovevo dimostrare a me stesso che ero capace di farlo anch’io. Mi succedeva anche spesso e volentieri di aprire un catalogo, vedere un pezzo che costava 100.000 lire e non lo potevo comperare. Allora mi dicevo: due sono le ipotesi, o mi invento qualcosa per procurarmi i soldi o il pezzo me lo faccio da solo!

GJ: Le tue prime realizzazioni come erano?

FB: Erano molto grezze, ma sempre “strane”. Le prime realizzazioni non se le ricorda quasi più nessuno, perché sono passati tanti anni. Comunque qualche moto l’avevo già portata al Bike Expo Show di Padova, erano su base giapponese ma comunque già molto particolari come forma. Mi è sempre piaciuto realizzare delle moto “strane”, particolari, perché tanto a fare le moto come tutti gli altri non ci vuole niente.

GJ: chi ti aiuta nel tuo lavoro?

FB: Nessuno. Tante volte mi hanno detto “ma prenditi qualcuno!”. Non esiste, io devo vedere la moto a modo mio dall’ inizio alla fine, nessuno ci deve mettere mano, un consiglio sì ma ci devo lavorare solo io. Ci sono poi degli amici che mi fanno compagnia, di solito siamo sei o sette qua dentro. Alla fine questa è la casa di tutti, diventa un punto di riferimento, per fare casino o semplicemente per stare insieme.

GJ: Perché di recente hai deciso di dedicarti alla Moto Guzzi?

FB: Ma guarda, ho le fotografie di quando avevo dieci anni e stavo sopra alle Guzzi, già da piccolo mi affascinavano, anche se – ad essere sincero – la Guzzi agli inizi degli anni ’90 faceva delle moto che non mi piacevano tantissimo. Sono sempre stato attratto dalle moto sportive, ma il pensiero di modificare delle Guzzi non c’era per il semplice fatto che non si vedevano in giro Guzzi modificate. Adesso il discorso è diverso; è facile vedere negozi o attività che realizzano moto su base Guzzi. Quando ho iniziato io non c’era niente sulle Guzzi e quindi vedere su un giornale un Cafe Racer Guzzi che ti potesse “stuzzicare” era praticamente impossibile. E fino a cinque anni fa a meno di andare in Germania la situazione era sempre la stessa. Quando poi si diceva che usciva il V11 l’andai a ordinare ancora prima che fosse disponibile. Poi nonostante il pericolo che la Guzzi fallisse, io lo volevo lo stesso, tanto che non so se sono stato uno dei primi in Italia ad averlo. In pratica l’ho comprato e basta, senza mai vederlo dal vivo. Poteva anche essere una schifezza di moto ma lo volevo comunque. Da allora ho visto che la Guzzi faceva delle moto più abbordabili, ci si poteva avvicinare con la modifica, a differenza dei vecchi California che non ti ci potevi neanche avvicinare, anche perché non esisteva alcun accessorio. Appena salito sul mio V11 ho capito che “quella è una moto”, intesa proprio come vibrazione, sensazione. Poi partendo dalla mia moto ho realizzato la special “Ciclope”, anche se adesso è tornata allo stato originale, avendo sotto mano la Furia. Ho iniziato a lavorare sulla Guzzi anche perché non ci lavorava nessuno. Pensa alle Harley: uno sfoglia un catalogo, prendi un pezzo qua e un pezzo là, lo avviti, fai l’assemblatore! Invece su un Guzzi no, ogni particolare lo devi realizzare tu. Poi con un motore che esce fuori così ti costringe a fare delle estetiche che se non sono azzeccate sono una schifezza. Ogni moto è una sfida, proprio per il motore che esce fuori in quel modo, è enorme e non puoi neanche abbassarlo a terra. E questo mi piace! Il fatto che poi ti fa “strano” è che la gente che ti incontra per strada quando sei in sella ad una Guzzi ti dice sempre “mio nonno ce l’aveva, mio zio ce l’aveva”, qualcuno ce l’ha sempre avuto! Mio padre mi raccontava anche delle Guzzi che andavano in giro durante la II Guerra Mondiale. È inutile, è una casa motociclistica con fascino e cuore, cosa che forse solo l’Harley può vantare, e ovviamente solo in America. Per me esistono infatti solo due moto, la Guzzi e l’Harley, con un eccezione forse per la BMW. Infatti l’Harley in America viene vista come la Guzzi in Italia, una moto nazionale che ha dietro di sé una storia importante. Non dimentichiamo che la Guzzi è la seconda ditta che ha vinto più titoli nella storia del motociclismo ed è la ditta che ha fatto il maggior numero di brevetti al mondo e soprattutto ha costruito tutti i tipi di motore: mono, bi, tricilindrico, quattro cilindri e addirittura otto cilindri! Ha fatto il bicilindrico a L, il bicilindrico frontemarcia… ha fatto tutto!

GJ: A proposito di “spirito patriottico”, cosa ne pensi del fatto che la nostra Polizia giri su moto BMW, nonostante ditte italiane come Aprilia e Ducati costruiscano delle ottime turistiche come la Futura o la ST2/4?

FB: Evidentemente è una questione di offerte. Arriva la BMW e dice: noi vi diamo la moto a 15. La Guzzi invece dà le moto a 18 e i Carabinieri o la Polizia se ne fregano che è una Guzzi. È brutto ma succede anche con le automobili. Da noi si vendono in giro le Subaru, prese con le “svendite”. Certo è brutta, ma ha un motore che spinge tantissimo. Poi la Subaru avrà venduto a 8.000 una macchina che costa 20.000. Io mi immagino invece un V11 fatta con i colori della Polizia e le borse dietro, o magari una Breva 1100. Ma ho visto anche a Bologna poliziotti in giro con il Monster 600. Certo il motore non è il massimo, ma è una moto leggera, puoi farci un inseguimento. Con un California invece appena fai uno scalino spacchi il telaio a metà.

GJ: Ma è così delicato il telaio del California?

FB: No, no (risate), nel senso che dovrebbe essere una moto che ti permette di “saltare”.

GJ: Io comunque con il California qualche amico ce l’ho lasciato “male”. Si crea l’effetto “vabbé, hai un California…”, poi ti sta dietro e dice “ma allora pieghi!”

FB: Quella è una cosa che dicono tutti. Tutti quelli che salgono su un California prima pensano “ma tanto è un custom”, poi quando vanno sull’autostrada a 200 fisso…

GJ: No quello no, è sulle strade di montagna che “gusta”. Che se stai attento ad impostare bene la curva riesci a fare una bella piega. Se invece la imposti male devi fare i conti con l’interasse lunghissimo…

FB: Beh, pure quello. La Guzzi potrebbe fare un custom accorciando l’interasse, abbassando il tutto e rendendola quindi più cattiva. Poi sarebbe quello che ha fatto con la Griso, anche se con una linea più esasperata. Devi infatti trovare a chi piace la Griso: il cinquantenne o sessantenne magari non se la compra perché non la sfrutta. Immaginati invece un California con la forcella rovesciata, i cerchi da 17″, ammortizzatori buoni, alleggerita un po’ di peso, una bella moto! Quando sono stato in Guzzi per una cosa che abbiamo fatto per loro, ho visto delle moto che avevano dentro. Io gli avevo proposto di fare una cosa del genere e loro mi hanno detto “ti facciamo vedere una cosa”. Avevano fatto un California proprio con forcella rovesciata e cerchi da 17″: purtroppo non ha mai visto la luce! Una bella moto, davvero. Da qualche parte dovrei avere delle foto di “straforo” di quella moto…

GJ: Secondo te quali sono i più grandi pregi e difetti delle Moto Guzzi?

FB: Oddio, da “non Guzzista” da vent’anni, forse non potrei dirlo. Per quelle moto che ho avuto io direi che i difetti sono quasi niente. Nel senso che quelli che gli altri chiamano difetti io li considero caratteristiche. Il pregio più grande è che fai caso che c’è ancora gente che a ottant’anni gira su un Guzzi e non succede con nessun’altra marca. Chi si prende un Honda, dopo un paio di anni esce il nuovo modello che va meglio e quindi la cambia subito. Il Guzzista sale su una Guzzi e muore sulla Guzzi…

GJ: Detto così uno “si gratta”…

FB: (risate). Comunque la moto può anche essere “quadrata” e non gliene frega niente a nessuno. La Guzzi ha fatto delle moto brutte, però erano delle Guzzi e si vendevano lo stesso. Era il motore che faceva tutto. Se invece esce una giapponese brutta non se la compra nessuno. Prendi ad esempio il Centauro. A me piace, ma molta gente sostiene che è brutto. Però nonostante quello se lo sono comprati in tanti. È il “cuore” che ha il motore, che dà valore al tutto. Quando hai sotto un motore così non ti importa se la moto è quadrata, gialla o rossa.

GJ: Della MGS01 cosa ne pensi?

FB: Bella. L’ho vista quando era ancora un prototipo sotto un telo da Ghezzi&Brian, un sacco di tempo fa. Bella. Molto bella. L’unico dubbio è se la faranno o meno. La moto mi piace da morire. I particolari sono notevoli. Guarda l’airbox, ad esempio, che è completamente al di fuori degli “schemi” Guzzi. Anche se Giuseppe l’aveva già sviluppato per la Furia. E questo mi preoccupa. Una volta “esaurita” la MGS01 che cosa fanno? Quella moto è uscita dalla Ghezzi&Brian, alla fin fine. La Guzzi non può aspettare 10 anni che qualcuno all’esterno si inventi qualcosa di innovativo da costruire intorno al motore Guzzi.

GJ: Della Griso cosa mi dici?

FB: È il genere di moto che piace a me! Come le moto che realizzo io è tozza e bassa. Anche in questo caso però, se non si sbrigano a farla uscire rischiano di farlo diventare un progetto vecchio. È come quando hanno presentato il V11. C’è da dire che per l’Aprilia a costruire una moto non ci vuole niente. Ho visto come lavorano, e se una moto la vogliono fare davvero, non è così difficile. La Guzzi ha bisogno di avere moto nuove. Ci sono persone che non ce la fanno più e dicono “se non esce la Guzzi che dico io entro un tot, mi compro una moto di un’altra marca”. Se consideriamo la potenza dell’Aprilia e prendi la moto senza considerare la forcella, i cerchi e la carrozzeria in genere, che sono parti che io realizzo in dieci giorni. Il problema è solo il telaio, neanche il motore che in Guzzi hanno già pronto. Secondo me è più una paura che la moto non vada. Perché se sbaglia una moto l’Honda, chi se ne frega, ne fa un’altra dopo dieci giorni, ma se sbaglia la Guzzi sono guai.

GJ: Invece con la Breva 750 e 1100 hanno fatto centro?

FB: Ne hanno vendute un casino di 750. Quella grande, se esce, io me la prendo sicuramente!

GJ: Ma la lasci così com’è o ci metti le mani sopra?

FB: Ah, quello sì, mi piacerebbe metterci le mani. Anche se la vorrei prendere solo per farci turismo. Mi piacerebbe fare turismo a lungo raggio senza stare sul quel ferro duro e scomodo.

GJ: E quale sarebbe il “ferro”?

FB: (risate) la mia Furia!

GJ: Ma se dovessi disegnare tu una Moto Guzzi come la faresti?

FB: Io l’ho sempre detto. E l’ho detto pure in Guzzi. Ma si è fatta fregare dalla Ducati. Gli dissi che l’unico modo di fare una Guzzi che veramente si venda, ma anche una moto che è giusto che la Guzzi costruisca, è ispirarsi a quanto fanno i preparatori tedeschi da vent’anni: Cafe  Racers! Ma la Ducati ne ha già fatti tre, ed ora chi vuole un Cafe Racer si compra un Ducati. Sarebbe bastato prendere il telaio di un California, mettere un cerchio in alluminio da 17″ a raggi avanti, mettere due semimanubri ed hai fatto il Cafe Racer. Non ci voleva la scienza a farne uno. Io farei un Cafe Racer. Perché la Guzzi è una moto retrò, il motore è vecchio ed è inutile cercare di costruire moto ultra moderne su un motore datato. Quindi la Guzzi dovrebbe sfruttare quanto ha già pronto semplicemente mettendogli intorno dei bei pezzi, magari di alluminio lucidato, aggiungendo pure un monobraccio ma mantenendo le ruote a raggi. Se riesci ad ottenere un Cafe Racer di una certa qualità, non artigianale o da trasformazione, e lo metti in commercio sono sicuro che la maggior parte della gente “sbroccherebbe” completamente! Secondo me se uscisse una Guzzi Cafe Racer il 90% dei Guzzisti che amano le moto sportive la preferirebbero ad un V11.

GJ: Qual è – a tuo giudizio – la più bella special che hai realizzato sinora?

FB: Sai che non lo so. Sembrerà strano, ma tra la Chimera e la Ciclope non saprei proprio. La Bellerofonte la considero una delle cose più folli che abbia fatto… una pazzia realizzata in venti giorni, che se non mi davano una mano i miei amici non ce l’avrei mai fatta.Certo la moto non ha la forcella funzionante, non ha un impianto frenante. Era una moto che non aveva bisogno di queste cose e quindi mi sono detto che ce la potevo fare. Se avessi dovuto costruire una moto funzionante non ce l’avrei mai fatta. Comunque penso che la più bella special che ho realizzato sia la Ciclope su base V11: è esattamente la rappresentazione della moto come piace a me. Corta e tozza, per l’appunto.

GJ: Qual è stata la più brutta cosa che hanno detto delle tue moto?

FB: Ti dico la verità, senza falsa modestia, non mi è mai capitato che qualcuno mi dicesse “questa moto fa veramente schifo”! Forse l’unica cosa che mi ha dato fastidio è che molti criticavano il fatto che la Bellerofonte non fosse funzionante. Ma non tutti sanno che al Bike Expo il 90% delle moto non sono funzionanti. Sono moto da 150 milioni realizzate in una anno ma che dentro il motore Harley non ci sono neppure i pistoni. Io ho fatto una cosa che si vede che è un esercizio di stile e che con poco lavoro potrebbe camminare. Non l’ho fatta camminare io perché non servirebbe a nulla. Mi fa rabbia che quando sono gli altri a fare delle maquette…

GJ: Se non sbaglio anche la Griso!

FB: Esatto. Non so se l’hai vista bene, ma se metti una mano sotto senti che il serbatoio è fatto di legno, così come la sella!

GJ: Ed invece qual è stata la cosa più bella che ti hanno detto?

FB: Mah, la cosa più bella è stato proprio l’apprezzamento da parte di Anima Guzzista. Ogni volta che sul sito di Anima Guzzista si parla delle mie moto c’è sempre un’aura particolare. Poi è eccezionale la Redazione di Cafe Racer. Molto di quello che sono lo devo a loro, che hanno fatto fare alle mie moto il giro di mezzo mondo. Loro hanno creduto in ogni cosa che gli ho mandato. Ogni volta che preparo una moto per Padova loro mi dicono subito di portargliela per farci un servizio, tanto sono sicuri che qualsiasi cosa abbia realizzato vada bene. Dovrei fare un ringraziamento particolare a uno dei redattori  di Cafe Racer, che ora si occupa di custom, Paolo Sormani, che ha avuto grande fiducia nei miei confronti. Comunque mi hanno fatto sempre piacere le email che arrivano da ogni parte del mondo. Una volta mi è addirittura capitato che mi telefonasse un gelataio tedesco. Non mi ha neanche detto “pronto”, ha subito iniziato a dirmi “grazie a persone come te, l’Italia può vantarsi di realizzare cose diverse dagli altri”. Questa persona è impazzita per quanto stavo facendo!

GJ: Una domanda “filosofica”: secondo te, perché alla gente piace tanto l’alluminio?

FB: Guarda, a me l’alluminio piace tantissimo come non mi piace assolutamente il carbonio. Per me il carbonio è uno dei materiali più stupidi che esistano, perché non è bello. L’hanno fatto piacere. Non mi piacciono neppure le cromature: sono un artificio per coprire qualcosa che altrimenti si rovinerebbe. Mentre l’alluminio è un “metallo prezioso”, è indistruttibile, è eterno. Anche l’acciaio è un “metallo prezioso”, ma è pesante. L’alluminio invece è leggero e si lavora con facilità. Poi se l’alluminio si opacizza prendi uno straccio e un po’ di pasta abrasiva e torna come nuovo. Se una cromatura si spella devi smontare il pezzo e portarlo a ricromare di nuovo! Certo che poi la Guzzi, come tante altre case, utilizzano l’alluminio stampato, che secondo me è brutto. Certi pezzi come le piastre della forcella o il supporto posteriore dell’asta di rinvio del cardano non si possono proprio guardare: si vede la granulosità dell’alluminio. È un dettaglio troppo grezzo per una moto che costa 20 milioni! Comunque se tutto va bene spero di risolvere io questi “inconvenienti” e lo vedrete presto!Tornando al discorso dei difetti della Guzzi uno è proprio questo: la scarsa attenzione ai particolari. Io mi sono trovato con il prigioniero dello scarico sul cilindro spezzato, mi sono perso il contachilometri e il clacson. Sono errori che la Guzzi dovrebbe evitare! Anche la Ghezzi&Brian ha i suoi difetti, ma quando montano una moto mettono il frenafiletti su ogni singola vite. È vero che costa più di una Guzzi, ma se pago 11.000 € per un V11 non è ammissibile trovare una qualità così bassa!

GJ: In pure stile Iene fatti una domanda da solo!

FB: Uhm, mi chiederei “dove voglio arrivare”. Se Dio vuole come passa il tempo mi vorrei dedicare alla Guzzi e basta. E magari riuscire un giorno a creare qualcosa di mio fuori dall’Italia. Il mio sogno è di aprire un’attività di “Made in Italy” all’estero, magari in Giappone, un paese che mi appassiona. Oppure negli Stati Uniti, dove ti dedichi solo alle moto italiane e dove prendi moto d’epoca e le metti a posto. Potrei aprire un negozio con una bandiera tricolore di venti metri quadri davanti, e dove vendi moto e abbigliamento esclusivamente “Made in Italy”. Lo farei all’estero anche perché fa rabbia vedere che l’unico catalogo per pezzi Guzzi lo pubblica la Stein-Dinse che è tedesca! Gli italiani spesso si spaventano a comprare una manopola da 40 Euro quando ne hanno spesi 10.000 per la moto! Non possono pensare di modificare la moto spendendo quattro soldi e poi essere invidiosi delle Harley dove ci sono montati migliaia di Euro di pezzi! Non condivido nemmeno quando prendono una Guzzi e la trasformano in un’astronave, appesantendola con borse, borsoni rigidi, porta lattina, quattro fari e dodici clacson! Come ho già detto su un post scherzoso su Anima Guzzista ognuno è libero di farsi la moto come vuole, ma mettergli tremila cose attaccate sforma la moto. Un ragazzo non si avvicinerà mai ad una moto che sembra uno scatolone: non dà l’idea di una cosa giovane, dinamica e divertente. Vede una moto fatta per una persona di una certa età con quattromila cose sopra e pensa “è un treno che va solo dritto”. E mentre molte persone con custom giapponesi mi chiedono di modificargliela per farlo andare di più, chi ha una Guzzi – che è la custom con più cavalli sul mercato e con un’eccellente ciclistica – la ricopre di accessori che la stravolgono e compromettono le naturali doti dinamiche.

