Home Blog Pagina 31

Il Settimo Sigillo

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di NonnoEnio
Sabato 30 Giugno, ore 6,30: di sicuro qualche vicino mi manderà qualche accidente nel momento in cui il bicilindrico della mia Guzzi prende vita e mi avvio, per la settima volta, in direzione di Wilsingen. Questa volta scelgo l’itinerario più veloce, passando da Chiasso per poi proseguire per il tunnel del San Bernardino e quindi puntare verso il lago di Costanza. Già pochi minuti dopo essere entrato in autostrada capisco quanto sono fortunato ad andare verso nord: in direzione opposta tre lunghi serpentoni di auto si muovono a velocità ridotta e sarà così quasi fino a Modena. Le previsioni non erano proprio rassicuranti ma, grazie al cielo, i meteorologi si sono sbagliati. Attraverso la Svizzera sotto un sole splendente che mi fa godere ancor meglio il paesaggio che mi circonda. Attraverso il confine fra la Svizzera e la Germania e, dopo Ravensburg, uscito
dall’autostrada, comincia il divertimento vero: strade dal fondo perfetto che si snodano nella incantevole campagna del Baden Wurttemberg con curve morbide e dolci saliscendi che attraversano campi verdissimi e piccoli boschi. Di tanto in tanto attraverso un paesino con le case mai più alte di due piani e giardini fioriti e le fattorie tutto intorno. Arrivo a destinazione e non faccio neppure in tempo a scendere di sella che già le pacche sulle spalle si sprecano. Quest’anno siamo cinque italiani: oltre a me ci sono due “smanettoni” da Acqui Terme e due harleysti da Reggio Emilia. Loro sono arrivati il venerdì ed hanno passato la serata con un altro italiano che ha fatto tappa a Wilsingen prima di ripartire in direzione Capo Nord. Come al solito bisognerà aspettare le prime ombre della sera perché l’atmosfera si scaldi. Nel frattempo posso ammirare alcune “nonne” superbamente restaurate parcheggiate vicino ad un paio di streetfighters. E’ il bello di raduni come questi dove la moto non fa alcuna differenza. Verso le 20 partono i giochi, divertenti come al solito e poi tutti al banco a mettere qualcosa sotto i denti ma
soprattutto a dare inizio alle bevute. Con il bicchiere da mezzo litro di birra a due euro e venti, le premesse per un incremento tosto del tasso alcolico nel sangue è garantito. Verso le dieci salgono sul palco i Woodpeckers, una cover band che, da sempre, fornisce la base musicale a questo raduno. Gente tosta che suona Steppenwolf e AC/DC, ma anche Evanescence e Rammstein e non si sta a preoccupare di quante ore sta sul palco: infatti smetteranno di suonare alle tre del mattino concedendosi solo un paio di soste di una ventina i minuti. Dal momento in cui è cominciata la musica il numero dei partecipanti è andato crescendo in continuazione e verso la mezzanotte il tendone, che pure è bello grande, è strapieno e c’è altrettanta gente fuori, attorno al classico falò, una caratteristica di tutti i raduni tedeschi. Attorno a quel falò, i più resistenti continueranno a chiacchierare e bere fino alle otto o le nove del mattino successivo. Ma c’è chi crolla prima: alle due e mezzo un biker è steso su una panca e dorme della grossa ad una decina di metri dalle casse acustiche da cui i Woodpeckers stanno sparando un brano degli Iron Maiden. Il tempo regge anche se l’umidità e la temperatura piuttosto bassa consigliano di chiudere bene la zip del sacco a pelo. Però c’è anche chi non arriva alla tenda e crolla sull’erba protetto solo dal calore dell’alcol. Come sempre dormo pochissimo ma svegliarmi alle cinque e dare un’occhiata fuori dalla tenda significa godersi uno spettacolo da fiaba. Il sole non è ancora salito sopra l’orizzonte ma la luce è già forte. Sulla zona del raduno è scesa una coltre di nebbia bianchissima che non va oltre il metro da terra. Le case, le piante, le cime delle tende sbucano al disopra di questa specie di materasso come piccole isole. Siamo in pochi a goderci questa vista: io ed il gruppetto degli irriducibili bevitori ancora seduti col bicchiere in mano attorno al falò che ancora viene alimentato. Verso le nove, con il sole che splende nel cielo, siamo pronti a ripartire con un itinerario diverso: strade secondarie fino a Sciaffusa in Svizzera e poi autostrada fino a Zurigo. Attraversiamo il centro città e ci dirigiamo verso Chur ed il San Bernardino. Come per l’andata, in territorio italiano il traffico intenso è tutto nella direzione opposta e fra le auto costrette in lunghe code gli unici veicoli che ancora riescono a procedere sono le moto fra cui spiccano per numero le Ducati di ritorno dal raduno mondiale di Misano. Arrivo a casa in tempo per la cena: in 36 ore ho fatto 1.650 km, dormito tre ore, goduto quasi cinque ore di puro rock e soprattutto ritrovato vecchi amici e fatti alcuni nuovi che vorrei ritrovare il prossimo anno. Età permettendo, naturalmente…

Reportage dal Biafra

0
Un meccanico per motociclette. Come Crea, come Pellegrini, come Tecnomoto, come Scola. Ma tu lasceresti a un meccanico nigeriano fare un intervento sulla tua amata?

di Gazzettiere

 

Nigeria, Biafra

In Nigeria tutto è rugginoso ed entròpico. Sulle linee ferroviarie (abbandonate) cresce l’erba. Rugginosa e rumorosa e approssimativa perfino la piattaforma Ima Frel 1 dalla quale si estrae il gas che poi va a liquefarsi Bonny Island. Nella polverosa sala mensa, a dispetto dell’immagine degradata della piattaforma, c’è una sequenza di diplomi per i successi conseguiti nella sicurezza del lavoro dalla squadra di tecnici africani. Rugginosi ma efficienti.
Andiamo a vedere l’ospedale di Obizie – anzi, Obizi, si scrive in nigeriano. Per arrivare a Obizi servono alcune ore per uscire dai sobborghi polverosi di Port Harcourt e per traversare la campagna fangosa. Dovunque è pieno di gente, di persone. I nigeriani sono almeno 130 milioni, la popolazione più numerosa dell’Africa, ma si stima che possano essere almeno 150-180 milioni. Ogni famiglia — anche quelle ricche e urbanizzate — ha almeno cinque o sei figli.
I nigeriani guidano nel traffico pazzesco e polveroso delle città, o lungo le strade statali perse nella giungla, quattro tipologie di veicoli.

Il traffico
Ci sono le auto nuove: poche e rare.
Poi le strade sono intasate da una massa di vecchi catorci, in gran parte Peugeot o vecchissime Mercedes, piene di botte e buchi di ruggine.
Le ambulanze si usano per tutti i servizi, compreso il trasporto delle casse da morto con corteo al sèguito.
I poveri nelle campagne e i bambini usano la bicicletta. Sono grandi biciclette nere con i freni a bacchetta, come quelle che si usavano in Italia fino agli anni 50.
I giovani e chi ha pochi soldi usa la moto. Tantissime moto. Molte sono customizzate, lavorate, decorate e riempite di cromature e grossi paragambe. Nessuno usa il casco. E tutti vanno piano sulle dissestate strade che attraversano la giungla o nel traffico pazzo della città.

 

La cilindrata massima delle moto è 250 e le marche sono diversissime dalle nostre: moltissime Kymco e molte giapponesi (Suzuki e Honda, sempre 250 cc), ma non si contano le Nanfang, le Jingcheng, le Sinoki “Supra”, le Pogco, le Chanlin e le Qlink. Notata una moto con la scritta Jesus sul serbatoio, e non sembrava una personalizzazione ma una vera marca. Jesus non è solamente la marca della moto: la religione è molto sentita, in Nigeria.

Il nord è soprattutto musulmano, l’interno è animista, il resto è cristiano in tutte le declinazioni in cui si può adeguare il cristianesimo.

Chiese e distributori
Lungo le strade ci sono insegne polverose e rugginose con scritto: “Diocesis of Jesus King of All Heavens”, oppure “Church of Good Sheperd” o ancora “Joint to Archbishop for Freedom of Your Soul”.

 

Più sul cartello è lungo e articolato il nome della chiesa, e più è piccolo, rugginoso e povero l’edificio sacro alle spalle del cartello, in genere una catapecchia.
Lo stesso fenomeno curioso di proporzione inversa c’è alle stazioni di servizio. Più lungo, articolato e magnificente è il nome dipinto sull’insegna, più misero il distributore.

Nel Paese dominato dalle società petrolifere, sono una rarità le stazioni di servizio delle compagnie: ho individuato un Texaco e un distributore Total. Avvicinabili (ma sempre polverosi e rugginosi) ai distributori europei. Malconci quelli con insegne come Mbono Oil, cioè con un nome già più articolato. Catapecchie rose dal clima umido, abbandonate, con le colonnine dal vetro sfondato sono quelle dei distributori con le insegne più sontuose, come International Global Energy Services Ltd oppure Global Interworld Oil Co.
In ogni caso, le pompe sono ingabbiate dentro solide sbarre d’acciaio verniciato (e in genere anche scrostato e rugginoso).
Obizi (o Obizie all’inglese) è una borgata in mezzo alla giungla di palme nello Stato di Imo, uno degli stati federati della Nigeria che quarant’anni fa erano parte del Biafra. Qui è nato l’ospedale del dottor Nnadozie. Tornato in Nigeria dopo un master in biochimica negli Usa, Nnadozie aprì per la gente del suo paese una baracca-ospedale. In queste condizioni Nnadozie conobbe Arnd Klinge, il pilota tedesco. Il quale cominciò a raccogliere collette in germania e a promuovere in azienda il progetto dell’ospedale di Obizi.

Vivere poveri
Nel 2001 era stato costruito il primo piano, ora l’edificio è formato da tre piani. Per lo standard europeo, sarebbe un ospedale illegale. La camera operatoria, al pian terreno, ha le finestre aperte sul giardino, protette da tende azzurre, ed è piastrellata di bianco. Al centro c’è un lettino da studio medico foderato di scai polveroso. Non ha attrezzature, se non l’armadietto per i medicinali, la sterilizzatrice per i ferri e alcuni ventilatori a soffitto, unico sollievo nel clima equatoriale.

Un altro meccanico. Bastano una tettoia di lamiera ondulata e pochi attrezzi per creare una nuova microazienda.
Un altro meccanico.
Bastano una tettoia di lamiera
ondulata e pochi attrezzi per
creare una nuova microazienda.

L’illuminazione della sala operatoria viene dalla finestra spalancata e da alcuni tubi di neon: una lampada operatoria non reggerebbe la tensione incerta erogata da una delle compagnie elettriche più disastrate, la società statale Nepa (National electric power authority). In Nigeria anche le grandi città restano spesso al buio per minuti, per ore: in qualche caso per giorni interi. «L’elettronica non funziona con questi continui cali di tensione», aggiunge sua altezza reale Igwe Obi, a capo di una comunità di 14mila biafrani a Nkpologwu nello Stato di Anambra.
A Obizi è ancora peggio. «Abbiamo la macchina per le radiografie, ma non possiamo usarla perché questa corrente ce la spaccherebbe subito», spiega Nnadozie. Come non funzionano le altre apparecchiature donate alla casa di cura di Obizi dagli ospedali tedeschi tramite il pilota volontario.
Così per far funzionare la piccola sala operatoria (il dottor Nnadozie mostra soddisfatto un vaso di plastica che una volta conteneva mostarda e oggi conserva, nella formalina, un fibroma grande come un pollo da due chili) si usano alcuni pannelli solari che caricano le batterie e un generatore a gasolio. Ma il gasolio costa troppo, nel Paese dove basta fare un buco per terra per trovare greggio.
Benzina, cherosene e gasolio costano fra le 50 e le 60 naira al litro, pari a circa mezzo euro. In Italia sarebbe una pacchia, in Nigeria, dove il Pil pro capite è 800 dollari l’anno contro i circa 20mila dollari dell’Italia. Solo pochi fra gli oltre 150 milioni di nigeriani si possono permettere di usare l’auto tutti i giorni. E così, il generatore dell’ospedale di Obizi funziona solo quando arrivano soldi.
La gente viene all’ospedale del dottor Nnadozie da tutto il circondario di Obizi, 25mila abitanti, e qualcuno anche dal vicino Stato di Abia, anch’esso biafrano. Ne verrebbero molti di più, perché in quella zona dell’Abia non c’è ospedale. Montano sulla bici o sulla moto e arrivano fino al ponte sul fiume Imo, che divide la regione Abia da quella dell’Imo.

Un meccanico per motociclette. Come Crea, come Pellegrini, come Tecnomoto, come Scola. Ma tu lasceresti a un meccanico nigeriano fare un intervento sulla tua amata?
Un meccanico per motociclette.
Come Crea, come Pellegrini,
come Tecnomoto, come Scola.
Ma tu lasceresti a un meccanico
nigeriano fare un intervento
sulla tua amata?

Il fiume è limaccioso e di color ruggine come il resto del Paese. Lo attraversa un vecchio ponte di ferro; il tavolato del ponte è di legno, e gli assi sono rotti e sbilenchi. Può essere attraversato a piedi soltanto con la luce, pena il piombare nel fiume attraverso i buchi, oppure in bicicletta o in moto lungo passerelle di assi che sono state gettate lungo il paiolato del ponte. In automobile, impossibile.
Così la gente dello Stato di Abia raramente riesce a raggiungere l’ospedale.
Ed è così da quarant’anni, dai tempi della guerra del Biafra, quella che fu accompagnata da una tragica carestia che aggiunse ai morti altri morti. Distrutto dalla guerra, il ponte. Per il pilota tedesco Klinge e per i suoi amici è questo il prossimo progetto, ricostruire il ponte sul fiume Imo.
Il fratello del medico di Obizi si chiama Victor Nnadozie, è un operatore umanitario, ha una moglie bellissima — come sono altere le donne nigeriane — ed è un indipendentista biafrano. «Non ha senso che il nostro Paese venga sfruttato dalla Nigeria. Qui, lo Stato di Imo, e quello di Abia e gli altri Stati che compongono il Biafra hanno un’altra cultura, un altro modo di pensare. Il Biafra dev’essere indipendente. Ma il Governo non concederà mai l’autonomia perché qui c’è il petrolio e vogliono tenerselo bene stretto», dice.

Pensando a lui
Un biafrano, questo Victor. Grosso, alto quanto me. Forte. Con la camicia di taglio inglese fradicia sulle spalle per il sudore equatoriale. Mi vengono in mente ricordi infantili, e per accertarmene gli chiedo quanti anni abbia. «Quaranta», risponde. Faccio due conti a mente, e quindi nel 1968 aveva tre anni. Quando c’era la guerra. Quando sul telegiornale del canale nazionale (non si chiamava RaiUno) Tito Stagno in bianco-e-nero illustrava i servizi con i bambini africani dalla pancia orribilmente gonfiata dalla fame.
Posso dire che l’ho conosciuto, il bambino pensando al quale durante l’infanzia ho dovuto mangiare tante minestrine. «Mangia e pensa ai bambini del Biafra». È lui, è Victor, il bambino del Biafra.

