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Milano-Mandello: 3522 km

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Un viaggio un po’ di lavoro, un po’ turistico, molto motociclistico
Di Massimo “ledzep” Viegi

 

La sera prima di partire sto facendo il bagaglio e si presenta il problema di portare qualcosa da leggere. Guardo i miei libri e, un po’ perché a volte è bello rileggersi le cose a distanza di anni, un po’ per una sorta di intuizione, faccio una scelta che condizionerà lo stato d’animo di tutto il viaggio e lo farà diventare un puro vagabondare motociclistico attraverso l’Europa. Decido di portare con me il capolavoro di Robert Pirsig “lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”.
Partiamo dunque da qui:
“ Se viaggi in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto dentro ad una cornice.
In moto la cornice non c’è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. E’ incredibile quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi.”
…..
L’inizio è stato alquanto sportivo. Io sono partito con le migliori intenzioni: il primo weekend di luglio, il primo con la patente a punti, tutte quelle moto in Valtellina, consigliavano un approccio tranquillo. Attraverso una Milano calda e deserta e prendo la superstrada per Lecco. Monza, Lissone, Desio, ad ogni svincolo il numero di moto sulla strada aumenta e con lui la velocità media. Un flusso costante sul piede dei 150kmh. Superata Lecco iniziano le gallerie, sarà il rumore amplificato, sarà l’assenza di turbolenze, sarà quel K100 là davanti, ad un certo punto guardo il tachimetro: “ !! 190.. Vediamo di calmarci un po’ “ . Rallento, finisce la superstrada, adesso il numero di moto che risale la valle è enorme. Moto di tutti i tipi, un flusso costante fino a Bormio. Un veloce rifornimento ( veloce per modo di dire, c’era una coda di cinquanta moto) e attacco lo Stelvio. Finalmente siamo in salita, il terreno ideale per me e per la mia California. Un po’ troppa gente, persino un paio di ingorghi! Appare alla vista il passo e con lui l’albergo Folgore con l’enorme striscione Moto Guzzi…peccato siamo tutti fermi in fila! Vedo un paio di tornanti più sotto una moto che prende una strada sterrata. Beh, se non avessi indipendenza di giudizio non avrei una Guzzi! Via da questa folla di quattro cilindri! Giro la moto, scendo due tornanti e prendo la via alternativa al raduno. Un minuto di sterrato e sono all’albergo.
Pausa. Iscrizione alle GMG, presentazioni con gli amici del forum che vedo per la prima volta di persona, piacevolissimo pranzo e…partiamo!
La meta finale è Parigi, l’obbiettivo di giornata è arrivare in Francia. Per farlo devo attraversare tre passi: il primo è l’Umbrail, subito sotto lo Stelvio, che ha qualche chilometro di strada sterrata che si fa senza problemi. I paesaggi sono bellissimi, il traffico quasi inesistente. Arrivo nel fondo valle e prendo la strada per Davos. Settanta km attraverso l’Ofenpass e il Fluelapass. Tutta alta montagna, curve e tornanti sulle quali spremo me e la moto, che non si tira certo indietro, il motore canta che è una meraviglia ed in un attimo sono a Davos. Da qui una bella strada di fondovalle porta all’autostrada per Zurigo. Autostrada svizzera… sempre meglio che la pianura padana! Dolci curve in bei paesaggi che mi faccio in pieno relax, intorno ai 150kmh. Vabbè, siamo oltre il limite, ma non sono certo quello che va più forte! Zurigo va attraversata, non c’è modo di evitare di passare dal centro, di superare le macchine in coda ai semafori e di mandare a cagare quelli che ti suonano per dirti che dovresti stare in fila. Riprendo l’autostrada e arrivo a Basilea, la città delle industrie farmaceutiche. Quei furbacchioni di Svizzeri le hanno messe qui così avvelenano il Reno giusto 500 metri prima del confine tedesco. Un nuovo tunnel sotto la città mi porta verso il confine Francese che attraverso in un attimo. Dalla frontiera prendo la D419 fino a Belfort. Strada bellissima. Dolci ondulazioni, boschi, prati, curve quasi mai ceche,asfalto perfetto, la luce del pomeriggio inoltrato, ci fosse un pezzo degli Steppenwolf sarei dentro Easy Rider. E’ il momento di guidare con senso estetico, basta spostare il peso del corpo e la California disegna le curve con la precisione di Giotto: marce lunghe e mi faccio cullare fino a che non entro in città. La stanchezza inizia a farsi sentire. In Francia esiste una catena di alberghi molto spartani ed economici chiamati F1. Sono alla periferia delle città. Venticinque euro una camera con tutto quello che serve.
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Mattina, sveglia di buonora, aria frizzante, giornata splendida. Ho tempo, quindi ho deciso di farmi il viaggio tutto fuori dall’autostrada. N19 fino a Langres e poi dipartimentali fino ad Auxerre. Le dipartimentali francesi sono la spiegazione delle soffici sospensioni delle auto francesi. Non hanno buche ma una serie infinita di ondulazioni; comunque sono godibilissime. In questo tratto continua l’alternarsi di boschi e terreni coltivati. La campagna francese è radamente abitata, il paesaggio è ampio e c’è poco traffico se si eccettuano i Mirage a bassa quota che prima li vedi e poi li senti e che se prima non li vedi ti fanno venire un coccolone. Comunque ad Auxerre entro sulla N6 e poi a Fontainebleau in autostrada. La A6 o “autoroute du soleil”, che poi è quella che fa chi viene dall’Italia, è il modo migliore per entrare a Parigi: due corsie, poi tre, poi quattro, poi le autostrade sono due, un continuo saliscendi finchè, dopo uno scollinamento, vedi la città tutta intera, con la Tour Eiffel, il Sacro Cuore, la tour Montparnasse. Una bella discesa, un tunnel, uscita a Porte d’Italie. In zona Place D’Italie è pieno di alberghetti con prezzo sotto i 50 euro che chissà perché hanno sempre posto…
Parigi… che dire di Parigi che non sia già stato detto…. Ok, sparo le tre cose che faccio sempre quando ci capito:
1) prendo il boulevard periferique interno, esco sul quai d’issy, attraverso il pont du Garigliano, prima a destra, ancora prima a destra ed entro sulla via rapida George Pompidou. A questo punto velocità da turismo e mi faccio tutta questa meravigliosa strada che attraversa la citta, senza semafori e stop, a livello del fiume, tranne un paio di tratti in galleria che fanno tanto metropoli. Una cavalcata attraverso tutti i monumenti principali che finisce al palasport di Bercy ( l’unico che abbia mai visto con un tetto d’erba), con un’occhiata d’obbligo alla nuova biblioteca nazionale, un edificio che farebbe venir voglia di studiare anche a Mike Tyson.
2) Visita a L’Astrolabe, un negozio in Rue De Provence dove trovate qualsiasi carta, turistica, militare, topografica, navale, che esista. Volete organizzare un viaggio in moto su Marte? Venite qui a comprare la carta stradale. Una miniera per me che sono appassionato. Stavolta me ne vado con una semplice carta del Benelux visto che ci dovrò viaggiare.
3) Cena in un ristorante turco nella via forse più stretta di Parigi: Passage de la main d’or, una traversa di Rue du Fauburg Saint Antoine. Per intenderci più o meno la zona dove sono ambientati i libri di Pennac. Sembra di essere ad Algeri e si mangia da dio.
Per il resto, in una città dove hanno fatto una nuova linea di metrò nel tempo che a Milano hanno fatto una stazione e dove ci sono il doppio di sale cinematografiche che in tutta Italia, mi affido alla rivista Pariscope ed al caso.
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Mi faccio la mia giornata lavorativa, non senza allietarla con qualche giro in moto. Guidare a Parigi, soprattutto in moto, non è roba per principianti. Lo stile somiglia molto a quello milanese: se non sono in coda vanno tutti alla massima velocità possibile, nessuno si ferma ai passaggi pedonali, le moto tendono a fare tutte le preferenziali ( almeno a Milano è legale), non sono ammesse incertezze. Divertente, tranne che per gli inglesi: me li immagino, tutto il giorno a girare intorno all’arco di trionfo senza riuscire a beccare una di quelle maledette avenue.
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Lascio Parigi per Amsterdam. Voglio andarmi a cercare un po’ di belle strade alternative, di quelle che sulla carta Michelin hanno il bordo verde e tante curve. La cosa non è semplice in Belgio ed Olanda. Decido di prendere l’autostrada A4 per Reims. La bellezza delle autostrade francesi è che , rispetto a quelle italiane, sono più larghe e con meno traffico. Complice la leggera discesa e la fresca aria del mattino, parto a razzo tra i campi di grano. Mi metto sui 180 e in cinquanta minuti sono arrivato. A Reims c’è una delle più belle chiese del mondo. Per me vale da sola un viaggio in Francia. Il gotico alla sua massima espressione. Si potrebbero stare ore a guardare le innumerevoli statue sulla facciata, o, una volta entrati, a farsi avvolgere dalla luce colorata che entra dalle immense vetrate dipinte. Esco bello rilassato e noto un gruppo di turisti polacchi che, saranno pure davanti ad una delle più belle chiese del mondo, ma fanno crocchio intorno ad alla moto più bella del mondo. Casualmente la mia. “ eh eh… salve… come?.. vengo dall’Italia… Quanto tempo?…E che ci vuole…con questa?…mi metto a 240…un attimo. Ora devo andare…sapete…Amsterdam, Berlino, Varsavia….Mosca….come?….devo stare attento in Russia? Ok…don’t worry…bye”
Parto verso il Belgio, ancora un po’ di supestrada. Il paesaggio è quello delle zone minerarie del nord. Case di mattoni e molti segni di emigrazione italiana. Pasta pizza e mozzarella. La strada continua a scendere, vabbè che vado verso i paesi bassi ma quanto bassi sono! A Charleville prendo la D988, i campi diventano boschi e una ripida discesa (!!) mi porta fino sulla riva della Mosa. Da qui iniziano un centinaio di km di strada in un paesaggio così perfetto da sembrare irreale. E’ la valle della Mosa. Il fiume scorre attorcigliandosi intorno a colline ripidissime coperte di boschi. Ogni tanto un paese interrompe il bosco e vari sistemi di chiuse scandiscono il corso del fiume, navigato perlopiù da barche di famigliole in vacanza. A volte il bosco è così fitto che cartelli raccomandano di accendere i fari. Un altro tratto da godersi a velocità turistica.
Lascio la parola a Pirsig:
“ Su una moto in corsa passi il tempo a percepire le cose ed a meditarci sopra. Su quello che vedi, su quello che senti, sull’umore del tempo e i ricordi, sulla macchina che cavalchi e la campagna che ti circonda, pensando a tuo piacimento,senza nulla che t’incalzi, senza l’impressione di perdere tempo”
Finita la valle entro in autostrada. Devo superare Bruxelles e arrivare ad Anversa. Un sacco di traffico, un sacco di svincoli. I Belgi, sarà perché sono tanti in un paese piccolo, viaggiano molto più lentamente dei francesi. Mi adeguo e a 130 attraverso tutto lo stato. Appena dopo Anversa entro in Olanda e giro a sinistra verso il mare del nord e le dighe. Un tunnel mi dice che lascio il continente per un’isola: la Zelanda. Le isole sono per gli olandesi terra di frontiera. I villaggi non sono circondati da mura ma da dighe, vedi passare barche molto più in alto della strada che stai facendo. Era una terra che non c’era per cui ogni albero ogni siepe è lì perché doveva essere lì. Aggiungeteci le strade con le curve ad angolo retto e l’impressione è quella di essere in un plastico.
Le enormi dighe mobili che separano il mare dai vari rami del delta del Reno sono veramente impressionanti. Prima di Rotterdam ce ne sono quattro e tra l’una e l’altra mi perdo tra le stradine di campagna tra mucche, oche e fagiani. Una bella passeggiata prima di salire su un altissimo ponte che supera il porto di Rotterdam. O meglio, una parte del porto, che è il più grande del mondo ed è lungo cinquanta km. Rientro in autostrada ed arrivo ad Amsterdam.
Amsterdam….le tre cose che faccio sempre quando sono ad Amsterdam?….eh eh…. Passiamo direttamente alla seconda: il museo Van Gogh, è come un concerto di Springsteen, lo puoi vedere cinquanta volte ed è sempre diverso. E poi un bel ristorante indonesiano. Ce ne sono tantissimi e sono ottimi. Diciamoci la verità…Amsterdam per tutti i mezzi che non abbiano due ruote e due pedali è solo una rottura di palle. Ponti, ponticelli, passaggi pedonali, un sacco di biciclette, pattini, cani, zone con il limite di 30kmh….. grazie alle amicizie altolocate parcheggio la moto nel posto più sicuro della città, il cortile della banca centrale, giusto sopra il caveau, e passo una giornata passeggiando.

