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Riflessioni

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di Cinzia Restelli
Domenica pomeriggio di inizio giugno. Ieri.

“Caldo” non è un aggettivo valido, a quest’ora, per identificare la temperatura della brezza che mi accarezza il viso mentre guido verso l’autolavaggio, la sensazione che sto godendo è più identificabile con un sostantivo, direi. Più semplicemente, “tepore”.

Niente protezioni, oggi pomeriggio, niente giacca in cordura, niente plastiche a irrigidire la mia andatura, niente stivaletti a protezione delle mie caviglie, e non metto nemmeno la bandana al collo, che rimane naked, come la mia moto.

Pantaloni di tela leggera, t-shirt a manica corta, scarpe “da tennis”. Una canzonetta milanese, mi sovviene, e la canticchio sottovoce, sorridendo mentre guido “el purtava i scarp del teniiiis, el parlava in de per lü, rincorreva già da tempo un bel soooogno d’ammmmoreeeee…”

Solo il casco e i guanti, a protezione del mio andare.

Solo una canzonetta di trentacinque anni fa, a protezione della mia serenità.

Il viaggio è più breve di quello di un harleysta che va a bere un caffè al bar. Un brivido mi elettrizza-attraversa la schiena, con la velocità di un fulmine notturno durante un temporale: “Potrei farmi male cadendo in questi due kilometri tra il box di casa mia e il lavaggio auto?” Non mi importa, viaggio con la certezza che oggi niente di brutto potrà accadermi. Niente.

Incoscientemente felice.

Non ricordo le parole, fischietto.

Arriviamo, io e la mia Breva, al lavaggio auto. I box, allineati ordinatamente, sono tutti occupati tranne l’ultimo. Me ne accorgo dai semafori sul muretto all’ingresso: rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-rosso-VERDE, ma anche dagli allegri spruzzi di acqua che sfuggono all’ordine geometrico della costruzione rigida.

Passo dietro a tutti questi uomini, spesso accompagnati dalla propria compagna o dai figli, cercando di mostrarmi la meno impacciata possibile. Vorrei farmi piccola piccola, in quel momento, per non sentire su di me gli sguardi invidiosi delle donne e quelli stupiti o ammirati degli uomini.

Io oggi voglio solo starmene un po’ da sola, a pulire e lucidare la mia motina.

Nient’altro.

Accolgo invece con un gran sorriso e un saluto a V la risata sincera di un bimbetto che mi addìta e chiama con la sua vocina trillante: “Papyyyy guarda! la moto grande! come la tua!”

Proprio un bel frugolino, avrà si e no cinque anni, un bel “patatino” con le fossette birichine che mi fa ciao ciao con la manina libera dalla spugna, mi sorride, e corre dal suo “papy” per continuare ad impiastricciare la macchina di detersivo e simpatia.

Io e la mia timidezza odierna arriviamo, dopo un viaggio lungo quanto il giro del mondo, all’ultimo box. Entro e cerco di mettere il cavalletto sul cemento, invece che sulla griglia per lo scarico dell’acqua. Mi sento un poco più protetta, tra quei due muri bianchi, e certamente anche la mia privacy ne risente positivamente.

Scendo dalla moto, levo il casco e i guanti, tolgo lo zainetto pieno di stracci straccetti e creme per le cromature e la carrozzeria.

Mi avvio verso il distributore di gettoni, cercando di starci il minor tempo possibile, ma nonostante mi sia organizzata con la moneta contata, mi si avvicina un gentiluomo di mezzetà, anche trequarti, che con fare molto gentile mi chiede che moto è, modello, cilindrata, e certamente aveva anche lui una Guzzi (ma quanto parla?) qualche anno fa, e poi l’ha venduta, ma se tornasse indietro la terrebbe (perchè ho preso le monete da venti centesimi, invece che quelle da un euro?), ma che belle le Guzzi (ma quanto impiegano sti gettoni a scendere?) e come mi trovo… Rispondo educatamente, ma con un certo imbarazzo, perchè non voglio che la mia gentilezza possa venire fraintesa e automaticamente tradotta in “disponibilità”.

Finalmente vinco (ih ih!!) e la slot-machine sputa fuori i suoi gettoni, finisco il discorso, saluto cortesemente e mi defilo con un sorriso.