Alaska

0

Di Adriano Mollica

 

1) Partire o non partire?
Sono mesi ormai che dico a me stesso che mi merito una vacanza… che anno bestiale è stato questo! Lontano da casa, dall’affetto di mia madre, dal calore dei miei amici, dal mio lavoro, dal mio mondo. Eppure non tutto è negativo, piano piano ci si abitua a un nuovo posto e a nuove facce, e in un certo senso ci si affeziona anche a posti che non ci sono piaciuti da subito. Tucson è dove vivo ora, sede della “prestigiosa” università dell’Arizona, patria del cactus tipo Saguaro, e del caldo tutto l’anno. E’ qui, confinato in questa cittadina nel deserto arizoniano, che la mente inizia a sognare. In principio è solo un’ idea vaga, un pensiero, poi le cose si fanno più serie, e le serate passate davanti alla cartina si fanno più frequenti… si, ma dove andare? Macchina, moto, aereo? Un Viaggio, sì, certo me lo merito, ma che tipo di viaggio?
La mia vita e i miei ricordi sono stati segnati anni fa da un viaggio in moto fatto a Caponord. Il viaggio di una vita. Per anni il ricordo di quei posti, di quell cielo, di quell’asfalto duro, è rimasto impresso nella mia mente. E’ forse ora di fare un altro viaggio di quel genere? I dubbi sono tanti, siamo già ai primi di novembre, e sebbene a Tucson non se ne sia accorto nessuno, l’inverno si fa avanti nel nord del paese, e le temperature si abbassano velocemente. Ma c’è ancora quel tarlo in me, che mi dice, ok, doppio giaccone, stivali impermeabili, guanti di gomma, sottocasco di lana, che saranno mai 10 gradi sotto zero se ti copri bene?
10 magari si, ma 20 o trenta? E se la moto si rompe “in the middle of the fuckin’ nowhere”? Sono tutte cose sensatissime, che a chiunque sano di mente farebbero da deterrente assoluto a qualsiasi pensiero. Ma io sono come gli altri? Ma a Caponord chi c’è andato? Io o il ricordo di me stesso? E poi vuoi mettere andarci d’estate o andarci d’inverno? E’ tutta un’altra cosa. E allora ecco la scusa, perchè anche io ho bisogno di scusarmi con me stesso a volte. Sì ecco la scappatoia, ok, si parte, ma si arriva solo dove si può, senza fare l’eroe, se la strada si fa brutta, si gira la moto e si torna indietro, e sarà stata lo stesso una bellissima vacanza!
Beh, non è una cosa del tutto sbagliata, in fondo mi è sempre andato di girare un pò l’America on the road… e allora eccomi qua a fare i preparativi. Primo: sistemare la moto, secondo: sistemare il sostegno per le borse e la tanica di benzina, terzo: escogitare un sistema per andare sul ghiaccio senza ropersi l’osso del collo. Scatta il piano equipaggiamento. Fortunatamente in America, anche se molti non sono d’accordo, esistono i grandi magazzini Wallmart Supercenter, che praticamente sono dei grossi discount dove dentro ci trovi di tutto. La gente dice che hanno rovinato tutti gli altri piccoli negozianti. Concordo, non c’è concorrenza coi loro prezzi, e si trova davvero di tutto, la roba è fatta in Cina e rivenduta qua. Io ci ho trovato magliette di lana pesante, calzini grossi, stivali di cuoio, felpone, pantaloni jeans militari, mutandoni di lana, sottocasco di lana, 2 borse, che diventeranno le mie 2 borse laterali, 2 teli cerati per coprirle. Che dire di più? L’avventura non è ancora iniziata, e io mi sento carico… e spaventato allo stesso tempo, le 4-5 ore di luce su nello Yukon (Canada del nord) mi spaventano un pò, la strada è ancora in buone condizioni ma la temperatura sale e scende… e quanto scende son dolori!
Non ho ancora detto dove sto andando? Beh, dove arriverò non lo so, ma la destinazione è Anchorage, Alaska!

2) On the road again
eccomi qui sfrecciare sulla highway. Percorrere queste strade interminabili in mezzo al deserto di Sonora in Arizona e California mi dà sempre un certo brivido. Non perchè le velocità siano alte, anzi al contrario, 65 miglia per ora, e 75 in alcuni tratti. Il panorama scorre lento, ed è tutto uguale, però… cavolo, ripeto a me stesso, sto viaggiando in America, in mezzo al deserto con la moto carica per un’altra avventura, iniziano le mie vacanze!
Mi accorgo presto che la moto viaggia molto bene, è leggera e maneggevole, il motore frulla tranquillo… eh, ma cosa succede???… la spia dell’ olio… ah ecco una stazione di servizio… scopro ora, e sarà così per tutto il viaggio che la moto “beve” 1 litro d’olio ogni 500km. Poco male, qua l’olio migliore che hanno costa 2.50 dollari, un affare!
Ok, riprendo il viaggio, la spia dell’olio spenta, ma la moto non va bene come prima. Non ha spunto, è come se mancasse la benzina… oh cavolo… il tubetto s’è staccato dal rubinetto… accosto, si è solo sfilata la gomma… questione di 5 minuti e sono di nuovo in sella!
Arrivo la sera a Los Angeles, 700 miglia hanno fatto il loro dovere, non mi fermo nella città, mi cerco un motel poco fuori, sono stanco, non sono neanche le 9 di sera e crollo.
Ok, secondo giorno, oggi non ho meta: la strada mi chiama, e la California è lunga… ho 2 opzioni, la freeway costiera o l’ interstate 5 che passa per i monti.

Scelgo quest’ultima, anche perchè in ogni caso più a nord avrei dovuto ricongiungermici. Tiratina e oliata alla catena! Ebbene si, non sono su una Guzzi, ma su una Yamaha del ’87 che però mi sta facendo una buona impressione. Ha un motore 4 cilindri in linea raffeddato ad aria, è di vecchia concezione e non è molto potente, una sessantina di cavalli. Parto, è fresco, la strada sale subito e mi ritrovo per colline e valli, non piove, ma il termometro che ho montato sul serbatoio mi dice che ci sono 10 gradi, ieri erano 20 in Arizona!
I km filano lisci, oggi nessun problema, solo il freddo, ho le mani intirizzite, e anche un pò le gambe, ma la roba invernale sta tutta nelle valigie e non ho voglia di smontare tutto per mettermela, decido di resistere. Anche oggi mi sono fatto i miei bei 700 km. Mi fermo in un piccolo paesino, neanche mi ricordo il nome, ma la cucina è buona, e la bistecca me la sono proprio meritata!!!!
Il giorno seguente inizia con la pioggia, sono già nel nord della California ed è freddo, 5 gradi! Metto la tutta antipioggia e un pantalone di tuta felpata sotto il jeans, sopra ho una felpa, il giacchettone della moto Bieffe e una camicia. Altra tiratina alla catena, mi accorgo che la catena reggerà si e no altri mille km, perchè ho finito lo spazio per tirarla, e la strada è tanta di più. La farò cambiare a Seattle!
Sono in strada di nuovo, che tempo da lupi! Pioviccica e fa freddo, 5-6 gradi… e cavolo, banchi di nebbia frequenti! Quando sono nella nebbia mi accodo alle luci della vettura che mi precede, la nebbia prima mi appanna il casco e poi gli occhiali, questo mi costringe a alzare la visiera e togliermi gli occhiali. Non è che sono proprio cecato senza, però sto meglio quando ce li ho! E ancora sono solo in California… ah no, ora passo in Oregon… Più su c’è Portland, mi ricordo che in queste zone c’era ambientato Rambo 1. Infatti i paesaggi sono quelli, montani, umidi, quella luce lì… mi sa che anche il periodo dell’anno era questo! La giornata passa veloce, la moto non mi dà più problemi, supero Portland. Credevo fosse molto più piccola, invece mi appare come una grande città, priena di ponti, gru e nuove costruzioni. Guardo e passo, la mia meta è un’altra.

Un altro giorno e finalmente sono a Seattle. La mattina di buon ora mi presento dal concessionario Yamaha di Seattle a far visionare la moto, sento un rumorino dalla frizione… ma lo sentivo anche prima di partire e non mi dà problemi, poi la catena è arrivata. Ho la mattinata libera per fare il turista, visito un pò la città, anche se ci sono già stato un paio di anni fa… ma non me la ricordo molto. Faccio un giro al mercato, per le stradine intorno, è una bella città! In 3-4 ore sono di nuovo in strada, catena nuova fiammante, 180 dollari, lavoro compreso (1 ora 60 dollari di manodopera!). Il rumorino, mi confermano che viene dalla frizione, ma senza aprire non mi possono dire cosa sia. Lasciamo stare la moto va, la frizione friziona. La vita è bella!
In un batter d’occhio passo la frontiera col Canada, mi chiedono un po’ di cose, ma è parecchio più semplice che attraversarla dalla parte opposta. Dico che sono diretto a Vancouver, ma in realtà non è così, e Vancouver non mi piace neanche. Il finanziere storce un pò la bocca, sa che è una balla e fa finta di crederci… eccomi per le strade del Canada, corsia singola da adesso in poi, e un certo traffico. Mi fermo a Hope, un paesino tra i monti, piove,e non ho neanche nulla da mangiare, il motel non ha il ristorante e attorno non c’è nulla aperto, ho pochi soldi canadesi presi a un bancomat dal benzinaio, mangio un sandwich, fa quasi zero gradi! Il freddo ora si fa sentire!!!
Il mattino dopo verifico la catena, è perfetta… non ha sentito I 200 km che ho fatto la sera prima. Fa un freddo cane, ma mi voglio tenere per dopo un altro paio di pantaloni e la maglietta doppio strato di lana che mi sono comprato. Però cambio guanti, anche questi nuovi sono più imbottiti. Piove di nuovo, e si inizia a vedere la neve. La strada è un pò sporca, ma non mi lamento, solo il freddo! Fa 2-3 gradi e le mani non le sento più… prima solo le punte delle dita, ora tutte le dita mi pizzicano e mi fanno male… le fermate a far benzina si fanno più frequenti… e anche la percorrenza giornaliera ne risente. Più vado verso nord e più mi lascio alle spalle la civiltà… I paesaggi non sono male, però neanche straordinari. Monti e boschi, ogni tanto qualche laghetto. Inizia anche a far buio prima, più si va a nord e più le ore di luce si riducono, anche la mattina se non sono le 8 non c’è luce. Ma la strada è pulita, qua la neve non è arrivata! La gente per strada mi guarda un pò sbalordita, siamo comunque vicini ai zero gradi. Al benzinaio mi chiedono dove sono diretto, a nord dico!, non c’è in effetti un punto preciso, soprattutto non riesco a pianificare con troppa precisione dove arriverò, il freddo che sento mi fa presagire che più a nord ci sarà parecchia neve. In un paio di giorni arrivo a Prince George, sono praticamente a metà della British Columbia, fa sempre 1-2 gradi. Io credevo che in Canada parlassero francese, invece qua in British Columbia parlano inglese, e si capisce anche meglio di quello americano! I paesaggi sempre gli stessi, però ora vedo la neve al lato della strada… e ne vedo sempre di più… ma la carreggiata è perfettamente pulita. Penso tra me e me, che se continua così in Alaska ci arriverò in 3-4 giorni… L’altezza in longitudine di Prince Georce è più o meno la stessa dell’Alaska del sud. L’iside passageè praticamente una lingua di terra costiera, sul pacifico, che sta tutta al di sotto dell’Alaska e che non è percorribile su strada, ma solo tramite traghetti. Tra l’altro il traghetto c’era pure, ma solo una volta al mese d’inverno, quindi ho rinunciato. Calcolo che con altri 200 km starò poco al di sotto di Anchorage, come longitudine, e quindi penso che anche il clima sarà circa lo stesso, per cui quello che troverò da ora in poi sarà più o meno lo stesso per tutto il viaggio, essendo ora la strada tutta verso ovest e non più verso nord. Naturalmente mi sbagliavo!

Arrivo facilmente a Dawson Creek, qui inizia ufficialmente l’Alaska highway! Sono molto contento perchè questo in effetti era uno dei miei goal! Mi sono più volte ripetuto per strada: se arrivi a Dawson Creek tutto d’un pezzo è già molto! In effetti credevo che la strada fosse già innevata e non si potesse andare avanti invece sento l’Alaska sempre più vicina, e fino a qua a parte il freddo, tutto va alla grandissima! Mi fermo a un centinaio di km dall’inizio dell’Alaska highway, fa parecchio freddo, siamo sotto lo zero, ma la senzazione che percepisco non è molto differente da quella del giorno prima, sarà l’emozione. Però i piazzali dei benzinai sono pieni di ghiaccio e qualsiasi cosa al di fuori della carreggiata è coperta da 30-40 cm di neve.
Oggi, mi dico tra me e me, vedremo se si può andare avanti o se tocca tornare indietro. Tornare indietro ora però sarebbe un colpo troppo grosso! Dopo tutta questa strada! Da qui in poi, il traffico si dirada, anche i grossi Tir che i giorni precedenti mi avevano accompagnato sulla strada non ci sono più, solo uno o 2 ogni mezz’ora. Siamo 5-6 gradi sotto lo zero, ma la voglia di continuare fa più del freddo, e poi, la strada è pulita!!!

Mi sono preparato delle corde in caso ci fosse stata neve, e delle fascette da applicare alle ruote della moto, giusto in caso… anche i benzinai si diradano e ad un certo punto finisco la benza! Niente di grave avevo una tanica con me, tempo di fare il pieno e sono di nuovo operativo. Questi posti mi ricordano un pò la Norvegia, ma ad essere onesto la Norvegia mi è piaciuta parecchio di più. Non vedo un’anima da parecchi chilometri, e penso che se non avessi portato la tanica ora starei nei guai. Inizia a esserci un pò di neve sulla strada… ma raramente, e la schivo con estrema facilità… poi c’è questo dannato brecciolino… va beh, ma, penso tra me e me, se la strada è così, tra 2 giorni sono in Alaska. E invece no! il buon Dio ha deciso di farmi arrivare fino a qui, per poi mettermi davanti, improvvisamente, neve e ghiaccio sulla strada… la moto traballa, scodinzola un po’, c’è anche terra e ghiaia… la tengo in piedi… mi fermo.
Davanti a me la strada è cambiata improvvisamente… da qui in poi sarà tutta così: ghiaccio e neve! Guardo la carta, sono in mezzo ai monti in un parco. Forse nel parco la strada non la puliscono, penso… forse tra una 50ina di km, fuori dal parco, la strada è pulita come prima! Tento il tutto per tutto e applico le fascette alle ruote, ci metto una mezzora, ma se funziona ho svoltato… intanto fa –10, nevica, e io invece sotto la copertura sto sudando! Faccio qualche metro e mi pare che la fascette funzionino, la moto va dritta e non scivola, e ho anche un pò di grip… ma il gioco dura poco, le fascette ad una ad una saltano via, capisco che il sistema non funziona e sono sempre più in mezzo alla merda… inizia anche a fare buio! Mi faccio coraggio e continuo ad andare avanti, piedi per terra 10 all’ora… e sono in mezzo al nulla! In una mezz’ora in queste condizioni realizzo… in Alaska cosi non ci arriverò mai ! Il morale è un pò a terra, mancano ancora 1800 km ad Anchorage, e a 10 all’ora è davvero troppo… I sistemi anti neve che mi ero portato non servono a un cavolo, penso che ho ancora le corde… ma sotto la neve c’è il ghiaccio: insomma, inutile, non ho neanche voglia di provare. Dopo un po’ arrivo a un motel, decido di fermarmi… voglio chiedere se più avanti la strada è pulita o no… ho ancora un pò di speranza!!! Al motel mi dicono che passano a pulire la strada ogni mattina, prima dell’alba! Mi rincuoro un po’, penso che la neve che c’è ora deve essere quella che ha fatto oggi dopo che hanno pulito… Insomma, mi convinco a stare lì per la notte a aspettare la pulizia della strada,e poi l’atmosfera è carina, e il cibo abondante!