Venerdi. Sveglia presto che domattina devo essere a Mandello e oggi ho da fare tutta la Germania.
Autostrada, buon passo, supero strombazzando una California II, chissà se è diretto a Mandello, e arrivo al confine tedesco. Germania limite in città 60kmh, limite su strade extraurbane 100kmh, limite in autostrada “consigliato” 130kmh. Grande! La regina del trasporto individuale! Mi piacciono i tedeschi al volante perché sono corretti, prudenti ma vanno forte. Per spiegare quanto vadano forte facciamo un salto in avanti di qualche ora: autostrada da Stoccarda ad Augsburg. 140 chilometri contrassegnati, forse perché ondulati e con leggeri curvoni, dal limite di 120kmh, non consigliato ma effettivo. Venerdì pomeriggio, traffico sostenuto di famigliole dirette a sud. Mi metto sulla corsia di destra, il mio tachimetro (nuovo) segna 150kmh, in centoquaranta chilometri non supero una, a ribadisco una, macchina. Qualche camion, per il resto mi sembrava di essere fermo. Torniamo indietro. Faccio l’autostrada fino a Colonia. Dopo quella di Reims anche qui faccio una sosta cattedrale. Un’altra chiesa di quelle impressionanti e con uno strano destino. Ci sono foto di colonia nel 1945 in cui si vede una distesa di macerie con in mezzo una cattedrale. Probabilmente in tutta la città non c’è una pietra che risale a prima della seconda guerra mondiale, e la cattedrale credo che sia l’unica al mondo che sbuca dal tetto di un parcheggio sotterraneo. L’effetto è un po’ paradossale ma comunque merita la visita. Riparto e a Bad Godesberg scendo sulla riva del Reno. Da qui a Wiesbaden sono 140 km di valle del Reno, ed è una strada che vale la pena percorrere. Decido di farlo sul lato sinistro e vado… vigneti, castelli e il grande fiume solcato da chiatte di ogni tipo. Poi di nuovo autostrada, dopo Francoforte taglio per le dolci ondulazioni della foresta nera, ancora autostrada fino ad Augsburg, e svolta decisamente a sud fino a Garmisch-Panterkirchen. Mi riavvicino finalmente alle alpi, appena le vedo tutta la stanchezza dei 950 km fatti oggi mi passa e mi godo gli ultimi chilometri di curve. Le alpi Bavaresi non arrivano a 3000 metri ma sono impressionanti per le pareti di roccia nuda altissime e verticali. Trovo da dormire in una casa e faccio un giretto. Sono contento di essere qui perché per un appassionato di sci, oltre che di moto, se Kitzbuhel in Austria e l’isola di Man, Garmisch è Assen ( vabbè… allora Wengen è Laguna Seca, la Val Gardena è il Mugello…. e la Val D’Isere? … ? ‘azz…mi manca la Val D’Isere!). Peccato non ci sia neve.
….
Mattina di sabato…partenza per Mandello. Mi aspettano tre passi, il Fern, il Resia e lo Stelvio.
Entro in Austria e son subito bestemmie perché gli autoctoni hanno pensato bene di mettere indicazioni stradali che ti portano sempre ad imboccare autostrade. Perdite di tempo ad ogni incrocio, magari tre giri di rotonda per capire qual è la mia strada , alla fine imbocco la salita del passo Resia. L’andatura è allegra e supero due moto con targa tedesca. Una curva, due, sento un rumoraccio che viene da dietro e due presunti missili che mi superano con fare intimidatorio. Sono i tedeschi di prima. La salita si fa più seria e si avvicinano i tornanti che non sono molti e sono abbastanza larghi. Riconosco davanti a me una Suzuki GSX R 750. Dunque, oggi ci sono le prove a Donington ergo quello davanti a me non può essere Rossi e neanche quel flaccidone di Roberts Jr quindi vale la prima legge della Guzzi in montagna: dato che escludo che i miei freni siano peggiori dei tuoi posso frenare dopo di te. Dal che deriva la seconda legge della Guzzi in montagna: non mi stacchi, è inutile…non mi stacchi. Primo tornante, il crucco frena, come volevasi dimostrare gli sono dietro, apro il gas in uscita di curva ma devo richiuderlo un po’ per non tamponarlo (!). “azz…ma non c’hai 120 cavalli? E dove sono, da tuo zio stalliere?”. Breve rettilineo, si allontana ma mi avvicino in frenata “guarda che io c’ho l’integrale e posso frenare ben dentro la curva neh!”…stavolta incrocio la traettoria e apro il gas, lo supero di una buona mezza moto fino a che lui non arriva ai suoi quattrocentomila giri e mi passa con tutto quel rumoraccio di cilindretti. Ma, poveraccio, deve mettere la seconda, io no, io tiro la prima ancora un po’così mi avvicino. Faccio appena in tempo a mettere la seconda -immagino che lui sarà in quinta- che arriva l’altro tornante, stavolta a sinistra. Stavolta sto all’interno, lui frena, io(dopo) freno, gli sono di fianco, sono a cento curva e apro tutto il gas, sento la mia ruotona che addenta l’asfalto, i cilindri che riprendono a più non posso, faccio in tempo a vederlo nello specchietto prima che mi ripassi sul rettilineo. Così per tutti i tornanti, ci tengo a dire che, salendo la strada per degli enormi pratoni non c’era neanche una curva cieca e non c’era traffico. Una strombazzata ed un saluto reciproco una volta arrivati in vetta mette fine alla contesa mentre lui si ferma a far benzina. In fondo siamo rimasti tutti e due contenti, il crucco perché è arrivato davanti, io perché con una moto con cinquanta cavalli in meno (ma con 2kgm di coppia in più alla metà dei giri) gli sono stato dietro. Una bella pacca sul serbatoio della cali e via per la discesa tra i prati della val venosta. Spettacolari! Fine della discesa e bivio per lo Stelvio. Il passo preso dalla parte Trentina è mostruoso. Si capisce perché è il mito di ogni ciclista quando ai piedi della salita si vede il cartello “tornante n°48”. Sarà per la recente battaglia col crucco suzukato, sarà per la strada in sé, mi butto per la salita come un assatanato, prima-seconda, prima-seconda, tutte le marce tirate a non meno di 6000 giri, supero tutti. Moto, bici, macchine,pedoni, mi avranno preso per scemo ma chi se ne frega, mi godo i miei dieci minuti di irrazionalità e sono in cima. Pausa sigaretta e coca cola e in discesa verso Mandello.
Con calma la Valtellina e il lungo lago e il mio Milano-Mandello finisce allo stand di Anima Guzzista.
Sono contento di aver fatto questo giro. Primo per una ragione “politica”: ho attraversato Francia, Belgio, Olanda, Germania e Austria senza passare una frontiera e senza dover
“cambiare” , e questo è bellissimo. L’altra ragione è che benché in un anno e quattro mesi abbia fatto 30000 km con il mio California, anche con delle belle trasferte e su strade di tutti i tipi, questo è stato il primo vero viaggio con questa moto che adesso è più che mai la MIA moto. Il perché naturalmente l’ha spiegato Pirsig:

 

“con l’andar del tempo le sensazioni che una particolare moto ti da si individualizzano sempre più, tanto che quando ne provai una identica alla mia – stessa marca, stesso modello e persino stesso anno di fabbricazione – che un amico mi aveva portato a riparare, sembrava impossibile che fosse uscita dalla stessa fabbrica. Si vedeva benissimo che da molto tempo aveva trovato il suo ritmo, la sua andatura e il suo rumore, che erano completamente diversi da quelli della mia.
Immagino che questa si possa chiamare personalità”

Il Gigante Buono

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di Dondolino
PRIMA PARTE

Ieri ho comprato la mia terza Guzzi.
È bellissima, la mia vecchia nuova V7 850 Special; è ancora lontana e non vedo l’ora di averla nel mio garage, ma è bellissima lo stesso.

Ma andiamo con ordine.
Entro nell’enorme officina di Stefan, dal quale avevo preso appuntamento; Balingen-Rosswangen è a quasi 300 km da casa mia, ma valeva la pena perché le foto promettevano bene.
Entro. Penombra. Profumo di Guzzi; forse trenta stanno parcheggiate nelle ampie stanze assieme ad altri veicoli, un vecchio sidecar BMW e una Benelli Tornado (quella vecchia) saltano all’occhio.
Lui è già lì; lo vedo da lontano, troneggiante e lucido; è lui? È lui! Mi guarda, io lo guardo, solo da lontano ma è già amicizia, annusamento reciproco o se volete affinità elettiva. Per timore (io a volte sono un po’ infantile) che non sia lui il mio destriero, non mi avvicino all’oggetto del desiderio e vado direttamente a cercare e salutare Stefan, che mi dice “è di là, vattela a vedere per bene per 5 minuti, poi la portiamo di fuori”. Corro di là, stavolta per vederlo da vicino.

Ovviamente è proprio lui – repetita iuvant – bellissimo.
Me lo guardo per bene nei dettagli, girandoci attorno. Che belli, i cerchi a raggi coi tamburi! Che eleganza nelle filettature sui parafanghi! Che luccichio negli scarichi e nelle altre parti cromate! Che bella la cromatura del serbatoio, nuovissima, e poi i filetti e le vernici in bicolore bianconero! L’impatto visivo è notevole, un purosangue così può, così com’è, essere parcheggiato davanti a qualunque caffé o Biergarten…

Controllo i cavi, che sembrano tutti a posto, poi mi metto alla ricerca dei difetti. Il primo e più evidente sono gli adesivi su serbatoio e fiancatine, vecchi e rovinati (secondo me perchè tolti e rimessi dopo la riverniciatura) e messi sopra la vernice invece che sotto il lucido; risaltano troppo sulla vernice nuova e penso che li cambierò. Trovo anche una o due piccole imperfezioni nella vernice: graffietti eliminabili col classico pennellino e nulla più; mancano i documenti e il libretto di uso e manutenzione originali, si rimedierà su Ebay; infine, la gomma posteriore da 130, “abusiva” e non omologabile in Germania; ma che importa, tanto arrivano due gomme nuove di pacca e di misure legali.

Bene, come lo chiamerò? Il nome era già pronto e doveva essere Glamdring, come la spada di Gandalf; ma la cosa, una volta che sto lì e lo guardo, non si adatta a questo gigante pacioso d’altri tempi; ed ecco che, quasi, forse, mi pare, vuole che mi avvicini?…. Io lo guardo….lui se ne sta lì, antico e solenne; sì, cerca di dirmi qualcosa…cosa vuoi dirmi, vecchio e già caro nuovo amico? Un lampo: Tom Bombadil.
Già: Tom Bombadil! Il gigante antico e buono, che è sempre allegro e che, come una Guzzi, canta sempre e parla in rime! Sì, ti chiamerai – ti chiami già, ti sei sempre chiamato – Tom Bombadil. Se un giorno avrò un’altra moto d’epoca più piccola (Airone? Falcone?) la chiamerò, come tua moglie, Goldberry…

Ma già si avvicina l’ora, il mio gigante buono deve sgranchirsi un po’ e farmi sentire come canta…
Stefan lo porta di fuori, Dio che spettacolo, speriamo che non si riveli un gigante dai piedi d’argilla, o un Tom Bombadil made in Taiwan…

Il primo tentativo fallisce, uno schiarimento di gola. Al secondo tentativo, comincia a cantare. La consueta, dolce melodia da minimo perfettamente regolato accarezza le mie orecchie guzziste e le vizia in modo quasi svergognato. Il suono consueto, ma un po’ diverso da quelli che conosco, come al solito, suscita un misto di confusi ricordi di bambino, che vengono da chissà dove ma probabilmente da moto di Carabinieri e Polizia; bagliori improvvisi di mattine assolate, o di pomeriggi passeggiando o giocando a pallone per strada: un rumore noto, ti giri, lui passa, tu pensi ad altro nella tua mente bambina o continui nei tuoi giochi; ma qualcosa, in qualche modo, resta. È quel suono, l’inconfondibile colonna sonora di un pezzo di te; è unico come te e me, è forse il motivo principale (ma ce ne sono altri) per cui sono alla mia terza Moto Guzzi; non una dopo l’altra, ma una assieme all’altra…

Se ami le cose di una volta o fatte come una volta, un orologio meccanico o una bella pendola, le vecchie Moto Guzzi ti dicono sicuramente qualcosa.
Se sei il tipo che non gradisce la soluzione standard, il prodotto anonimo e senz’anima; se tieni le tue viti in vecchie scatole metalliche di biscotti invece che in freddi contenitori di plastica; se vuoi il parquet vero invece di quello finto solo perchè è quello vero e la natura lo ha fatto così; se non ti interessa cosa ha o fa un oggetto, ma le sensazioni che ti dà e quello che ti comunica; bèh, se sei fatto così probabilmente sei un Guzzista e magari nemmeno lo sai.

Ma ecco, Stefan parte e fa un giretto di riscaldamento, poi mi affida il gigante per una piccola prova.
Emozione.

Il freno anteriore (e questa potrebbe essere l’unica spesa ancora da fare) frena meno di quello posteriore; Stefan dice che una frenata del genere è normale ma a me sembra strano, eventualmente farò rivedere il tutto.