 

L’abbiamo fatta da star

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5° Trofeo Deccla Cartagena, Settembre 2003

di Mauro Iosca, Alberto Sala, Roberto Masperi

TUTTO E’ COMINCIATO CREDENDOCI E PER UNA VOLTA PROVANDO A FAR FINTA DI ESSERE NEL “FILM”.

Mi chiama Roby: è telegrafico, mi avvisa che mi sta “girando un’ e-mail che gli è arrivata dalla Spagna, leggila” mi dice “e poi dimmi cosa ne pensi. Ciao ciao”.
Capisco immediatamente che chi gli ha scritto è Mauro Abbadini, ma ancora non riesco a immaginare cosa sta per succedere.
Mauro è un vero appassionato, un entusiasta dei peggiori, di quelli che ti contagiano, che ti fanno sorridere, che ti raccontano e ti fanno sognare; sì, Mauro è uno con cui non bisogna scherzare se pensi che le “cose” siano complicate, perché stai sicuro che lui non le vede così.
Rientro e corro ad accendere la “scatola” per leggere le ultime notizie dalla Spagna: il messaggio è breve ma efficace e dice: “ciao Roby …bla bla bla… facciamo questa gara di endurance a Settembre: “la sei ore di Cartagena”: perché non venite tu con Mauro (che sarei io) e magari con Alberto… sai ho visto i tempi che ha fatto a Monza durante le giornate Guzzi, quello lì è un bel manico, dai fate uno sforzo: la moto ve la do io, voi vi portate Bruno come meccanico e il gioco è fatto”.

http://www.classicco.biz/

Mentre sto già per archiviare il messaggio mi volto a sinistra e vedo la mia faccia riflessa nel vetro della vecchia cartina Michelin dell’Europa e comincio a pensare… uhm, Cartagena, La Manga, il Mar Menor… ci sono stato da ragazzo, sì nel ’87 dopo il diploma, senza una lira, mi ricordo mangiammo pane e pesche quella volta per giorni e giorni… La Manga è lì; ma sì ma certo, Cabo de Palos, è dove partì quello spagnolo, quello famoso che ha scoperto l’America, Cristobal Colon.
Ehi, un momento: ma nel 1987 io mica avevo questa faccia da “impiegato del catasto”!
Prendo il telefono e chiamo la Classic.Co (www.classicco.biz), il quartier generale di Mauro Abbadini: “Hola buenas tardes, soy Mauro de la Italia …Mauro Abbadini estas?” “Oh ciao Mauro que tal?” “Bene bene grazie… hei -dico io- ho letto l’e-mail che hai mandato a Roby: ma dico stavi scherzando?” “Scherzando?!? No no Mauro, siete voi che scherzate: qui in Spagna si fa sul serio… sta a voi di decidere; per me è tutto pronto: se volete la moto c’è”. “Mi regali un sogno, lo sai Mauro? Devo ancora parlare con gli altri, ma per me io sono già lì”. “Fatemi sapere, vi aspetto, hasta pronto!”
Stavolta si fa !!! Devo convincerli, questa non scappa, solo un “minchia” non approfitta di un’occasione così. Chiamo Roby ma è sicuramente al lavoro, non posso chiamarlo in banca: sarà impegnato… me ne infischio della banca! “Tut-tuut! Sì buongiorno, è la Deutsche Bank? Saalve, sono il cardinal Tettamanzi, vorrei conferire con il signor Masperi…” “un momento glielo passo subito glielo … he chi ? .. Mauro ?… Si ma non posso parlare molto… si come dobbiamo farlo?… Sì a tutti i costi, dobbiamo andare a fare la gara sisi d’accordo poi ti chiamo ciao ciiiaaooo!”
Roberto ci sta, sono sicuro che ci sta; controllerà i giorni di ferie che gli rimangono e poi lui per girare in pista di certo non si tira indietro.
Devo chiamare Alberto, lo devo convincere: poi domani vado in officina e parlo con Bruno.
Con Alberto devo fare in un altro modo, meglio andare da lui a casa tranquilli e esporre i fatti con calma; lui è un precisino: se lo chiamo ora eccitato come sono va a finire che non mi spiego bene e lui sicuramente mi manda a quel paese: meglio stasera. La sera stessa passo da casa di Alberto, ci sono anche Rosella (sempre sorridente, beata lei) e Lorenzo (amore grande, come lo chiamano mamma e papà): mi siedo a prendere il caffè, ora sono molto più calmo ed espongo “la novella” ad Alberto, lui mi ascolta placido e silenzioso, riesco a cogliere ogni minimo impercettibile movimento dei suoi muscoli facciali è come se stessi leggendo il suo recondito percorso emozionale e riconosco quel mezzo sorriso e l’occhietto lucido, so già che non mi dirà subito “va bene ci sto”, ma so che sarà “SI”; ne parleranno, lui e Rosella, Rosella si preoccuperà ma senza darlo troppo a vedere e non gli dirà di no; ne sono certo (è il premio that’s amore 2003!).
Il sabato è il giorno del caos in officina per parlare con lo “zio” (Bruno): meglio andare in mattinata, gli dico serio che devo parlargli di una cosa importante e che deve tenersi libero per pranzo; sennò il farfallone non m’ascolta con attenzione e chissà quanto ci metto a convincerlo. Mi fa segno di sì con la testa e continua la sua opera di convincimento di un avventore a cui sta spiegando che con il suo albero a camme non volano solo gli asini ma anche i Nevada.
Andiamo a mangiare al Disco Volante e io sto viaggiando su una nuvola; gli dico “Bruno dai, raccontami di quella volta del Bol D’Or… dai zio… che tempi eh, zio? Che forza quelle moto?… Ma senti un pò… ma cosa ne dici se ci fosse la possibilità di fare una gara così? Eh zio, come la vedi? no perché sai in Spagna… Mauro…”
Lui sorride, anzi ride, anzi fa quella specie di pernacchia o insomma ognuno ride come vuole; accampa qualche scusa poi ritorna serio e dice: “io lo farei ma deve venire anche Tiziano” Ah, sarebbe fantastico, un vero team al completo, ma non sarà facile convincerlo; per convincere Tiziano bisogna fare in modo che tutto sia a posto, tutti d’accordo a chiedere a gran voce che ci sia. Intanto lasciamo decantare qualche giorno, poi mercoledì sera c’è la riunione del Moto Club e lì tiriamo le somme.
E’ mercoledì sera e l’aria è calda, tutti sono seduti fuori dalla porta dell’officina con le sedie disposte in circolo. Sarà per le mamme che rincorrono i bambini o per la cinquecento del Renato tirata a lucido, come appena uscita dalla Fiat o per le paste mangiate così sotto le stelle, ma stasera sembra di essere davvero negli anni settanta o forse sono solo le seppie ripiene di mamma, che mi fanno vivere sempre nuove allucinazioni.
Arriva il momento a fine riunione in cui gli sguardi si trovano e i complici si spostano nell’ufficio del Bruno. “Ehi Tiziano, puoi venire qui un momento?” Arriva scrutandoci con sospetto, poi si siede e ascolta. Mentre gli spieghiamo le intenzioni fa come per trovare la solita sequela di obiezioni che in realtà non esistono, tutti sono lucidi e tutti lo guardano con amichevole severità: “se tu non vieni non si può fare!” Lui… abbassa la testa, prova a brontolare, ma non ce la fa e ride.
“ Cavolo ragazzi bisogna organizzarsi bene! Mica possiamo andare a fare figuracce!” Tutti ridono e con fare birichino, abbracci e pacche sulla spalla usciamo dall’ufficio con l’accordo raggiunto, SI VA!
E’ cosa fatta. Bisogna avvisare Mauro, prenotare volo e albergo, capire cosa come e quando, ma il più è fatto, niente dubbi nè incertezze, stavolta si fa!
E’ tempo di vacanze, di relax e spensieratezza e l’idea che Settembre presto arriva, per quest’anno non m’angoscia. So che una piccola riserva di immenso piacere, prima che l’inverno come sempre ci divori, mi sta aspettando e che sarà un sogno che s’avvera, fosse anche per una volta sola.
[Mauro]

GIOVEDÌ
Si parte! Dopo un breve volo atterriamo a Valencia, dove noleggeremo un auto per scendere fino a Cartagena. Appena scesi ci accoglie il magnifico clima spagnolo: qui è ancora estate, e soprattutto ci invade quello ‘spirito’ leggero, divertente e allegro che sembra regnare in ogni abitante di questo solare paese. Il viaggio contribuisce anche a rafforzare il nostro spirito di gruppo; non che ce ne fosse bisogno, ma vuoi la Spagna, vuoi il viaggio, vuoi il fatto che stavamo procedendo verso il nostro sogno… beh, era un ‘gasamento’ continuo a vicenda.

 

Prima di arrivare al nostro Hotel ci fermiamo nei pressi di Murcia, dove incontriamo Mauro Abbadini, che dopo i rituali abbracci ci conduce da Miguel Angel, suo compagno nell’organizzazione della gara, e soprattutto malato perso di moto italiane. Le loro simpatiche e gentilissime consorti ci rifocillano in abbondanza, ma il ‘pieno’ lo facciamo quando Miguel Angel ci apre le porte del suo garage, che sarebbe più appropriato definire ‘atelier’. Alla vista del contenuto si sentono cinque ‘TOK!’. Sono le nostre mascelle cadute a terra dallo stupore e meraviglia nel vedere (e odorare) Ducati, Laverda e Moto Morini della nostra epoca motociclistica preferita (i mitici anni ’70). Spettacolari. Peccato che manchino Moto Guzzi, ma Miguel Angel non apprezza il cardano…

Raggiungiamo dopo esserci congedati l’Hotel, dove ci addormentiamo pervasi dall’atmosfera bellissima appena vissuta, e pregustandoci (senza però immaginare davvero quanto) le giornate seguenti.
[Alberto]

VENERDÌ
Stranamente il venerdi appena alzati non si registrava una tensione apparente: tutti erano calmi e rilassati. Uno dei momenti più belli è stato quando siamo arrivati al paddock del circuito. Era deserto, ma l’atmosfera che si respirava una volta entrati ed avvicinatici ai box era di quelle mai provate!!
Effettivamente si stava realizzando per noi un qualcosa che mai e poi mai ci saremmo immaginati di vivere in prima persona. La nostra voglia di cominciare era così alta che siamo arrivati almeno due ore prima di tutti gli altri partecipanti!!!
Allora ci siamo rilassati sia preparando le nostre tute da gara che chiaccherando tra di noi: Bruno ha aperto il libro dei ricordi e… ci sembrava di essere fuori dal tempo in un altra vita meravigliosa, in cui potevamo fare finalmente una delle cose da noi preferite: guidare una moto in pista.
Abbiamo vissuto quattro giorni in uno spazio temporale separato dalla nostra vita quotidiana!!!
Man mano che i vari partecipanti alla competizione cominciavano ad arrivare l’adrenalina in corpo saliva sempre più fino all’arrivo di Mauro con il suo prezioso carico: ben quattro moto, di cui una tutta per noi.
Ci siamo svegliati dal nostro sogno ma… era tutto vero!!! E c’era anche da lavorare: scaricare le moto, allestire il box, fare le iscrizioni etc. etc.
Per noi era tutto nuovo ma molto stimolante, un pò meno nuovo ma comunque stimolante per Bruno e Tiziano che si sono ritrovati per le mani una moto fantastica ma con qualche acciacco dovuto ad una precedente caduta.
La mattina è volata in un attimo aiutando sia Bruno che Tiziano nei loro lavori…
[Roberto]

 

Le Guzzi preparate sono tutte più o meno con le stesse basi: telaio tipo Le Mans con la culla inferiore segata, qualcuna con il canotto di sterzo risaldato più chiuso, motori pompati assai, teste a doppia candela, valvole maggiorate e così via di questo passo, con Bruno che inizia a fiutare suoi componenti e gli vedi gli occhi che brillano, mentre noi ci limitiamo ad ammirarle da un punto di vista estetico. Il fascino di queste moto è semplicemente irresistibile. Sono le moto da gara più belle che abbiamo mai visto, e ognuna di queste meriterebbe la copertina di Cafè Racer, tanto sono curate e spigliate, leggere nella linea ed essenziali nella loro destinazione d’uso. Che meraviglia…!
Mentre Bruno e Tiziano, come due chirurghi di fama mondiale cominciano ad armeggiare con gli attrezzi per la messa a punto, Mauro Iosca mi invita a fare un giro di pista a piedi, tanto per dare una prima occhiata, e così, a torso nudo per gustarci il caldo sole spagnolo percorriamo la pista, che subito si rivela bellissima e difficile, con una dozzina di curve (!), alcune in saliscendi e almeno due staccate in piega difficili da capire appieno, come poi constateremo in sella al bolide. Il gasamento sale sempre di più…
Rientriamo ai box mentre i nostri ‘dottori’ cominciano a sistemare la nostra moto, la Guzzi numero 5, dalla bellissima livrea bicolore rossonera divisa a metà da una fascia bianca, che a seconda del lato in cui la osservi dà l’impressione di vedere due moto diverse. Mauro Abbadini ci spiega che è appena caduto con questa moto, e che quindi ha bisogno di un po’ di cure. Poco male. Ci poteva portare anche un catafalco devastato che non avremmo battuto ciglio, pur di poterlo pilotare lungo quelle curve là dietro le gobbe del terreno. Nel frattempo il paddock si riempie di moto… di moto… di motociclette bellissime, sempre di più, e riempendosi assume le fattezze d’autentico paradiso motociclistico. Guzzi sempre più affascinanti, una Honda CB750 gialla di una bellezza mozzafiato, due Laverda meravigliose, soprattutto quella di Miguel Angel che pare una bomboniera, Norton a profusione, Ossa e Bultaco che non farei quasi uscire dal box per paura di danneggiarle… Invece qui le moto le usano, e meno male, e la passione e semplicità di tutti ci mette talmente a nostro agio che inevitabilmente ci chiediamo perché da noi (inteso come Italia) riscontriamo spesso tanto fighettismo inutile. Mah. Qui è meraviglioso, si sta tanto bene, sembrano tutti amici. E lo sono.

Purtroppo la messa a punto dura parecchio, anche per via di una candela col filetto spanato, e Tiziano è costretto a piazzarci un bullone per tappare il buco (si tratta della seconda candela, per cui giriamo in pratica con tre candele, un nuovo trend, dopotutto noi valiamo :-)), e inoltre uno degli attacchi del collettore di scarico alla testa cede, ma l’altro regge a sufficienza. Alla fine, quando manca solo un’ora e mezza alla fine delle prove libere del venerdì incominciamo a girare, con la moto che dimostra immediatamente di avere tonnellate di coppia e stabilità notevole, ma anche di essere piuttosto ‘maschia’ nei cambi di direzione, e spara certe rivoltellate in rilascio che parecchia gente alza le mani istintivamente! Giusto il tempo di assaggiare la pista, di capire che è bellissima e a tratti veramente difficile, con pochi punti di riferimento (è talmente secco che mancano anche i sassi, mannaggia), curve a raggio alquanto variabile e almeno un paio di staccate in piega, le più difficili. Però si gode di brutto, si sta ginocchio a terra per la maggior parte del tempo (se non erro le curve sono dodici) con un unico rettilineo degno di tal nome.

Insomma: a fine prove, pur col dispiacere di non essere riusciti a girare molto (mentre Bruno e Tiziano hanno lavorato senza sosta) siamo comunque assai soddisfatti, e prima di lasciare il circuito giriamo tra i box con la luce ormai al tramonto per gustare l’atmosfera della vigilia, con diversi team impegnati nelle ultime operazioni di messa a punto e con improvvisati accampamenti di sedie dove le donne passano il tempo chiacchierando allegramente… insomma, se avessimo lì da mangiare e qualche branda probabilmente non ci saremmo manco mossi di lì.

Invece facciamo in tempo, nonostante la grande stanchezza, ad assaporare una fetta della festa di Cartagena, con chilometriche sfilate di centurioni, donne in costume romanico e barbaro e così via, assai suggestive come sempre in terra spagnola, e a meritarci una cena deliziosa in un ristorante del centro. Prima di crollare a letto, in attesa del grande giorno.[Alberto]

TEMPI DI VENERDÌ (MOTO 1)


SABATO
Il grande giorno ci sorprende da una parte ansiosi del momento della verità, e dall’altra un po’ intimoriti, anche per i pochi giri percorsi nella giornata precedente. Chi certo non è stato con le mani in mano sono Bruno e Tiziano. Arriviamo al circuito, già animato, e Mauro Abbadini, dispiaciuto per i problemi tecnici della moto, addirittura ci mette a disposizione una delle sue moto di riserva, che non dovrebbe avere i problemi riscontrati nella ‘bicolore’. Si meriterebbe un monumento lì seduta stante: noi sulle prime non accettiamo, ci sembra troppo, ma il suo dispiacere è sincero e quello che desidera è vederci liberi e felici di far correre la sua moto. Si merita un monumento. Dobbiamo ricordarci appena tornati in Italia: comprare marmi, cemento e bronzi.
La ‘seconda’ numero cinque è ovviamente un gioiello come la prima, con alcune differenze: se da una parte è meno generosa di motore (che però gira come un orologio), ha una ciclistica ben più svelta, visto che dispone di un cannotto di sterzo più chiuso con in più il cuscinetto Ghezzi, tant’è che sul coperchio dell’alternatore sono ben visibili residui gommosi di grattate in staccata. Ciliegina sulla torta, una pompa del freno anteriore più efficace (altro problema della moto di ieri) e, complice una impostazione in sella più alta, si rivela assai maneggevole (perlomeno nei limiti di una Guzzi, s’intende), cosa assai positiva su questo tracciato che ti massacra di curve. Unico difetto: la forcella scarica di idraulica, ma lo vedremo più avanti. Certo che per noialtri ‘piloti’ c’era da riimparare tutto daccapo… ma chissenefrega: una volta saliti in sella senza più forzate soste ai box, si viaggia a meraviglia e pian piano tutti miglioriamo i tempi di ieri.
[Alberto]

Devo dire che la notte tra venerdi e sabato non è stata delle più tranquille, forse era la stanchezza o forse era la…
Comunque di primo mattino ci siamo presentati in autodromo dove ci aspettava un vero tour de force: prove libere, prove ufficiali e infine la gara!
Per fortuna ci aspettava anche una buona notizia: la nostra moto che tanto ci aveva fatto tribolare il giorno prima, su intercessione di san Mauro da Madrid, era stata sostituita con un’altra che serviva di scorta ad un altro team del nostro gruppo.
Dunque uno dei nostri primi pensieri che ci aveva fatto passare la notte in bianco si era dissolto. Ora rimanevano tutti gli altri.
La nuova moto era fantastica per noi debuttanti: infatti a fronte di un motore un pò meno potente aveva un comportamento di ciclistica più sincero e facile che permetteva una guida meno stressante e più redditizia.
Infatti, grazie al talento di Alberto, ci siamo ben qualificati potendo dedicarci all’aprendimento di tutte le curve della pista di Cartagena che sono una più difficile dell’altra…
[Roberto]