3) la zampata
La mattina dopo è il giorno della verità… mi vesto di tutto punto, ma la moto non parte! Sarà un segno? No! a meno 10 per tutta la notte… Ho con me uno spray, del tipo fast start… a base di etere. Va spruzzato nel filtro della moto, ed essendo un liquido molto infiammabile dovrebbe aiutare un pò la partenza… in effetti la moto parte subito! Mi metto in strada e scopro che è vero, lo spazzaneve è passato, vedo i segni, ma ha tolto la neve superficiale e ha lasciato la terra e il ghiaccio e la ghiaia… decido di provare ad uscire dal parco, piano piano, e vedere se la strada migliora… in fondo siamo in mezzo ai monti… e insomma, trovo mille scuse con me stesso per continuare…
Dopo mezz’ora di 10 all’ora e piedi a terra, passo a 20 all’ora, poi 30, il brecciolino sul ghiaccio aiuta un pò il grip, ma… eh, che succede…oooooooohhhhhhhhh! Bum!!… In un secondo mi ritrovo per terra… la moto mi scappa letteralmente da sotto il culo, la zampata per mantenerla in equilibrio mi provoca una distorsione a livello del ginocchio… e l’atterraggio non troppo morbido mi incrina 2 costole…
Il sogno è finito, sono nel mezzo del nulla, nevica, la moto a terra, un ginocchio e il torace doloranti… mi rendo conto che poteva andare peggio! Non passa nessuno da ambo le parti per una mezz’ora, poi arriva un Tir da nord. A guidarlo è una donna! Si preoccupa per me, mi aiuta a tirare su la moto, ma scopriamo che ha la leva frizione spezzata, e la moto è inutilizzabile. Mi offre un passaggio verso sud, ma dico che sto andando a nord… aspetterò il tir successivo verso nord. Ci salutiamo… sono di nuovo sotto la tormenta, da solo, ginocchio dolorante e torace pure, ma la moto è in piedi. Penso che sono stato uno stupido a non accettare il passaggio. Dopo un’altra mezzora arriva un tir dalla parte giusta!, non ha carico dietro, è un camionista che torna a casa, mi tira su, accostiamo la moto furi dalla carreggiata e si va. 200 km fino a Fort Nelson, qui il camionista è a casa, io invece sono sempre più lontano dalla cività… ci sono 3-4 case, un benzinaio e nient’altro. Nevica, fa freddo e la strada è ufficialmente chiusa.
Scopro ora che per radio avevano detto che la strada non era percorribile, e questo spiega perchè infatti per strada non c’è nessuno. Sono di fronte a un grande dilemma… andare avanti, con l’autostop, o con ogni altro mezzo disponibile, oppure tornare indietro e prendere un aereo per tornare a casa? L’opzione moto ormai non la considero neanche. Onestamente la cosa più saggia da fare era tornare indietro subito, ma in finale… perchè? Io l’Alaska la voglio vedere! Mi metto per strada e faccio l’autostop. Un minivan si ferma e mi raccoglie, è un ragazzo, ha la mia stessa età, si chiama Sid e va proprio nella mia direzione! 600 km verso Whitehorse. Smezziamo la benza e a sera sono a White Horse.
Il viaggio in minivan con lui passa in fretta, però c’e sempre quella mezza paura di incappare in uno squilibrato o chissà… che un pò mi rovina l’ atmosfera. Qui, c’è la chicca… a 10 km da White Horse, mi chede se mi dispiace fare una piccola deviazione, lui vorrebbe andare a salutare il padre che vive appena fuori dal paese. Ovviamente dico di sì, e lui subito prende la prima stradina innevata e ci infiliamo in mezzo al bosco. Non vi dico le cose che mi sono passate per la mente in quell’attimo. Stavo in mezzo al bosco, di notte, con uno sconosciuto, chi mi avrebbe salvato se qualcosa fosse andato storto? Mi faccio coraggio… sto zitto e aspetto… Oh! Il padre era un nativo della zona e viveva in un cottage in mezzo al bosco! Non mi si voleva inculare! Meno male :)))))!!!
White Horse è un bel paese, intorno tutto ghiacciato, fa –10, e dicono che non si sta ancora troppo male! Concordo, sono i –10 gradi meno freddi che abbia mai sentito. Sid mi da delle dritte su come andare in Alaska, mancano non più di 500 km alla frontiera e altri 500 per anchorage, da qui c’è un autobus 2 volte la settimana o anche l’aereo. Scelgo il bus, e con 220 dollari canadesi e 12 ore di viaggio sono ad Ancorage!

4) Epilogo
Il viaggio in pulman, che poi era un minivan, tipo Ducato, non è esaltante, anzi un pò noioso. I paesaggi sono molto belli, intorno è tutto ghiacciato, ma il tempo è nuvoloso e ho perso la mia chance di vedere l’aurora boreale. Ad Anchorage affitto una macchina per girare un pò le strade sono pulite e un pò rosico che non ci sono arrivato in moto. Però va bene così, il dolore al ginocchio mi è quasi passato, le costole invece mi danno fastidio, specialmente di notte… Anchorage, onestamente, da sola non vale il viaggio in Alaska, la città è moderna e non c’e nulla di caratteristico o particolare, non fa neanche freddo !!! zero gradi la minima, e prima di partire il termometro è salito a 6 gradi! Riesco ad arrivare anche a Seward, un paese sul mare a 200 km da Anchorage. I paesaggi innevati sono molto belli, penso che l’Alaska del nord valga sicuramente la pena, ma il tempo stringe, e poi le spese iniziano a farsi sentire! Passo 2 giorni e mezzo ad Anchorage e poi torno in Arizona con l’aereo.
L’ impresa è compiuta, l’Alaska è stata conquistata! La moto l’ho persa tra i ghiacci, e mi dispiace, s’era comportata bene e meritava una fine migliore… qualcuno probabilmente ne avrà miglior cura di me.

Mi dispiace solo di non aver visto l’aurora boreale, a Whitehorse, tutti mi hanno detto che praticamente ogni notte era visibile, ma il cielo coperto me l’ha impedito, ad Anchorage invece è scarsamente visibile in ogni caso e poi le luci della città e una serie di cose hanno fatto il resto… sarà per la prossima volta!

Gli aforismi del giovane guzzista

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

Cosa succede ad un guzzista nel rileggere Karl Kraus
di Paolo Gambarelli

 

 

Spesso con il grasso mi sporco la mano e soltanto allora so che ho vissuto ciò che ho immaginato.
L’educazione stradale, così come quella sessuale, è quel crudele procedimento attraverso il quale viene proibito ai giovani per ragioni igieniche di soddifsare da soli la propria curiosità.
Il guzzismo fa di un nonostante un perché.
Il vero rapporto di un guzzista con la propria moto è quando egli confessa: ”Non ho altro pensiero che te e perciò ne ho sempre di nuovi”.
Cosa un motociclista pensa della propria moto: per essere perfetta le mancava solo un difetto.
Un guzzista è un motociclista che porta una tuta senza che nessuno se ne accorga. Per contro ci sono dei motociclisti che hanno l’aspetto di guzzisti appena si mettono una tuta. Così in ambedue i casi la tuta non ha nessun valore.
La motocicletta non ama essere protetta se non da chi allo stesso tempo è un pericolo.
L’uomo e la donna sono il pretesto del piacere, la motocicletta la causa dello spirito.
La sua guida offriva una visione centauresca: sotto era il piacere di uno stallone, che proseguiva poi nello spirito di un uomo.
Le Moto Guzzi e le altre moto: le prime ingannano per il piacere, le altre cercano il piacere per ingannare.
L’andare in moto è uno sforzo che sarebbe degno di miglior causa.
Io e la mia moto Guzzi Carbonia Corsa: il mio rispetto per le sue cose irrilevanti sta assumendo proporzioni gigantesche.
Quando cerco di accomodare la mia moto mi nutro di scrupoli che mi cucino io stesso.
Io parlo di me e intendo la mia moto. Loro parlano della loro moto e intendono se stessi.
La mia moto è la puttana di tutti che io rendo vergine.
Chiedi al tuo meccanico soltanto cose che tu sai meglio di lui. Allora il suo consiglio potrà essere prezioso.
Il debole dubita prima della frenata. Il forte dopo.
La capacità di dubitare dopo una rapida decisione è la più alta e la più virile.
Di fronte alla propria moto è bene ritenere insignificanti tante cose e significante tutto.
Le nozioni della vita motociclistica appartengono all’arte non alla cultura. Ma a volte bisogna compitarle agli analfabeti. Di fatto, la cosa più importante è appunto persuadere gli analfabeti. Perché sono loro che fanno il codice stradale.
Il guzzista prima e dopo la visita al suo meccanico. Prima Narcosi: ferite senza dolori, poi Nevrastenia: dolori senza ferite.
Quanto più da vicino si osserva una motocicletta, tanto più lontano essa rimanda lo sguardo.
Il motociclismo è ciò che diventa mondo, non ciò che è mondo.
Cosa succede quando accendo una moto: ciò che io sento entra da un’orecchio ed esce dall’altro e la mia testa è comunque una stazione di transito.
Cosa succede quando accendo la mia Guzzi Carbonia Corsa: ciò che io sento entra e se ne esce dallo stesso orecchio.
A volte il progresso motociclistico fa portamonete di pelle umana.
Molte delle moderne motociclette sono una superfluità creata sulla base del giusto riconoscimento di una mancanza di necessità.
I teoremi tautologici del giovane guzzista apprendista.
Il pilota e il giornalista:
Il giornalista è stimolato dalla scadenza. Scrive peggio se ha tempo.
Il pilota è stimolato dalla scadenza. Guida peggio se ha tempo.
Il motociclista e il letterato:
Il letterato è stimolato dalla perdita del tempo. Scrive peggio se ha poco tempo.
Il motociclista è stimolato dalla perdita del tempo. Guida peggio se ha poco tempo.
Il guidare è la madre, non l’ancella di una moto.
I guzzisti creativi possono chiudersi completamente di fronte alla creazione altrui. Perciò mostrano spesso un atteggiamento di rifiuto verso il mondo, anche se non di rado avvertono la sua imperfezione.
I motociclisti che si ubriacano della sete del sapere motociclistico sono un flagello sociale.
Ci sono due specie di motociclisti. Quelli che lo sono e quelli che non lo sono. Nei primi forma e contenuto stanno insieme come anima e corpo, negli altri forma e contenuto vanno insieme come corpo e vestito.
Un guzzista creativo dice per conto suo ciò che un altro ha già detto prima di lui. Per contro, un altro può imitare dei pensieri che devono ancora venire in mente a un guzzista creativo.
Poesia del guzzista:
Io non domino la mia moto. Per me lei non è la servitrice dei miei pensieri. Io vivo con lei in una relazione che mi fa concepire dei pensieri. Essa è spesso sovrana dei pensieri, e con chi riesce a capovolgere il rapporto lei si renderà utile in strada ma gli sbarrerà il suo grembo.
Per andare in moto bisogna non imparare più cose di quante sono strettamente necessarie contro la vita.
Meccanica motociclistica è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi sanno.
La raccomandazione del centauro guzzista. Imbriglia la tua passione, ma guardati dall’allentare le redini della tua ragione.
I guzzisti hanno il diritto di essere modesti e il dovere di essere vanitosi.
Il motociclista moderno non sempre sa che sulla strada bisogna vedere il buio.
Si deve distinguere fra quelli che si tolgono in primavera il giubbotto invernale e quelli che considerano il fatto di togliersi la giacca invernale come infallibile mezzo per suscitare la primavera. Saranno piuttosto i primi a prendersi il raffreddore.
Cosa impara subito il giovane guzzista.
Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi. I carrozzieri e i meccanici.
C sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi. I chirughi plastici e i chirurghi cardiovascolari.
Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi.
Ci sono anche i guzzisti.
Il motociclista prende la moto. Il guzzista viene preso dalla moto.
La somma delle idee di una special dovrebbe essere il risultato di una moltiplicazione, non di una addizione.
Non è vero che non si possa vivere senza una moto. E’ vero soltanto che senza una moto non si può aver vissuto.
Il Guzzismo è quella malattia mentale di cui ritiene di essere terapia.
Per il guzzista le vere verità motociclistiche sono solo quelle che si possono inventare.
Gli uomini guzzisti sono pur sempre i migliori selvaggi.
Spesso capita anche al guzzista: nell’inautentico l’autentico si esalta.
I motociclisti con le moto ultrapotenti: il centauro si immagina di colmare la donna. Ma è soltanto un riempitivo.
Se andare in moto serve solo a percorrere allora riparare serve solo a far funzionare. Questa è la doppia giustificazione teleologica dell’esistenza dei meccanici.
La moto prende uno per tutti, il motociclista tutte per una.
Per l’uomo sano basta la donna. Per l’uomo erotico basta la calza per giungere alla donna. Per il motociclista incallito basta la calza.
Il vero preparatore è soltanto colui che sa fare della soluzione un enigma.
Il giovane guzzista e il suo primo motore smontato: un coniglio che viene inghiottito da un Boa Constrictor. Voleva semplicemente indagare com’era fatto dentro.
Se è vero che il respiro più lungo è dell’aforisma, allora il giro di pista è una sua rappresentazione.
Con le motociclette monologo volentieri. Ma il dialogo con me stesso è più stimolante.
Talvolta la motocicletta è un utile surrogato dell’onanismo. Naturalmente ci vuole un sovrappiù di fantasia.
L’uomo politico è conficcato nella vita, non si sa dove. Il motociclista fugge dalla vita, non si sa dove.
I guzzisti e la loro Casa Madre: ciò che li tortura sono le possibilità perdute. Essere sicuri di una impossibilità sarebbe già un guadagno.
I guzzisti e la loro Casa Madre II: se bisogna proprio credere in qualcosa che non si vede, allora preferisco comunque credere ai miracoli che ai bacilli.
La motocicletta è il giocattolo degli adulti. Solo che non la si può paragonare a quegli oggetti tanto ricchi di significato che riempiono le stanze dei bambini.
Effetto della motocicletta è una cosa che è senza inizio e perciò senza fine.
L’aforisma del pilota guzzista.
Dove osano le aquile: chi vola vale e chi non vola è un vile.
Mi ricordo di essere guzzista solo quando ho bevuto il caffè nella mia unica tazza Moto Guzzi.
Elogio all’Anima Guzzista. No, sull’anima non restano cicatrici. All’umanità la pallottola entrerà da un’orecchio e uscirà dall’altro.

