Home Racconti Come sono diventato guzzista Come sono diventato Guzzista: Andrea Manzotti

Come sono diventato Guzzista: Andrea Manzotti

23
0
By Andrea “Beef” Manzotti
 
Il “Guzzismo” può essere considerata una malattia ereditaria, insita nel DNA di una persona? Oppure una malattia infettiva ad alta carica virulenta?
Secondo me sì…e la dimostrazione è data dalla storia della mia famiglia, di mio padre e dei suoi due fratelli, perché per parlare di come sono diventato “GUZZISTA” è necessario partire dall’inizio, da una storia che già conoscete.
 
Classe 1923, mio padre è il secondo di sei figli, nasce in seno ad una famiglia contadina, con un padre (mio nonno) invalido della Grande Guerra: il pane non manca mai, ma la vita dei campi è dura, le bocche da sfamare tante e si vive – e si acquista – lo stretto necessario, spesso tramite il baratto.
 
In famiglia, la prima Guzzi arriva per motivi di lavoro: mio zio Antonio, primogenito e di 2 anni più grande di mio padre, abbandonata una possibile carriera ecclesiastica, si butta nel commercio, apre un piccolo negozio di generi alimentari e per il traporto della merce acquista un motocarro 500 Ercole.
 
Come l’Ercole, anche la seconda Guzzi – un Galletto – arriva per motivi di lavoro: mio zio Carlo (12 anni più piccolo di mio padre), che come tecnico si occupa della manutenzione delle linee telefoniche, lo utilizza per spostarsi all’interno della provincia di Ancona.
 
In realtà, gli spetterebbe un più umile Zigolo da utilizzare per il lavoro, il Galletto è riservato ai capo-squadra, ma lui se lo guadagna sul campo: non solo è il più bravo alla guida fra tutti i colleghi e impara agli altri come va portato, ma oltre a fargli la manutenzione, lo modifica con soluzioni ingegnose (per il trasporto di attrezzi e ricambi) che vengono approvate dai suoi superiori.
 
E mio padre? Sulla carta sembrerebbe un vespista convinto perché, dopo aver fatto le scuole di avviamento professionale e aver iniziato a lavorare a 16 anni, fa carriera, guadagna bene e acquista in successione ben 3 Vespe…ma non è così, perché ha il marchio lariano impresso nel suo DNA e il “SACRO FUOCO GUZZISTA” brucia dentro di lui facendone un insospettabile ed inconsapevole guzzista.
 
Ricordo che ogni qualvolta pronunciava il nome “…Moto Guzzi…”, lo faceva seguire da una piccola pausa quasi a voler sottolineare la sacralità del marchio.

Ricordo che parlando di una gara [i]endurance[/i] amatoriale a cui partecipò in sella alla sua Vespa 125 nel 1958 o forse nel 1959, parlando di un collega che correva nella categoria motoleggere, disse “…Gualtiero gareggiava in sella alla sua Guzzi…eehh…in fatto di moto aveva il meglio…”

Ricordo che quando gli dissi che mia sorella si era comprata la moto (una Breva 750), si arrabbiò molto dicendo che buttava i soldi, per poi commentare “…aaah, una Guzzi…vi sarà costata un occhio della testa…però è una Guzzi…”, una volta saputo che l’acquisto era una bicilindrica lariana.

Ma, in particolare, ricordo quando io comprai (usata) la verdelegnano

(Io) – …ho cambiato la moto…
(Lui) – …hai cambiato la moto?…quella che avevi non andava bene?…cosa hai comprato?…
(Io) – …vieni a vederla, è in garage…
(Lui) – …tutti ‘sti soldi buttati…ma te guarda se è il caso di spendere i soldi così…c’era bisogno di una moto nuova?
(Io) – …ECCOLA…E’ QUESTA…
(Lui) – …ah…ma è una MOTO GUZZI…
 
(una lunga pausa, poi la voce via via più roca, come rotta dalla commozione)
 
– …questa ti sarà costata una fortuna…E’ UNA GUZZI…
(Io) – …no papà…l’ho comprata usata e quindi non l’ho pagata tantissimo…

Dopo tanti anni, per la prima volta, vidi nel suo sguardo quell’orgoglio che un padre prova per il figlio quando questo fa qualcosa di grande e per lui, vespista convinto che in cuor suo aveva sempre “venerato” il marchio lariano, acquistando la V11 Sport avevo fatto qualcosa di VERAMENTE grande.

Quindi…come non posso amare la Moto Guzzi, un marchio, una moto, che ha compiuto il miracolo di rendere mio padre orgoglioso di me?
 
Poi i nomi, forse all’epoca molto comuni, mio padre Giuseppe e mio zio Carlo, che ricordano altri due fratelli più famosi sulle sponde del Lario…con zio Carlo, tecnico sopraffino, in grado di riparare un po’ tutto, responsabile della manutenzione di tutte le auto di famiglia e artefice di vere e proprie “invenzioni” (lui così le chiamava) per risolvere problemi di tutti i giorni.
 
Un esempio? La sveglia meccanica, collegata ad un motorino elettrico, che nelle notti estive, faceva chiudere la persiana alle 3 in punto per evitare che l’alba lo svegliasse dal sonno.
 
E siamo giunti a me.
 
Io non mi definirei un guzzista tourt court, non capisco nulla di meccanica, non so effettuare nessun lavoro meccanico, sono negato per qualsivoglia lavoro manuale ed è già molto se so qual è il tappo del serbatoio benzina e il tappo del serbatoio dell’olio.
 
Non ho percorso centinaia di migliaia di chilometri in sella ad una (o più) Guzzi, ho avuto moto di altri marchi e sono affascinato ANCHE da altre moto.
 
Ma il proprio DNA non mente: per colpa di mio padre, quando ero ragazzino ero convinto che le storie legate alle Guzzi, che ogni tanto raccontava, fossero delle favole e che Mandello del Lario – questo paese adagiato sulle sponde di un lago – in realtà non esistesse, come l’epica Camelot.
 
Ricordo che quando, in compagnia di mia sorella, nel 2002 giunsi per la prima volta davanti alla grande carraia rossa dove campeggia un’aquila d’argento dalle ali spiegate, rimasi imbambolato per quasi un quarto d’ora a guardarla…e quando, di straforo, in una solitaria domenica pomeriggio un giovane ragazzo addetto alla sorveglianza ci fece fare il giro della fabbrica, ero talmente emozionato che non scattai neanche una foto delle linee produttive, nonostante la macchina fotografica al collo.
 
La prova provata di essere affetto da “GUZZISMO” è però legata all’acquisto, nel 2023, della Breva 850: nel momento stesso in cui chiusi l’affare con l’ex proprietario, ricordo che il primo pensiero che mi venne in mente fu che i guzzisti sono – per definizione – degli accumulatori seriali di Guzzi e che io, chiuso l’acquisto, ero già alla numero due.
 
E mentre scrivo queste righe, mi accorgo che oggi sono 20 anni esatti che mio padre non c’è più…ma forse, in realtà, non mi ha mai lasciato e anche questa storia, come altre, l’ha scritta lui.