La guida è ovviamente “vecchio stile”: il cambio funziona molto bene ma è dalla parte sbagliata e di conseguenza il freno pure e ogni volta che voglio frenare non solo non freno, ma innesto automaticamente la marcia superiore….. perÚ il comando a bilanciere è una soluzione molto pratica, Stefan mi dice che è originale e non, come credevo io, un’aggiunta “simil California”.

La moto vibra che è una gioia, anzi è una gioia ancora maggiore sentire il fido due cilindri nella versione 1969 quando già si conoscono bene le versioni 1987 e 2002. È inconfondibilmente lui ma nello stesso tempo è sicuramente un motore d’epoca: fantastico!

La posizione di guida invece è stranissima: siedi eretto, comodo, ma col manubrio più in basso di quanto ti aspetteresti su una moto moderna; c’è il solo specchietto sinistro e chissà se nel 1969 era obbligatorio. Il cavo del gas penzola, oscenamente visto con occhi moderni, da sotto la manopola di destra. Bella la strumentazione e più bella di quelle detomasiane degli anni ‘70, anche se l’ago del contagiri “balla” troppo oscillando vistosamente.

Faccio due giri, non uccido nessuno perchè nessuno ha il coraggio di sfidare la sorte uscendo per strada: mamme preoccupate fanno rientrare in casa i bambini indicandomi col dito; per frenare mi incasino enormemente ma, dai e ridai, alla fine ci si riesce; infine mi fermo e non mi pare vero: due settimane fa esatte ero al Veterama, la grande fiera tedesca delle moto d’epoca, la ricerca ancora in alto mare e Nuovo Falcone militari non restaurati offerti anche a 3500 euro o più. Adesso sono sceso dalla moto che mi sto per comprare, più bella di qualunque altra che abbia visto, sicuramente non regalata ma non un furto. Ci rifarei i 4500 Euro? Non so, forse no, anzi non direi; ma cosa conta? Un Tom Bombadil non si vende.

Assieme a Stefan ce la guardiamo ancora per bene, mi mostra e spiega alcuni dettagli.
Telaio completamente “scartavetrato” e riverniciato con l’antiruggine prima di dare la vernice nera al telaio; in un punto c’è un “taglio” per mostrare in sezione il lavoro fatto, però si vede anche dalla raschiatura per rendere visibile il numero di telaio. Mi riguardo il serbatoio, i fianchetti riverniciati, i parafanghi anche loro con le filettature a regola d’arte, l’impatto ottico è impeccabile.
Motore pulito e strigliato, lo stesso per gli altri organi meccanici e, finalmente, bellissime teste tonde! Gli scarichi sono cromati e lucidissimi, anche loro apparentemente nuovi o fatti cromare di fresco, lo stesso per i restanti particolari cromati.
Gli ammortizzatori posteriori sono Koni cromati, quindi non originali ma va benissimo uguale.
Stefan mi mostra la scritta “Borrani” sul cerchio anteriore, i raggi sono in acciaio inossidabile, il complesso tamburo-giunto cardanico è una gioia per gli occhi… Cosa aspetto ancora? Datemi una penna e firmiamo ‘sto contratto!
Dopo venti minuti le formalità sono sbrigate, ritirerò la moto quando avrà l’omologazione/revisione e la perizia certificante l’appartenenza della moto al patrimonio veicolare storico, poi io dovrò fare la targa speciale per veicoli storici, bollo e assicurazione.
Ci vorra del tempo. Ma poi andrò in giro per foreste, a sentire Tom Bombadil cantare…..

 

 

SECONDA PARTE

È stata consegnata l’altro ieri, alle dieci e mezza di sera, dalla ditta di trasporti scelta per trasportare il prezioso bene. Un’emozione violenta vederlo di nuovo, aiutare a scaricarlo dal furgone, parcheggiarlo in garage, restare a guardarlo sotto la luce elettrica: benvenuto, Tom Bombadil, non vedo l’ora di sentire il tuo canto!

Questa mattina, il momento è giunto. Oggi è festa qui in Germania (Ascensione), è una mattinata stupenda e tutti e tre (il cielo, Tom Bombadil e io) siamo in forma eccellente. Foto di rito, poi piano piano i primi giri senza uscire dalla cittadina dove vivo, perchè, come detto, è tutto a rovescio: cambio, freni, frecce, luci e bisogna stare molto attenti.

Salendoci e pensando a come erano piccole le moto di allora penso che deve essere stato, all’epoca, veramente un gigante…

Nel frattempo i bambini sono spariti, un gatto mi guarda ignaro del pericolo. Affari tuoi, micio, attento che la Guzzi può essere una passione fatale…

Il suono è leggenda, il motore vibra e canta felice; occorre sì fare molta attenzione (l’Audi 80 al primo incrocio, vedendo la quale ho scalato marcia invece di frenare, mi resterà impressa per un po’…), ma piano piano ti abitui. Le marce sono, come dire, pochissime, il freno motore è di una brutalità sconosciuta, il cambio è il cambio Guzzi trentaquattro anni di miglioramento fa e richiede un misto di dedizione, determinazione, precisione e comprensione, ma poi addirittura funziona. È bellissimo concentrarsi nella guida (arriva una macchina…frena… che succede…aiuto!!!), sentire queste vibrazioni note e tuttavia antiche, il rombo del motore quando apri è – non mi viene un altro termine – ogni volta un’ emozione.
Approfitto della situazione e del poco traffico e mi guardo a ripetizione rispecchiato nelle vetrine, provo una gioia infantile nel vedere questo bellissimo gioiello restaurato a puntino che riluce nelle vetrine, pensando “ecco, è mio”. Non ci separeremo mai, perchè una Guzzi non si vende, come non si vendono i ricordi cari, o i pezzi di noi.

Lo parcheggio in garage, me lo guardo. Me lo riguardo. All’improvviso la vita prima che mi comprassi una moto d’epoca mi sembra lontana, come ti sembra lontano il passato prima di un evento importante. Adesso lo so, io ero nato per avere Guzzi e una Guzzi d’epoca. Doveva succedere, e basta.

Preparati, Tom Bombadil, ci faremo delle bellissime passeggiate nel bosco, cantando ognuno a modo suo.
E se un giorno ti dovessi sentire solo, dimmelo.
Ché si pensa anche a Goldberry…

Dondolino

La nostra storia

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di Paolo Gambarelli e Maurizio Pambieri

 

Niente di eclatante, ma come a volte capita, alcune vecchie signore di nobile estrazione, con tanto olio di gomito e soli pezzi fatti in casa, rinascono a nuova gioventù. Alcuni gadget di invenzione in strani materiali tipo ergal, anticorodal e carbonchio, molto probabilmente inutili, un po’ come il telefonino regalato alla propria nonna… divertente, ma alla fine per lei del tutto superfluo; il solito radiatore per alleviarle la calura delle giornate più assolate, le solite valvole cardiache e carburatori maggiorati con una delicata lucidatura dei condotti orali per meglio farle apprezzare l’aria primaverile ormai vicina.

Il reimpianto completo in treccia metallica e arti flottanti di tutto l’apparato tenditore e vascolare; il misterioso albero della vita OSS, una foratina a quella ciclopica trottola volanica, una drastica riduzione e riassemblaggio dell’impianto elettrico; si sa… ad una certa età la saggezza può esprimersi senza una eccessiva profusione di contatti neurali. Un’amputazione decisa dei due femori inferiori del telaio, tanto è sempre andata su due ruote; un paio di sandali nuovi per meglio esaltare il blu dello smalto dei suoi piedoni da 18’’. Due tuboni, infine, cromati, lascito di un nobile antenato, uno Sport 14 e un fanalone, ricordo di una sua amorosa scappatella internazionale, una Minsk di terra vietnamita.

Pochi giorni fa, al ritorno dalla Romagna, ha iniziato a raccontarci di una strada a senso unico ricca di curve, tutta recintata e protetta da occhi indiscreti che da un po’ di tempo, troppo spesso, la inopportunano. A dir suo, un luogo paradisiaco… il carro celeste, il tramonto, la grande quercia. Occhi indiscreti? Sarà la sua età, sarà la sua disvelata nudità? Ci siamo guardati e un po’ incazzati abbiamo capito. Ma come, non ti hanno saziato tutte quelle piccole grandi soddisfazioni, là, sui passi di Bocca Serriola, di Bocca Trabaria e più su, sui colli forlivesi? E tutta quella fatica per alzarti le pedane, affinché non ti scorticassi! Niente. Abbiamo allora cercato un compromesso: ”il prossimo inverno ti liberiamo da quella fastidiosa catena!” Niente da fare; una giornata intera, in quel luogo paradisiaco, abbiamo dovuto prenotarle. Nel frattempo, sconsolati e preoccupati, cercheremo di non disturbare il suo meritato riposo.
Di una cosa però siamo certi; tutto questo ha già causato una situazione insostenibile e l’ira e l’invidia delle sue due sorelle, una T3 e una SP, sono già a mille; prima o poi anche loro vorranno i soliti quindici minuti di gloria.