 

Sulla strada è padrone di casa chi cede il passo all’altro. In pista si è solo ospiti.
Ci sono motociclisti talmente orgogliosi che non si sentono attratti da un’altra moto neppure per disprezzo.
Il viaggiare e la motocicletta non abbracciano ciò che è bello, ma ciò che proprio grazie al loro abbraccio diventa bello.
Per vedere se l’uomo motociclista sa andare in strada ci vuole una prova. La donna motociclista è sempre in prova e sa andare in strada per natura. Vive davanti a spettatori.
Con i motociclisti amanti delle prestazioni tecnologiche è difficile arrivare ad un risultato. O temono che uno più uno faccia zero o sperano che uno più uno faccia tre.
Fra i cordoli può nascondersi al massimo un significato. Fra una carreggiata c’è posto per qualcosa di più: il pensiero.
Molte delle riviste motociclistiche di oggi sono ricette scritte dai malati.
Da quando l’umanità si è legata davanti un propulsore, si va indietro. L’elica fa poi in modo che si vada anche giù.
L’evoluzione della tecnologia motociclistica è arrivata al punto di produrre l’inermità di fronte alla tecnica.
A volte il motociclista non ha tanta dignità nel portare la dignità quanto la sua moto nel portare l’ignonimia.
Del viaggiare in motocicletta: di molte cose che vivo la prima volta ho già dei ricordi.
Il migliorarsi in pista è un po’ come dire: “La vita va avanti”. Più del lecito.
A volte la vita motociclistica è un’interferenza nella vita privata.
La nostra civiltà è costituita di tre cassetti, di cui due si chiudono quando il terzo è aperto: lavoro, motociclismo e istruzione.
E’ sempre bene pensare che la motocicletta debba essere il farsi corpo di un pensiero secondo la necessità naturale e non l’involucro di un’opinione secondo l’opportunità sociale.
Il motociclista prende una strada perchè vede, l’automobilista perchè sente dire.
Ad un certo punto anche il guzzista dovrà chiedersi: “Ma dove troverò mai il tempo per non percorrere tante strade”?
Perchè va in moto certa gente? Perchè non ha abbastanza carattere per non andarci.
In motocicletta può capitare che ci voglia più coraggio e temperamento per sorpassare un carrettiere che una Ferrari.
Temi guzzistici: ciò che importa non è la grandezza della meta, ma la distanza.
L’andare in moto è sempre come farlo per la prima e per l’ultima volta. Fare tutto quello che sarebbe giusto per un congedo e farlo così bene come per un debutto.
Preghiera per i guzzisti: “Signore perdona loro, perchè sanno ciò che fanno!”
In pista mi intaglio l’avversario sulla misura delle mie frecce.
Per andare in moto ci vuole quella fantasia che ha il diritto di gozzovigliare all’ombra dell’albero di cui essa fa bosco.
Ci sono tre stadi del progresso. Il primo: quando in una strada non c’è nessun cartello. Il secondo: quando compare un cartello con una scritta che prescrive di non emettere rumori molesti. Il terzo: quando alla fine della scritta, si spiega che la cosa è giustificata da preoccupazioni di quiete pubblica. Noi ci troviamo in questo stadio supremo del progresso.
Non si è ancora arrivati alla solitudine giusta, quando ci si occupa di se stessi. Ma occupandosi della propria motocicletta ci si può arrivare più in fretta.
Stare seduti accanto alla propria moto è un po’ come volgere il proprio pensiero dall’eternità al giorno. Stare seduti sopra la propria moto è invece volgere il pensiero dal giorno verso l’eternità.

 

Spesso è necessario riflettere sul perchè siamo allegri; ma sappiamo sempre perchè siamo tristi. Sicuramente quei giorni non andremo in moto.

 

La gelosia motociclistica è un abbaiare di cani che attira i ladri.

 

L’umanità istupidisce per favorire il progresso meccanico e noi non dovremmo almeno trarne vantaggio? Dovremmo dialogare con la stupidità, quando è possibile sfuggirle con una motocicletta?

 

L’andare in moto e in macchina. Il primo: libertà di domicilio con museruola, il secondo: cella di isolamento dove è permesso gridare.

 

Il motociclista borghese, sulla sua moto non tollera nulla di incomprensibile.

 

In motocicletta, la fantasia non fa castelli in aria, ma trasforma le baracche in castelli in aria.

 

Le donne e le motociclette vogliono apparire vestite ed essere guardate svestite.

 

I bambini giocano a fare i soldati. Ma perchè i motociclisti giocano a fare i bambini?

 

La nuova Griso: era bella come il peccato, ma aveva le gambe corte come le bugie.

Corsica e sfiga

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Tatuato

Scusate se il racconto e’ lungo e mal scritto ma non sono uno scrittore, come la maggior parte di voi. Volevo, comunque farvi partecipi della mia ennesima SFIG… avventura.
Provo a descrivere le vacanze che ho passato e intanto ho già prenotato la prossima per Lourdes (ma come se scrive).
Il 16 Agosto ho il traghetto per la Corsica quindi perchè IO VALGO decido dopo 3 anni di lavare la moto. Vado alla lancia (termica, alla barda spaziale) e lavo la moto. Finito accendo la moto e vado a casa. Arrivato a casa la moto non parte più. Ho fatto fuori il magnete del motorino. Rimedio un motorino di avviamento in sostituzione (per trovarlo). Va da paura fino a Giovedi 12/08 sera, quando tornando da una Fraschettata, a Frascati, con gli amici (c’erano anche 2 milanesi rompi) all’una di notte arrivo a casa di Rosalba, spengo la moto, la faccio scendere e la moto non riparte più. Spingo la moto all’una di notte fino a casa dei miei genitori. Venerdi’ mi sveglio ho il problema da risolvere sulla moto ma ho anche del lavoro urgente da consegnare prima delle vacanze. Faccio i miracoli consegno i lavori e mi metto alla ricerca del magnete per il mio motorino di avviamento. Lo trovo Sabato mattina da autoricambi nuovo.
Monto il tutto comincio a preparare la moto per la partenza con la preoccupazione che succeda ancora qualcosa ma non succede niente(la moto va benissimo). Arriva il giorno dell’ attesa partenza ancora con un po’ di apprensione, ma gia’ gustavo la vacanza:<<Arrivo e che faccio il giro orario o anti orario???? Se lo faccio orario Fange mi fa il culo se lo fancio antiorario il culo me lo faccio da solo. Vedro’ quando saro’ li>>
Accendo la moto e porca la puttana alle 06:00 quella stronza amata di moto guzzi va ad un cilindro solo ed io ho anche smesso di fumare…..cazzo. Panico non posso mettermi a controllare adesso…. decido di guardare le cose piu’ semplici e trovo un filo staccato ad una bobina(mentre rimontavo il motorino avro’ allentato un filo che non si e’ staccato subito no….perche’ io sono guzzista ha deciso di staccarsi il Lunedi alla partenza, ma il problema l’avevo creato io) attacco il filo e gioia nel mio cuore. Partiamo e la moto e’ uno spettacolo, comincio a sentire lo stress che vola via comincia la vacanza. Arrivo a Livorno salgo sul traghetto e decido che e’ giunta l’ora della vacanza. Compro anche il corriere dello sport(che non compro mai) perche’ mi da la sensazione di vacanza. Arrivati finalmente la Corsica. Vado piano a prendere la moto per sbarcarla intanto sono uno degli ultimi e poi sto in vacanza la fretta non esiste piu’. Arrivo accendo la moto e mi metto in fila, la quale viene bloccata da uno che riesce ad incastrarsi sul traghetto. Cazzo dobbiamo far manovra, ho la moto carica, sotto la nave fa un caldo della zozzana ma…… calmi siamo in vacanza. Mentre sterzo mi prende fuoco(cioe’ no scintille ma fiamme) il cruscotto e la moto si spegne(in tutti i sensi). PANICO, CHE CAZZO FACCIO poi dice perche’ uno fuma, ma piu’ che altro PERCHE’ CAZZO UNO SMETTE. Mi fanno aspettare che escano tutti e a spinta faccio uscire la moto dal traghetto. Ore 18:45 sono a Bastia con la moto in panne CAZZO. Comincio a smontare il faro, il serbatoio e la sella per vedere fino dove ho fuso tutto. Mentre taglio i fili bruciati arrivano 2 ragazze con una moto(anche loro erano sul traghetto) e mi chiedono:<<Scusa che sei elettrauto??>> Calmo Andrea sono motocicliste, sei in FERIE ED HAI SMESSO DI FUMARE:<<No ho un problema alla moto>>. Loro:<<No perche’ abbiamo un problema allo stop, ci si ‘e sciolto>> io(perche’ valgo):<<E si ci avete legato sopra lo zaiono>>. loro:<<Che possiamo fare??>>. CAZZO LE UCCIDO:<<Cambiarlo, ma se non lo trovi non succede niente la moto va ancora>> Loro:<<Grazie>> io:<<Di niente e’ stato un PIACERE>>. Intanto scendono dal traghetto Rosalba e la sua Amica. La amica, mentre io sto cercando di capire che CAZZO fare, comincia :<<E ora che facciamo?? come ti possiamo aiutare?? chiamiamo qualcuno?? dici come possiamo essere utili???>> Ora la uccido ma Rosalba(donna stupenda) gli dice:<<Michela andiamo a cercare un campeggio qui vicino e’ lasciamo Andrea DA SOLO a sistemare la moto>> poi si rivolge a me e mi dice:<<Intanto lo so che in un modo o nell’altro la fai ripartire>> Che donna fantastica ma anche troppo ottimista(non trovo il problema sono nel panico). Dopo 1 ora comincio a capire. Sul traghetto mi hanno fatto appoggiare la moto(non me ne sono accorto perche la moto quando l’ho ripresa era dritta), rompendomi la freccia, ad un lastra di ferro, che era vicino alla moto e che faceva parte della parete. Questa lama oltre ad avermi crepato la freccia mi a spellato un pezzo di filo della frizione e il filo del positivo dello strumento per la temperatura dell’olio. Quando ho fatto manovra il filo a fatto contatto con la frizione e spuff a fuso tutto sotto al cruscotto. Neanche se mi ci mettevo di proposito riuscivo a combinare tutto sto casino. Comunque tolgo i fili fusi in piu’ che non servono (su una guzzi ce ne sono una marea sulla mia 2 maree) Tolgo anche il blocchetto fuso e unisco tutti e 4 i fili(come quando prendi in prestito una moto che non e’ tua e il proprietario si e’ scordato di darti le chiavi) la moto parte ma per spengerla devo staccare il negativo dalla batteria(ho usato un trucchetto) ma l’importante è che va. Raggiungo le ragazze al campeggio (un solo WC, una sola doccia e tutte le tende sulla spiaggia, se entravo di fianco al cancello e me mettevo sulla spiaggia non pagavo niente) ma e’ vacanza uno in vacanza e’ rilassato e poi io ho smesso di fumare. Dormo tutta la notte malissimo preoccupato e quando mi sveglio mentre smonto la tenda bestemmiando(e’ un modo di dire non bestemmierei mai) perche’ la moto non parte(ho scaricato la batteria facendo le prove il giorno prima) scopro che quello e’ il campeggio degli sfigati. Chi e’ rimasto a piedi con la vespa chi con il BMW e una confraternita de sfigati. Ripartiamo, finalmente, le curve l’aria sono in vacanza finalmente. La moto anche se sembra appena rubata fa il suo dovere il motore va da favola e il panorama e’ stupendo. Ma io so guzzista io valgo non puo’ essere tutto cosi’ bello……ad una salita la moto si spegne IN MEZZO AL DESERTO SOTTO IL SOLE CUOCENTE CAZZO DATEME UNA SIGARETTA HO DO FOCO ALLA CORSICA. Ma sono in vacanza, la gente e’ calma in vacanza e poi ho smesso di fumare(pirla).
Parcheggio provo a far partire la moto…PARTEEEEEEEEE corri Rosalba metti giubbotto casco che si va. Saliamo e la moto si spegne. Provo a chiedere una sigaretta ad un ciclista, tutto sudato che si sta facendo la salita bestemmiando, ma e’ in vacanza sara’ felice di parlare con me .Penso che fosse Tedesco dalle parolaccie che mi ha detto. Controllo tutto rifaccio partire la moto e dai di corsa a vestirsi che si riparte per questi stupendi paesaggi, ma come saliamo si spegne…..COME SALIAMO SI SPEGNE??????? Riaccendo la moto e chiedo a Rosalba:<<Spingi con le mani la sella???>> La moto si spegne. Alzo la sella e scopro che quando ho aggiustato l’impianto fuori dal traghetto ho tirato troppo un filo. E questo filo, proprio perche’ anche lui e’ guzzista, non mi ha creato problemi subito… NO lui ha atteso un momento random, altrimenti come fa il piccolo guzzista a giocare al piccolo meccanico???(che moto intelligente). Ripartiamo e ci facciamo un bel giro. Alla sera andiamo a cena distrutti ma contenti…la moto va e la nostra vacanza puo’ continuare. Finita la cena decidiamo di fare una passeggiata. Trovo un Bancomat delle Poste della Corsica decido di prelevare dei soldi e porca la PUTTANACCIA ZOZZA LA SBOMBALLATA CADAVERICA mi ritira la carta di credito e bancomat(non sapevo che quando ti cambiano il Bancomat con il Bancomat/CartadiCredito il codice per prelevare e quello della carta. L’avevo da poco).
Ora, esiste ancora la Corsica solo grazie a Rosalba che mi ha calmato(non fate battute) e abbiamo passato, DOPO, una vacanza stupenda, anche perche’ pagava tutto lei.
La Corsica e’ stupenda, anche se continuo a pensare che il mare della Sardegna non abbia paragoni. L’interno e’ stupendo con strade che sembrano delle piste. Costa tanto il cibo e l’acqua ma poi ti fai furbo e l’acqua la riempi alle tante fontanelle in giro o al ristorante chiedi la brocca e per mangiare trovi anche dei locali a poco dove si mangia bene. Igene quasi inesistente dappertutto.
A dimenticavo giro RIGORASAMENTE ANTIORARIO senza nessun problema almeno fino a che Rosalba mi ha detto:<<Guarda che bel mare giu’ in fondo a questo dirupo>> Gli ultimi 25 Km delle famosissime curve l’ho fatto a 10 km/h non perche’ non potessi andare piu’ piano ma perche’ c’era una famiglia di ciclisti che mi spingeva dicendomi delle frasi incomprensibili….ma erano in vacanza, erano felici e per di piu’ avevano smesso di fumare tutti e tre.
COME SEMPRE LA MIA GUZZI MI HA RIPORTATO ANCHE A CASA.