QUALIFICA
Finite le prove libere, si incomincia a fare sul serio. Un’ora di tempo, con tutti e tre impegnati a darci dentro per strappare il tempo migliore, che varrà per la griglia di partenza. Ripercorro mentalmente il circuito: rettilineo del traguardo non lunghissimo, si inserisce la quinta solo per pochi metri, poi staccatona buttando giù due marce per la prima bellissima curva sulla destra in salita, senza vederne la fine. Va presa la corda lasciando scorrere la moto in rilascio per la curva successiva senza pausa, sempre a destra ma in discesa; poi appena raddrizzati, dentro la seconda e lieve pinzata per affrontare la seguente a sinistra, la più lenta del circuito. Brevissimo rettilineo e variante non lenta ma insidiosa anche per l’assenza di cordoli e per la fatica nel raddrizzare la moto in uscita per gettarsi in un curvone ampio a destra tutto in accelerazione, aah bello, ma quando hai messo da poco la quarta ti accorgi che là avanti la curva si chiude, e però non c’è modo di raddrizzarsi né di capire dove staccare, visto che i cartelli sono interni e lontani; vabbeh, mi baso sui segni di frenata sull’asfalto: dentro la terza e vvaaaaiii in un bel curvone a destra in appoggio, per poi andare di quarta in una semicurva a sinistra e in fondo staccare sempre un poco inclinato; dentro di nuovo la terza per salire su un semitornante secco a sinistra in salita, uscendo spalancando anche se di là non si vede dove diavolo vada l’asfalto: appena scollinati si vede che piega a sinistra e si tiene la terza su di giri, per staccare appena dopo poiché già si ricurva a destra in discesa, anche questa mozzafiato, e poi giù in breve rettifilo fino ad una curva a sinistra un po’ bastarda dentro, perché veloce ma non sai subito bene quanto puoi osare. Si prosegue tirando un po’ la quarta fino alla staccata per il tornantone bello godurioso super plus in appoggio in salita a destra da fare in progressione in terza, per poi sbattere la quarta di prepot… aaalt che siamo in piega a sinistra e vedo là in fondo i segni di una bella staccata ancora in piega, ma dove boia Faust devo staccare, che sono sempre o in anticipo o in ritardo?!? Questa è bella difficile: si piega secchi a sinistra obbligatoriamente in seconda rasoterra, tirata di terza fino a stracciare l’ultima staccata, quella del tornante di ritorno a destra che immette sul rettifilo. Qui si fanno urlare le saponette fino al bordo esterno, per poi lasciar sopravanzare l’urlo del bicilindrico palpato di bestia per trapanare i tappi alle orecchie (scarico liberoooo!!!) e via sul traguardo. Bello, bello da morire (metaforicamente, of course).
Ora si comincia a fare sul serio e non vedevamo l’ora: parte Roberto, tira i suoi venti minuti e strappa un 2’13″92: rientra e mi cede il ferro caldo, salto su, porca putrella, con una voglia tremenda che ieri mi ha lasciato un po’ d’ansia: la moto comincio a sentirla, so che in quel curvone d’accelerazione devo stare ancora attento che soffre le sollecitazioni dell’asfalto, ma d’altra parte si lascia gettare alla corda come un fuscello, e la pompa davanti mi dà fiducia: via! In cinque-sei giri continui scendo fino a 2’08″5, per poi cedere il testimone a Mauro, che non vedeva l’ora manco lui. Macina i suoi giri scendendo anche lui dai tempi di ieri e di prima mattina fino a 2’14″61. Bene! Siamo affiatati, ci stiamo divertendo, Bruno e Tiziano hanno gli occhi che ridono, ci sentiamo finalmente liberi, dopo mesi a pensare alternativamente se avremmo fatto una cazzata solenne o se saremmo saliti alla gloria (non quella eterna, sticazzi), e siamo a metà classifica nello schieramento! Chi l’avrebbe mai detto, noi che pensavamo che gridassero “SI CHIUDEEE” prima che arrivassimo ai box!
[Alberto]

LA GARA
L’inizio della gara è stato uno dei momenti più emozionanti: che bello vedere tutte le moto schierate per la partenza stile Le Mans con i piloti schierati dalla parte opposta della pista pronti allo scatto per raggiungerle!
Il piacere di poter iniziare la gara ci ha fatto passare ogni titubanza o timore: per un giorno eravamo dei veri piloti!!!
[Roberto]

Io mi cago sotto. L’ho detto subito, la partenza mi fa paura, non so se ce la faccio a partire io per primo. Roberto, sei un santo, braaaaaaavo che parti tu per primo, mi togli un bel sasso, forse l’unico. Siamo pronti, tutto è pronto: la moto, Bruno al muretto con l’inseparabile cronometro e le sue tabelline; Tiziano di là del muretto con in mano l’acceleratore tiene il motore sveglio, Roberto dall’altra parte della pista in piedi schierato con tutti gli altri piloti a fianco… E’ il momento tanto sognato: tre, due, UNO… VIAAAAAAA!!! In un bordello assordante di sgasate tutti partono a razzo (più o meno), tranne uno: Javier, che tradito dal non sentire la propria moto in mezzo all’urlata globale la spegne, così perde tempo a riaccenderla aiutato da Alberto (cosa che risulterà fatale alla loro classifica). Noi siamo tutti appiccicati come poster al muretto, in attesa delle passate di Roberto davanti al traguardo e tesi al responso cronometrico di Bruno, unico termine di riferimento dato che è impossibile capire a lungo la posizione tenuta.

Allo scadere della mezz’ora (tale è il tempo concordato tra noi per i turni) cambio pilota: Roberto mi cede la moto, ora tocca a me, ma tutta l’apprensione svanisce appena tocco l’acceleratore. Ora sono solo io e la moto: tutti gli altri pensieri svaniscono all’istante. Mi fiondo in pista e comincio a macinare curve, pian piano sempre più sciolto, e mi accorgo che di gente che mi supera ce n’è pochina; peccato che quei pochi siano quasi tutti parecchio più svelti di me, si vede da come entrano veloci in curva che la pista la conoscono bene. Io cerco qualcuno da inseguire, da cui imparare bene le traiettorie, dove staccare, soprattutto in quelle due bastardissime staccate in piega dove perdo tempo. Ecco che mi supera la numero 37, però riesco poco a seguirla, perché Tiziano implacabile, dopo avermi segnalato un bel 2’06” come miglior tempo, mi intima la sosta ai box per il cambio pilota e il pieno di benzina. Non importa. La gara è lunga, ho tutto il tempo.
[Alberto]

 

La fortuna dei debuttanti ci stava dando una gran mano: viaggiavamo ampiamente a metà classifica facendo la nostra bella figura girando in tempi sempre migliori man mano che imparavamo le strane curve del circuito, finchè la dea bendata, come capita spesso nelle gare di durata, decide di andare a bersi un caffé.
Proprio davanti al nostro box la moto con alla guida Mauro tira una sfollata tremenda seguita da fiammata allo scarico e successiva fumata nera.
Sfortuna vuole che noi dal muretto abbiamo visto tutto e chiaramente, come la natura umana vuole, abbiamo subito pensato al peggio.
La moto poco dopo si fermava in una via di fuga del circuito. Era finito tutto, da ciò che avevamo visto sembrava chiarissima la rottura di una valvola!!
Erano appena trascorse meno di due ore e noi pensavamo che la nostra gara fosse finita: recuperata la moto in effetti il motore sembrava dare sintomi di quella rottura che noi pensavamo di aver sentito durante il transito della moto davanti ai box.
Eravamo tutti un pò delusi, anche se contenti di aver partecipato alla gara in maniera dignitosa.
[Roberto]

“ Non voglio e non posso credere che finisce qui, e poi va bene la sfollata, va bene la fiammata, i draghi il leocorno, ma adesso non esageriamo: non erano i sintomi di una rottura, perché non mi credete? No eh? Non capisco, mi sbaglio… va bene va bene però possiamo cambiare moto, dai, datemi una mano, tiriamo fuori la bicolore”. Che bravi: nessuno vuole accettare la sconfitta e in dieci minuti spostiamo numeri e trasponder sulla prima moto, mentre Bruno e Tiziano (drogati) provano a sistemare la carburazione che, maledizione a lei, ci aveva fatto optare per la seconda moto fin dalla mattina.
Esco dal box con una “belva” inguidabile, scoppiettante con l’aggravante che quando “brucia bene” non ti avvisa; è come essere sul calcinculo alla festa del paese.
Faccio tre giri, forse quattro, con tempi non ridicoli ma che a questo punto e con questa moto non sono accettabili; e dato che il feeling ormai è totale rientro ai box, nel momento in cui gli altri stavano per richiamarmi con la tabella “affinità elettive nell’interpretazione della sfiga”.
[Mauro]

 

Ma Bruno e Tiziano (quelli hanno la mentalità giusta) non si fermano davanti a niente e anche se la gara era finita hanno detto “proviamo a vedere il guasto, tanto siamo qui a far niente!”
E allora smonta la prima testa: niente di rotto. Smonta la seconda: niente; controllano l’accensione ed è tutto ok… allora nelle loro menti diaboliche comincia a serpeggiare qualche dubbio: vuoi vedere che…
Alla fine di tutto si scoprirà che era un filo dell’accensione che faceva un falso contatto: incredibile!!!
Ma ancor più incredibile è stato il fatto che questi due pazzi in meno di due ore hanno rimontato tutto permettendoci così di finire la gara!
[Roberto]

La gioia di rivedere la moto funzionante era enorme. Mauro poi, che aveva potuto fare solo pochi giri, e si sentiva addosso la responsabilità del danno (“ecco, lo so cosa pensate, che sono il solito minchione sfasciatutto, ma io non ho fatto niente, bastardi!”) ora è libero di correre, e non se lo fa dire due volte: salta su e finalmente può concludere bene il suo turno. Quando rientra al box per cederla a Roberto gli esce un “va benissimo” liberatorio. Evviva!!!
Terminata la sgroppata di Roberto, rientra per il pieno e il cambio col sottoscritto. Ora vediamo se riesco a limare ancora qualcosa da quel 2’06”, me la sento. Unico dubbio, la tenuta della forcella, che manifesta saltellamenti soprattutto in una curva, che difatti non riesco a fare certo in pieno. Dentro! Stavolta solo due riescono a superarmi in questo turno: la numero 1, che sia Alberto o Javier alla guida non so ma loro sono su un altro pianeta, provo addirittura a tentare di seguirli e devo dire che per una curva ci riesco, ma a quella dopo la numero 1, tesa a recuperare il tempo perduto alla partenza svanisce all’orizzonte. Chissenefrega, farò tutto da solo. Pian piano comincio a forzare il ritmo, ma più entro veloce nelle curve più aumentano i saltellamenti della forcella, e mentalmente mi tengo bene a mente che questa è una gara di durata dove conta arrivare, non fare il tempone, per cui accetto i saltellamenti come limite massimo invalicabile. Comunque Tiziano mi segnala 2’05”, e sono contento come una Pasqua contenta! C’è però la prima curva, quella in fondo al rettilineo, che mi attizza particolarmente, dato che è una bella goduria riuscire a raccordarla con la curva immediatamente seguente, e allora mi diverto a forzare sempre più la staccata, ormai stacco ai 100 metri, entro come una lippa, ben… ooops FORSE TROPPO LIPPA… mi strizzo un po’ e istintivamente raddrizzoooOOOO… niente da fare, non posso più buttarla dentro nella curva dopo, mi tocca finire nella sabbia, speriamo di non fare danniiii…! La moto mi cade nell’ultimo metro di abbrivio, ma aiutato dal commissario la rialzo, cielo dimmi che non ho rotto niente… che culo si riaccende al primo colpo e VIA! Immediatamente penso che sia meglio rientrare ai box, forse mi devo calmare un po’, ma dopo poche curve mi sorprendo a ripensarci. Io il mio turno lo finisco tutto, e anzi rientro ancora veloce in quella curva, so che si può fare senza pericolo. Potere dell’adrenalina…

Ormai viaggiamo con sorrisi larghi trenta centimetri: concludiamo i turni limando sempre più i nostri tempi, sentendoci finalmente leggeri e in sintonia con tutto, che bello! La stanchezza comincia a farsi sentire, ma vuoi anche per la pausa forzata, in realtà vorremmo che le sei ore non finissero mai…

Per via della sosta, l’ultimo turno tocca a Roberto. Lui però prima di salire in sella mi dice: “senti, io ho già fatto la partenza, non è giusto che faccia anche l’arrivo: se vuoi ti cedo l’ultimo quarto d’ora, così ti godi la bandiera a scacchi”. Roberto sei un grande. In quel momento non immaginavo cosa significasse davvero vedere sventolare la bandiera a scacchi, e gli rispondo che sono stanco, mi fa un male cane la mano sinistra per via della frizione, vediamo. Lui riparte, ma dopo il quarto d’ora rientra e mi cede la moto.

Percorro gli ultimi giri di gara senza tirare troppo, pensando a gustarmi le ultime, bellissime curve, col sole ormai basso sull’orizzonte, pensando alla fortuna di aver potuto fare una cosa del genere, fino a che, spuntato dall’ultima piega, percorro il rettilineo d’arrivo con tutte le persone ai box a braccia alzate a sventolare e festeggiare l’avventura, e vedo il direttore di corsa che agita davanti a me la bandiera a scacchi tanto sospirata e mi assale una gioia irresistibile, a tal punto che non riesco a trattenere le lacrime, e piango di gioia come un vitello mentre finisco il giro prima dei box, salutando tutti gli altri piloti, anche loro felici e festanti… e rientro ai box con Bruno, Tiziano, Roberto e Mauro che mi vengono incontro ad abbracciarmi… beh, mi fa venire un brivido enorme anche ora mentre tento di tradurre in ASCII questi ricordi. E’ bellissimo e meraviglioso quant’è bella la vita.

Il resto è grandi pacche sulle spalle tra tutti, sorrisi di felicità sulla stanchezza della gara, che è lunga ma da vivere tutta, col sole che cala su questa bella arida Cartagena.

Chiuso il box e caricate le moto sui carrelli ci attende la cena conclusiva, sempre in circuito, dove tutti restano a chiacchierare sulla gara e a gustarsi la premiazione e dove addirittura veniamo tirati in ballo e premiati, compresi Bruno e Tiziano che ricevono un premio speciale.

E’ stata una avventura indimenticabile. Ed è stata bellissima anche perchè siamo stati splendidamente insieme tra noi, con un affiatamento e incoraggiamento continuo. Tutto lo dobbiamo ai componenti della Deccla che si sono inventati questo angolo di paradiso, a Mauro Abbadini che ci ha dato le moto (non ci sono parole per descrivere il suo gran cuore) e a Bruno e Tiziano che hanno lavorato come pazzi consentendoci di divertirci con le moto. GRAZIE.
[Alberto]

 

Una cosa che mi ha colpito molto è stata la premiazione. Qui sì che la gente ha la giusta mentalità.
Erano le 10 di sera e i partecipanti alla gara, provenienti da tutta la Spagna e quindi anche da molto lontano, erano lì dal primo all’ultimo momento.
Nessuno che se la tirasse; un’atmosfera fantastica. Potevi parlare tranquillamente con i primi arrivati così come con gli organizzatori senza nessun problema.
C’erano premi e ringraziamenti per tutti e nessuno si è permesso di andare via prima della fine della premiazione.
E’ stata la degna conclusione di una giornata fantastica che penso mai dimenticheremo così come non potremo mai ringraziare abbastanza Mauro Abbadini che si è fatto in mille per aiutarci e metterci a nostro agio; mai conosciuta una persona con così tante risorse da mettere a disposizione di chiunque ne avesse bisogno. Un grande.
Penso abbia contagiato tutti con il suo amore smisurato per la Guzzi e le competizioni; forse qualcuno a Mandello dovrebbe prendere esempio da lui.
Per quanto riguarda noi, beh: non vediamo l’ora di ripartire per la Spagna per la prossima gara!!!
[Roberto]

“Mira, mira a los italianos, mira che hambre… se parece son años que no comen!” staranno senz’altro pensando i nostri ospiti. Ebbene sì! Questo è senz’altro il ritratto più vero di noi e di come siamo oggi, tristemente abituati molto più all’apparire che non all’“essere”, istintivamente votati alla bellezza di ardite presentazioni da “nouvelle cuisine”, attratti dalla moda e dalle novità e di esse globali promotori come unico comprensibile stimolo all’esistenza, genti che di moto e corse, ma non solo, han storia e tradizione e che oltre al verbo si sazian con un piatto di zuppa di fave. Sì, le fave, le fave che mia madre da piccola non voleva mangiare e quante botte han preso per le fave, simbolo controverso della miseria di un’Italia degli anni cinquanta e allo stesso tempo pietanza ricca e vigorosa che dava la forza per andare avanti e per arrivare qui, dove ora siamo e dove a volte un piatto di fave con la sua semplicità ci fa provare emozioni che sanno di vero, autentico, genuino piacere.
[Mauro]

LUCIANO MARABESE

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a cura di Goffredo e Mauro (entrambi su V11)

 

Quella che segue e’ la cronaca di un incontro che difficilmente io e Mauro dimenticheremo. Siamo andati ad incontrare Luciano Marabese, uno dei piu’ grandi designer di moto dei nostri tempi.
Dalla Marabese Design sono uscite, tra le altre, le Gilera KZ e KK, la Moto Guzzi Centauro, la V11 Sport, l’Aprilia Pegaso, il Gilera DNA, e infine, di nuovo per Guzzi, la Breva e la Griso.

L’emozione e’ stata grandissima. Cercate di capirci e perdonateci se abbiamo parlato forse troppo della V11, ma e’ stato piu’ forte di noi…

Circospetti e anche un po’ emozionati arriviamo con ben dieci minuti d’anticipo all’interno della Marabese Design.
Mentre parcheggiamo le moto, seguendo le indicazioni di una gentilissima signorina, ecco che, in fondo al capannone, vedo una porta che si chiude in tutta fretta. Ma… Ma? Era una Griso quella che ho visto per un nanosecondo, o inizio con le allucinazioni mistiche ancor prima di cominciare l’intervista?? Lo scopriremo…

La segretaria ci fa accomodare in una bella sala dotata di ampia vetrata sul cortile e noi ci prepariamo all’incontro.
Arriva il Commendator Marabese, che ci saluta cordialmente. Il sorriso gli si allarga quando, ancor prima di noi, scorge le nostre due V11 che fanno bella mostra di se’ oltre le finestre; quasi un involontario omaggio al loro creatore.
Anche la nostra tenuta non lascia adito a dubbi: Mauro indossa la maglietta Anima Guzzista d’ordinanza, sulla mia e’ disegnato il profilo della V11 Sport.