P.S. La motosignora ci invita cortesemente a mandare un saluto a Roberto Moretti di Macerata per ringraziarlo dei giorni di villeggiatura trascorsi nella sua bottega.

DUILIO!

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"Reims 1955, Agostini 1° classe 350" Piero e Duilio nella squadra corse Moto Guzzi

Storia della collaborazione tra il meccanico Piero Pomi ed il pilota Duilio Agostini
Il personaggio che racconta la storia è Piero Pomi
La testimonianza è stata raccolta da Vanni Bettega

 

Piero Pomi oggi
Piero Pomi oggi

Il solito rombo fuori dal cancello, il portinaio poggia la sigaretta nel posacenere, esce dalla porticina e sollecitato da un paio di scherzose quanto energiche sgassate, apre il cancellone ed entra lui, col suo motocarrozzino con cui espleta commissioni di ogni genere, consegne e ritiri di posta urgente, accompagnamento di dirigenti all’aeroporto, ritiro di pezzi urgenti e quant’altro.

Il Duilio è quasi un’istituzione, è il più veloce nelle consegne.

Spera, intanto, che la commissione successiva sia destinata a Genova oppure Roma perché lui vuole diventar pilota come io volevo diventar meccanico, e considera questi tragitti alla stregua di un buon allenamento.

Su questi due percorsi vanta tempi di tutto rispetto, ma ciò non basta a metterlo in luce presso i dirigenti aziendali, che per questa sua mania, tendono quasi a ironizzare. Del resto, la sua vecchia FN, non può certo reggere. L’altro ieri abbiamo tentato di ripararla, aveva spanato i prigionieri della testa e abbiamo costruito una sorta di morsetto per tenerla assieme. Funziona, però non c’è speranza di partecipare a nessuna gara.

Siamo all’inizio stagione del 1952.

Io mi son fatto un discreto credito perché Thorn, il pilota cui faccio da meccanico, si è piazzato bene vincendo molte gare.

Dal dopoguerra, mi son fatto esperienze, sempre come meccanico,con molti piloti privati. Con Nino Martelli, Claudio Mastellari, Guido Baciocca, Dario Ambrosini, Piergiovanni Filodelfo, Perosino poi con Libero Borsari, Benott Musy, Jan Berà, Bovaris, Raccagni, Ozino Ermanno e Juvan Franta.

Comunque, adesso, sto facendo praticamente coppia fissa con Prikker.

In aprile, con Thorn Prikker vinciamo a Dieburg, a maggio a St Wendel e a Zandvoort, a giugno

vinciamo a Lipsia poi a Montschau, quindi a Feldberg.

Arriva il Duilio, raggiante. Mi dice che Galbiati di Monza gli presta un vecchio Condor e mi chiede se gli faccio io da meccanico.

Io sono ancora impegnato con Thorn, però, gli prometto che la stagione successiva mi terrò libero per lui. Il Duilio è un amico e per di più coetaneo.

In questa stagione lo aiuto saltuariamente, mentre gli è sempre vicino il Buliga, buon meccanico e molto volonteroso aiutante a 360°.

Duilio è molto tenace. Sfrutta appieno la sua professione per allenarsi sui percorsi lunghi, allora non si usava frequentare palestre. La sua palestra era la strada.

Addirittura vorrebbe costruire un simulacro della moto, su cui dormire la notte, in posizione rannicchiata come sulla moto!

E’ di costituzione tarchiata e robusta, ha polsi forti e molta resistenza alla fatica.

Il 10 giugno del 52, il Duilio si offre di consegnare un motocarro Ercole a Roma.

Gli serve per studiare il percorso, segue l’Adriatica e consegna a Roma il motocarro in circa 12 ore.

La settimana successiva, il 15 giugno, partecipa alla Milano Taranto.

Riesce a tallonare Francisci fino al levare del sole, poi Francisci, da buon veterano, sostituisce gli occhialoni bianchi notturni con quelli da sole. Il Duilio non ha occhiali scuri e comincia a perdere terreno, accecato dal sole in faccia. Comunque a Tolentino si fora il pistone e non c’è più niente da fare. Tutto rinviato all’anno successivo.

Comincio a seguire io la preparazione della moto. La prima vittoria arriva a Castelfranco Veneto, il 21 settembre del 52, al XI Circuito di Castello. Poi il 3 Maggio del 53 a Crema nella prima prova del Campionato di II Categoria.

Si vince ancora a Bergamo, il 10 maggio, al Circuito delle Mura poi a Busto Arsizio, il 14 giugno nella II prova del Campionato II Categoria.

La settimana successiva vogliamo partecipare alla Milano-Taranto.

Già il 15 giugno, appena arrivati da Busto, la moto è piazzata sul banchetto di casa mia, nello stallino che una volta era la posta dei cavalli e che ora ho attrezzato per lavorare sulle moto.

Ci lavoro la sera e la notte, dopo la giornata passata in Guzzi.

Ho modo di conoscere le modifiche e i miglioramenti approntati in Guzzi e ne approfitto.

Sia il Sig. Mondo che il Cav. Guzzi, quando mi vedono andare in attrezzeria forse capiscono che sto agitandomi per fatti miei. Capisco però che chiudono un occhio e forse due.

Comunque, il motore da me preparato in casa, lo voglio un po’ meno pompato rispetto a quelli ufficiali. Con analoghe regolazioni, in ditta si ottenevano 32 CV in luogo dei 34 ottenibili e i giri max dovrebbero essere 5400 contro i 5800. Però il tiro diventa un’altra cosa e la velocità massima, coi rapporti montati, dovrebbe sfiorare i 170 Km/h.

Preparo una ruota posteriore di scorta ben centrata e la equilibro sui coltelli col filo di piombo.

La monto sulla moto, preparo una catena alla lunghezza giusta in modo da non dover operare sui tendicatena.

Preparo 2 molle valvola tirandole a pacco col filo di ferro e faccio un forellino su tutti gli attrezzi che dovrò usare a Roma per il Pit Stop. Studio la miglior sequenza operativa da utilizzare per la revisione che dovrò effettuare a Roma. Mi esercito parecchie volte, col cronometro in mano.

Alla fine lego tra loro i ferri, nella sequenza che ho trovato più vantaggiosa.

Sulla moto, in posizione che non diano fastidio, lego col nastro adesivo un’infinità di ricambi.

Molle valvola, candele, fili doppi già in posizione, un castelletto valvole, le leve freno e frizione magari che si rompano in caso di caduta, elastici, filo di ferro, una camera d’aria, la pompa e le leve smontacopertoni e la dotazione ferri di serie.

Il sabato portiamo la moto a Milano, col motocarro.

Mentre il Duilio si prepara per il via, io prendo il treno per Roma.

A Roma, prendo possesso del box. Non voglio nessuno tra i piedi, neanche i più intimi amici.

Alla radio si trasmette la cronaca in diretta. Il Duilio conduce!

Nell’attesa acquisto un pollo arrosto per il Duilio, lo disosso completamente e lo sminuzzo in modo che il mio Pilota non abbia a perdere tempo. Ripasso mentalmente le operazioni che dovrò effettuare con un orecchio alla radio, che dà sempre il Duilio in testa.

 

"All'amico Pomi Piero a testimonianza di una apprezzata collaborazione, con sincera gratitudine e con i migliori auguri. Duilio Agostini"
“All’amico Pomi Piero a testimonianza
di una apprezzata collaborazione,
con sincera gratitudine e con i migliori auguri.
Duilio Agostini”

Finalmente si sente il rombo del suo motore. E’ lui! Ne riconosco il suono inconfondibile!

Faccio accomodare il Duilio e gli porgo frettolosamente il pollo e una bottiglia di acqua, metto la moto sul cavalletto, stacco la maglia della catena e il tirante del freno. Tolgo la ruota e inserisco la ruota che mi son portato in treno. Aggancio la catena nuova a quella vecchia con la maglia di congiunzione, di modo che la vecchia trascini la nuova in sede. Aggancio la maglia e quando blocco i dadi della ruota la tensione della catena è perfetta. Ricollego e registro il tirante del freno posteriore.

Passo al motore, col cacciavite faccio schizzare via le vecchie molle, inserisco le nuove e quando sono in posizione le faccio assestare tagliando il fil di ferro. Registro entrambe le valvole e passo al magnete.

Controllo e ripristino l’anticipo secondo il segno che ho tracciato sul volano e passo alla registrazione delle leve del freno e dalla frizione.

Rabbocco l’olio e la benzina nei rispettivi serbatoi mentre il Duilio si stiracchia dopo aver finito il suo pollo.

La moto è pronta, lui salta in sella e via! La moto scompare mentre il rombo si affievolisce sempre più.