L’onore della Moto Guzzi

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di StepV11

 

 

Sto andando al Mugello, l’occhio sullo specchietto a vigilare i sussulti del mio V11 fissato sul carrello con così tanta preoccupazione che ancora non mi fido di aver fatto un buon lavoro. Ma forse mi preoccupa di più il fatto che domani debutto nel Campionato Naked, e mi ripeto in continuazione: “Ma sei impazzito? Ti massacreranno senza pietà…” Ma indietro non si torna, non è nel mio carattere, e poi è troppo tardi per cambiare idea. Il mio meccanico mi sta aspettando ai box.
Quando arrivo nel paddock riconosco al volo alcuni sguardi di consapevole ammirazione e commiserazione allo stesso tempo, del tipo :”Ecco un’altra vittima di un sogno, strana gente questi guzzisti, strana gente….”
Tutto a posto, ci mettiamo subito a lavorare, verifichiamo un ultima volta tutti i serraggi e la pressione delle gomme. Faccio le verifiche, poi mi vesto, ho una tuta fantastica, residuo degli anni ‘70, nera attillata e senza protezioni omologate, speriamo non mi rompano le scatole, perché io senza quella tuta perdo due secondi al giro. Ma qui mica siamo al TT che verificano anche le tute…
Esco dai box, ed il rombo dei miei Mistral in carbonio è bellissimo. Secondo me come il due a 90 non suona nessun altro. Faccio due giri per scaldare le gomme ed alla fine del secondo esco come un siluro dalla Bucine e mi lancio sul rettilineo: inizia la battaglia, anche se sono prove libere non valide per lo schieramento. Ecco il cartello dei 100 alla S. Donato, pinzata pesante e giù a sagomare lo scarico di destra, poi volo alla Lugo, e mi presento alla Materassi in pieno orgasmo, sto godendo della mia guida. Ora viene il difficile, la Savelli e poi l’Arrabbiata. Esco dalla esse in discesa troppo forte, ma apro di brutto lo stesso, sennò perdo troppi giri e la salita si sa che non è il pane del V11. Sbacchettata furibonda. Non ci siamo. Ed anche al Correntaio allargo troppo e mi presento quasi impiccato alla Biondetti.
Finisco il giro deluso ed entro ai box. Breve conciliabolo e decidiamo di togliere un po’ di precarico di dietro al mio adorato Ohlins. Io indurisco anche l’ammortizzatore di sterzo.
Vado. Giro come un ossesso, ma non sono convinto. Tanto che il mio miglior tempo è ancora lontano, sono troppo teso, guido male. Basta mi fermo, devo riflettere. Penultimo. E’ vero che sono l’unico con il V11, ma quei maledetti con le Tuono mi stanno massacrando, e non solo loro, anche i ducatisti. Non lo posso sopportare, almeno non in questa misura. Sono seduto sulla mia sedia da campo, lo sguardo nel vuoto a pensare che era meglio se stavo a casa.
“Scusi, è lei che guida la Motoguzzi?” Mi scuoto dal mio torpore e scorgo un signore distinto con la giacca in spalla, camicia celeste perfettamente stirata e cravatta. Con lui ci sono due persone, due visi noti, che però fatico a inquadrare. L’uomo in camicia chiede se può darmi una mano, così per passione, “Sa sono un vecchio guzzista, e mi dispiaccio quando vedo una Motoguzzi che prende le paghe”. Come dargli torto?
Evidentemente è un tecnico ed anche autorevole, lo si intuisce da come impartisce gli ordini ad uno dei due, che arrotolatosi le maniche della camicia inizia ad eseguire gli ordini del Capo. “Sfila la forcella, dài più freno davanti, indurisci anche dietro…”. Poi una serie di maledizioni quando osservando il motore non trova i carburatori, ma i corpi farfallati dell’iniezione elettronica. Il capo tuona “Bruno, telefona a Mandello, che cazzo hanno fatto al mio motore?”
Ragazzi, ho l’Ing. Tonti nel mio box e sulla mia moto sta lavorando il grande Bruno Scola, che è uno spettacolo. Ma allora l’altro individuo… Ma si, ora lo riconosco bene, è Vittorio Brambilla, il grande Vittorione. Una fetta della gloriosa storia della Motoguzzi è dentro il mio box.
Stanno iniziando le prove ufficiali e si mette a piovere. Panico. Ecco che mi si accende la lampadina: “Vittorio vai tu al posto mio, io mi nascondo nei box, facciamolo per l’onore della Motoguzzi”.
I tre si appartano a decidere. L’Ing. Tonti sentenzia “Questa cosa la facciamo, ma lei si assume tutte le responsabilità, è chiaro?”.
Chiaramente Vittorio non entra nella mia tuta antidiluviana e devo dargli la Spidi che tengo di riserva, così mentre lo aiuto a entrarci tirando con tutte le mie forze, sento l’Ing. Tonti dire a Scola : “Ma l’Aprilia non fa i ciclomotori? Che è questa Tuono? Ma…”
Iniziano le prove che piove forte. Nascosto in un giaccone impermeabile, con il bavero rialzato e gli occhiali da sole mi apposto sul muretto dei box. Ecco che finito il giro di lancio “mi” vedo sfrecciare, in una scia di spruzzi. Mi vengono i brividi, è passato pieno come sull’asciutto. Vittorione fa quattro giri ed è pole. Non ho parole. Mi metto a ridere come un pazzo. Eccolo rientrare e mentre scorre nella pit lane tutti lo guardano increduli, ha rifilato quasi quattro secondi al secondo.
Entra nel box e si precipita al bagno dove lo sto aspettando già pronto ad indossare la tuta.
E poi viene il godimento: è una processione di appassionati, piloti e meccanici, tutti a battermi pacche sulle spalle ed a farmi complimenti, con uno sguardo di esclusiva ammirazione, si perché stavolta quello di commiserazione lo possono riservare a se stessi. In disparte “il mio team” osserva visibilmente soddisfatto.
L’onore della Motoguzzi è salvo.
Ma domani si corre, ed io come faccio? Li vedo che se ne vanno, li chiamo due, tre volte, ma non mi ascoltano. Tornate qua! Poi una voce nota mi scuote: babbo, forza, svegliati che oggi ci devi portare tu a scuola, tutte le volte arriviamo per ultimi….

Hazim

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Paolo Miolo

 

LA STRADA DELL’INFERNO

“Ma guarda che sfiga parto insieme a un Ducati e a un Guzzi e si va a rompere l’Honda”
Appena ascoltata la frase un pensiero un po’ maligno mi si ferma tra i denti un attimo prima di diventare parola.
Stronzo. Adesso però chi ti sta trainando e un Guzzi. Anzi il mio Guzzi.
Se non fosse per le ingenerose parole probabilmente avrei la luna meno di traverso. I guasti si sa che capitano.
E’ quasi mezzanotte, un buio pesto, il T5 è stracarico, tra le strade turche e la ruota da 16’ non c’è amicizia, le cinghie che fissavano tenda e i sacchi a pelo adesso trainano un XL 600 muto ma in garanzia. Suole vicino all’asfalto, gas pelato e trent’allora, meglio meno. La Robi fa contorsioni per tenere fermo il bagaglio ormai legato con approssimazione. Un viaggio bellissimo e senza inconvenienti si sta lentamente trasformando in una medioevale tortura. Ripenso al dopo cena di un paio d’ore fa.
“Dai è presto facciamo ancora un po’ di strada…”
il palestrato ondista ordina un altro giro di roba forte, sottolineando così la sua sfida a chi molla per ultimo. Tutti abboccano. Me compreso. Chiaramente anche il mio buonsenso è in vacanza.
E il Guzzi adesso traina…
Io dò la colpa all’ultimo bicchierino di raki, alla Honda, alla stupidità umana (in particolare alla mia) e in fondo in fondo sogghigno. Lo so, il paradiso dei motociclisti a me sarà precluso. Troppi peccati d’opinione. Mi consolo pensando a quello dei Guzzisti.
Lì sono certo che mi rimedieranno un posto, magari mi metteranno solo a lucidare bilanceri o ad alleggerire volani. Nulla di più, ma andrebbe bene comunque…
Dopo un’ora di strappi e contorsioni, conditi da aroma di frizione cotta, gli orribili ma efficaci proiettori supplementari del T5 illuminano un cartello. A questa folle velocità sarebbero bastate anche le sole luci di posizione…

KAMAN
nufus: 1200

Beh, milleduecento anime non sono già più solitudine. L’odore di questo paese è buono, sa di paglia di frumento bruciata dal sole e di diesel stanchi. Su ambo i lati dell’unica strada grossi cubi in blocchi di cemento che pretendono di essere case. Aria di miseria e fatica che rompe le ossa, poche macchine agricole e luce fioca. Nulla di esotico che possa ricordarci le porte dell’oriente. Piuttosto qualcosa tipo bassa padana o agropontino anni ‘50.
“Spero che questa non sia la piazza principale, in genere c’è un monumento qui invece c’è una pompa di benzina”
Nonostante il guasto al suo mezzo il palestrato non perde il sarcasmo. La sua tipa invece sta cedendo e con lei anche i suoi poco motociclistici fuseaux, che tanto appagavano l’occhio. Adesso non fasciano più tonici glutei, c’è un effetto pigiamone di flanella. Spero di cuore che non siano stati i suoi glutei a cedere.
“Non è benzina, è gasolio.” Il ducatista, che in realtà guida un Elefant 750 ma ama definirsi ducatista, precisa con puntualità il macroscopico errore. E’ un tipo da occhialino rotondo, insomma aria intellettuale, toscano ma di modi raffinati.
“Vabbè sai che differenza” il palestrato risponde con tono irritato.
“Beh oddio se proprio vogliamo qualche differenza tra gasolio e benzina ci sarebbe…” Anche se è tardi il Tosco-Ducati non ci sta. Penso che sarebbe disponibile a scatenare una dialettica interminabile sull’argomento. Si guarda intorno e continua:
“A vedere dalla quantità di fusti da 2 quintali che ci sono in giro, qui c’ è un’officina”
“Non penserai mica che faccia ripare qui la moto?” il palestrato cambia umore, è indignato che una simile idea abbia solo sfiorato la sua muta Honda.
“E’ ancora in garanzia, Io domattina chiamo la Europe Assistance e sistemo tutto”
“Guarda che puoi fare ciò che vuoi, dicevo semplicemente che se c’è un’officina possiamo dare un’occhiata magari è una pirlata, poi decidi”
Mi intrometto tra i due perché lo scambio stava diventando serrato e forse è meglio smetterla.
Il Tosco-Ducati continua: “Non ti fare illusioni: la Europe Assistance non può fare miracoli; anche se individuassimo il guasto qualcuno che ti dia un aiuto e un recapito ci serve comunque”
Nella semi oscurità si sta avvicinando una persona. Tuta blu sporca come un cencio di mille anni, entrambe le mani occupate: sigaretta e gelato. Il gelato si sta copiosamente sciogliendo e dal cono finisce su dita dove le linee sono evidenziate da sporco mal tolto. Lecca gelato, dita e fuma. Farfuglia un saluto, gesticola e dice qualcosa in simil-tedesco che nessuno di noi capisce.
Indichiamo la honda e diciamo “Kaputt”
pigiamone chede “Hotel”
Tuta blu è strabico da un’occhio, quindi niente sguardo intelligente, inoltre odore di giornata lavorata fino in fondo e alito da senza filtro raccomandano distanze di sicurezza. Il gelato mezzo sciolto tra le dita e i denti così bianchi da sembrare finti rendono la figura un pò ridicola.
Mimando teatralmente il gesto dello svitare con una chiave ci fa capire che lui è meccanico e abita lì sopra, alla moto ci penserà lui domani. Il Tosco-Ducati ci aveva visto giusto.
Hotel, Hotel, gut Hotel. Tuta blu si sbraccia e ci fa segno di seguirlo.
A cinquanta metri scorgiamo una vetrina d’angolo verniciata di bianco dall’interno. Oddio Hotel è una parola grossa, diciamo che l’alternativa era la strada…
Roberta dopo il primo sguardo al giaciglio decide di dormire con la tuta di pelle. Io pure.
I diesel, solo odorati la sera precedente, ci svegliano molto presto o meglio lo fa il loro minimo bradicardico. Un paio di vecchissimi Dodge col muso e qualche trattore attendono di fare colazione alla pompa. Niente ressa invece intorno all’unico bagno dell’Hotel. Anche i più duri rinunciano.
Guardando il viso di Roberta scoppio in una risata alle lacrime.
“Perché mi quardi e ridi?” Mi chiede acida intuendo che il motivo di tanta ilarità è lei:
“Eh allora cos’ho che non va?”
“Dai, non fare così si vede che hai dormito non solo con la tuta ma anche anche con il sottocasco! Hai i segni delle cuciture stampati sul viso!”
“Si è vero, però tu hai dormito con gli stivali”
Confesso e ridiamo di cuore entrambi. E’ già una bella giornata.
Tuta Blu è nel bar dell’albergo che ci aspetta così come un’infinità di bicchierini di çai bollente che offre a tutti. Stamane ha un’andatura e un portamento migliori. Forse ieri non ero l’unico ad averci dato dentro con il raki.
Con gesti inequivocabili i presenti ci propongono di fare colazione. Formaggio di capra, pomodori, olive e cipolle in insalata. Ci sono anche delle piccole salsicce a forma di granata a frammentazione ma il colore rosso violento induce tutti ad un atteggiamento prudente. Visto il menu a molti il coraggio viene meno, altri ci provano. Così, almeno per l’alito, combatteremo ad armi quasi pari con i nativi.
Tutto sommato una Marlboro secca sarebbe stato un modo peggiore di iniziare la giornata.
Nel bar c’è aria di festa, non si può non apprezzare ciò che fanno e la carica di umana dignità che ci mettono. Hanno poco ma ce lo offrono tutto.
Tuta Blu freme: sta attendendo con impazienza che finiamo di fare colazione, si vede lontano un chilometro che ha voglia di darsi da fare nel suo ambito e il suo ambito sono i motori. E noi abbiamo un motore che non va.
A me Tuta Blu piace. La figura sa di nottate fumose passate a bestemmiare cercando una soluzione a problemi più grandi di lui, con l’imbuto dell’olio in una mano, lo spessimetro nell’altra e come colonna sonora un tornio che gira.“Honda, Honda, Honda” ripete e mima continuamente il gesto di avvitare e svitare con la chiave inglese. Punta a metterci le mani al più presto.
“Noo, non se ne parla neppure: quello la mia moto non la tocca, voi siete fuori come delle biglie, state scherzando: ho su meno di 10 000 chilometri, ma l’avete visto? Avete visto che razza di personaggio è?” Il palestrato è fuori, quasi incazzato.
“Senti, gli chiediamo solo in prestito l’officina, controlliamo noi l’impianto elettrico, guardiamo se arriva benza, insomma proviamo a capire cosa c’è che non va” propongo.
Anche le ragazze stanno facendo squadra, ormai siamo cinque contro uno ma il palestrato non molla.
“Senti, la moto è tua: dicci cosa vuoi che facciamo, ma sbrigati! Non possiamo stare qui tutta la vacanza”. Pigiamone, ritemprata dalla dormita, ha ripreso la sua solita verve e lo incalza.
“Vabbè, adesso telefono in Italia e sento cosa mi dicono. Ma che nessuno si azzardi a sfiorare la mia moto. Non vi voglio vedere vicini. Soprattutto quell’essere lì!”
Così il palestrato e pigiamone si avviano verso l’ufficio postale. Nel 1989 telefonare in Italia dalla dall’Anatolia non era impossibile: bastava avere tempo a disposizione. A noi non mancava.
“I go”
Purtroppo Tuta Blu ha capito di non essere gradito e con molta sobrietà si ritira. Ai più dispiace, proviamo a trattenerlo ma capiamo che talvolta gli atteggiamenti sono più esplicativi delle parole e lui di atteggiamenti ne ha già sopportati fin troppi. Se ne va salutando con un cenno del capo e dice qualcosa al barista.
Il conto per sei persone lo ha pagato lui.
La faccia di un Hondista in panne è uno spettacolo che vale la pena di essere vissuto.
E’ una maschera di disperazione ed impotenza, è l’espressione del tradimento subìto e consumato sotto i propri occhi. E’ l’impossibile che si materializza. Sono le chiacchere e la supponenza di un marchio, “del marchio”, che rimangono tali davanti all’evidenza dei fatti.
La voce di un Hondista in panne invece è una litania di:
“Io gli faccio causa, vedranno il mio legale…, scrivo a tutti i giornali, faccio un casino che…” con un crescendo che culmina con minacce incendiarie e assalti all’arma bianca alla povera incolpevole concessionaria. Al termine della telefonata scopriamo che la Europe Assistance in agosto effettivamente non può fare miracoli. Il tutto, sotto il sole turco, ha un che di comico.
Il Tosco-Ducati inizia a tranciare: “Siamo fermi, inchiodati qui da dalla tua moto… l’aiuto ti è stato offerto… adesso tocca a te. Spicciati perchè a me stanno iniziando a girare e ho una gran voglia di andarmene.”
“Ok diamogli un’occhiata.” Lo dice più per farci un piacere che altro. Ma ciò che infastidisce è l’aria di compatimento che mette nei nostri confronti.
I palestrato monta in sella. Una pressione al tasto Start fa girare il motorino d’avviamento ma il motore non parte. I soliti controlli di rito testimoniano che la benza arriva dove deve arrivare e la candela fa le sue brave scintille.
Togliamo i primi 2 tappi del coperchio valvole e riproviamo. Il motorino gira ma non succede nulla. Riproviamo e non succede nulla, ma proprio nulla. Io e il Tosco-Ducati ci guardiamo con gli occhi sfanalati fuori dalle orbite. Le valvole di scarico non si muovono! Tiriamo giù anche i tappi dietro e lì qualcosa di animato sembra esserci. Almeno abbiamo escluso che la distribuzione sia completamente andata.
“Allora cosa c’è?” Ci chiede con molta meno tracotanza di 5 minuti prima.
“C’è che siamo nella merda”, rispondo.
“Perchè?” Chiede decisamente incuriosito.
“Perchè i tuoi bei mazzi di valvole non valvolano più. Hai tritato il cammes. Qui non è più questione di ricambi o Europe Assistance: qui serve un meccanico coi maroni. Oppure un passaggio di sola andata fino all‘aeroporto di Ankara.” Rispondo così e il palestrato dà subito in escandescenze. Non lo reggo più.
“Non è possibile: è nuova! La dò dentro! Io il prossimo anno mi prendo il GS… appena arrivo a casa la vendo! Troverò pure un pirletta che vuole l’XL per fare le penne!” Il palestrato ha nuovamente cambiato atteggiamento.
Sembra che il suo culo immaginario sia già sul nuovo BMW e lo sfoggia con orgoglio. Io mi domando come ho fatto a partire con un personaggio così. L’Hondista deluso è solo un ricordo:è lanciato nei proclami di futura rivincita. E’ già un gran tifoso BMW.
Tosco-Ducati intanto ha fatto quattro passi verso l’officina. Tuta Blu è chino su un enorme diesel, è preso, sta lavorando e lo ignora. Lui rispettosamente staziona zitto sul portone e aspetta. Talvolta gli atteggiamenti valgono più di mille parole.
Ogni meccanico che si rispetti ha uno straccio in tasca, adesso Tuta Blu se lo passa sulle mani in modo ritmico, prima l’una poi l’altra, in piedi sotto il sole guarda muto l’Honda muta. Non capisco cosa stia pensando. Ho come il sospetto che l’occhio strabico sia dotato di strani poteri e che stia facendo una metallografia al motore.
Il suo pollice mima una nuova accensione, e il suo indice ne chiede una sola.
E’ serio, immobile, distaccato, labbra serrate che celano denti che non si vedono più. Non incrocia i nostri sguardi. Guarda solo dove c’è da guardare.
Lui sa
Lui ha capito
Lui sa fare
Nell’aria calda e immobile non dice nulla, l’imbarazzo nostro è palpabile. Abbiamo molto da farci perdonare. Spingiamo la moto nell’antro buio della sua officina e ci fa cenno di uscire. Lo lasciamo così accosciato di fianco alla moto, con lo straccio in mano. Non ci guarda, non ci vede, è già da un’altra parte.