Marabese: Qualcosa mi dice che siamo qui per parlare di Guzzi…

Goffredo: Si’, siamo impercettibilmente appassionati…

M. Benissimo! Sempre disponibile a parlare di Guzzi. Sa, anche se disegno per Aprilia, Laverda e altri, e nella mia vita ho avuto una trentina di moto diverse, ecco: la Guzzi e’ l’unica che ho ancora nel cuore. Mi diverto ancora oggi con il mio 850 Le Mans.

G. La prima Guzzi che lei ha disegnato e’ stata il Centauro, giusto?

M: Eh si’! Quando e’ stato fatto il Centauro sapesse quante ne sono successe! Il Centauro in realta’ era nato in un altro modo; io dovevo disegnare una moto nuova, completamente nuova. Mi erano state date delle specifiche particolari; doveva avere un serbatoio da 26 litri, si immagini. Impostai una linea piuttosto massiccia… doveva essere un po’ un toro, con quel motore a 4 valvole… poi, ti succede che il capo-progetto arriva e ti dice che devi andare a coprire un telaietto fatto cosi’, con tutto quello che c’e’ sotto e quindi, ale’! Si cambia un poco la linea della macchina.

G. Diversi possessori di Centauro frequentano Anima Guzzista. A suo tempo la moto fu decisamente incompresa. A me, lo confesso, non piacque affatto. Oggi invece sembra rivivere una seconda giovinezza. E’ richiestissima, le quotazioni sono relativamente elevate e chi la possiede non la vende…

M. Io ne ho una favolosa… (ride) forcella Paioli da 51… (ride di nuovo) e non la vendo. Comunque si’, all’inizio non ha avuto successo’ ma il successo dipende da diversi fattori; per esempio: se il motore non e’ a posto e ci sono delle cose che non funzionano, e queste cose vengono fuori, beh e’ logico che la moto non e’ recepita come dovrebbe.

G. E’ innegabile che fu presentata molto male: a Milano si era creata un’aspettativa incredibile; tutti li’ per vedere la moto del futuro, la Guzzi del rilancio! E invece? Che delusione vedere ciclistica e motore della Daytona!
E poi in seguito ebbe una campagna pubblicitaria pressoche’ inesistente…

M. Non c’erano possibilita’ in Guzzi in quel momento. Io stesso l’ho disegnata con quello che avevo, gestendo di fatto un serbatoio e un codone che poi non e’ nemmeno venuto fuori come lo volevo io…

Lo sguardo del designer si sposta ancora verso la finestra dove ci sono i V11 e l’argomento diventa un altro.

M. Ma anche li’ (indica i due V11) il codone originale era monoposto, eh! Era molto piu’ bella la prima macchina. Ma loro non ci credevano, non ci hanno mai, mai creduto in questa macchina; poi, dopo, eh eh, eccola qui. Certo anche in quel caso’ si disegnava con quel che c’era a disposizione; ora invece stiamo disegnando nuove Guzzi anche con nuovi telai! Io d’estrazione sono anche un telaista ed in fondo l’engineering mi e’ sempre piaciuto; stiamo preparando parecchie cose… (sorriso di compiacimento).

G. Lei piu’ di chiunque altro puo’ dirci esattamente cosa e’ cambiato con il passaggio alla nuova gestione…

M. Ma sa come andavano le cose all’epoca? Arrivavano con un lay-out ben preciso: ‘allora, questa moto deve costare 8.230.000 lire, dicci quali sono i mezzi per poterla fare’ ‘Vuoi ridisegnare il faro posteriore? No. Ti possiamo dare questo faro, per cui ti pigli il faro e via cosi’, per tutte le specifiche della moto…’ Io cosa ho potuto fare? Trovare una linea. Un parafango, un serbatoio e un codone.Tutto qui. E nonostante tutto, questa moto, quando la vedo mi lascia ancora… (sorriso) Sapete non e’ normale, eh? Io faccio moto di mestiere e sono abituato, e’ quasi una routine’ eppure questa moto ha qualcosa.

Arrivano le fotografie del primo prototipo del V11 e del Centauro e la conversazione, tra battute sui trattori e risa si perde tra triangolazioni telaistiche, travi ascendenti, impostazioni, flussi e turbolenze.

Entra Riccardo Marabese, anch’egli designer; dopo le presentazioni di rito subito Riccardo guarda fuori incuriosito dalle nostre moto e chiede spiegazioni su scarichi e possibili elaborazioni Guzzi: ora e’ Mauro a raccontare! Poi torniamo a parlare di design motociclistico e della difficolta’ di azzecare linee e tempi.

Riccardo: Consideriamo la F4 MV: per me, la piu’ bella moto del mondo, ma quando e’ nata aveva gia’ perso in partenza: presentata a suo tempo come prototipo per la futura Ducati e’ rimasta vittima degli eventi e infine uscita con un altro marchio e con un motore per cui non era stata pensata… Raffinatissima, ma alla fine non ha convinto al 100%.

M. Ne sto disegnando una che e’ un concentrato d’innovazioni a livello aerodinamico, di ciclistica: motore bicilindrico 1.000 cc. con 140 cv…

G. Stiamo parlando del nuovo motore Guzzi?

M. (sorride) Eh, diciamo che e’ di un’azienda che fa parte del gruppo, va bene? Ma sara’ una macchina molto ma molto tecnologica. Guzzi si merita una macchina che vada veramente forte e questa lo fara’. Come sapete, Guzzi ha gia’ usato tutte le architetture motoristiche possibili! Moto Guzzi puo’ quindi permettersi di sperimentare, di montare ogni combinazione; un marchio cosi’, uno dei primi 100 marchi piu’ conosciuti al mondo, che viene anche prima della Harley, e’ giusto che vada avanti… Moto Guzzi e’ un marchio incredibile, incredibile. Ora poi che e’ arrivato Beggio…

G. Ecco, torniamo alla domanda di prima: cosa e’ cambiato?

M. Tutto. E’ cambiato tutto. Guardi, Beggio e’ anche un amico; so cosa ci sta mettendo dentro, ogni giorno. Credo che nel giro di poco, vedra’: 3 o 4 anni, e la Moto Guzzi ritornera’ a fasti di un tempo.

G. Quello che ci sta dicendo ci riempie di ottimismo; effettivamente guardando il Griso si vede che non ci sono particolari presi, che so io, dalla V11 o da altre moto della gamma.

M. La Griso e’ nuova! Nuova, nuova (sospiro di soddisfazione)’ Questa sara’ la svolta della Moto Guzzi e poi abbiamo in serbo altre cosine da farvi mancare il fiato (sorride di nuovo) e quando sara’ il momento vedrete. Ora non e’ piu’ come quando abbiamo disegnato la Centauro, ora ci stanno dando spazio. Ma ragazzi, tenete presente di cosa stiamo parlando qui: gestire una moto nuova comporta mediamente 3 anni di tempo ed un motore nuovo costa anche 50 miliardi, eh’ non e’ uno scherzo. E poi l’affidabilita’! Gli standard devono essere quelli di un’Aprilia: tutto il gruppo e’ ormai coinvolto; i collaudi e i nuovi motori si studiano a Noale con sale prove da miliardi. Invece la gente si sa, ha sempre fretta! Non dimentichiamoci che quando Beggio ha rilevato la Guzzi ha trovato uno scatolone vuoto con dentro un sacco di debiti.

G. Ebbi un colloquio con Carlo Talamo un anno prima dell’acquisizione e lui mi disse testualmente: ‘Peccato che la Guzzi ormai sia morta; e’ fallita… solo un pazzo potrebbe pensare di comprarla. Ducati e altri aspetteranno che chiuda definitivamente per rilevarne il marchio’. Oggi dunque si e’ capito che Beggio per la Guzzi ha fatto un gesto piu’ da appassionato che da uomo d’affari.

M. In effetti! Spendere 130 miliardi per un marchio e basta e’ stato un gesto da innamorato… Pero’ io sono convinto che rinascera’ alla grande. E’ solo una questione di tempo. Il pubblico non sempre capisce che dietro alla presentazione di un nuovo modello ci sono mesi e mesi di lavoro.

Mauro: Ho incontrato recentemente diverse persone che all’uscita della nuova Ducati 999 hanno risposto acquistando con assoluta certezza la 998; quindi le chiedo come si puo’ immaginare il futuro delle forme di una moto, come si puo’ capire se un disegno sara’ gradito, se sara’ o meno un successo.

M. Ci sono diversi disegnatori e quindi diversi stili; faccio alcuni esempi: Tamburini: lui non e’ un disegnatore tradizionale, riesce con tutti i suoi collaboratori a mettere insieme il meglio. Mescola l’equilibrio, la leggerezza, le forme… Mentre – magari senza fare nomi – ma un Terblanche questo non lo sa fare: e’ senz’altro riconoscibile, ha stile; ma ragiona in modo diverso da Tamburini. Tamburini crea la moto come deve essere, cioe’ capibile; e’ un maniaco delle forme e dei particolari’ Badate che un prototipo di Tamburini vuol dire 4 anni di lavoro e costa 3 miliardi, mentre il secondo pensa alla moto che piace a lui e che rispecchia in pieno il suo stile ma magari poi piace solo a lui! Ma la moto non deve piacere solo a te, ripeto, deve essere capibile.

G. A proposito di design: e’ interessante il fatto che anche lei, come Carcano, riscuota successo anche nella nautica.

M. Si’, e’ successo per caso: un amico aveva preso la casa al lago; mi dice ‘prendi una barca: vedrai e’ divertente’. Mah, in verita’ io non so nemmeno nuotare; per farla breve presi un cabinato di 8 metri, una cosa fuori misura e cosi’ – forse e’ vero che sono un po’ un creativo – ho disegnato questo scafo di 4 metri e mezzo e mio figlio Riccardo ha gareggiato nella ‘Pavia-Venezia’ ed e’ arrivato terzo. Da li’ e’ nato l’interesse per la nautica.

G. Senta, ma la Griso come va in strada? Quella presentata a Monaco era una maquette, ma quella funzionante?

M. Ora ve la faccio vedere io la Griso funzionante…

Riccardo si adopera per azionare un video-tape.

G. Se questo sara’ il motore, significa che non si e’ fermata la produzione del 4 valvole?

M. Sara’ ripresa, risistemata e migliorata. Questa moto e’ bella solo in questo modo, abbiamo provato a montarci sotto un 4 cilindri e altre cose, ma non funziona: e’ bella solo cosi’. E che non mi dicano che e’ un custom!

Intanto scorre il video dove una Griso viene animata dal rombo di una moto fuori campo che poi appare e svela l’inganno. E’ simpatico vedere che il ‘doppiaggio’ del motore e’ ad opera di un bellissimo esemplare di Le Mans 850. Si ride un po` parlando dell’amico Fange e delle sue teorie sul Le Mans, moto perfetta.

M. Ma guardate che razza di moto e’ questa (la Griso), questa e’ una moto e basta. Non e’ copiata da nessuno; ha una forza assoluta, poi e’ bassa, e’ fatta con passione: qui bisogna dire che Rodolfo Frascoli si e’ veramente superato, a parte che e’ con me da 20 anni, ma si e’ proprio superato.

G. Quel telaio quindi e’ una realta’?

M. Si’, eccome!

G. Ha visto la moto realizzata in collaborazione con Ghezzi e Brian: la MGS 01?

M. Molto interessante, e’ un bell’esercizio di stile; per ora e` una provocazione. Il Griso comunque si fara’ anche perche’ ha avuto un successo strepitoso a Monaco.

G. E’ la moto che piace ai proprietari del Centauro!

M. Eh! La Centauro… ero partito a disegnarla dal Dondolino! La V11 dal Gambalunghino. In ogni Guzzi ci deve essere un filo conduttore… quello spirito… A proposito, noi sono tre anni che qui a Cerro Maggiore facciamo una gara di Gruppo 3. Una cosina che richiama 25.000 persone, eh: la prima in Italia: voi sarete invitati, dovete esserci.

G. Garantito. Di recente su Anima Guzzista abbiamo pubblicato un report da Montlery dove ho incontrato Sebastiano Marcellino. Sa, quell’eccezionale meccanico piemontese che ha ricostruito dai soli disegni la otto cilindri… Che emozione vederla girare…

M. Noi avremmo disegnato anche la nuova otto cilindri, se e’ per quello…

Goffredo e Mauro: COSA COSA COSA????

M. (sorride) Abbiamo fatto un sacco di belle cosine; Guzzi ha fatto tutto e percio’…

G. Esiste uno zoccolo duro di appassionati che per ragioni anagrafiche e’ convinto che Guzzi sia sinonimo di bicilindrico trasversale.

M. Scherziamo? Se proprio vogliamo essere precisi, il bicilindrico famoso della Guzzi, quello che ha vinto piu’ gare di tutti e’ quello longitudinale e infatti io ho disegnato la nuova Guzzi con il motore longitudinale e sara’ una cosa… anche a livello aerodinamico’ Stiamo facendo degli studi di aerodinamica molto complessi; avra’ una carrozzeria che’ non e’ piu’ una moto ma una Formula Uno (sorride).

Mauro: E a quando tutto questo???

M. Ci stiamo lavorando; per ora esiste solo una mezza maquette in poliuretano. Ma ora basta, basta! Non vi dico altro: se vi dico tutto, poi voi non ritornate a trovarci. Torniamo a parlare delle moto di adesso.

G. D’accordo: Sacha Lakic, il designer della Voxan Roadster ha di recente compilato una sua personale classifica delle moto piu belle. Il V11 e’, secondo Lakic, con Monster e 916 tra le prime tre moto piu’ belle al mondo e suo il commento e’ che il design della V11 “…e’ talmente puro che ti viene semplicemente voglia di salire e andarci via”.

M. Bello! Grazie. C’e’ del vero, forse. Le moto per me sono sensazioni e nella V11 si coniuga una certa libido per delle forme con un’impressione di fondo di moto maschia, essenziale.

Mauro: Che soddisfazione da’ disegnare una bella Guzzi oggi?

M. Da’ grandissime soddisfazioni. E poi oggi non possiamo piu’ sbagliare: e’ una vera sfida. Ma io vi dico: la Moto Guzzi sara’ la moto del futuro: abbiamo girato il mondo e la Moto Guzzi e’ dappertutto… certo che in passato abbiamo dovuto combattere con l’organizzazione! Veda, il designer e’ come un poeta, insomma per chi lo vuole fare il poeta, per chi ci crede. Io mi sveglio di notte e vado a disegnare, per seguire un’ispirazione. Con l’avvento di Beggio, lui ha detto: ‘Fate voi. Disegnatemi la nuova Guzzi’. Beggio sa come nascono le Motociclette.

G. La Breva?

M. Si’, l’abbiamo fatta noi anche quella. E’ un bel segnale di cambiamento, no? Sa, qui noi viviamo di moto; si parla di moto tutto il giorno; la si sente, la si ama. In modelleria entra un’idea, una linea e esce una moto finita’.
Sopratutto la moto la devi amare, altrimenti non puoi fare questo mestiere. La moto non e’ un’automobile.

G. Una moto che una discreta porzione di guzzisti attende e’ una turistica; un’erede della SP che possa rivaleggiare con le BMW…

M. (sorride) Riccardo, chiama Rodolfo… cosi’ ve lo presento e vi faccio vedere qualcosa. Pero’, il registratore e la macchina fotografica restano qui, mi spiace. Rodolfo e’ con noi da 20 anni e ha una passione immensa per le moto e per le Moto Guzzi. Lui disegna cosi’ di getto, poi insieme ritocchiamo, sistemiamo e tiriamo fuori la moto. Adesso andiamo di sotto da Rodolfo, vi faccio vedere quello che abbiamo pronto e quello che stiamo disegnando per la Guzzi.
E qui purtroppo termina l’intervista. L’incontro con Rodolfo Frascoli (Gilera DNA, Aprilia Pegaso, Breva, Griso…) e’ stato illuminante. Estasiati di fronte al suo monitor, di cose ne abbiamo ancora viste e sentite ‘ eccome! ‘ ma una promessa e’ una promessa. Possiamo solo dirvi che se soltanto un decimo della bellezza e della passione che sprigionano gli studi della Marabese Design per Guzzi si dovesse tramutare in realta’, allora la Guzzi fra un paio d’anni avra’ la gamma di Moto piu’ bella e completa che si possa immaginare. Ce n’e’ abbastanza per ridimensionare sia le tourer BMW che le sportive Jap.

Per quanto riguarda lo studio della Supersportiva… beh, anche se non fossimo vincolati al silenzio, non troveremmo le parole. Vi garantiamo comunque che abbiamo preso in parola l’invito del Commendator Marabese di tornare a trovarlo fra qualche mese quando potra’ -forse- rivelarci altre novita’.

Un piccolo scambio di battute pero’ ve lo vogliamo raccontare: di fronte ad un bozzetto per una stradale molto ma molto pepata, ci incuriosisce l’assenza di frecce e una striscia a pennarello arancione sul lato del faro.

Azzardiamo: – E queste pennellate arancioni? Sta studiando delle frecce integrate al faro anteriore?

– No, no – Risponde Rodolfo Frascoli – Le frecce non le ho ancora disegnate. Quella e’ un’idea per una verniciatura tipo fluo, per il cupolino, sai, in omaggio alla Le Mans.

Ecco, questi dettagli ti dicono tutto. Questi sono gli indizi di una passione che, quando e’ vera, si traduce quasi automaticamente in competenza, in rispetto per la storia, nella consapevolezza di essere chiamati a creare qualcosa di unico nel mondo della motocicletta. Chi pensa che stiamo esagerando, chi pensa che sia lecito tirare fuori un nome astruso come V11 Le Mans Rosso Corsa o ispirarsi agli scooter per le colorazioni di una California, vada a vedere come dovrebbero nascere le Guzzi del domani. Nello stesso identico modo in cui sono nate tutte le grandi Guzzi del passato, quelle di Carlo Guzzi, di Carcano, di Tonti: dalla mente di un’artista.
Questa consapevolezza del proprio ruolo e’ cio’ che si richiede a chi oggi affronta il compito sublime di dover disegnare (ma anche soltanto lanciare sul mercato) una nuova Moto Guzzi. E’ stato davvero entusiasmante l’aver visto che questi requisiti sono di casa da sempre alla Marabese Design.
Beh, il resoconto della visita termina qui. Dopo aver richiesto la firma dei V11 da parte del loro papa’, lasciamo la Marabese Design quasi in trance, ancora ignari del turbinio di emozioni che il successivo weekend a Mandello ci regalera’. Lo stesso Rodolfo Frascoli passera’ a trovarci allo stand a Mandello per ricevere i complimenti e i ringraziamenti di tantissimi Guzzisti, gia’ innamorati di Griso e Breva. La nostra speranza di tifosi incurabili dell’Aquila di Mandello e’ di vedere quanto prima in strada quelle moto meravigliose che abbiamo avuto la fortuna di ammirare su carta o su un monitor, in un indimenticabile pomeriggio di settembre a Cerro Maggiore.

Non so cosa mi prende quando il cielo è azzurro…

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di Roberto “Dondolino” Ruggeri

PRIMO GIORNO – Niedernhausen – Deutsche Weinstraße – Vogesen.