“Perché?” mi chiedo mentre torno alla motina “Perché una donna motociclista deve necessariamente essere considerata disponibile? Perché non ha attaccato bottone con una delle due signore che lavano l’auto nei box 5 e 8?”

Mi rispondo con una non-risposta: “Mah” e inizio a leggere le istruzioni del distributore.

Per fortuna, questo auto-moto-lavaggio consente di passare tra le varie opzioni (lavaggio preliminare, shampoo, risciacquo con osmosi, ecc.) senza dover aspettare che ogni volta finisca la temporizzazione collegata ad un gettone. “Così me ne avanza uno per prendermi una lattina di tè freddo al distributore automatico”. Un premio goloso per quando avrò finito.

Inserisco. Opzione 1.

L’acqua inizia ad uscire dalla pistola a spruzzo come una leggera pioggia di marzo. Mi viene quasi voglia di alzare il braccio e farmela cadere in testa, come una doccia fresca, alzando gli occhi chiusi verso il getto e aspettando che le gocce rimbalzino sul mio viso… Sogno sempre troppo ad occhi aperti.

La motina è lì, ferma, sporca dall’ultimo giro nei campi dell’Est di Milano, su stradine tra l’impolverato e il post-pioggia di domenica scorsa, immerse tra i campi di grano e i papaveri e i fiordalisi come non ne vedevo da almeno vent’anni.

Inizio a sciacquare via delicatamente il fango superficiale e penso “La mota della moto”. He he! La cartina tornasole per accorgermi che sto bene, dentro di me: quando inizio a scherzare con le parole.

L’acqua scivola sulla Breva portando a terra lo sporco, e i miei pensieri tristi. Con uno straccio morbido lavo via i moscerini dal parabrezza, dal fanale anteriore, accarezzo la sella ed il serbatoio, giù lentamente fino agli scarichi e alle ruote.

Ssssshhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Bip. Fine dell’acqua e della malinconia.

Il bimbetto “patatino” passa davanti al mio box, seduto di fianco a suo padre, sporge una manina dal finestrino e mi saluta “ciao signora!”.

“Ciao, tesoro”, ricambio.

Inserisco. Opzione 2.

Il sapone inizia a riempire la moto di schiuma morbida, togliere lo sporco è ancora più semplice e … mi piace, la mia moto insaponata ha un che di sexy, è così vulnerabile, adesso, lo straccio passa agevolmente sul serbatoio, sui fianchetti, sui collettori, poi indietro, lungo gli scarichi, per risalire poi sul codino. Nessun attrito, nessuna asperità. Massima disponibilità. Massima fiducia. E’ una piacevole sensazione di dolce strofinamento, seguo tutte le sue sinuosità, la sua rotonda ingegneria meccanica. Non ci sono spigoli nella mia Guzzi, solo dolci linee, buone, amichevoli.

Scelgo l’opzione 3, ed un fruscio di nuvola d’acqua osmotica avvolge nuovamente la Breva.

Lo shampoo si arrende e scivola, come onde leggere, verso terra.

Ssssshhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Bip.

Mentre ripongo la lancia dell’acqua, guardo la Breva imperlata di pulito.

Faccio due passi fino al distributore automatico e mi prendo una fresca lattina di tè, torno alla moto e me la gusto lentamente. Ci voleva. E’ ora di togliersi dal settore di lavaggio, mi siedo per spostarla, incurante della sella bagnata che mi segnerà, sono certa, i pantaloni. Infatti, mentre giro la chiave ho una fresca sensazione tra le gambe, ma non importa. E’ piacevole.

La parcheggio nello spazio riservato all’asciugatura, poi torno a prendere zaino, casco e guanti.

Dallo zaino esce un tripudio di stracci di ogni materiale e colore e riesco ad utilizzarli tutti, da quelli per asciugare a quelli per lucidare a quelli per il parabrezza.

L’ultimo giro è dedicato alla lucidatura delle cromature.

Mi ritrovo inginocchiata di fianco a lei, per un ultimo controllo. Tutto ok. Mi piace, così. Mi rialzo soddisfatta, sono trascorse quasi due ore. Ripongo tutti i materiali nello zaino, allaccio il casco, infilo i guanti e parto. Si va a fare un giro. Un lungo, vanitosissimo, brillantissimo, giro.