Sono passati 14 minuti dal suo arrivo. Degli altri concorrenti non s’è presentato ancora nessuno.

Quando cominciano ad arrivare gli altri, io mi aggiungo alla calca di amici e simpatizzanti, in modo di aumentare un po’ la confusione, gli altri meccanici si beano del momento in cui stanno al centro dell’attenzione!

Quando si tratta di spingere la moto, mi offro anch’io di dare una mano. Solo che faccio finta di spingere e invece trattengo! Ogni secondo potrebbe tornare utile!

Rimetto i miei ferri nella cassetta, mi carico la ruota in ispalla e mi avvio all’albergo. Per un po’ ascolto la radio, poi mangio qualcosa e mi ritiro per farmi un pisolino.

Non ho più avuto la possibilità di ascoltare la radio e sono curioso di sapere cos’è successo.

Scendo le scale dell’albergo e la locandiera, mi si fa incontro gridando ” Abbiamo vinto!!

Abbiamo vinto !! ”

Sono d’accordo col Duilio di trovarci alla stazione, lui arriva in treno, la moto è spedita a parte.

Sul treno del ritorno, riesco finalmente a dormire, con la ruota a fianco e la cassetta sul portapacchi.

Quando mi sveglio, oltre Bologna, il mio soprabito è finito in terra nel corridoio. La gente che passa me lo calpesta senza riguardo chissà da quanto tempo!……E’ ridotto uno straccio!

Quando arriviamo a casa, il Duilio mi porta dal miglior sarto del paese e mi fa confezionare un impermeabile double face che così bello non s’era mai visto!

Lo conservo ancora, in ricordo di quella trasferta.

Dopo aver vinto altre gare, il Duilio conquista il titolo nelle 500 II Categoria, abbandona il motocarrozzino, rende il Condor in condizioni molto migliorate a Galbiati, smette di fare il mestiere di fattorino per entrare, finalmente, a pieno merito, nella Squadra Corse della Moto Guzzi, come Pilota di Prima categoria.

"Reims 1955, Agostini 1° classe 350" Piero e Duilio nella squadra corse Moto Guzzi
“Reims 1955, Agostini 1° classe 350”
Piero e Duilio nella squadra corse Moto Guzzi

Vanni Bettega

Vallelunga

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Peppe aziona il motorino ausiliario per l'avviamento

di Giuseppe Cavalieri

Finalmente è arrivato sabato, non si lavora (di solito), c’è meno traffico: insomma un giorno piacevole, una boccata d’ossigeno. Il sabato in questione poi è più piacevole del solito, dato che sto su un Ducato bianco alimentato a metano, decisamente diretto a Vallelunga.

Ebbene sì, siamo io e Claudio (CIPI) e stiamo andando alla prima gara di quest’anno della STW. Per questa volta c’è una bella novità, c’è in pista una Guzzi (dal 97) e, udite udite, con un pilota vero, nientepopodimeno che Samuele Sardi, l’unico campione italiano STW nel segno dell’Aquila.

Erano cinque anni che non vedevo Samuele ed è sempre il solite amicone. Dopo aver ricordato un po’ di cazzate dette e fatte, passiamo al presente, “Come ti sembra?” chiedo a freddo. “Bella, è bella”. “Come te la senti sotto?”. “Un po’ dura”. Stiamo parlando della moto ovviamente, mi dice poi che nelle libere di venerdì ha girato in 1,30, ma che il margine per migliorare c’é.

Poi dopo i primi mugugni di Claudio, cominciamo a lavorare: bisogna preparare la moto per le verifiche tecniche. Montiamo il sottocoppa per l’olio, leghiamo i tappi e via alle verifiche. Samuele come al solito dimentica la licenza. Intanto nel locale verifiche noto una bilancia, approfitto al volo ehhhh!!!! 194 kg!!! Perché l’ho pesata? Alla meraviglia dei presenti rispondo prontamente : “Ma no! C’è il pieno di benzina (due litri). E poi mi ero appoggiato (la tenevo con il mignolo). Peserà sì e no 160 (magari!)”. Poi andiamo a metterle le scarpe nuove: Metzeler Rennsport e ritorniamo al box.

La moto, dice Samuele, si guida molto bene, è neutra, tiene bene la traiettoria, solo che è troppo caricata in avanti a livello di semimanubri. Lui vorrebbe in pratica una posizione di guida più alta, così la sento di più, dice. Claudio materializza due semimanubri più alti di 2 cm, che monto in meno di cinque minuti. E’ pronta!

Pomeriggio: intanto è arrivato Fange e andiamo insieme a piazzarci alla curva Semaforo per goderci le prove ufficiali. Tre giri e Samuele stampa 1,28 e 6. Quindicesimo tempo assoluto, senza forzare, con tranquillità. Tre giri ancora, poi rientra.

Allora? “Va bene, solo che tocco con le pedane. Vedi se riesci a convincere Claudio a tagliarle”. “Ci provo” dico io (in effetti ci metto quasi 2 secondi per convincerlo). Adesso è perfetta, a domani.

La gara.

Dall’alto della tribuna dove mi ero piazzato, guardavo Samuele sulla griglia di partenza e guardavo soprattutto le 22 moto dietro, una rappresentativa di Ducati tutte sicuramente più competitive della nostra moto. (Sarà forse manico?).

37 moto in griglia, 34 Ducati, 1 BMW, 1 Suzuki, 1 Guzzi.

Alle 16,50 suona la sirena. Pronti, via.

Samuele fa una bella partenza come al solito, molla la frizione e via di coppia liscio come l’olio. Primo giro passa quindicesimo, secondo giro quattordicesimo, ma vedo che guadagna sensibilmente nel misto, quello che purtroppo perde dalla Roma ai Cimini e fa impressione quanto esce forte dalla Trincea, dove riesce a fare la differenza. A metà gara si incolla a due Ducati che però lo rallentano nel misto. All’ottavo giro stampa 1,28 netto e dopo due sorpassi in staccata, passa in tredicesima posizione, puntualmente viene ripassato sul rettilineo, ma con un sorpasso da manuale all’ultimo giro riesce a riportarsi in tredicesima posizione e passa sotto la bandiera a scacchi. GRANDE!!

Da Vallelunga Peppe Cavaliere e Claudio Petrassi (CP)

Breva: provata!

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di Nicola Sabini

 

Finalmente la Breva è in produzione ed io ero 9 mesi che aspettavo questo giorno. Prendo la mia piccola Saxo Diesel senza il turbo e mi faccio i miei bei 600 km che mi separano da Marsiglia a Milano per recarmi da Scola a provare la mia futura moto. Possiedo un 1100 Sport di cui non mi separerò ma per motivi di lavoro e di svago ho bisogno di una moto che possa avere delle valigie ed un baule per contenere il computer portatile e vari documenti, che sia leggera ed agile nel traffico, che mi consenta di vestirmi in giacca e cravatta (da pupazzo) per recarmi dai clienti.
Appena manifesto il mio interesse per la Breva i miei colleghi guzzisti del club i “SETTE NANI” cominciano a dirmi che per i mei 198 cm la Breva è piccola; Scola addirittura mi dice che non può farmi provare la bella in quanto per il momento non è disponibile la sella “Lady”, come al solito i centimetri logorano chi non ne hanno. Ma io testardo ariete e ormai innamorato la voglio provare.
Prendo le chiavi ed un casco, gentilmente prestato da Scola e salgo sulla bella. La posizione di guida è eccellente, leggermente caicata in avanti, le pedane ben posizionate: nonostante la mia mole mi trovo a mio agio. Avvio la moto e sorpresa un bel rumorino esce dalle marmitte, compatto e sonoro, un suono migliore della mia 1100 con scarichi originali. Innesto la prima e già mi accorgo che il cambio è diverso, rapido e preciso negli innesti, si inseriscono le marce senza forzare sulla leva del cambio. Parto e apro il gas, il motore è pronto senza vuoti particolari, non potentissimo ma adatto al tipo di moto. Mi infilo in mezzo al traffico zig-zagando tra le auto, facile e divertente, allungo la terza e lascio le mani dal manubrio, e con le gambe che stringono il serbatoio la scuoto a destra e sinistra, la moto rimane stabile e lo sterzo non sbanda, caratteristica delle vecchie Guzzi delle serie minori, ma invece rimane stabile come la mia 1100. Non ho riscontrato la leggerezza dello sterzo che hanno rilevato i miei colleghi. Anzi la trovo molto più stabile e precisa della sua dirette concorrenti, le Honda Transalp, i vari enduro serie 650, le Yamaha Diversion e XJ600 tutte moto da me provate. La frenata è buona: il disco da 320 mm svolge egregiamente il suo lavoro aiutato dal cardano che in chiusura gas frena la moto, senza bisogno di usare il disco posteriore che io personalmente non uso mai in quanto non ne sento il bisogno. Non ho provato la moto a forti andature in quanto non interessato alle prestazioni, ma interessato piuttosto all’uso quotidiano della stessa. Per correre c’è la 1100 Sport…
Tra non molto accanto alla mia 1100i Sport, nel garage di casa ci sarà anche la Breva, spero solo che non sia troppo gelosa della piccola. Gran bel lavoro Guzzi, continuate cosi.