Cielo azzurro senza una nuvola la mattina di sabato, 22 marzo 2003 in quel di Niedernhausen, Assia.
Alle 9 e 30 esatte, il mio “fatto italiano che il Mondo invidia” si mette in moto dopo una resistenza solo simbolica…; per questo viaggio francese ho 2 obiettivi: il primo è fare non solo mototurismo, ma anche turismo, e il secondo è di non fare nemmno un km d’autostrada! Alternativo e di indole romantica come, si sa, ogni Guzzista, voglio viaggiare come si faceva una volta, osservando paesaggi, clima e architetture cambiare lentamente, accompagnati dal suono del mio bicilindrico.

Per cui evito la vicina entrata autostradale e passando per il Reno sfioro Magonza, poi giù per un breve tratto lungo il Meno splendido sotto il sole, ad Oppenheim mi inoltro nell’entroterra, la cosiddetta Assia Renana, in direzione Palatinato e più precisamente Deutsche Weinstrasse, la Strada Tedesca del Vino. Questo angolo di Germania, fortunatamente poco noto al grande flusso turistico, è una delle cose più sottilmente affascinanti che la Germania possa offrire al mototurista: temperature sempre molto miti, vigneti quanti ne vuoi, è l’unico posto in Germania dove crescono piante di limone e di kiwi. Anche in questa fredda mattina di marzo centinaia di Ciliegi (o sono Peschi? Le mie conoscenze botaniche in materia si fermano a “fiori rosa, fiori di Pesco”, per cui decido che, essndo bianchi, sono Ciliegi..) già in fiore (“c’erii tuuuuuu….”) mi invitano a tornare più in là, quando i vigneti offriranno la consueta distesa verde che oggi manca. Per il Guzzista interessato: a) aprire una carta decente della Germania; b) cercare Worms (a sinistra, in basso, Renania- Palatinato); c) identificare con sforzo sovrumano un micropaesino di nome Bockenheim. Lì comincia la Dt. Weinstrasse, che attraverso Grünstadt, Bad Dürkheim, Neustadt, Bad Bergzabern e altri simpatici nomi del genere porta al confine francese, Wissembourg, Alsazia, Dipartimento del Basso Reno. Tira un vento della miseria. Qui cominciano quelli che il tedesco chiama Vogesen, catena montuosa “sorella” della Foresta Nera (basta guardare la cartina per bene): come si chiami in Italiano non lo so, comunque l’avete trovata e questo solo conta….
Qui nei freddi Vogesen i vigneti diventano scarsi, però ci sono belle colline e foreste niente male; traffico scarsissimo, asfalto ruvido ma senza catrame, un vero spasso! Tra l’altro, il paesaggio sia del Palatinato sia dell’Alsazia mi convince ogni volta di più: pittoresco sempre, inserito in uno scenario naturale stupendo, non è mai “finto” come spesso accade nella Foresta Nera; è sempre un pò, direi, “trasandato” ma per questo più autentico. Qui non è mai tutto in ordine fino all’ultimo geranio, le vecchie per strada non sono necessariamente vestite da festa tutti i santi giorni e alle volte sorridono persino, le case sono a volte fresche di restauro ma altre volte decisamente bisognose di restauro (provate nella Foresta Nera! Ah! È più facile trovare un orologio a cucù non fatto in Cina!), si vedono vecchie stalle mezze rotte col trattore arrugginito, ma probabilmente ancora funzionante & Co. Insomma, c’è quel senso di vita vera, di bellezza non incipriata che tanto piace al Guzzista (animo delicato e profondo, alieno dalle sofisticazioni del tuttobellotuttopulitotuttoperfetto, altrimenti avrebbe, chessò, una Honda).
Trovo alloggio in un albergo “Logis de France” di un paesino “strategico” che già conoscevo, dal tipico assurdo nome misto “Morsbronn les Bains” (un nome tipo “Bad Porretta” o “Porretta les Bains”), non lontano da Haguenau, e lì mi lancio in un percorso che già conoscevo e che mi era rimasto nel cuore guzzista. Prendere nota: Morsbronn – Woerth – Reichshoffen – Niederbronn – Oberbronn – Zinswiller – Offwiller – Ingwiller – Lichtenberg (bel castello) e ritorno. Durante il ritorno succedono due cose: a) un cerbiatto quasi obeso, una specie di bambi adolescente con un debole per McBambi, mi attraversa la strada venti-trenta metri davanti: poco grave, già successo altre volte; e improvvisamente, con un botto mi si stacca la visiera del casco da un lato: mai successo, e grave! Mi fermo semiterrorizzato pensando a dove si trovano, in Alsazia, viti e/o ricambi per visiere di marca Uvex, ovviamente è sabato pomeriggio.
Breve preghiera, vigorosa grattata, attento esame e cessato allarme: l’attacco è senza viti e si era staccato, immagino per qualche urto o botta strana in precedenza, ma è intatto.
Sospirone, mi rimetto in moto, torno in albergo (fa freddo) e chiudo la giornata con due Tartes Flambées gratinate che non ce l’avrebbe fatta nemmeno il McBambi.

AnimaGuzzista Racconti Non so cosa mi prende quando il cielo è azzurro029
Idillio Campagnolo

SECONDO GIORNO – Strasburgo

Cielo stupendo e in programma soprattutto Strasburgo. Siccome non mi va di fare di fare la strada pianeggiante per Haguenau, con furbissima manovra di aggiramento scendo lungo la cresta montuosa in direzione sud ovest e entro trionfalmente in città da ovest; stupore di Hondisti, gendarmi in BMW si inginocchiano piangendo, Suzukisti buttano la loro moto nel fiume, poi mi sveglio….
Per i miei amici cartomani, la brillante direzione seguita è sulla direttrice Reichshoffen-Niederbronn-Oberbronn-Ingwiller-Boxwiller-Saverne e da lì verso la valle. Gli spiriti più acuti hanno già notato che in parte è il percorso di ieri, il che testimonia se mi à piaciuto o no….

Strasburgo è, voglio essere originale, bellissima. Una cattedrale mozzafiato, un centro storico sostanzialmente intatto (peccato per certi “sbavi” moderni pseudostoricizzanti) e “molto pittoresco”, la cosiddetta “petite France” è sì petite, ma anche molto jolie, come Angelina, anzi quasi. Sarà che oggi il clima è stupendo e questo, si sa, aiuta…

Durante gli anni seguenti alla Rivoluzione Francese, a Strasburgo un giovane ufficiale dell’Armata del Reno di nome Rouget de Lisle o de l’île scrisse una canzone di guerra. Alcuni scrivono racconti di viaggio, altri canzoni di guerra. Truppe provenienti da Marsiglia e di stanza a Strasburgo vennero poco dopo comandate a Parigi. Per tutto il tragitto entrarono in ogni paese e città cantando a squarciagola la canzone, che piacque assai e dopo il trionfale ingresso a Parigi prese il nome di “Marsigliese”.

Mi becco anche una sfilata di Carnevale, in piena Quaresima (non c’è più religione..), una cosa con gruppi internazionali, c’è di tutto dal Samba a Eminem: la sfilata passa a due metri da Ombromanto, che io avevo parcheggiato la mattina ignaro del pericolo; Egli, valoroso, supera la prova indenne.

Visitatela, Strasburgo, quando potete. Anzi, se ci andate a vivere ho l’impressione che non sbagliate di sicuro.
Dopo paurosi ingorghi, il solito perdermi in mezzo ai blocchi stradali per via del carnevale e molto aiutato dal mio senso dell’orientamento, dopo circa tre quarti di eternità arrivo al vicino quartiere degli edifici EU, dove mi impressiona particolarmente il bellissimo e nuovissimo edificio del Parlamento Europeo. Da dietro sembra la versione “paìna” del Gasometro noto ai Romani, ma da davanti è, semplicemente, stupendo.
Folgorato da tanta bellezza, pieno di sentimenti europei, canticchiando l’Inno alla Gioia mi rimetto in marcia verso Morsbronn mentre turisti giapponesi, sentendo il suono del mio motore, fanno dimostrativamente karakiri davanti a me filmandosi a vicenda. Dando prova di grande originalità, ritorno verso casa seguendo esattamente la stessa rotta del mattino.
Sono molto soddisfatto di Ombromanto, di Strasburgo, di me e del mondo in generale: finora tempo impeccabile, turismo notevole, 600 km in due giorni senza autostrada.
TERZO GIORNO – Besancon

Ormai le belle mattinate sono quasi noiose. Mi metto in moto deciso ad arrivare presto a Besancon (si scrive con la “cedille”, come Falcao). Fiducioso nella mia capacità di perdermi in mezzo a una città senza saperne più uscire, evito accuratamente la strada per Strasburgo e punto di nuovo, per la strada ormai nota, verso Saverne: di lì, mi becco una statale assai noiosa verso Nancy, ma il tratto successivo, in direzione sud, è anche peggio: doppia carreggiata, camion come se piovesse. Incontro anche tre convogli militari e una pattuglia della gendarmerie con mitra spianati e giubbotti antiproiettili, che però non mi sparano. Sollevato, noto che il clima diventa più caldo, ho infatti lasciato l’Alsazia per entrare nella Francia “storica”. Oggi però è Lunedì, tre albergi su tre “Logis de France” (la mia catena preferita) sono chiusi. Mi trovo un moderno, ben situato ma gelido albergo d’affari alla periferia di Besancon (camere in puro stile anni ’70, luci esclusivamente al neon: un posto accogliente per suicidarsi, I suppose….).
Appena uscito dalla doccia mi telefonano dalla Reception: può venire un attimo. Mah, veramente, comunque…
Un tizio ha appena tolto la MIA moto dal garage e ci ha messo la SUA macchina, una BMW Serie 7 penultimo modello con ruote da fuoristrada militare americano. Mi dice che vuole avvisarmi che ho dimenticato di mettere l’antifurto, “c’est pas normal!”. Perchè, che lui mi sposta la moto è “normal”? Ah, e il mio garage, mi dice “en passant”, è quello per le moto che sta dietro all’edificio. Chi conosce il cavalletto laterale delle Guzzi – col quale la moto resta quasi perfettamente perpendicolare e la sola forza del pensiero basta a farla cadere – può capire il sospiro di sollievo che ho tirato a vedere Ombromanto parcheggiato di fuori, maltrattato da infedeli mani biemwuiste, ma salvo.
Amante della normalità, metto l’antifurto; il tizio è, si capisce, il gestore e/o proprietario dell’Albergo. Guardo di nuovo le gomme e capisco le luci al neon.

Dopo un pò, mi dedico alla visita di Besancon. Altra piacevolissima sorpresa, che ha superato di molto le mie aspettative per questa tappa interlocutoria verso la Borgogna: vivace cittá universitaria, ha un Centro Storico molto bello e impeccabilmente curato e conservato, con molti edifici con facciata in pietra chiara, la bellissima cattedrale di St. Jean indimenticabile con le sue vetrate policrome al tramonto e il tipico tetto di Borgogna di mattonelle lucide e anche loro policrome luccicanti al sole; poi una città alta fortificata (“Citadelle”) che era troppo tardi per visitare (ma ci torno! In Guzzi, ci torno!); ma soprattutto, Besancon ha quell’aria di provincia colta e grassa dove si vive veramente bene, tipo Ferrara o Parma del Nord. Mi lascio cullare dalla bellissima atmosfera pomeridiana fino a che il crepuscolo e la chiusura dei negozi non mettono fine all’incanto, mi rimetto in sella e dopo essermi dovuto umiliare una sola volta a dover chiedere la strada per tornare in un albergo distante si e no due km sono di nuovo nel mio paradiso al neon.
A cena uno dei piatti a scelta del mio menù è la “Entrecôte”. Chiedo al tipo della BMW, che è venuto a prendere l’ordinazione, cos’è una “entrecôte”. Con originalità sconcertante mi dice “una entrecôte è una entrecôte!”. Chiedo timidamente: “steak?”. Non capisce o non udisce, scuote la testa. Vabbè che siamo in provincia, ma questo gestisce un albergo e non sa come si dice “entrecôte” non dico in Basco o in Serbo, ma in Inglese. C’est pas normal! Biemwuisti……
Quando finalmente arriva, capisco cos’è una entrecôte. Tutto sommato non era così difficile….
QUARTO GIORNO – Beaune-Autun

Non so descrivere cosa mi prende quando il cielo è azzurro, la mattinata è stupenda e il mio destriero Ombromanto parte al primo colpo e dopo pochi secondi tiene il minimo senza alcuna esitazione, fregandosene altamente di accensioni e iniezioni elettroniche. Immagino che sia l’Euforia da Accensione Mattutina, una forma meno nota del Morbo di Carlo. Dicono sia incurabile, soprattutto per la forte resistenza dei pazienti a farsi curare.
Il mio destriero ed io ci mettiamo dunque in moto verso la meta centrale del viaggio, la Borgogna. Stavolta le cose vanno meglio di ieri, sulla strada per Beaune pochissima superstrada, per la maggior parte del tratto una bella statale che serpeggia su e giù per colline attraversando altri villaggi “veri” (in contrapposizione a quelli “finti” troppo puliti, troppo perfetti ma senza anima che sembrano moto giapponesi), gli scarsi camion facile preda del mio cardanico, anzi “carcanico” destriero. Già molto soddisfatto della piega che hanno preso le cose arrivo a Beaune da est: finora niente vigneti, ma tempo notevole. Beaune l’avevo già visitata brevemente l’anno scorso (cfr. “Douce France”), ma esaminata a fondo si dimostra molto più carina di come la ricordavo. Dopo un’accurata esplorazione dell’invitante centro storico, visito l'”Hotel Dieu”, un ospizio e ospedale magnifico esempio di edilizia “sociale” del XV secolo. Tra le molte cose interessanti, il tipico tetto della Borgogna e il magnifico, magnifico “Giudizio Universale” del Maestro fiammingo Roger van der Weyden, che si sospetta essere una passata incarnazione di Massimo Tamburini.
Già, il Ducato di Borgogna. Cosa mi ricorda? La II Liceo, il mio caro Professore di Storia e Filosofia oggi morto, gli dedico un commosso pensiero e lo nomino Guzzista Onorario.
Vediamoli brevemente più da vicino, questi Duchi di Borgogna: erano valenti organizzatori e ottimi diplomatici e riuscirono a creare uno Stato plurinazionale che nel periodo della sua massima estensione arrivava dal Belgio al Mediterraneo, tagliando in due l’Europa centrale tra il Reich a est il Regno di Francia a Ovest. I molti monumenti dei secoli dal XIII al XV testimoniano del paio di secoli d’oro che hanno lasciato e della forte influenza che le allora ricche Fiandre, le province settentrionali del Ducato, ebbero sull’arte dei restanti territori (ed ecco anche spiegato van der Weyden). Specialmente gli ultimi 4 Duchi di Borgogna (Filippo il Coraggioso, Giovanni Senza Paura, Filippo il Buono e Carlo il Coraggioso) fecero della Borgogna una Potenza europea. Il Ducato di Borgogna non venne mai nè distrutto nè sconfitto, ma confluì nel Reich per via dinastica all’estinguersi della linea maschile; successivamente la Borgogna e la Franca Contea passarono alla Francia, dove “rimasero” fino ad oggi.
Il potente “Primo Ministro” del penultimo Duca di Borgogna Filippo il Buono, Nicolas Rolin, è appunto il munifico ispiratore e donatore dell’Hotel Dieu.
Ma.. ma… SVEGLIA!!!!
Bene, ehem, dicevo.. Beaune è una città molto carina, ma dopo averla ben visitata e non avendo voglia di visitare il (si dice) fittissimo intrico di cantine, lancio il mio fido destriero alla volta di Autun. E finalmente arrivano, i dolci vigneti di Francia! Non sono ancora verdi, ma il paesaggio è ugualmente bellissimo, io ho sempre trovato i vigneti molto belli e Ombromanto è stato comprato proprio pensando alle “passeggiate per vigneti”, quindi siamo tutti e due nel nostro elemento. In un paesaggio impeccabile e non disturbato da elementi estranei tipo moto giapponesi (solo qualche mucca della Gendarmerie che si inserisce bene nel paesaggio) vedo i vigneti farsi più radi e piano piano sparire lasciando il posto a foreste e pascoli (il che spiega le moto della Gendarmerie), ed eccomi ad Autun, bel centro tardomedievale che fece la sua fortuna col “Business” dei pellegrinaggi verso Santiago di Compostella, che era a ben vedere il “turismo” di allora. Ci riuscirono grazie alle reliquie di S. Lazzaro e relativa Cattedrale. Che si rivelerà molto bella e spettacolare nella luce del tramonto, ma ai miei occhi soccombe davanti a St. Jean a Besancon vista ieri.
Ma non anticipiamo gli eventi: prima di farmi un giro per Autun chiedo alla proprietaria del mio solito albergo “Logis de France” dove mi può consigliare di andare per una cavalcatina di, non so, un’orettà et demì. Mi risponde senza esitazione “Morvan” e mi dá le indicazioni.
Amico Guzzista, seguace di Carlo, prendi la carta, trova Autun (sta una sessantina di km a ovest di Beaune, Beaune sta a una quarantina di km a sud di Digione, Digione, cribbio, te la trovi da solo..) e poi guarda verso Nord Ovest. C’è un’intera regione chiamata all’incirca “parco regionale naturale del Morvan” ed è – per il motociclista – uno dei posti migliori dove sia mai stato (e sono stato varie volte sulle Dolomiti): un enorme parco sostanzialmente disabitato e la sera anche abbastanza inquietante (e se mi si rompe un’altra volta la centralina elettrica in mezzo a un bosco? Ma, non ce l’ho, la centralina elettrica! Ha!! Nippon, trema!! Ha!), un paesaggio tolkeniano da Terra di Mezzo quale raramente avevo visto, curve e controcurve tra ruscelli, boschi, valli spettacolari, il tutto con traffico quasi inesistente.
Sembra una Foresta Nera senza traffico, cioè una contraddizione in termini…peccato solamente per il fastidioso brecciolino, a volte veramente insidioso e che non invita, come del resto tutto il paesaggio, a “tirare”.
Al termine di questa bellissima giornata, parcheggio la moto e mi visito Autun finchè è giorno (molto bella, non troppo grande, simpatica per fare tappa ma, va detto, nè Beaune nè Besancon).
Chiudo con un breve consiglio per gli acquisti: per fare mototurismo al meglio non c’è bisogno nè di iniezione elettronica, né di accensione elettronica, nè di ABS, nè di carenature spaziali, nè di 120 CV. C’è bisogno di un bicilindrico Guzzi ad aste e bilancieri raffreddato ad aria che ti porta a spasso per vigneti e boschi. Chi proverà, saprà….