Diligentemente uno alla volta riprendiamo le nostre posizioni al bar. Un nuovo giro di çai non richiesto è lì che ci aspetta, tanti altri ne seguiranno. Abbiamo tempo, tempo di imparare il backgammon e di insegnare il tresette, di parlare di Italia e di ascoltare di Turchia. Tempo, abbiamo tempo, non da far passare ma tempo per provare a conoscere.
E’ di nuovo mattina, ma stavolta non è il minimo cardiaco dei diesel Dodge che ci sveglia e nemmeno lo sferragliare di vecchi trattori.
Nell’aria solo sgasate lente e piene di un mono di grossa cubatura.
E trentadue denti che brillano in un antro buio.

Grazie Hazim.

Una mattina da guzzista

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Fabio ‘Nemokid’ Salvatori
Da dove si comincia quando si deve raccontare una storia? Beh dall’inizio direi, ma mica è facile scrivere una storia per Anima Guzzista, un sito fatto di poeti con i cilindri a V. Vabbè ci provo, dài.

C’era una volta un ragazzo come tanti, proprio uno qualunque, capelli normali, occhiali, insomma uno di quelli che quando si presenta ti dimentichi il suo nome mentre lo dice. Questo ragazzo dopo 28 anni di vita e uno di matrimonio decide di comprarsi una moto. Cerca che ti cerca, soppesa il portafoglio (piuttosto leggero) e alla fine se n’esce con una moto economica e onesta: una Kawasaki ER-5, la prima usata è stata una sfiga terribile, al secondo tentativo dopo pochi mesi con una nuova invece è andata bene.
Come dicevo questo ragazzo un giorno, parlando di motori diesel su un forum ti finisce su un sito, tal “Anima Guzzista” a leggere l’intervista di un certo Carcano che parlava di motori diesel e di Moto Guzzi. Moto Guzzi … mah, cosa saranno mai ‘ste Moto Guzzi che hanno perfino un’anima, come possono due ruote e un po’ d’acciaio avere un’anima? Spinto dalla curiosità, gira di qui naviga di là, comincia a scoprire un mondo sconosciuto, fatto di uomini e moto con una lunga storia tanto che ad un certo punto decide pure di aggiungerci la sua di storia anche se di Guzzi in vita sua non ne aveva toccata nemmeno una.

Fu così che dopo mesi passati a leggere le innumerevoli storie dei prodi guzzisti, i racconti delle leggendarie gesta di questi centauri e aver riempito l’hard disk di foto il nostro giovane capitò ad una fiera in una grande città. Dovete sapere cari bambini (ehm, mi sono fatto prendere un attimo la mano) che questo ragazzo da sempre ama le moto nude, spoglie, essenziali, leggere e cattive, pure un po’ sportive magari anche se lui non le sa guidare sul serio.

Beh come vi dicevo a questa fiera il nostro eroe si avvicina per la prima volta dal vero a queste leggendarie moto; ne aveva già incontrata qualcuna di sfuggita e, grazie ad internet, ormai conosceva tutti i dettagli di ogni moto quasi a memoria però, purtroppo, non le aveva mai toccate, non le aveva mai abbracciate. Così, con fare timoroso, comincia ad avvicinarsi prima a quelle più sportive, quelle nude e cattive con quei cilindroni a V, il serbatoio lungo e le marmitte grosse.
Cercando di nascondere l’emozione, sale in sella, allunga le mani sul manubrio … eeeee…

… strano, qualcosa non va!
Non capisce bene cosa ma qualcosa proprio non va; è la stessa sensazione che si prova ad indossare una di quelle giacche che proprio non ti stanno, e per quanto le giri e le tiri non c’è niente da fare, ti guardi e sembri un pirla. Ecco lui si sente così; le gambe che non sanno dove stare, il busto che soffre, insomma si sente fuori posto.

Triste il nostro ragazzo scende da quegli animali possenti, sentendosi respinto e quasi per dispetto, per ripicca nei loro confronti si avvicina all’altra (in quel momento era ancora l’altra), una moto strana, più lunga, più comoda, con quel color argento satinato ed un nome che evoca spiagge lontane e metalli leggeri. Si siede quasi con sufficienza gettando sguardi nervosi alla sportiva che non lo voleva e, come per magia, si sente assorbire, rapire da un mondo che non conosceva, e le gambe trovano il loro posto da sole, le mani cercano il manubrio e d’improvviso sente il rumore dell’asfalto che scorre veloce e tramonti che ti aspettano ad un orizzonte che si sposta sempre più in là.

E questi moscerini che ti colpiscono, sempre più grossi … ma che moscerini sono per dare botte del genere …
ahi …

… è solo un sogno, altro che tramonti e moscerini, è il suo compare che lo schiaffeggia allegramente per farlo scendere, che non si può stare tutto il giorno seduti li, non sta bene …

Che fatica scendere e tornare a casa dalla sua Kawa gialla, certo lei lo aveva sempre trattato con rispetto, mai un problema o una lamentela e in fondo era anche bella nella sua semplicità, ma l’altra, l’altra gli fa battere il cuore.

Così che per la prima volta in vita sua (beh forse non proprio la prima, dai) il nostro ragazzo fa una follia, si registra per una prova su strada della moto dei suoi sogni. Cioè mica bruscolini, mai guidato niente fino a 28 anni salvo il Garelli del nonno per qualche mese e così all’improvviso decide di provare una cavalcatura di acciaio di 250 kg. Ci vuole coraggio, mica cazzi.

Il giorno della prova si alza presto. E’ nervoso, sente nella pancia quella sensazione come quando stava per baciare per la prima volta la sua ragazza (poi fidanzata e quindi moglie, in continua evoluzione). Porta la moglie al lavoro, sbriga qualche faccenda domestica ma la sua mente è già altrove, è già per strada, sta già correndo verso i monti.
Finalmente è il momento; giubbotto, caschi, guanti.
La fida cavalcatura con cui divide gioie e paure da un po’ si accende subito, senza problemi. Lei sa dove sta andando ma capisce, non si lamenta, sa che al cuore non si comanda.

Partenza! Il ragazzo parte felice, passa a prendere prima un amico con una vecchia cugina del suo sogno, un V35 piccolo ma con un rumore che al confronto la sua parla sottovoce, poi un altro amico con una cosa giapponese che fischia dalla marmitta e via. Sbagliano strada e fanno 20 km in più ma non importa, è bello correre fra le montagne e quando finalmente trovano la strada giusta si lanciano decisi verso la meta. Terza, seconda e via tutte le curve a salire (la sua fedele cavalcatura ha bisogno di cantare sempre a voce alta per dare il meglio) fino in cima.

Finalmente si arriva, il primo turno è perso ma nel secondo turno lei è libera.
“Dove devo firmare?”
“Qui, sì sì, firmo tutto quello che vuoi!”
Via tutte le formalità lei deve essere sua.

Arrivano le moto e lei è li, grande, muscolosa, sinuosa, dolce e cattiva allo stesso tempo, tenera e bastarda come solo una donna può essere. Il nostro prode eroe (ehm, licenza poetica …) ci sale sopra, con calma, cerca e trova la giusta posizione, la pancia trema sempre di più eppure la moto è ancora spenta.
Inforca il casco, gira la chiave con un po’ di fatica, l’emozione fa tremare le mani, e lei si accende con un tremito e comincia a pulsare, lenta e costante, e il tuo cuore si adegua perché è lei che da il ritmo.
Le manopole sono un po’ grosse, le leve dure ma non importa: si parte. All’inizio è spaventato, chissà come sarà pesante!
“E questo cambio, come si usa questa leva così strana?”
Le prime curve, le prime accelerate e subito senti che spinge, non importa in che marcia sei, cosa stai facendo: tu chiedi e lei risponde, sempre generosa, forte. E il peso lentamente scompare, la strada diventa facile, le curve si fanno mangiare, si raddrizzano al suo cospetto e quando la strada si allarga e giri la manopola dell’acceleratore l’asfalto comincia a scorrere veloce, l’aria ti accarezza, anche troppo, meglio non esagerare, l’esperienza è poca e non vuoi farle del male.

Il tempo, i km, i paesi, le curve … tutto passa veloce!

“quanto tempo è passato?”
“Già, così tanto?”
“Come ora potete scambiarvi le moto?”
“Ma lei è mia, e di nessun altro, me lo ha detto lei. ”
“Non mi credete? Devo salire su quell’altra? Sicuri?”

La accarezza mentre scende, la guarda come a dire “non ti preoccupare, non potranno dividerci” mentre sale su una cugina più piccola, più sbarazzina.
Lei soffre, gli manca già il suo cavaliere infatti con il nuovo ospite si rifiuta di accendersi, ma dopo un po’ deve cedere, è li per quello.
E allora il nostro amico riparte, con una nuova cavalcatura più agile, con meno motore, meno vibrazioni ma divertente, si beve le curve, il motore sale bene, pulito, regolare. Si lascia buttare a destra e a sinistra ubbedendo fedele, l’ultima salita, dove la sua fedele compagna di tutti i giorni doveva usare tante marce, la fa tutta con la stessa marcia, dai 2000 ai 6000 giri senza paura e via su fino in cima.

E’ finita, lo sapeva che sarebbe finita. Era solo una prova, un assaggio, niente di più. Lei è li per questo, altri saliranno, altri rimarranno stregati, qualcuno non la capirà ma lei lo sa, è qui per questo per insegnare che ci sono tanti modi di andare in moto e il suo è fatto di cuore, di ritmo, di sensazioni forti ma dolci.

Il ragazzo deve andare: la vita, quella vera lo aspetta ai piedi del monte, dall’altra parte del fiume sacro alla patria. Ci torna con la sua moto, che non è come lei, non corre come lei, non ha un cuore che batte come il suo ma che in fondo gli vuole bene e lo porta in giro fedele e anche se a volte fa fatica va avanti lo stesso.

Chissà se il ragazzo potrà realizzare il suo sogno un giorno; come tutti i sogni di questo mondo anche questo ha il suo prezzo. Per ora si tiene il suo sogno ed una foto che conserverà, come si conservano le foto di quegli amori estivi che durano poco forse ma che non si scordano mai.