Bye bye, Japan!

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(storia di un colpo di fulmine)
di Gilberto

 

E già, esistono anche queste storie, quelle di motociclisti annoiati dalle giapponesi che decidono di cominciare a cavalcare miti.
Tutto è iniziato quando ho deciso di andare a Capo Nord, questo è l’anno giusto. Apro il box e vedo l’Hornet S che mi guarda e mi dice “ti ci porto io, stai tranquillo: sono una Honda e sono super affidabile!”, io le credo ma penso tra me e me che andare a Capo Nord è un’impresa, una grande impresa, andarci con l’Hornet è una vergogna.
Cerco tra Ducati, Aprilia e Guzzi dei modelli turistici, ma l’ST2 è troppo sportiva (e mi davano poco dell’Hornet), la Caponord non mi convince (endurona), vado alla Guzzi già sapendo che la Le Mans in offerta è troppo poco dedita al caricamento e la Breva è piccola.
Comunque non posso decidere solo tra Ducati e Aprilia, dopotutto ho sempre sognato una Guzzi: ci vado più per cazzeggiare che per comprare.
Mentre vado penso: ma perché non hanno fatto la Breva 1100 semicarenata?
Il concessionario vende anche la Kawasaki ZXR 1200 S, che sarebbe, razionalmente, la moto più adatta alle mie esigenze, ma faccio il vago e non cado in tentazione: a Capo Nord ci devo arrivare (vivo o morto) con il tricolore attaccato allo specchietto e la Kawa non si inserisce bene nel quadretto.
Arrivo, e Mauro (venditore) dopo avermi ascoltato non mi propone la Kawasaki, anche se gliene avevo parlato per fargli capire quello che volevo, lui mi dice “prova la California”, io gli dico “odio le custom e le cruiser” e poi la California non mi piace, cerco di chiedere come potremmo fare con la Breva, lui insiste “prova la California”. E facciamoci sto giro!
Lei non parlava, dopotutto ero con un’altra, ma si faceva ammirare, metteva discretamente in mostra le sue curve uniche e la sua vocazione di fedele compagna di 1000 avventure.
Faccio il giro con la California in prova (Titanium): Cristoforo Colombo non capirà mai quello che ho provato quando ho scoperto la California!
Maneggevole come una bicicletta, un motorone dolce e potente, un tiro ai bassi mai provato, marce lunghe e una posizione di guida da Capo Nord.
Torno entusiasta dopo mezz’ora (ho messo un po’ di benzina perché mi sentivo in colpa), e riguardo lei, sul cavalletto, mi fa uno sguardo perché capisce che cerco moglie, si propone, discretamente come solo lei sa fare.
Io le sorrido, penso a tutti i viaggi che farò con lei. Mauro mi guarda mentre la fisso e mi lascia fare.
Mi parla della Ev, della Titanium, ma io continuo a guardarla mentre parlo al tavolo con lui, tra tante guardo solo lei, mi sorride, mi fa vedere qualche scollatura, mi parte il giavarrone e dico a Mauro: “la Stone Touring quanto costa”?
Lei sente, capisce, sorride, mi manda un bacio.
Mi avesse detto 50.000 euro ci avrei pensato, ero ingrifato come pochi, lei ci sapeva veramente fare.
“9.990!”, penso: è fatta, è lei, ma devo dare indietro l’Hornet ormai abbandonata in fondo alla sala.
Tra sconto e valutazione devo dargli circa 4.000 euro, gli chiedo se me li può rateizzare a tasso zero, mi risponde di sì andandogli incontro sul costo che lui sostiene e accetto.
Lei intanto parla con le amiche, ridacchiano, tutte si complimentano con lei, io arrivo da dietro, fanno tutte le vaghe, stanno in silenzio, io la prendo, mi metto sopra, la bacio. Le amiche la invidiano: lei è la prescelta.
Un mesetto fa Patrizia (mia moglie) mi aveva regalato un quadro con delle Moto Guzzi d’epoca. Quando le ho detto: “indovina che ho fatto?” Lei mi risponde: “hai comprato la moto!” “Quale?” “La Moto Guzzi!”
Porto Patrizia il giorno dopo l’acquisto, gliela faccio vedere, si sorridono, non fanno le gelose, ci mettiamo in sella, ci abbracciamo tutti e tre: che bello!
Consegna: quando la metto in moto, la vibrazione iniziale la prendo come un bacio, piove e c’é vento ma nulla mi impedisce di godermi il mio nuovo amore. Mando un sms a Patrizia e le scrivo “adesso sono un Guzzista”, lei mi risponde “lo sei sempre stato”.
Fuori dal concessionario c’erano dei ragazzi che mi vedono lasciare l’Hornet e prendere la California, accennano a battute del tipo “Sicuro? Pentito? Rimpianti?” Io gli sorrido e penso “questi non capiranno mai!”.

A Misano al Campionato Naked

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di GianJackal

 

Ieri, per la prima volta per la mia veneranda età (28 anni) sono andato a vedere una gara motociclistica, ma non una gara qualunque… una competizione che ha visto schierate ben 5 Guzzi, tra cui una Furia che più special di così proprio non si poteva!
Io e mio padre (ex-Guzzista o meglio ex-Le Mans III ultrapentito di averla venduta) siamo partiti alle 10 da Tolentino (MC) sotto un cielo limpido e cristallino (ma l’aria era sinceramente un po’ pungente!): comunque eravamo in macchina (non me la sentivo di portare mio padre sul sellino di dietro per 160km all’andata e altrettanti al ritorno!).
Appena arrivati ho contattato via cellulare Tiberio Farneti, cortesissimo e altrettanto simpatico concessionario Guzzi di Rimini: dopo una ansiosa attesa di 10 minuti (avrò sbagliato ingresso? Si sarà perso? Non mi avrà riconosciuto?) si è presentato con due pass per i paddock (stando ai cartelli alla biglietteria i due cartoncini hanno un valore di 25 euro cadauno!).
Parcheggiata la macchina ci avviamo a piedi verso i paddock. Che dire, ne avevo sentito parlare, ma l’atmosfera che si percepisce tra i tendoni, i camion e i camper dei vari team è davvero affascinante!
Finalmente scorgiamo delle Guzzi… una Breva e due Ballabio… pronte per essere guidate da chi volesse provarle! Alzo lo sguardo e vedo tre Guzzi più o meno di serie pronte a darsi battaglia in pista… lo alzo ancora di più e vedo tre loschi tizi armeggiare intorno ai dischi perimetrali di una Furia… FURIOSA!
Io la definirei FURIOSA perché il cupolino che ci hanno montato (sembra di derivazione R6/R1), i due scarichi alti (o meglio CANNONI con collettori di diametro smodato) e i due semimanubri le danno una cattiveria unica!
Accanto alla FURIOSA la V11 dello sfortunato Basso, caduto alla fine del primo giro… ma di questo parliamone più avanti!