QUINTO GIORNO – Cluny-Macon-Tournus

Una delle più potenti organizzazioni statali mai esistite, una vera Multinazionale ante litteram. Più di mille Abbazie sotto diretto controllo dal

Portogallo alla Polonia, “libere da ogni potere di Re, Vescovi e Conti”, sottomessi solo al Papa, cioè a nessuno perchè il Papa era lontano. Un’influenza su tutto il Mondo Cristiano quale mai un’altra organizzazione simile aveva avuto e superiore, si dice e diceva, a quella dello stesso Papa.
Un grande amore per i canti, per i riti religiosi e le cerimonie in generale, per la “pompa” e l’ostentazione – severa ma per questo ancor più inequivocabile – della potenza e ricchezza raggiunte. Il più grande datore di lavoro non statale e la più grande organizzazione benefica d’Europa. Questo era l’Ordine dei Cluniacensi. Una successione di Abati estremamente abili – tutti eletti giovani per dar loro modo di restare in carica per decenni – carismatici ma allo stesso tempo ottimi diplomatici, li portò al vertice della Cristianità e ve li tenne per due secoli; la loro terza Chiesa Abbaziale, detta “Cluny III”, fu non per una o due generazioni, ma per 500 (cinquecento) anni la Chiesa più grande della Cristianità. Per 500 anni! Fanno 5 volte e mezzo la storia della Guzzi!
Cluny, la città dove nacquero, fu al suo massimo splendore il vero centro della Cristianità, la “capitale segreta”, “Roma secunda”.
Poi venne il declino; lento dapprima, accelerato e irreversibile quando nel XVI Secolo l’Ordine passò sotto la “protezione” del Re di Francia. Miserrima la fine dopo la Rivoluzione Francese: l’Ordine sciolto nel 1790, la magnifica Chiesa usata a partire dal 1793 come gigantesca cava di pietra, legno e materiali di lusso, le decorazioni sacre svendute a collezionisti. Lo scempio, abbastanza unico per caratteristiche nella Storia moderna, andò incredibilmente avanti per trent’anni, perfino dopo la Restaurazione! Quando,nel 1823, si decise di por fine al massacro
quel che restava di Cluny III erano i poveri resti che ho visitato oggi assieme agli edifici accessori; un giorno triste questo, seppure la grandezza dia, in qualche modo, anche alla tristezza una sua dignità e anche al declino una grandiosa bellezza; intollerabile il solo pensiero che una cosa del genere possa accadere, chessò, a San Pietro o Santa Maria Maggiore o San Giovanni.
Più per rispetto e come “tributo” alla grandezza passata che per la convinzione dell’effettiva utilità di una cosa del genere mi “sparo” la visita guidata ai monumenti di Cluny, in Francese rigorosamente molto veloce; mi immagino il chirurgo che descrive agli studenti di medicina il cadavere che ha appena finito di sezionare e del quale alla fine resta pochissimo, ma si può ancora immaginare come doveva essere sano e forte, quel corpo. Inoltre, invece della guida carina che accompagna un altro gruppo mi tocca l’altra, quella, diciamo, ben piantata e che racconta pure palesemente tutto a memoria: decisamente non è la mia giornata…

Bello depresso (tornando a Ombromanto, grandezza e lento declino mi ricordano inevitabilmente la Moto Guzzi, ma lei almeno vive e scalpita..) mi metto in marcia per vedere la prossima tappa, Macon. Macon è carina ma non certo indimenticabile e “soffre” il confronto con Cluny; poi ha una zona pedonale frammmentata e un centro storico di una bellezza non particolarmente impressionante, direi carino e basta. Mentre libero la moto dal bloccaruota per andarmene (ero parcheggiato sul bel lungofiume) due tizi sui 40-45 anni, vestiti identici, esclamano “ah, Moto Gucci!”. Cominciamo a parlare, sono due motociclisti danesi, si informano su prestazioni, prezzo dei lavori fatti, se sono soddisfatto. Il più anziano è in trattative per una Breva, ma in Danimarca le tasse sono notoriamente feroci, lui spera di riuscire ad averla per 15.000, diconsi quindicimila, Euro. E comprarne una usata? “Forget it”, dice ridendo e facendo un gesto di rassegnazione con la mano. Poveraccio….
Mentre gli dico quanto ho speso sulla mia sento il mio malumore sparire rapidamente, l’orgoglio di essere Italiano e il piacere di vivere in Germania assumono un sapore tutto nuovo e molto piacevole. Eh sì, c’è del marcio in Danimarca….
Dopo un cinque minuti di intensa propaganda Guzzista (tanto i soldi sono i suoi…), lascio i due alle loro visite e mi metto in moto verso Tournus, altra cittadina medievale sita nelle vicinanze. Per essere stata visitata lo stesso giorno di Cluny Tournus si difende benissimo, poi calcolo che Gwaihir mi sarebbe costato sui 23.000 Euro e sento l’euforia crescere…..

Turnus ha, prima di tutto, una Abbazia romanica notevole. Poi ha un simpatico borgo medievale ed è piacevole passeggiarci un’oretta facendo una pausa birra perchè fa caldo. Il senso di tragedia, di stupro efferato e irrimediabile, che mi aveva accompagnato tutta la mattina se ne è andato, spazzato via da un problema non mio. Si sa, il Guzzista è una persona emotiva, altrimenti non avrebbe una Guzzi, ma una Kawasaki o magari una Singer…..

Il percorso per tornare in albergo è geniale: D 14 fino a Courmatin, di lì D 981, che mi riporta in direzione Beaune, in “zona vigneti” fin quasi a Chagny, paesaggio assolutamente incantevole; da Chagny fino alla vicina Meursault, dove ero stato l’anno scorso. Meursault è bellissima in quella che io sono solito chiamare l’ “ora magica” del tardo pomeriggio; da Meursault e tanto per non sbagliare rifaccio la stessa strada fatta il giorno prima venendo da Beaune e arrivo ad Autun, dove finisce questa giornata molto particolare.
SESTO GIORNO – Avalon-Auxonne-Vezelay

Un’altra giornata da incorniciare, però con qualche nuvola (le prime dall’inizio del viaggio!).
Ieri ero andato verso sud, oggi mi dirigo verso Ovest. Parto presto e arrivo ad Avallon prima delle 10. Avallon è un altro posto pittoresco costruito sopra un enorme massiccio di granito ed è nota per la (bellissima) chiesa di S. Lazzaro, con cui gli avallonesi (?) cercarono di portar via ad Autun il “business” del turismo verso Santiago di Compostella, che aveva appunto nella locale cattedrale di S.Lazzaro una delle sue “tappe fisse”. Sia che le reliquie di Avalon non fossero buone come quelle di Autun, sia per altre ragioni (olio santo di viscosità inadeguata, candele di gradazione sbagliata, raffreddamento ad aria invece che ad acqua santa, chissá…), la cosa non funzionò. Mia opinione: non ha funzionato perchè era una cagivata. Come i Cagivisti, gli Avalonesi dovettero constatare che la tradizione o ce l’hai o non ce l’hai e non la puoi creare copiando un altro….
Comunque Avallon ha anche un Centro Storico molto bello seppur piccolo e la sua piccola parte di storia moderna (c’e ancora l’albergo dove Napoleone pernottò sulla via di Parigi dopo essere fuggito dall’Isola d’Elba) e consiglio fortemente un giro di quel che è rimasto delle mura, da dove si può ammirare la valle a strapiombo.
Ad Avallon ero arrivato con la D980 (molto bella) e la N6 (molto meno bella). Continuando ora sulla N6 arrivo ad Auxerre. Auxerre, molto semplicemente, incanta. La cattedrale, di un Gotico slanciatissimo e con bellissime vetrate policrome, è molto suggestiva specialmente col forte sole che nel frattempo era uscito e vale da sola una giornata di viaggio solo per vederla. La città antica è anche molto simpatica, sebbene non all’altezza di una Beaune, ma ha un’atmosfera così “francese” coi suoi tavolini e la gente che gira ovunque con le baguette che anch’io mi fermo qui per la mia pausa pranzo, birra ottima ma con lo sconosciuto “croque monsieur” che mi delude rivelandosi un volgare toast al prosciutto e formaggio che perde 3 a 0 al confronto con un buon panino. Vivamente sconsigliato.
Lascio Auxerre per la vicina Vezelay (Avalon, Auxerre e Vezelay formano una specie di triangolo e si prestano ad essere visitate assieme). Vezelay, che come Avallon sorge a picco su una roccia, è più caratteristica e meglio conservata di quest’ultima. La Chiesa romanica sarebbe stupenda se non avessi visto Auxerre poco prima e fu, per l’epoca, rivoluzionaria: volutamente priva di ornamenti di qualsiasi tipo e persino di vetrate policrome, è tutta giocata sull’architettura e sul sapientissimo gioco di luci tra protiro (molto luminoso), navata centrale (cupa, solenne, imponente) e abside (luminosissimo, slanciatissimo, venendo dalla navata lascia quasi senza fiato). Se l’intera Chiesa è bellissima, l’abside è al suo interno il “pezzo forte”: da non perdere.
Vezelay è anche legata a due Crociate: da qui Bernardo di Clairvaux (cistercense, l’Ordine “rivale” dei Cluniacensi) il giorno di Pasqua del 1146 infiammando la platea “lanciò” la Seconda Crociata. Bernardo doveva portare sfica perchè la Crociata finì malissimo. Sempre Vezelay fu un importante punto di raccolta per la Terza Crociata, la ben più nota “Crociata dei Re”.
Lascio Vezelay con le sue casette in pietra forse un pò troppo ben tenute e comincio la parte “guidata” della giornata. Quasi 4 ore di guida ininterrotta nel famoso parco naturale del Morvan, che ieri come oggi non mi delude. Torno in albergo alle 7 e un quarto, più ricco di 410 km e ancora un’altra volta estremamente soddisfatto di Ombromanto, del modo francese di fare le cattedrali, di quello italiano di fare le moto e del mondo in generale.

SETTIMO GIORNO – Chalon-Beaune-Nuit St. George

Il settimo giorno rannuvolò di brutto. Comincio la giornata “perdendomi” (di regola ci riesco benissimo anche non volendo, ma stavolta era voluto…) per stradine in mezzo ai vigneti: ci sono vari percorsi “turistici” molto ben indicati e comodi da seguire; il paesaggio è molto bello nonostante i vigneti ancora spogli, il vento invece fastidioso e la mattinata abbastanza uggiosa. Arrivato “perdendomi” dalle parti di Le Creusot mi metto sulla Nazionale per arrivare a Chalon; la scelta è pessima, buona parte del tratto è a carreggiate separate e pieno di camion. Se andate da quelle parti, consiglio di perdervi per vigneti direttamente dalle parti di Chalon che è meglio. Arrivo a Chalon alle 11 e 30: fa freddo, scendono alcune gocce. Forse anche per questo la città non mi impressiona granchè, non mi sento di suggerirne la visita, giro nemmeno una mezz’ora, poi mi metto in un accogliente bistrot e alla fine me ne rivado. Quando esco da Chalon (la cosa mi riesce eccezionalmente bene, senza perdermi nemmeno una volta…), è uscito di nuovo il sole e il clima è più mite, per cui mi “riperdo” per vigneti, stando stavolta attento a perdermi in direzione di Meursault, che voglio rivedere. Da lì ripasso per Beaune e poi punto a nord fino a Nuits St. George, un simpatico villaggio che come Meursault e Beaune è un “nodo” del commercio vinicolo locale. Prenoto in un albergo Logis De France vicino Beaune, che però ha posto solo per una notte invece delle due che volevo. Il resto del pomeriggio lo passo ancora per vigneti, bellissimi nella luce del pomeriggio. Un velo di tristezza mi accompagna, mentre viaggio per vigneti a velocità minima, il motore che fa le le fuse tranquillo, pensando a quanta gente, in questo momento, va in giro su una Honda o Kawasaki o Suzuki piena di valvole e sigle strane, e non saprà mai…..
Alla sera mi faccio un altro giro a Beaune, anche lei mai tempo perso. La giornata si fa ricordare anche per una mia genialissima manovra di parcheggio su brecciolino non ben livellato, che finisce come avete già intuito… la figura di merda è dolorosa, ma breve, un simpatico locale si ferma immediatamente e rialziamo subito la moto. Sicuramente si è chiesto come si fa a cercare di parcheggiare in un posto del genere. Ma come si dice (in senso figurato!): laissons tomber….
OTTAVO GIORNO – Citeaux-Digione-Nuits St. George

I Cistercensi erano in molte cose in aperta polemica coi Cluniacensi: ascetici quanto quelli erano “mondani”, fautori del lavoro manuale anche duro e anche durissimo quanto quelli erano seguaci del canto, sobri e poco appariscenti (arrivavano a non volere campanili) quanto quelli erano amanti di architetture sontuose; insomma, i Cistercensi erano gli “alternativi” dell’epoca. Il loro più famoso esponente fu quel Bernardo, Abate della “filiale” cistercense di Clairvaux, che abbiamo incontrato a Vezelay dare il via alla Seconda Crociata. La crociata, come sappiamo, finì in un massacro; Bernardo, che godeva all’epoca di un prestigio analogo a quello del Papa, divenne santo.
L’Abbazia madre, a Citeaux, è poco distante da Beaune e l’ho visitata questa mattina. Nulla resta degli edifici di un tempo, il tutto è piuttosto insignificante, inspiegabilmente il portone delle visite è chiuso in orario di visite! Mi faccio una passeggiata intorno, poi lascio da parte Citeaux senza rimpianti e mi dirigo verso la tappa principale di oggi, Digione. Digione va assolutamente visitata: un centro cittadino piacevolissimo e quasi sempre ben conservato, tre chiese di valore estetico e artistico assoluto (la più bella, secondo me, St. Michel), un Palazzo Ducale ammirevole anche se un “falso storico” (ai tempi della facciata dierna, XVII Secolo, il “Ducato” come entità autonoma non esisteva già più), ma soprattutto quell’atmosfera rilassata e da città ancora a misura d’Uomo che avevo già ammirato a Besancon o Auxerre, con bistrot a ogni angolo e gente che seduta ai tavolini a godersi il sole. A Digione passo buona parte del pomeriggio tra l’altro mangiando e bevendo molto bene, dopo un’ulteriore passeggiata mi rimetto in moto e dopo un’ ennesima cavalcata per vigneti visito Auxonne (da non confondere con Auxerre!). Auxonne ha la solita Chiesa molto bella (Notre Dame, gotica) e una simpatica cittadina con resti di mura del XVII secolo; Napoleone vi soggiornò come giovane ufficiale e anche io e Ombromanto (“Ombromanto è stato qui!”) ci facciamo immortalare davanti al Municipio. Da Auxonne ritorno a Nuits St. George, dove ho preso l’albergo per la “notte” mancante. Nuit St. George è anche lei una cittadina piccola ma simpaticissima, come Meursault in mezzo ai vigneti e quasi altrettanto bella.
Mangio in un bistrot il cui simpatico e assai loquace gestore, che dispone di una quantità immane di muscoli facciali e con vivacità chiacchierona mi dice che lui ha avuto 4 incidenti in moto prima di smettere (negato ma di buona volontà, penso…), viene da me informato che la Moto Guzzi, ebbene sì, esiste ancora! È stupito… Ormai ha messo su anni e chili, adesso colleziona bottiglie di vino e sembra soddisfatto così. La più pregiata che ha vale, dice lui, 3000 euro, racconta però di collezionisti ricchi, bottiglie da 30.000 o 50.000 euro, pazzie di una sera per magnati decadenti. Dio mio, quante Guzzi del ’59 si comprano con 50.000 Euro? E loro restano, anche dopo che le hai messe in moto una volta! E ancora: due bottiglie delle sue mi comprano un bell’Airone Sport finemente restaurato, ne avanza anche per un bell’olio pregiato, preferibilmente non del ’59! Bè, mondi differenti… tornando a casa comincio a favoleggiare, visto che costa così poco, di regalare a Ombromanto una sorellina o meglio una sorella maggiore…..
È bello, in una tiepida sera in Borgogna, i vigneti invisibili nel buio e tuttavia presenti nell’aria e nella dolcve atmosfera di una sera che promette l’estate, immaginarsi sopra un Falcone o Airone Sport. È un piacevole congedo da questo bell’angolo d’Europa che domani lascerò.

NONO GIORNO – Colmar

Alle 8 del mattino esco dalla mia stanza di ottimo umore e bello come il sole, per avere dal proprietario le chiavi del garage dove ho lasciato la moto per la notte. Scopro due cose: 1) non sono le otto, sono le nove, l’ora legale mi ha fregato ancora; 2) del gestore dell’albergo, (che tiene in ostaggio il mio purosangue!), nessuna traccia nonostante siano, appunto, le nove. Finalmente dopo circa mezz’ora il vicino tabaccaio informa me e la donna di servizio che aspetta di entrare che il tipo ha toppato clamorosamente con la sveglia (versione ufficiale che io non commento) e arriverà presto.
Il tipo arriva (non tanto presto); gentile e apparentemente sobrio, sicuramente riposato, si scusa educatamente e rilascia l’ostaggio, da me accolto con gioia di madre apprensiva. In sella al mio eroe mandelliano comincio, ormai alle 10, il mio viaggio di ritorno. Scelgo una via in parte analoga, in parte più a sud di quella percorsa all’andata. Un pò la rotta più a sud e a valle, un pò che in questi dieci giorni ha fatto molto caldo per la stagione, il paesaggio è diverso da quello dell’andata: alberi già con completo corredo di foglie, cespugli coloratissimi, molti giallo-“Delta Integrale”, peschi e ciliegi quanti ne volete, l’atmosfera è già più che primaverile e sarebbe perfetta con le distese verdi delle vigne (ma in quel caso farebbe troppo caldo). Lascio dunque la Borgogna e attraverso la Franca Contea (Besancon e Belfort) entro in Alsazia appunto dalla parte sud di Mulhouse, credo la culla delle Bugatti. È, tanto per cambiare, un’altra giornata scandalosamente bella. Lascio la statale e mi infilo una serie di stupendi villaggi in mezzo ai vigneti seguendo uno dei tanti percorsi turistico-commerciali (in realtà vogliono, è ovvio, che compri il vino) molto meglio indicati della Deutsche Weinstrasse. Nel frattempo le case di pietra – o intonaco – francesi hanno lasciato il posto alle per me ormai consuete case a traliccio, mostrando l’avvenuto attraversamento della “frontiera culturale”. Particolarmente impressionante e assolutamente d’obbligo è la “strada dei 5 castelli”, che dai vigneti ti porta nei folti monti ( o colline, ma belle toste) vicini appunto collegando 5 pittoreschi castelli. Dopo questa ennesima razione di bosco e vigneto punto dritto verso Colmar, graziosissima cittadina alsaziana e scrivo queste righe seduto all’aperto (ma fa un pò fresco…) in una piazza consistente interamente di case a traliccio il cui difetto è, semmai, l’immacolata perfezione della bellezza troppo tirata a lucido. Sia per euforia (ho anche trovato un buon albergo vicinissimo alla zona pedonale, Ombromanto è giá parcheggiato per la notte) sia per la voglia di farmi del male mi sparo ben due tartes flambées al formaggio. Chi conosce, sa….
Che dire di Colmar? Colmar è parte del vecchio territorio degli Alemanni, come Friburgo, Strasburgo e Basilea, una cultura tra le culture ma dove ti stupisci pur sempre di leggere e sentir parlare francese. Trovarsi in Alsazia e non visitare Colmar è come trovarsi a Lecco e non visitare Mandello. Non solo non sta bene; semplicemente, non si fa.
Le chiese sono chiuse, la batteria (giapponese!) della macchina fotografica mi ha appena lasciato, per cui niente foto…
Caro lettore Guzzista, se leggerai fin qui (e non credo, quindi è lo stesso…) consentimi un toccante dettaglio guzzistico. Il giorno in cui con Manfred entrai in Borgogna (vedi sempre “Douce France”) festeggiai i 10.000 km con Ombromanto, il mio purosangue di Mandello. Oggi, quasi esattamente dieci mesi dopo e il giorno in cui invece esco dalla Borgogna, festeggio i 20.000. Puntine platinate e spinterogeno, vecchi carburatori Dell’Orto, frizione rigorosamente non idraulica, 4 valvole ma per 2 cilindri… e una gioia a guidarla, quale prima di conoscere la Moto Guzzi non credevo nessuna moto potesse dare. Il mio purosangue rosso come la passione e come molte cose belle del mio Paese compie il prossimo 1. luglio 17 anni e ha tutta la voglia di vivere di un adolescente. Penso che gli farò un bel regalo, magari ruote a raggi o sospensioni di lusso, eventualmente rimandando la “sorella maggiore” di ieri. Vedremo.
Come l’anno scorso, consentitemi di chiudere così: grazie, Ombromanto!.
DECIMO GIORNO Riquewihr-Kaysersberg-ritorno