 

Con tutti questi inconvenienti, alla fine di questa prima giornata nel Sahara abbiamo percorso solo un terzo del tragitto. Mangiamo qualcosa e ci sdraiamo sfiniti dentro ai sacchi a pelo, addormentandoci sotto il chiarore delle stelle.
E’ mattino, ci svegliamo coperti dallandello”. A questo punto bisognava festeggiare, e così, insieme alla gente che ci ha soccorso, siamo andati al vicino villaggio di Seyumojock ed abbiamo offerto loro da bere.
Le mie impressioni

California Aluminium

Poichè non ho mai scritto la recensione di una moto improvviserò, abbiate quindi un po’ di pazienza se il mio approcio risulterà un po’ confuso e poco razionale.
Dal punto di vista estetico la California mi piace troppo, le linee sinuose e allo stesso tempo muscolose, il mix fra la forza espressa dal motore e la tranquillità espressa dalla linea cruiser.
Poichè però a me piacciono le moto nude, essenziali e sportive non tutte le California mi piaciono allo stesso modo. La EV non mi piace, troppo americana, troppe cromature, troppo insomma.
La Aluminium/Titanium mi piace molto: in particolare per il manubrio dritto, per il colore satinato, per il cupolino della Titanium, apprezzo il doppio disco anteriore e la frenata integrale. Non mi piacciono invece i comandi a pedale troppo da custom (troppo grossi), il parafango posteriore troppo avvolgente, le teste dorate.
La Stone è la più essenziale e per questo è forse quella che preferisco, mi piace la pulizia delle linee, la mancanza di orpelli, la grafica del serbatoio (amo il grigio con la banda nera centrale).
Ci farei però alcune modifiche: manubrio e cupolino stile Titanium, doppio freno a disco e accorcerei il parafango posteriore rendendola un po’ più cattiva, e ci monterei la strumentazione della Titanium che mi piace di più.
Diciamo che (a parte il monosella che non mi piace) la farei assomigliare un po’ alla Todd’s Jackal di questo sito (soprattutto l’anteriore) Ma torniamo alla mia prova.
Per quanto riguarda la guida inizialmente ho avuto un po’ di problemi con le leve a pedale e con le manopole.
Le manopole le ho trovate grosse e con i guanti facevo un po’ fatica a gestire in scioltezza i pulsanti delle frecce, mi dava la sensazione di non avere la presa salda; col tempo la sensazione è diminuita ma le trovo comunque un po’ grosse.
Le leve di freno e frizione non mi sono piaciute, quella del freno è grossa e scomoda, dovevo alzare il piede ogni volta che dovevo frenare e abituato al minuscolo pedale della mia ogni tanto mi sono trovato in difficoltà. Per quanto riguarda il cambio non avevo mai provato una moto (d’altronde ho praticamente guidato solo la mia) con il cambio a bilanciere, all’inizio cercavo di fare tutto con la punta del piede e mi sono incasinato un po’ di volte, poi ho cominciato ad usare il tallone e la situazione è decisamente migliorata anche se ho fatto troppo poca strada per prenderci mano, anzi piede.
Ho trovato scomodo da alzare e abbassare il cavalletto laterale ma forse è solo questione di abitudine.
Il motore è fantastico, in qualunque marcia fossi bastava accelerare e lui andava, non ho mai girato completamente la leva dell’acceleratore perchè, essendo la prima volta che salivo su una moto di questa cilindrata, ero un po’ timoroso; comunque la spinta è notevole ma mai incontrollabile (per un neofita come me intendo).
Le vibrazione ci sono, inutile negarlo, ma ho fatto troppo poca strada per valutare se sono fastidiose, sicuramente diminuiscono l’efficienza degli specchietti retrovisori.
La posizione in sella è buona anche se all’inizio ho fatto un po’ fatica a capire come tenere le gambe, ho avuto la sensazione che le pedane fossero troppo centrali, cioè le avrei preferite o più indietro (infatti ho guidato tenendo quasi sempre le punte dei piedi sulle pedane) o al limite più avanti, con gambe più distese. Nessun problema di interferenza coi cilindri.
Le cose che più mi spaventavano erano peso e dimensioni, si tratta comunque di una moto che pesa 70kg più della mia, nemmeno con il passeggero arrivo al peso di quella moto da sola e a serbatoio vuoto. E’ stata quindi una sorpresa scoprire dopo pochi metri che superati i 5 km/h (in pratica appena la moto è in movimento) la moto sembra perdere peso, diventa molto maneggevole, certo non si può buttare qui e là come la mia, però non oppone resistenza nei cambi di direzione e riuscivo a stare dietro (fatti salvi i miei limiti di guida) al resto del gruppo con le varie V11. Inoltre la frenata integrale, che comunque ho sfruttato poco essendo abituato a frenare molto di più con l’anteriore, ha fatto si che nonostante la mole per me non abituale, non mi sia mai trovato in difficoltà su nessuna curva (vero è che non abbiamo fatto tornanti particolarmente stretti).
La cosa più bella però è la sensazione che da correre con una moto così (qui entriamo naturalmente in opinioni ancora più personali delle precedenti, poichè immagino che ogni tipo di moto dia un’emozione particolare ma unica), la posizione seduta, col busto eretto, la sensazione di avere sempre motore da spendere e andare sentendosi l’aria addosso mentre il paesaggio (bellissima la zona del Monte Grappa) ti scorre attorno.
Quando ho visto un lungo pezzo di rettilineo leggermente in discesa in mezzo agli alberi e ho girato l’acceleratore con un po’ più di tranquillità mi è sembrato di trovarmi in una delle highway che portano a verso le cascate del Niagara. Insomma la California ha un forte potere evocativo su chi guida.
Concludendo la moto mi è piaciuta un sacco, nella mia breve carriera motociclistica ho capito che il motore giusto per me (ribadisco: per me, onde evitare diatribe) ha le caratteristiche di questi due cilindri a V (mi riferisco a cavalli, coppia e regime) e con mio grande stupore mi sono reso conto di apprezzare questo tipo di moto (custom/cruiser) che fino ad oggi avevo sempre scartato a priori (al salone di Milano ho persino provato a salire su tutte le Harley).
Non so se la comprerò, sicuramente non ora, le mie finanze non mi permettono di spendere tali cifre per una moto, e quando avrò i soldi magari qualche altra moto mi avrà conquistato, però per ora rimane la moto che sogno, soprattutto con le modifiche di cui parlavo prima.
Breva

Nello stesso giorno ho provato pure la Breva (troppa grazia signore).
Altro mondo rispetto alla California, sicuramente molto più vicino alle mie abitudini provenendo io da una ER-5, moto quindi simile per dimensioni e prestazioni.
La moto mi è sembrata piccolissima e leggerissima, persino più della mia anche se la sensazione credo fosse dovuta al fatto che ero appena sceso dal California. Le manopole mi sembravano perfino troppo piccole.
La posizione di sella è molto buona, la sella forse è leggermente più stretta della mia quindi agevola l’appoggio a terra dei piedi. La distanza sella/manubrio consente una postura molto naturale che da la sensazione di controllare bene la moto, le pedane sono ben distanziate ed i cilindri che sporgono sono affascinanti ma non interferiscono in alcun modo con le gambe che si inseriscono bene nei fianchi del serbatoio (io sono 1.80).
La moto è rossa ed è molto bella, ha una linea molto snella ma allo stesso tempo personale, personalmente mi ricorda un po’ la Bulldog (infatti entrambe le trovo stilisticamente ben riuscite) ma è decisamente più snella.
Di negativo noto la mancanza del cavalletto centrale, dell’indicatore della benzina e delle leve non regolabili; tutte cose a cui sono abituato e che, in una moto che costa 3000 euro in più, onestamente mi sarei aspettato (a dire il vero, le leve regolabili la Kawasaki è una delle poche a metterle su quasi tutte le moto).
Anche il cruscotto poteva essere più bello secondo me, così è un po’ plasticoso. In compenso tutto il resto trasmette un’eleganza e una sensazione di “buona progettazione” superiore alla mia (che comunque secondo me del lotto delle 500 economiche è ancora la più bella), e poi si nota che è un progetto stilisticamente 15 anni più giovane.
Ma veniamo alla guida che parlando di mezzi di trasporto è forse l’aspetto che più ci interessa, ero molto curioso di scoprire l’effetto di 250cc in più su una moto leggera come la mia. Beh la differenza si sente, eccome, non tanto in termini di prestazioni che sono praticamente uguali ma in termini di facilità di guida, dove la mia deve scalare con la Breva non serve.
Il motore è reattivo da subito, si può salire tranquillamente in quarta passando dai 2000 ai 7000 giri senza problemi senza andare mai in crisi di motore (la stessa salita con la mia per tenere il ritmo l’ho dovuta fare passando continuamente da terza a quarta). Inoltre per chi come me non è molto pratico un motore del genere risulta molto più intuitivo, infatti, pur avendo una potenza simile, per avere la stessa spinta il motore della Kawasaki va tenuto sopra i 5000 giri che, quando sei concentrato nel fare tornanti (e magari hai pure il passeggero), può diventare un problema se non sei esperto poichè quando rallenti prima del tornante non hai la prontezza di spirito di tenere sempre il motore su di giri così ti pianti a 2/3000 giri con la moto che non vuol saperne di salire. Con la Breva invece tenere il ritmo è più facile, si cambia meno e si può sfruttare meglio il motore concentrandosi di più sulla traiettoria da seguire che sul regime del motore, tanto la moto risponde sempre.
Per quanto riguarda la guidabilità effettivamente sembra più maneggevole della mia, credo dipenda da un telaio più bilanciato e da una migliore distribuzione dei pesi per cui la Breva sembra più facile da far piegare (forse dipende anche dal fatto che la moto non era mia quindi qualche rischio in più potevo prendermelo), nei limiti delle mie capacità si intende.
Mi ha un po’ deluso il reparto freni. Frena come la mia che in quanto a freni sulla carta non può certo essere giudicata un esempio da seguire (disco piccolo davanti e tamburo dietro), gli spazi e la potenza dei freni sembrano gli stessi (almeno alla velocità a cui andavo), l’unica differenza l’ho notata nella resistenza alla sollecitazione; nella mia il tamburo dietro dopo un po’ si stanca di lavorare e l’escursione della leva si allunga sensibilmente.
Il cambio funziona bene anche se in questo particolare devo dire che la Kawa è un po’ migliore, l’escursione delle leva della Breva è più lunga ed gli innesti un po’ più rumorosi. La precisione invece è buona anche se qualche volta mi sono ritrovato in folle senza volerlo (è proprio necessario avere la folle in mezzo a ogni marcia?).
Concludendo si tratta di una moto molto godibible e usabile soprattutto per chi come me non è ancora un motociclista provetto, questo grazie alle notevole elasticità del motore e alla quantità di cavalli; sufficienti per divertirsi e troppo pochi per metterti in crisi. L’ottimo telaio e la distribuzione dei pesi fa sì che la moto sia molto intuitiva da guidare.
Personalmente la trovo molto bella, nettamente superiore alla media delle moto nude di media cilindrata (i gusti si sa sono sempre personali comunque).
Onestamente però a fronte della differenza di prezzo rispetto alla mia moto (per alcune cose comprensibile: telaio, linea, iniezione, catalizzatore) mi sarei aspettato un po’ di più soprattutto dall’impianto frenante e da alcuni dettagli (cavalletto centrale, indicatore benzina, leve regolabili), stiamo sempre parlando di quasi 300 euro di listino di differenza.
In ogni caso avendo i soldi io l’avrei presa a prescindere dal discorso prezzo/prestazioni/dotazione, solo che non avendo proprio i soldi il discorso non si pone. Comunque visto gli obiettivi di vendita (sia quelli previsti che quelli raggiunti) non credo che la mancanza degli acquirenti come me sia un gran problema.

Un Viaggio Odissea

0

Traversata delle tre Americhe in moto

di Claudio Giovenzana

 

UN VIAGGIO ODISSEA

Il punto della situazione, quasi due anni di viaggio e 40.000 km di strade che hanno offerto molto più di curve e panorami. Lungo la strada che conduce alle coste dove le tartarughe depongono le uova racconto le emozioni e i cambiamenti di una vita si rinnova km per km a cavallo della mia inseparabile Guzzi.
Certi viaggi cambiano la vita, è un fatto, posso con certezza dire che è il fatto degli ultimi due anni della mia vita. John Steinbeck diceva che non è l’uomo a fare il viaggio ma il viaggio a fare l’uomo. Mai più che ora capisco il senso di questa frase. Dopo una lunga collaborazione con Euromoto ci siamo sentiti di condividere con voi lettori alcuni aspetti più intimi e avventurosi di questo viaggio che continuo e sperimento nelle sue mille trasformazioni. Se lo volessi quantificare in un modo spartano potrei dire che dura da 40.000 km ma questa volta voglio abbandonare le tabelle di marcia e parlarvi invece di alcune delle 40.000 esperienze vissute e delle 40.000 storie di persone incontrate, amate, perdute o ritrovate.
In un viaggio di lungo raggio il “km” perde di efficacia come unità di misura. Le esperienze e le persone incontrate diventano il nuovo sistema metrico per raccontare, condividere e ripercorrere la storia e la strada fatta. Sono il sale del viaggio e questo viaggio è come fosse mio figlio. Come tale non posso parlarvi di lui solo in km di paesaggi e città, c’è un amore nascosto che scappa dalle tabelle chilometriche e che per forza devo raccontarvi.
Noi viaggiatori motociclisti abbiamo il privilegio di cavalcare un mezzo costituzionalmente aperto al mondo, esposto all’aria, al sole e purtroppo anche alla pioggia. Abbiamo scelto un mezzo che si infila in ogni dove, quasi come una bicicletta, un mezzo che poco ingombra il paesaggio, che appare costruito per l’avventura e che ricorda lontanamente quell’andare fiero e avventuroso dei cavalieri medievali. Usare una moto per andare solo dal punto A al punto B vuole dire viaggiare per il mero gusto di arrivare. Invece proprio tra due punti geografici, la partenza e l’arrivo, noi motociclisti e viaggiatori viviamo la nostra quinta essenza: il piacere legato alla guida, il godimento del paesaggio, la sensazione di sentire sulla pelle i cinque elementi della madre natura e l’entusiasmo dell’incontro, quell’incontro magico con persone e culture che può scardinare i pilastri che reggono il modo di concepire la vita. Quando il viaggio diventa lo stile del vivere, come nel mio caso, nel proprio itinerario arrivano curve improvvise da affrontare. Queste curve inaspettate sono innamoramenti, fughe e ritorni, lavori provvisori, espedienti per sopravvivere, volontariato e nuovi tentativi di costruirsi una professione.
Un giorno un famoso giornalista e scrittore, Paolo Rumiz, mi ha detto: “i luoghi sono sempre quelli per tutti i turisti ma le persone no, quelle le incontri solo tu nel tuo cammino”. Così km dopo km in motocicletta ho raccolto le storie di alcune di questi viandanti che ho avuto la fortuna di incontrare. Storie intense piene di lezioni di vita, piene di una meravigliosa forza lanciate all’ inseguimento della felicità, dell’amore, dell’amicizia o della saggezza. Storie che mi sono appuntato in una rubrica che ho chiamato “L’anima del mondo”.
Con la penna, la macchina fotografica e la videocamera ho tessuto una rete per catturare la bellezza delle storie delle genti e dei loro luoghi per poterle poi raccontare su internet e sulle riviste. Ho realizzato una serie fotografica chiamata “i sogni del mondo” che presto esporrò in alcune città del Messico. Trattasi di fotografie di persone che abbracciano quell’orsacchiotto che spesso avete visto nei miei articoli apparsi su Euromoto. Orso che è simbolo dell’innocenza e della forza che appartiene all’atto di sognare, quel compagno di quando eravamo bambini, custode dei segreti e testimone dei desideri. Accanto a ogni foto viene scritto il più grande desiderio che la persona fotografata ha avuto nella sua vita. Il Governo dello Stato messicano di San Luis Potosì ha notato il mio lavoro e mi ha proposto di collaborare con un team che aiuta comunità indigene di Trikis e Mixtecos a integrarsi alla popolazione superando barriere culturali. Lavorerò prima come psicologo di gruppo (questa è la mia prima professione) e poi come fotografo immortalando sogni e desideri per avvicinare queste culture indigene alle città di cui sono satellite.
Un branca della National Geographic, la NatGeoAdventure al contempo mi ha riconosciuto come reporter e grazie a questa credenziale posso presentarmi con tutti gli onori di un fotografo di livello facilitandomi così il lavoro, l’accesso a siti ristretti e l’accoglienza di certe istituzioni.

Quante strade deve percorrere un uomo prima che possa chiamarsi uomo? Questa è la domanda che Bob Dylan cantava in Blowing in the Wind. Per lui la risposta era “soffiata nel vento” per me invece la risposta è proprio nelle mille strade che sto percorrendo con la mia moto per potermi un giorno chiamare Uomo nel suo senso più completo e meraviglioso. Vorrei condividere con voi questo esubero di intimità, di avventura e di esperienza unica che, anche se non appartiene all’itinerario geografico in senso stretto, sta segnando l’itinerario nuovo della mia vita e il mio stile di andare in motocicletta.