Altra mattinata nuvolosa, minaccia pioggia ma oramai me ne importa poco. Invece anche oggi, dopo due gocce due, un forte vento spazza via le nuvole. Quando arrivo a Riquewihr è una bellissima giornata, ma ventosa e un tantinello fredda. Riquewihr viene detta la “Rothenburg d’Alsazia” e, diciamolo subito, non vale l’originale ma si vede che si sforza; è, per dir così, la Raptor di Rothenburg. Molte case a traliccio, molte in via di restauro, una panetteria dove compro due croissant enormi e leggendari, un bel posto per passarci un’oretta.
Di lì mi reco nella vicina Kaysersberg, nota per avere dato i natali ad Albert Schweyzer, teologo, musicista e soprattutto missionario e benefattore. Kayserberg è molto idillica, nettamente più grande di Riquewihr ma senza mura e in piano, con un vecchio castello che domina il paese ricco di belle case a traliccio. Dopo imposizione delle mani (manipolazione metti-togli), la mia batteria resuscita, probabilmente era solo un contatto. Ne prendo spunto per tornare a Colmar, scttare alcune foto di più o meno orripilante banalità (tra cui l’immancabile foto dell’altrettanto immancabile “piccola Venezia”, tre canali in croce da queste parti sono sempre una “piccola Venezia”….), mangiare l’ultima tarte flambée accompagnata dall’ultima birra locale e mettermi in viaggio verso casa.
Stavolta risalgo l’Alsazia costeggiando il Reno: il paesaggio è piatto, direi tra il pontino e il maremmano per come li ricordo io e offre solo a tratti squarci di fiume, ma notevoli. Va tutto bene fino a Strasburgo dove al solito mi perdo, alla fine mi rimetto in rotta, raggiungo Wissembourg e alla fine sono di nuovo nella cara vecchia Germania “ufficiale”. Di qui provo senza successo a risalire lungo la famosa “Deutsche Weinstraße”, mi perdo un’altra volta; decido di fare una “sciatina fuoripista” e prendo una strada su per le vicine montagne che diventa sempre più bella e sempre più solitaria, finchè la strada finisce in un sentiero con davanti un cartello “divieto di accesso eccetto guardie forestali”. Torno indietro per 24 (ventiquattro) km e ritrovo l’imboccatura di questo incredibile binario morto, col cartello di avviso bello piantato che mi urla “cretino”. Non importa, è una bellissima strada che porta gli escursionisti nel cuore del Parco Naturale del Palatinato, ho imparato una cosa in più e me ne ricorderò la prossima volta. Ormai sono le 6 del pomeriggio, casa è lontana, comincia a fare fresco. Sempre deciso a evitare l’autostrada, vado per le spicce e mi scelgo le statali che, a occhio e orientandomi col sole, portano verso nord. Anche loro offrono uno stupendo panorama di vigneti e peschi e ciliegi in fiore. Però c’è un problema. In Germania, dove le autostrade sono tantissime e gratis, nessuno si preoccupa di mettere sulle statali segnalazioni che vadano oltre il prossimo villaggio. Risultato: a ogni incrocio puoi scegliere tra il paese Pinco e il villaggio Pallo, quindi o guardi a ogni incrocio la cartina o vai a naso. Decido di andare a naso, fallendo gloriosamente.
Finisce che alle 8 di sera imbrunisce già parecchio, fa abbastanza freddo, sono ancora ad Alzey e quelli a cui chiedono mi indicano…l’autostrada! Sì, vabbé, allora mi compravo una Suzuki…

Brancolando nel (quasi) buio, trovo un’indicazione per Oppenheim, sul Meno. Non so quanto è lontano ma mi ci ficco, da lì la strada la faccio a occhi chiusi. Che dire: era lontano….. Arrivo a casa a buio inoltrato, sono le 9 di sera esatte. Messa la moto sul cavalletto, nonostante il freddo resto lì ad ammirare Ombromanto. Capisco che è appena finita la più impeccabile vacanza in moto che abbia mai fatto, un ottimo mix tra mototurismo e turismoturismo, tempo bellissimo ma mai troppo caldo, Ombromanto impeccabile, problemi tecnici zero. Mentre do una pacca o due sul serbatoio del mio purosangue come faccio al termine di ogni viaggio (io le faccio queste cose, le faccio veramente! Io lo so, che lui capisce e apprezza!) lo ammiro alla luce della lanterna. E lì mi accorgo di avere, sul serio, freddo e fame.
Grazie, Ombromanto, perchè me li fai dimenticare….

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Appendice utile

Ho fatto circa 3700 km, consumo circa 16-17 km/litro.

La benzina in Francia può essere un problema, se non avete la carta benzina apposita. Le oscillazioni di prezzo sono enormi, anche 13-14 centesimi al litro per benzinai distanti poche centinaia di metri! Ottimi i prezzi dei benzinai dei supermercati, quando non sono chiusi, pagamento (per chi non ha la carta) sempre in contanti, dimenticate carte Bancomat straniere e carte di credito.

Dormire: quando possibile e utile, consiglio gli alberghi della catena “logis de France”: sempre buono o ottimo rapporto
prezzo/qualità, gente gentile. Molti di loro hanno anche il ristorante, che può essere di qualità variabile da semplice a molto raffinato.
Consultare www.logis-de-france.fr, inoltre c’è anche la catena “Logis d’ Italia” che ho già sperimentato con successo sulle Dolomiti.

Mangiare: in Alsazia ovunque cucina di stampo tedesco-mitteleuropeo. Tipici tra l’altro il formaggio Munster (bello tosto, per alcuni è ottimo, per altri puzza di piedi, a me piace…) e ovviamente la mitica Tarte Flambée, in più ci sono altre cose tipiche dal nome impronunciabile… In Borgogna la cucina si fa più raffinata e ovviamente più cara, i ristoranti offrono oltre alla “carta” (prezzi inavvicinabili) menù a prezzo fisso per importi variabili dai 12-14 ai 40 euro a persona bevande escluse (calcolate minimo altri 10 euro per vino, acqua, caffè). Chi non ha appena rapinato una banca può rivolgersi, specie di giorno, ai molti bistrot che hanno anche ottima birra alla spina.
Sempre per chi alloggia negli alberghi “Logis de France”, chiedere se si può avere la “soirée Etape”, pernottamento con cena e prima colazione ” a un prezzo sempre conveniente”.

Strade: pochissimo catrame, di regola strade ben tenute, asfalto di grana grossa, non molto confortevole ma adatto ai climi freddi. Fare attenzione al pietrisco sempre in agguato. Benzinai abbastanza scarsi. Potendo, cercare di usare le strade dipartimentali (D); le strade statali (N) possono essere di tutto dalla bella strada tutta curve al mostro rettilineo a due carreggiate.

Situazione agguati: il tutore dell’ordine nelle sue varie manifestazioni è molto presente (molti motociclisti della Gendarmerie), ma mai pericoloso (“vogliono solo giocare…”). Il gendarme o poliziotto locale risponde sempre al saluto e dà l’impressione di essere molto tollerante….

Criminalità: in Alsazia direi circa come in Germania, anche in Borgogna non mi sono mai preoccupato. In Provenza consiglio di non lasciare la moto fuori la notte. Non chiudere la moto viene considerato “pas normal”.

Clima: ho avuto molta fortuna, ma la temperatura è mediamente più alta che in Germania, io sono stato sui 20 o più in Borgogna tutto il tempo. Direi che aprile è forse il mese ideale, dopo diventa per i miei gusti giá troppo caldo.

Dondolino

Roberto Patrignani

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Roberto Patrignani, motociclista, giornalista ma soprattutto Guzzista D.O.C.

a cura di Goffredo Puccetti e Aldo Locatelli
Ottobre 2002
AnimaGuzzista Protagonisti Roberto Patrignani _
E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…
Partendo da Roma di sabato mattina per un matrimonio in Maremma, e avendo fissato un appuntamento di lavoro a Milano per il lunedì successivo, voi come vi organizzereste per il lunedì mattina?

Se avete risposto: faccio una puntatina a Mandello, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Da quando avevo incontrato Roberto Patrignani alle GMG a fine settembre cercavo un pretesto per poter tornare a fare un salto a Mandello ad incontrarlo, e adesso ce l’avevo. Domenica sera arrivo da Aldo e Terry, ormai una sorta di istituzione per tutte le Anime Guzziste peregrine a Mandello, e l’indomani mattina appuntamento fissato con Roberto Patrignani, davanti ai cancelli di via Parodi, ovviamente.

Io e Aldo arriviamo puntuali e troviamo Patrignani che ci attende; strette di mano e si sale in macchina: la chiacchierata si svolgerà a casa sua.

– Ah, però vi devo chiedere una cortesia. Mi ha chiamato l’amico Perrone… per un articolo su Motociclismo d’Epoca e gli servono le date di nascita e morte del pilota Guido Mentasti, ve lo ricordate? Quello del Gran premio delle Nazioni del 1924 a Monza, con la 500 quattro valvole…

– ehm, veramente…

– Beh, le date gliele ho dette a memoria ma giusto per essere sicuri visto che è sepolto qui a Mandello… Vi spiace se ci fermiamo un attimo al cimitero che controllo?
La sosta fuori programma già ci fa capire che tipo sia Patrignani: motociclista, globe trotter, giornalista e scrittore, una vera enciclopedia della moto vivente!
Arriviamo a casa sua e subito ci sferra un colpo da knock-out:

Passiamo dal garage così vi faccio vedere delle belle moto…

Il Parco moto è notevole: una bellissima Ducati e una Morini da competizione, un Airone Sport perfettamente restaurato e la leggendaria Vespa del raid Milano-Tokio del ’64.

– La mia preferita. Non la venderò mai – ci dice accarezzandola con lo sguardo. Ci accomodiamo nella bella mansarda… Ai piedi del letto, su una mensola della libreria una splendida monocilindrica bialbero completa di carena. No, non un modellino: proprio una vera Moto Guzzi 350 da Gran Premio!

Allora, intanto chiamo Perrone e gli dico le date di Mentasti sennò poi mi dimentico… Dunque noi ci siamo visti al Museo e lei voleva fare quattro chiacchiere ma non ricordo più se siete una rivista, un moto club o…

Anima Guzzista è un sito internet…

Ahi, su internet vado male, eh… Mio figlio mi ha anche detto che mi ha installato la posta elettronica… l’email… Mah, io col computer francamente…

Beh, faccia conto che siamo una piccola rivista dedicata alle Moto Guzzi. Lei ne ha parecchie di storie da raccontare sulle Guzzi. Cominciamo dal Bol d’Or del 1971. Siamo a Le Mans… e sotto la tuta di Mandracci… c’è Mandracci o Patrignani??

Mandracci, Guido Mandracci! Guardi, lo scrissi anche pubblicamente, anni fa, credo su Motosprint. Mandracci finì a terra, di notte e riuscì a riportare la moto ai box. Mentre Brambilla girava…insomma, non è che ci piacesse l’idea di fermare una gara… Oh eravamo stati in testa dieci ore… E insomma ad un certo punto, e non mi ricordo neppure chi ebbe l’idea per primo, mi dicono: <<Patrignani, se Guido non si riprende, ti metti la tuta e vai te, eh… >> Io ero il responsabile della Squadra Guzzi, venivo dai Record di Monza, ero arrivato a Le Mans in moto, per dire, ed ecco che mi ritrovo gli sguardi di tutto il box adosso…

E invece?

E invece Mandracci risalì in moto e si fece tutto il suo turno. Finimmo terzi! Che gara! Che emozione…

Finimmo?

Finirono, finirono! Ho scritto che quel ricordo lo sento ancora ‘inquinato’ dal fatto che io ero lì pronto col casco in mano a fare quello che la squadra mi chiedeva, ma la tuta di Mandracci non la indossai. Lo avrei fatto, ah si’! Avrei barato sul regolamento pur di non fermare quella gara! Ma non fu necessario.

Ha accennato alla sessione dei Record di Monza del ’69…

Gran bella impresa, quella! Le confido una cosa: ci fu un momento, durante quella sessione che pensai: ci siamo, Roberto, ti han fatto lo scherzo della vita e ci sei cascato…

Cioè?

Quando arriva il mio turno, chiedo a Brambilla suggerimenti sulle traiettorie, specie l’ingresso in parabolica. Insomma eravamo lì per fare dei record, eh mica per altro… E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…

E lei?

E io l’ho fatto! Solo che quando mi resi conto della velocità con la quale stavo entrando in curva, dissi fra me e me: è la fine, adesso volo di fuori. E invece per effetto dello schiacciamento, della parabolica insomma, il motore perde un po’ di giri; quanto basta per tenerti dentro quella curva, ma proprio appena appena, eh! Pensi che ci fu Venturi, credo, che provò anche lui la V7 lì e dopo una sessione se ne stava tutto perplesso a rimuginare: – ma che cacchio di uccelli avete da queste parti? A duecento all’ora mi vedevo volare questi passerotti scuri sopra il casco… Erano pezzi di pneumatico, altro che passerotti!

Quell’impresa fu un bel colpo promozionale per la Guzzi e aprì le porte all’interpretazione in chiave sportiva del V7 di Carcano.

Sicuramente fu importantissima per la Guzzi. Mi ricordo un festone al Circolo della Stampa di Milano, per celebrare l’impresa. E i compensi che ci diede la Guzzi. Da capogiro! Cinquecentomila lire, se non ricordo male. Comunque una somma esorbitante. E comunque senz’altro quell’impresa, insieme ai vari test che seguirono in Usa e in Francia, a Monthlery, convinse la Guzzi a sviluppare il V7 Sport.

Lino Tonti: che tipo era?

Eh, un genio. Un appassionato. C’erano gli scioperi? I picchetti? Le parlo degli anni Settanta, eh, anni molto difficili. Insomma c’erano dei giorni che se entravi in fabbrica rischiavi di prenderle… E lui si assemblava il telaio in cantina, a casa sua! Per testare i prototipi, se trovava i piloti bene, altrimenti prendeva e usciva lui. Si spaccò anche il femore così, durante uno di questi suoi test a casa sua. Se non sbaglio dalle parti di Cattolica.

Lei oltre che tester è stato anche impiegato e dirigente in Guzzi…

Sì sì, all’Ufficio Relazioni Esterne. Ecco, guardi, le dico una cosa. Aspetti che trovo la lettera originale perchè c’è una cosa di cui sono molto orgoglioso… Ha visto come sta tornando bello il Museo Guzzi?

Sì, perché?

Perché quel museo, in parte, ho contribuito a farlo nascere… Ecco la lettera, vede?

Patrignani ci mostra una lettera indirizzata alla Dirigenza Guzzi nella quale segnalava lo stato disastroso dei modelli storici Guzzi che si trovavano sparsi, più o meno abbandonati, in dei grossi capannoni tra Mandello e Abbadia Lariana, e propone degli interventi per il loro recupero e restauro in vista della creazione di un Museo Guzzi.

Ecco, vede? E qui mi risponde: “bene, Patrignani, lei cosa ci consiglia, etc etc…” Le assicuro che l’interesse verso le moto d’epoca è cosa abbastanza recente. Fino agli anni sessanta ma anche un Dondolino o dei Gambalunga si trovavano a marcire nei capannoni… Con la vernice che faceva il fiore, uno spettacolo che non le dico… In Guzzi non ci si rendeva conto del patrimonio che si stava lasciando andare in malora. Poi, dopo, c’è anche chi se ne è approfittato…

Cioè?

Beh, in tutta franchezza… Arrivavano ogni tot mesi questi nuovi dirigenti che di Guzzi non ci capivano niente; però tutti ben disposti a mettere in piedi il Museo, pieni di buone intenzioni ma… Insomma se gli arrivava il tale x o y che gli proponeva, dico per dire, un’Airone bello bello tutto restaurato e luccicante e in cambio si offriva ‘generosamente’ di vuotargli un box da tutti qui rottami ammuffiti, che magari erano dei Gambalunghino… capisce?

Interessante. Mi ricordo una visita al Museo sotto la sapiente guida di Vanni Bettega che di fronte ad alcuni modelli rimuginava: “mah, questo è tutto rifatto…”

Esatto! Guardi, io voglio essere onesto al 100%. Io ho dato tanto e ho lavorato tanto per questa idea del Museo e, francamente, non posso dire di non essere stato ricompensato. Vede alle mie spalle? (alle sue spalle c’è la 350 Bialbero) Non è proprio una cosina da niente… Un’altra così è al Museo, appunto… Però ci sono state di quelle cose… Uff, lasciamo perdere che quando ci penso…

Comunque: ecco, questo, forse per vanità, mi piacerebbe che si sapesse: che ho dato un piccolo contributo alla nascita del Museo Guzzi.

A proposito, nostalgia del suo Gambalunga?

Eh, eh. No, perchè se non lo avessi venduto non avrei mai avuto la possibilità di tornare al TT…

‘Ti porterò a Bray Hill’. Uno dei libri di moto più emozionanti e sinceri che abbia mai letto.

La ringrazio, ma quando si parla di Tourist Trophy viene facile…

E parliamo di Tourist Trophy, allora.