VERSO LE TARTARUGHE
Iguala – Chilpancingo 160 km

Tanto vi ho raccontato del Messico e tanto ancora vi racconterò perché sembra che con questa terra non abbia chiuso affatto nonostante sia passato più di un anno esplorandola.
Se togliessimo dalla mappa l’enorme Città del Messico avremmo davanti agli occhi un paese con lo stesso numero di cittadini dell’Italia ma in uno spazio 5 volte più grande. Il paese con il più alto grado di biodiversità del pianeta. L’ho vissuto nelle case della gente e nelle fragili tele della mia tenda. Dopo notti nelle montagne, nei vulcani, nella giungla e nel deserto ho voluto spingermi questa volta verso le coste dello stato di Oaxaca. Coste misconosciute dagli italiani che visitano il 99% delle volte quelle dello Yucatan più a Nord.
Ho preso la moto e viaggiato cercando le spiagge vicino alla famosa Puerto Escondido e cercando di raggiungere la mia bella messicana che stava facendo volontariato al Centro Messicano della Tartaruga in uno di questi angoli di paradiso. Questo centro è una importante istituzione per salvaguardare una delle più antiche creature del mondo che fino agli anni 90 è stata massacrata talvolta persino in 3000 esemplari al giorno ed oggi è invece protetta con grandi sforzi contro il contrabbando e contro la ignoranza culturale in materia ecologica che affligge il Paese.

600 km da Iguala a Pinotepa Nacional su strade tortuose da percorrere con il coltello tra i denti e l’occhio vigile sugli asfalti ingloriosi e bastardi che in alcune tratte diventano trappole o pessime sorprese.
Parto da Iguala nello Stato di Guerrero, una area geografica che di giorno diventa fornace, qui i venti non riescono a spingere via la calura della terra secchissima. Questo è un anticipo dello scotto che avrò da pagare sulla costa con i suoi 35 38 gradi all’ombra. Sono in una specie di valle desertica circondata da montagne che scorre lenta per 120 km sino a toccare le pendici della Sierra. La moto sembra non soffrire come me il caldo cocente, forse perché a 100 all’ora il motore riposa sornione sui suoi 3000 giri al minuto, 3000 sbadigli contro i miei 3000 sospiri di fatica. Alla fine della piana la strada inizia a curvare e innalzarsi sulle alture della Sierra Madre.

CAVALCANDO LA SIERRA
Chilpancingo – Tierra Colorada 120 km

Raggiungo le montagne che sono la salvezza da quel torrido clima che affligge gli abitanti degli altipiani centrali. Mi preparo a un giostra di curve che mi portano in vetta a quasi 2800 metri sul livello del mare. Il Guzzi procede bene e il Toporso, l’orsacchiotto, è legato al posto del passeggero con indosso il casco che userà la mia compagna dopo il mio arrivo. L’arido deserto ormai è un ricordo dimenticato nei retrovisori, le nuove stradine scappano come fuggiasche tra i tronchi resinosi dei pini. Le narici succhiano più aria dei pistoni, la guzzi carica di brio la marcia ma nelle curve a medio raggio si scompone come un cane che sbanda con il sedere. Mi fermo e precarico le molle afflosciate sotto il peso del tempo e dei bagagli. Riprendo come un fulmine, sono felice, apro la bocca e sento l’aria fresca gonfiarmela come un paracadute, sto cavalcando la Sierra Madre. Mi lancio sull’altro versante, quello che discende verso il mare.
Direzione Acapulco ma prenderò prima possibile la deviazione verso Pinotepa Nacional, a suo tempo conoscerò anche la famosa Acapulco ma per adesso non sono attratto da una città scoppiata di turismo e traffico.

IL RESPIRO DEL MARE
Tierra Colorada – Pinotepa Nacional 290 km

I gradi aumentano, ritorna la fornace e mi inghiotte un calore che non mi toglierò più di dosso nelle varie settimane in cui vivrò sulla costa. Divento un gavettone di sudore alla guida di un ferro da stiro bollente, l’erogazione della moto cambia di nuovo. Spalancando inizio a sentire i colpetti in testa che un bicilindrico raffreddato ad aria non può non fare in certe condizioni atmosferiche. Ingrasso la carburazione perchè la vecchia centralina modello “Fiat punto” che monta questo modello mi offre una graditissima vite per ingrassare e smagrire. Le Guzzi moderne qui sarebbero castrate dalle norme Euro 4 che esigono miscele asciutte le quali scaldano i cilindri come tizzoni ardenti.
E’ sera, il caldo da tregua, raggiungo la strada costiera fastidiosamente scomposta che però porta il nobile nome di Panamericana, qui in Messico contrassegnata come la numero 200. La Panamericana è una enorme via di transito lunga tutto il continente che corre a lato delle dorsali montuose che assieme fanno la “colonna vertebrale” del continente Americano.
Mi si stringe lo stomaco pensando che oltre il mio orizzonte, più in là del cielo che vedo la terra continua per decine di migliaia di km sino a sparire negli abissi dopo l’ Argentina. Provo la stessa sensazione di infinito di quando iniziai il viaggio, il senso del movimento perpetuo e la percezione di una terra che ha sempre da offrirti distanze da percorrere. Fa notte, mi fermo a una Taqueria dove una signora dai tratti mascolini con la spossatezza del calore diurno mi recita il menu. Scelgo uno yogurt e la colgo di sorpresa, non ne ha più così manda la figlia che corre a comprarlo. Finisco di mangiare ed avanzo umilmente la richiesta di poter piantare la tenda dentro il recinto polveroso che delimita la sua proprietà separandola dalla strada.
Sono poche le luci delle case che sfidano il brillare delle stelle, la natura intorno a me, le palme lontane e le vicine spiagge sono amiche della volta celeste e lasciano la via latea esprimersi sopra la mia testa. La luna fa giochi di luce con l’esigua carrozzeria della guzzi, i miei occhi si coricano infilandosi sotto le palpebre e sento ancora i ticchettii dei cilindri che si raffreddano.
Domani arriverò nel paradiso delle tartarughe: spiagge chilometriche create ed erose dalle acque del pacifico, battute dai venti tropicali ed abitate da iguana, granchi, cani selvatici e qualche uomo nella sua capanna dal tetto di paglia. Conoscerò un italiano-sciamano e un pittore famoso ritirati nei loro piccoli paradisi discreti e nascosti. Diventerò il fotografo ufficiale del Centro Messicano della Tartaruga, in prima linea per riprendere la vita delle creature marine più antiche e indifese del pianeta. Questo e altro nel prossimo numero.

Lo spirito di Mandello

0
AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Paolo Miolo

 

“Si va bene, partiamo alle 8 domattina, mi faccio trovare pronta non ti preoccupare. Si lo so l’Irlanda è lontana e il traghetto non ci aspetta”

 

Sono le 3 del pomeriggio, partiti da mezz’ora e il Le Mans va a uno.

 

Adesso siamo all’Autogrill: tutto il bagaglio sparso in giro, la pelle della tuta tutt’uno con le palle. Ci saranno 40 gradi, ho voglia di bestemmiare, Roberta rompe e insinua qualcosa sulle Guzzi (a lei sono sempre piaciute le BMW) capisce che è meglio squagliarsi e coglie il latrato che le suggerisce di andare a cercarsi aria condizionata e Fattoria e di farsi vedere solo quando sentirà il 2 in 1. Si perché lo sentirà a costo di scardinare tutti i cofani delle auto per trovare ciò che mi serve.

 

C’è una rabbia sorda, qualcosa di davvero cattivo che sta montando. Devo stare da solo. Al massimo accetto la compagnia di un sigaro. Accendo e i primi puff mi fanno bene.

 

Dopo il pieno si avvicinano 4 enduromontati del tipo “quest’anno mi faccio le vacanze in moto” si vede da come avevano piazzato il bagaglio e, con sorridente gentilezza, uno di loro chiede:

“Ehi serve aiuto?“

“No, grazie è tutto a posto” rispondo, per la verità forse in modo un po’ troppo asciutto.

Ecco adesso lo dice, lo so che lo dice, non farlo tipo, non oggi, oggi non è aria. Oggi non voglio motociclistica solidarietà, non voglio commenti, per piacere non dirlo. Taci se puoi.

 

“Certo che le Guzzi ne hanno sempre una.”

 

L’ha detto.

Parte il primo morso al sigaro che prende anche il labbro inferiore.

Hai sentito che lo ha detto? lo sapevi che lo diceva, adesso cosa gli facciamo? Lo sodomizziamo davanti ai suoi amici? Gli buttiamo in faccia il serbatoio aperto e appena smontato e gli spegniamo in mezzo alla fronte il Davidoff mezzo fumato e mezzo masticato?

Troppo semplice, decidiamo di ignorarlo. Abbiamo un problema da risolvere.

Cavalletto, scende dalla moto, si avvicina, si accende una sigaretta.

Attento amico, il serbatoio è sempre aperto e smontato e, se sei tu a fumare, non sarebbe nemmeno omicidio colposo. Sarebbe solo un incidente. Grave, ma solo un incidente.

 

“Hai visto perde olio da dietro.”

 

E’ sempre più difficile ignorarti, io non ti conosco, non voglio parlare con te, io e il mio Le Mans vogliamo solo risolvere il nostro problema e ripartire. Abbiamo bisogno di calma, non è il mio lavoro, devo ragionare e fumare, fumare e masticare. Maledizione a me non resisto e rispondo.

“Non è nulla è un piccolo trafilaggio dal paraolio della coppia conica”

Cretino! Te le vai a cercare, prima i bagagli sparsi nel parcheggio, chiaro indizio che qualcosa non va, adesso gli hai anche risposto. Lo sai che non aspettava altro. Adesso chiamerà gli amici, fino a quel momento defilati, per dare inizio al teatrino…

“ Eh sì! Tutte le Guzzi perdono olio, a un mio amico che ne aveva una gli è successo che…”

 

Io lo strangolo con il ricambio della frizione, Dio del cielo chiama a raccolta tutti i Santi e Beati del Paradiso mettetemi una mano sulla testa e l’altra sul cacciavite, fate in modo che risolva questo problema e possa ripartire. Date a questo essere la possibilità di salvarsi, ditegli che se ne deve andare. Mandategli un segno.

Ma il nostro problema rimane lì.

Allora mumble mumble… ricapitoliamo la benza arriva, la corrente no. O meglio alla candela destra non arriva. A sinistra tutto bene. Abbiamo fatto un passo avanti. Inizio a vedere un po’ di luce. La speranza di venirne fuori si sta facendo strada.

“Dove state andando?”

“Irlanda. Abbiamo il traghetto domattina presto”

“E come fate? Avete un sacco di strada da fare, se la moto non va non farete mai in tempo”

Lo odio e lo guardo per la prima volta. E’ giovane, lo guardo con attenzione e ci vedo una faccia da pirla niente male.

Due strade: gli pianto il cacciavite nel cuore e contemporaneamente applico una torsione al polso in modo da provocare una ferita definitiva o impartisco le prime lezioni di Guzzismo.

Come prima optiamo per la soluzione più complicata.

 

“Le Guzzi hanno tanti difetti ma con un po’ di passione e pazienza ti portano ovunque. Questi motori parlano italiano. Quando c’è qualcosa che non va è più facile capirsi.”

 

Intanto monto la candela di scorta sulla pipetta …

“Ma ti sei portato anche la candela di scorta?”

“Due.”

Avvicino la candela al coperchio delle valvole, mi raccomando a San Cristoforo e… accensione! Niente scintilla. Groppo in gola e un sapore davvero cattivo in bocca. Fumo e mastico.

“Perché due?”

“Non si sa mai…”

Forse è il cavo o la pipetta. In effetti verso l’interno è un po’ screpolato. Nuova accensione, ma non vedo scintille a zonzo. Comunque sia srotolo la custodia dei ferri e dei ricambi, taglio a misura il cavo di scorta e monto la pipetta nuova in silicone. Mi guarda incuriosito mentre armeggio e scruta attentamente ferri e i ricambi.

“Hai davvero un’officina al seguito…”

Inizio a notare un cambio di atteggiamento. E’ qualcosa di impercettibile forse è una punta di rispetto. Oppure i miei giocattoli sono più belli dei suoi. O forse lui non li ha. O non sapeva di desiderarli, almeno fino a oggi.

Carica, carica, carico da undici subito. Senza aspettare un attimo. Caro vecchio Le Mans questa mano è nostra. E’ solo questione di tempo.

Ripenso alle parole dell’Ercole “portati bobina, condensatore e puntine tanto prima o poi uno dei tre ti frega”. Bastardi è 10 anni che vi porto in giro dappertutto, ho cambiato tre Guzzi e voi sempre dietro. Adesso è venuto il vostro momento. Facciamola fuori ‘sta storia.

Sfilo la bobina dalla custodia in panno rosso con movimenti volutamente studiati più o meno come se fosse una Colt 45 cromata del 1911. Il tipo non capisce più niente, ora si avvicina di più e non è solo curiosità. Lui giocattoli così non li ha mai visti e non ci sa giocare. Però gli piacerebbe. Ormai è nostro.

“Che cos’è?” Chiede indicando la bobina.

“E’ per la corrente. Per cortesia passami il cacciavite.” E il cacciavite arriva immediatamente. E’ nostro schiavo.

Ma il problema rimane, è solo cambiata l’aria intorno, c’è qualcosa di vivo che inizia a sentirsi. Stavolta niente San Cristoforo, l’antico Spirito di Mandello è già qui intorno e si sente.

Due puff ben fatti creano una fumosa atmosfera, lo Spirito gradisce, non mastico più.

Via la vecchia bobina dentro la nuova.

 

Accensione, il motorino di avviamento ingrana e gira. Avvicino la candela al coperchio delle valvole. Il tempo di scorgere tre-quattro scintille e io penso a quanto è grande la Guzzi.

Il tipo non nota nulla. Io non dico nulla. D’accordo con il Le Mans decidiamo per un’uscita di scena alla grande.

Inizio con studiata calma a rimontare i fianchetti, il serbatoio, le borse laterali. Il tipo è sempre lì. Ripongo i quattro attrezzi usati nella custodia di panno rosso. La riavvolgo come si fa con il tappeto di preghiera.

“Rimonti tutto? Chiami il carro attrezzi?”

“E’ a posto.”

“Come è a posto?”

“E’ a posto.”

“Ma non la provi prima di caricare?”

“E’ a posto”

Mi rimetto la giacca della tuta, foulard, casco e guanti.

Il tipo non accenna a muoversi: è lì impalato che mi guarda. Se adesso se ne andasse ci rimarrei male. Salgo in moto, apro i rubinetti e attendo immobile che le vaschette si riempiano bene.

Giro la chiave, quadro, accensione. Gas!

Non so se è stato il riverbero dei muri o delle superfici vetrate verso i quali era puntato lo scarico, o perché era un’ora che la sentivo andare a uno, o forse solo la mia immaginazione, ma di colpo è stato come quando un temporale ti sorprende in montagna, ci sei giusto dentro, non sopra o sotto ma dentro e non puoi farci nulla, è così e basta.

Roberta arriva subito, sale e si sistema. Tiro le prime marce un po’ di più del solito poi la quinta. Centotrenta.

“Allora tutto a posto?”

“Si. Tutto a posto.”

“Com’erano i ragazzi che hai conosciuto?”

“Simpatici.”

 

Paolino

Gadget

VI SEGNALIAMO