Ah, io starei tutta la giornata a parlarne. Invece ho degli amici che non ne vogliono proprio sapere. L’amico Perrone, per esempio. Uh, che litigate. Lui è molto severo sul TT: tira fuori l’elenco dei morti e chiude le orecchie. Anche quando ci sono ritornato ancora nel 1996, altra litigata (sorride). Rispetto la sua opinione, per carità. Ho vissuto in prima persona momenti di tragedia al TT. Ho cercato di scrivere tutto e di essere onesto su tutto del TT. Ma c’è poco da fare… il TT lo devi vivere. Se penso a persone come Joey Dunlop che ho avuto l’onore, e dico l’onore di poter frequentare. È un mondo eccezionale. Ed è difficile per me esprimere un giudizio netto, drastico sul TT. Prendete Agostini, che pure fu alla testa dei piloti che chiesero il boicottaggio del TT per ragioni di sicurezza. Ecco, chiedetegli qual’è il circuito più bello del mondo e vi sentirete rispondere: Ah, il Mountain… Anche in Guzzi mi fecero uno scherzetto, alla rievocazione del 1996 o 1997, al Lap of Honour, dovetti cedere il numero 1 ad Alfio Micheli. Il TT di qui e il TT di là… poi all’ultimo: Patrignani non le dispiacerebbe cedere il numero 1? Ma certo che mi dispiace! Mah, insomma, per fortuna ero in ottimi rapporti con i manager di allora. Mi regalarono anche un bell’orologio, una serie limitata fatta per la Guzzi, per farmi stare buono (risate). Ma l’ho scritto poi, eh! Il mio fu un gesto di “forzata cavalleria”… Son finito pure nelle balle di paglia col Gambalunga, proprio a Bray Hill pur di non dargliela vinta, eh! Il Lap of Honour è una gara come le altre, altro che parata (risate).

La Guzzi di oggi e di domani. Lei è ottimista o pessimista al riguardo?

Ottimista, ottimista! Si vede che c’è un nuovo interesse, no. Qui a Mandello è proprio tangibile. Già in passato c’erano stati manager in gamba, eh. Mi ricordo i vari Sacchi, Lanaro, ma nessuno rimaneva a lungo quì! Adesso mi sembra che la nuova proprietà sia bella solida. Speriamo in una politica oculata di investimenti.

Come se lo immagina un nuovo motore Guzzi?

Mah, non saprei… O mi fanno un qualcosa di pazzesco, che so io, un 8 cilindri! Quello sì che mi emozionerebbe! Un bicilindrico longitudinale… non so, ormai ce lo hanno tutti… Insomma facciano loro ma ci mettano un po’, come dire, di ‘sapore’ Guzzi, ecco.

È ormai tempo di congedarsi. Aldo scatta qualche foto. Il fatto è che ogni angolo dello studio di Patrignani offre spunto per nuove chiacchierate e così tiriamo per le lunghe…

Ah, ecco il famoso Dingo Cross del Raid: Città del Capo-Alessandria…

Uh, ecco, le dico un’altra cosa, così mi libero la coscienza: i diecimila chilometri sono una esagerazione… Arrivato a 7000 ebbi un esaurimento nervoso, lasciai il ciclomotore in un box e… scappai! Giuro! Mi vennero a prendere in aeroporto, al Cairo… Uh, mi spavento ancora a raccontarlo (risate). Vedete, io pensai di partire da lontano e di fare il viaggio avvicinandomi verso casa. In genere invece tutti i grandi raid erano da casa verso qualche meta lontana. Ma io dopo aver fatto Milano-Tokio non me la sentivo di ritrovarmi in quelle situazioni nelle quali non solo sei a migliaia di chilometri da casa… ma continui pure ad allontanartici! Solo che non avevo fatto i conti con il bollino del Sudafrica sul passaporto… Sa, eravamo nel 1966. Ad ogni frontiera, ore, giorni di problemi, perquisizioni a non finire, interrogatori… Ecco, arrivato ad Asmara, stremato dai problemi per ottenere il visto in Sudan, crollai e tentai la fuga! 7000 e rotti, non diecimila chilometri quindi…

Beh, in ogni caso 7000 km su un Dingo!…

Ricordo che prima di partire l’Ingegner Carcano mi chiamò: -“Patrignani, ma per questa sua cosa in Africa, ma perchè non si fa adattare uno stornello tipo scrambler?” E non aveva tutti i torti.. Sapeste quante salite ho fatto a piedi, col Dingo che a mala pena arrancava stracarico com’era…

E sulle memorie africane ci congediamo, questa volta davvero. Potremmo continuare all’infinito: quì spunta una targa commemorativa del Coast to Coast – fatto con un ciclomotore Garelli – lì c’è una foto con Joey Dunlop, e così via. Ringraziamo sentitamente Roberto Patrignani per la simpatica chiacchierata e ci dirigiamo verso casa di Aldo, dove Terry ci ha preparato per pranzo un delizioso polletto farcito per concludere questa breve ma bellissima visita a Mandello. Ma non è finita; dopo il caffé, Aldo lascia cadere una proposta: -“Senti, se non devi essere a Milano troppo presto, facciamo in tempo a farci un giretto: ti faccio provare il mio Centauro…”

E così, prima di infilarmi in auto verso il grigiore di Milano, ci godiamo una piccola escursione bicilindrica sul Lungolago: all’andata il Centauro, al ritorno il Le Mans… (Grazie Aldo) È la botta finale, l’overdose di emozioni: una volta giunto a Milano, all’importante riunione di lavoro, non avrei poi capito molto e avrei parlato pochissimo: Varenna era diventata Bray Hill, la Ford Fiesta in tangenziale aveva lasciato il posto ad un V7 sulla parabolica… Sembra addirittura che dopo mi abbiano visto passare al casello con “pazzo abbandono”…

G.

 

 

DOUCE FRANCE

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immagine-racconto

di Roberto Ruggeri (Dondolino)

 

Non è un bel mattino quello del 29 maggio 2002, dalle parti di Wiesbaden. Cielo del miglior grigioscuro, le previsioni dicono pioggia in mattinata.
Comunque lieto per la vacanza in moto che sta per incominciare, carico di buon’ora il fido Ombromanto (Guzzi 1000 SP2 “Spada”, in versione personalizzata) con le borse preparate la sera e prima delle 8 sono in partenza per Saarbrücken. I 200 km di noiosa autostrada che ci separano (la strada alternativa, molto bella, non viene in considerazione per ragioni di tempo) sono anch’essi grigi, circa 50 km prima di Saarbrücken arrivano le prime gocce di pioggia. Presto smettono: saranno anche le ultime.

All’arrivo vicino Saarbrücken mi aspetta il mio amico Manfred, felice proprietario di una BMW R85RT del 1990 pressochè nuova (nemmeno 20.000 km) e tenuta con teutonica cura. La mia aquilotta, sporca già all’inizio del viaggio, mostra con eleganza le diversee aree culturali di appartenenza….
Ad attendermi però c’è non Manfred, ma … sua madre, presso la quale il Nostro, che lavora a Monaco, lascia la moto. La BMW ha problemi, Manfred è già dal meccanico, tornerà tra poco.

Dopo una mezz’ora appare il compagno di viaggio: la moto è stata un pò “rispolverata” dopo la lunga inattività: carburatori smontati e ripuliti, nuove candele, ora il motore gira tondo e rassicurante, con quell’aria di sfida al tempo che il boxer BMW trasmette così bene.

Si parte subito in direzione Francia, e qui purtroppo non potrò essere molto d’aiuto al lettore perché io seguivo, ma insomma si viaggia per piacevoli strade statali e provinciali, con pochissima autostrada, in direzione Digione. Dalle parti di quest’ultima il paesaggio cambia, i vigneti si fanno più frequenti, il paesaggio molto “sudeuropeo”, tra l’altro c’è una bella luce pomeridiana che molto dona ai vigneti. A Beaune, il centro vinicolo della Borgogna (perchè è qui che ci troviamo) ci fermiamo per la prima vera pausa dopo il pranzo “al sacco”, ci godiamo davanti a un caffè l’atmosfera rilassata della cittadina piena di turisti (soprattutto tedeschi per via del “ponte” della festività del Frohnleichnam, (che credo sia il Corpus Domini ma forse no), poi ci mettiamo per tempo a cercare un posto per la notte. Manfred ha un altro modo di intendere la vacanza in moto: faticatore e spaccachilometri io, rilassato e vacanziero lui. Questa vacanza abbiamo deciso di prenderla comoda, più vacanza “con la moto” che vacanza “in moto”. La mia vera natura verrà fuori prima della fine del viaggio….

A Meursault, dalle parti di Beaune, troviamo una degna possibilitá di pernottamento e un molto migliore ristorante nella forma dell’Hotel Du Centre, membro di quella meritevole organizzazione chiamata “Logis de France” e che in generale mi sento di consigliare. Della serata mi restano in mente, oltre alla piacevole conversazione con un amico di molti anni che causa trasferimento vedo solo raramente e al pasto impeccabile, la discussione di un gruppo di tedeschi a un tavolo vicino, prima quieti e sereni in stile vacanziero, poi più accesi, poi decisamente agitati, infine più o meno apertamente urlanti. Clima mediterraneo, insomma. Concludo la giornata dicendo che segna i primi 10.000 km da me fatti con la mia aquilotta, A.D. 1986, ritirata il 1. febbraio e usata solo nel tempo libero.
Buonanotte, Ombromanto….

La mattina seguente è bellissima. Dopo una buona ma in stile francese non troppo abbondante colazione ci mettiamo in marcia verso sud. Ai vigneti della prima parte del viaggio, molto belli nella mattina di primavera avanzata (passiamo anche per Cluny, che ci impressiona ma non abbastanza da spingerci a fermarci a lungo) seguono paesaggi via via più aspri, quando da Macon decidiamo di aggirare Lione da ovest e scendere verso sud dalla parte di Clermont Ferrand non senza una breve sosta a Cluny.
Quello che segue è un bellissimo pomeriggio di curve nel territorio chiamato comunemente “Ardèche”, anche se per me lo spasso è cominciato già nel dipartimento Haute Loire ed è proseguito, dopo il dip. Ardèche, in quello di Drome. Ma il tempo passa e abbiamo una camera già prenotata molto più a sud; ci buttiamo sull’autostrada e ne usciamo ad Orange dopo una rapida cavalcata.
Qui il paesaggio è completamente cambiato. Fa più caldo nonostante la sera che inizia, la vegetazione è diversa, più cespugliosa (ma non mancano i vigneti), pochi alberi, in un modo strano mi ricorda la campagna romana ma non rendo l’idea. Mi dice il mio esperto amico che questo paesaggio si chiama “garrigue” ed è tipico del posto, mi ha detto anche da dove viene il termine ma Alzheimer avanza…. Alle otto e mezza circa e dopo circa 640 km arriviamo a destinazione, una incantevole casa colonica ristrutturata ad albergo dalle parti di Alès. L’albergo-ristorante viene gestito da una ex collega di Manfred, che ha lasciato baracca e burattini a Monaco per venire a stare qui col suo uomo. Dopo avere mangiato abbondantemente e chiacchierato fino a ora tarda in un misto di tedesco e francese di qualità variabile (bene lui, male io…) poniamo termine al secondo giorno di viaggio. Fin qui in 2 giorni 1200 km, bei percorsi, bel tempo, bei posti, tutto a posto.

La mattina del terzo giorno essi si riposarono, perchè la mattina era bella, il giorno prima avevamo girato molto e fatto molto tardi, e una chiacchierata di quà, un ricordo dei vecchi tempi di là, quando partiamo sono le 11 e 40 e il sole picchia già duro.
Così tanto che dà alla testa al buon boxer, che all’improvviso regola autonomamente il minimo sui 4500 giri senza apparente motivo. Constatato che il cavo del gas (mia prima diagnosi ahimè frutto dell’esperienza) non è il responsabile, arrivati nel vicino, idillico paesino di *****-la romaine (nota per le rovine romane e per la disastrosa inondazione del settembre 1992, su cui Manfred riferì come inviato della radio tedesca) ci affidiamo ad un meccanico non ufficiale.
Dottore, è grave? No, no, solo un colpo di sole dei carburatori dovuto alla differenza di temperatura con la Germania. Il nostro “medicine man” procede semplicemente a una nuova regolazione e messa a punto, dopodichè ce ne andiamo soddisfatti. Stimato lettore Guzzista, l’episodio ci insegna due cose. Primo: le vecchie moto hanno un grosso vantaggio: ripari tutto in loco e puoi sempre ripartire, invece provate a rompere una moderna centralina elettrica nel sud della francia e mi raccontate. Secondo: se una Guzzi e una BMW, entrambe non più giovanissime, sono in missione e una delle due ha problemi, non è per forza la Guzzi..:-))).

Con le moto a posto si può affrontare il clou della giornata: Mont Ventoux. Lo prendiamo dalla parte opposta a quella del Tour, poche scritte per strada e di ciclisti sconosciuti. La strada è molto bella, non molto impegnativa perchè molto larga ma sempre interessante. Arrivati in cima il panorama è di quelli rari, fino alle Alpi (e si vedono) e al mare (non si vede, leggera foschia).
La discesa dal Mont Ventoux mostra ciò per cui il posto è famoso: il gotha del doping su pedali italiano e internazionale (allez Virenque! Pantani!) è immortalato per terra; lo sfortunato Tommy Simpson, qui morto, è invece immortalato da una lapide.

La discesa invece delude: catrame liquido in mezzo ai tornanti, brecciolino non ancora pigiato dallo schiacciasassi ovunque, condotta prudente e guida poco divertente.
Continuando dopo il Mont Ventoux facciamo una strada bellissima verso sud che pare non finire mai. A Lourmarin, paese molto idillico e già noto al mio amico esperto di cose francesi, finiamo prima noi e decidiamo di fare tappa. Alloggiamo nell’altrettanto idillica Villa Saint-Louis, idillico alberghetto ex sede della Gendarmerie, con un giardino, una terrazza e un panorama da sogno. In questo posto (Lourmarin, non l’albergo…) è sepolto Albert Camus e qui vive sua figlia; dopo un pò capisci che è non solo un bellissimo posto per esserci seppelliti, ma anche prima. La serata è piacevolissima e prevede aperitivo al tavolino, passeggiata, cena al locale ristorante “La récreation” (molto buono), altra passeggiata, altro liquorino. Quasi a mezzanotte non c’è ancora bisogno del maglioncino, una bellissima serata di inizio estate che mi ricorderò.

E venne l’ora fatale, l’ora segnata dal destino, l’ora ecc.. ecc..
È l’alba del quarto giorno, i nostri eroi sono in ritardo sulla tabella di marcia: rinunciare alla costa e tornare indietro oppure marciare avanti imperterriti, incuranti delle conseguenze?
!Allons enfant de la Patrie!” Decidono i nostri. Ca ira, ca ira, ca ira!
Ci dirigiamo verso sud, arriviamo alla costa a St. Raphael. Cemento ovunque, corruzione a gogò, “le mani sulla città” in versione viveur. Mano a mano che ci allontaniamo dal centro di St.Raphael, il cemento lascia il posto a ville nel verde e sul mare di una bellezza discreta ma ciononostante quasi abbagliante; il giorno bellissimo, il mare, il cielo fanno il resto, la Germania vince giá 3 a 0 contro l’Arabia Saudita, peccato che sotto le tute di pelle faccia un tantino caldo…
Incontriamo l’Esterel, con le rocce rossastre stranissime, e arriviamo fino a Cannes.
Quivi giunti, dopo l’obbligatorio giro per un anonimo, ipercementificato pezzo di lungomare noto come “Croisette” e dopo una pausa di rifornimento per destrieri e prodi cavalieri, proseguiamo per prendere, di lì a poco, la strada che tu, lettore benigno e paziente, hai già immaginato: la Route Nationale 85, meglio nota come Route Napoleon.
Che dire di questa strada? Una cosa sola: ci tornerò, e di belle strade ne ho viste non poche.
Dalla costa verso Cogne, da lì verso Digne, tutto un susseguirsi di curve in un paesaggio che dire spettacolare e pittoresco è banale, ma inevitabile. Incrociamo les Gorges du Verdon, che non abbiamo il tempo di percorrere e questo è l’unico cruccio del viaggio. A Digne andiamo avanti e arriviamo a Sisteron, dove ci facciamo accogliere dal locale “Logis de France” che ha anche il parcheggio recintato (attenzione: nel Sud della Francia il furto è una realtà). Sisteron si rivela una cittadina molto piacevole, anche se non così mediterranea come Lourmarin. La Francia ha perso col Senegal, la gioventù locale beve per dimenticare o forse avrebbe bevuto lo stesso, non lo so, non lo chiedo, con modestia mi accontento che abbiano perso…
Decidiamo il da farsi. L’indomani è l’ultimo giorno, io devo tornare a Wiesbaden, Manfred a Saarbrücken, in più ha un appuntamento con un amico vicino Lione per fare il resto della strada assieme. Per me è un allungo notevole, in più è tutta autostrada, decido di prendere la strada “diretta” verso nordest, ma condirla il più possibile a modo mio.

Domenica mattina, dopo essermi salutato con Manfred, comincia la giornata più incredibile della mia carriera motociclistica. Prima parte: 5 ore e 330 km, prima una stupenda Route Napoleon fino a Grenoble, poi strade statali per Chambery, Annecy, quasi fino a Nantua.

Da qui comincia la seconda parte: 710 km quasi tutti di autostrada fino a casa, anzi sarebbero stati tutti ma sbaglio l’uscita a Mulhouse, mi incasino credendo che Gourzwiller sia in Germania, poi faccio la statale fino a Colmar, da dove rientro in Germania. Il traffico del ritorno da un ponte festivo mi rallenta, ma non può frenare la corsa mia e di Ombromanto, purosangue di Mandello lanciato contro il vento come un eroe futurista, in autostrada fino a 180 di tachimetro (da prendere con le molle, diciamo 165 effettivi).
Dopo 13 ore e mezza di viaggio, senza avere nemmeno mangiato perchè quando guido non ho fame e anche per evitare sonnolenze, con l’unico aiuto di 3 lattine di Coca Cola non dopate e di un fantastico, incredibile Ombromanto, arrivo a casa senza nemmeno avere male al sedere (apparso brevemente un paio d’ore prima, poi scomparso: Mr. Endorfina, I suppose?…).
Mentre, in fase di arrivo, procedo al graduale raffreddamente del motore rallentando progressivamente e poi lasciando il motore girare al minimo per un paio di minuti per evitare lo shock termico, penso a che materiale ho per le mani, quanto è adatto al turismo, quanto é affascinante il suono, come è adatto il motore, come è robusto il telaio.
La Guzzi non produce più moto da turismo.
Che volete farci. Non piace al marketing.

Bella vacanza, con un caro amico, bel tempo e una moto eccellente.
Da domani si torna al lavoro. Ma con dei ricordi in più.

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Appendice
Consigli utili per chi viaggia in Francia

a) paese sostanzialmente disabitato tranne i grandi centri, pochissimo traffico, fantastico.
b) asfalto molto duro nella francia centrale e orientale, ottimo perchè non bisognoso di rammendi col catrame.
c) fare benzina presto, anzi prima, anzi adesso! Sì, proprio quel benzinaio lì! Avere sempre dietro banconote da 5 e 10 euro. Pregare che il prossimo benzinaio sia aperto (se la preghiera era intensa, alle volte succede…..).
d) stare attenti ai furti.

Ciao
Dondolino

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