Io e mio padre per un po’ abbiamo staccato gli occhi da questo tripudio di Guzzi per andare a vedere una gara: non mi dilungo per raccontarvi che effetto fa vedere (e sentire!) per la prima volta moto con motori fino a 1600cc che si danno battaglia all’ultima staccata!
Tornati nell’harem Guzzi (ottima idea quella di mettere vicini i vari team con MG e la tenda del concessionario) e dopo esserci rifocillati con una bella piadina (20 minuti di fila… no comment ) siamo saliti in sella alle Guzzi per provare i modelli 2003.
Io ho scelto una Ballabio, mio padre la Breva. Purtroppo il concessionario di Rimini non aveva previsto una guida per chi non fosse del posto, quindi dovevamo andare in giro da soli. Al che io penso: prendo la Ballabio, guido fino a casa e mi ritrovo con due Guzzi!
Tornato in possesso della mio nobile animo ho visto arrivare un ragazzo con l’altra Ballabio in prova. Appena ha spento la moto gli ho chiesto se era del posto. Alla sua risposta affermativa gli ho domandato se era disponibile a farci da guida. Dopo una breve consultazione con il concessionario ci ha comunicato che era disponibile!
Ed ecco due Ballabio e una Breva che escono dal recinto dell’autodromo per andare a piegare sui colli romagnoli.
Le mie impressioni sulla Ballabio: la posizione di guida è PERFETTA per quanto riguarda il busto (che figata ‘sto manubrione) ma la posizione delle pedane mi crea automaticamente dei crampi all’altezza delle anche (ma io sono alto 1.83). Il motore gira che è un piacere (avendo poi 2500km all’attivo era anche sufficientemente rodato) con un rombo addirittura più convincente della Scura (merito del catalizzatore? Mah!). La guidabilità è eccezionale: in una bella curva mi sono trovato spontaneamente con una chiappa fuori dalla sella e con il ginocchio pericolosamente vicino all’asfalto (con la mia Jackal non ho mai osato fare una cosa del genere!). Unico difetto riscontrato è la rumorosità del cupolino già a 100km/h. Voto: 9+.
Le impressioni di mio padre sulla Breva: leggera, comoda, frizione morbida, cambio preciso, motore nettamente più brillante e regolare rispetto alla Nevada che aveva provato l’anno prima a Magione (PG). Voto: 10.
Le impressioni sulla nostra guida: ci ha fatto fare un bel giro che ci ha portato su un magnifico belvedere e su dei divertenti tornanti. Si è subito adeguato al nostro ritmo e ci teneva sempre d’occhio negli specchietti: dovrebbero proporlo come guida alla Guzzi! Voto: 10.
Per la cronaca si chiama Angelo ed è il felice possessore di una bellissima 850 T5 rossa.
Una curiosità: durante il giro ci siamo addentrati in una macchia e ad un certo punto un grosso volatile mi è passatto sopra la testa. Preso dalla suggestione ho subito pensato: wow! Un’aquila! Poi mio padre, appassionato di caccia mi ha prontamente smontato… è un fagiano. Voto: 6+.
Rientrati nell’autodromo abbiamo chiacchierato a lungo con la nostra guida, con il concessionario e, udite udite, con il maestro Bruno Scola. Ho così scoperto alcune ghiotte curiosità tecniche e ho capito quali vantaggi potrei avere sostituendo l’albero a camme della mia Jackal con quello prodotto da Scola: 3 cv in più, meno consumi e una seconda marcia che ti permette di affrontare tornanti da prima!
Intanto fervono i preparativi per la gara e cominciano ad arrivare altre MG e relativi piloti ansiosi di assistere alla competizione. Alla fine tra moto da competizione, moto in prova e moto di comuni mortali c’erano una quindicina di MG in bella mostra sotto il sole domenicale!

Mentre si scaldano i motori e i piloti indossano le tute faccio conoscenza con un tizio con la maglietta di Anima Guzzista: non molto ciarliero in verità…
Vengo a sapere comunque che Alberto Sala è presente nell’autodromo… purtroppo non sono riuscito ad incontrarlo e a conoscerlo… andrà meglio la prossima volta!
Ad un certo punto vedo una signora sulla quarantina inforcare una delle Guzzi da gara e schizzare via! Dopo qualche minuto la vedo tornare indietro e discutere con il pilota ufficiale (era la moglie? il meccanico? la mamma di Valentino Rossi?).
Finalmente le moto si schierano: ma che ci fanno delle Hornet 600 e SV650 lì in mezzo? Cosa?!? Ci sono pure dei 250 due tempi? Ma che è?
Scopro così che la gara è “mista”: gareggiano insieme naked 600, naked 1000 e 250 due tempi… ma le classifiche restano separate… non ho parole!
Intanto il giro di prova è terminato, si accende il semaforo rosso (ho lo stomaco annodato)… i motori urlano… semaforo spento… PARTONO! La miseriaccia, la FURIOSA è partita malissimo! Alla fine del primo giro una Guzzi cade e si ritira (scoprirò più tardi che è lo sfortunato Basso)… miii che bell’inizio!
Ho provato comunque a seguire la gara ma con quell’ammucchiata di moto diverse era difficile capire chi era effettivamente davanti.
Comunque la FURIOSA correva da pazzi, sia per il manico non indifferente di Sotgiu, sia per una preparazione unica! Penso che sul rettilineo la FURIOSA andava almeno 30km/h più veloce delle altre V11!
A gara finita ho saputo che Sotgiu era arrivato sesto, quindi perdendo una sola posizione rispetto a quella di partenza. Ho potuto anche vedere in faccia lo sfortunato Basso e la sua moto: la caduta in realtà è stata una banale scivolata, ma ha rotto la pedana del cambio… davvero un peccato!
Finita la gara io e mio padre abbiamo salutato tutti, fatto ancora qualche foto e poi siamo tornati a casa felici e soddisfatti.
Un grazie alla Guzzi (per i pass e anche per il solo fatto di esistere), a Tiberio, ad Angelo, a Ghezzi&Brian, a Scola, a mio padre e a tutti quelli che mi hanno coinvolto e mi stanno coinvolgendo in questa bella passione!
V
GianJackal

Così è se vi pare

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Piero Pintore

 

Domenica d’inverno.
Tra pioggia, freddo, guardie in ospedale proprioquandoc’èilsole, tappo della benzina bloccato ed altre traversìe, non vado in moto da circa due mesi.
Praticamente non ne posso più.
E’ piovigginato per tutta la settimana ma il meteo ha detto che dovrebbe schiarire…
La moglie già da un po’ mi ha detto che oggi sarebbe stata impegnata per tutto il giorno, non mi ricordo più dove e, comunque, è cosa saggia non indagare. Mai.
Quello che ricordo bene è la richiesta (cioè l’ingiunzione) perentoria: “Occupati della bambina!!”
Mi sveglio alla solita ora, prima delle otto, e dal lucernaio del bagno vedo il cielo grigio, ma non scuro.
Alle nove il cielo comincia ad aprirsi.
La moglie è uscita da un pezzo.
Tengo d’occhio il cielo ed aspetto che Eleonora, quasi dieci anni, si svegli. E’ domenica, come ho detto, e non me la sento di privarla anche solo di un minuto di sonno.
Mi siedo sul divano, cerco un film sul satellite, e aspetto.
Mentalmente ripasso le modifiche apportate nell’ultima sosta in officina del mio Jackal. Secondo disco anteriore, collegato alla pompa posteriore stile Guzzi anni ’80, sabbiatura dei coperchi delle teste e dei gambali della forcella, filtri KN, messa a punto… no, il film non riesco proprio a guardarlo… vado in cucina e preparo la colazione.
Passa il tempo, la bambina dorme come un angioletto… no, non posso proprio svegliarla. Eccheccacchio! Non posso essere così egoista! Il sonno dei bambini è sacro!!
Prendo tempo. Comincio a tirar fuori stivaletti, pantaloni in cordura, felpa in pile… ma lascio tutto in camera e scendo giù in soggiorno ad attendere.
Alle 11 il cielo è proprio aperto e quando sto per decidere che la bimba ha dormito abbastanza, eccola sbucare sulle scale. Scende lentamente, con una lunga camicia da notte bianca. Mentre si stropiccia gli occhi mi sembra la Wendy di Peter Pan. Arriva giù e allargandosi in una stirata molto assonnata mi saluta:
“Ciao. Mamma dov’è?”
“Oggi non c’è. Siamo solo noi due fino a stasera. Vuoi fare colazione?”
“Prima le coccole” decide, e viene ad abbracciarmi.
E va bene, mi dico, ha ragione, non ci sono mai…
Nel frattempo penso al tempo che passa, alla terribile brevità delle giornate invernali…
“E’ una bella giornata – le dico finalmente tutto giulivo – che ne diresti di andarcene in giro??”
“In giro dove?” E’ perplessa, anche perché è fondamentalmente pigra: non le piace uscire di casa senza uno scopo preciso.
“Piove da settimane, finalmente c’è un po’ di sole… andiamo a farci un giro!!”
E’ sempre più perplessa.
“Vabbè, come mi vesto??”
“Vai, lavati, e poi metti la calzamaglia di lana ed i pantaloni più caldi che hai, magari in velluto; camicia, maglione caldo e giubbotto”.
Mentre si avvia alla sua camera bofonchia:
“Ma babbo, perché quando esco con te devo sempre vestirmi da maschio? Ho un bellissimo scamiciato in lana nuovo nuovo…”
Ci siamo.
Ecco arrivato il momento della verità:
Con non curanza dico: “…pensavo di andare in moto…”
Si blocca, si gira e con la faccia più stralunata che le abbia mai visto: “IN MOTO?” mi chiede.
Io incasso e insisto nel tono noncurante: “Beh? Cosa c’è di tanto strano? – e poi, bastard inside – credevo che piacesse anche a te, andare in moto… Credevo di farti una cosa che ti facesse piacere… mi dici sempre che non facciamo nulla di bello, assieme…”
“Veramente ti ho detto che non vuoi mai giocare a scacchi, con me, comunque…
Vabbè, andiamo…”
FIUUUUUUUHH!!
ANDATA! Dico tra me.
Cominciano i preparativi, si sta facendo tardi, cerco di telefonare a Fabrizio, lo trovo, sì, si sta svegliando anche lui, vabbene, tra quaranta minuti al solito distributore all’uscita di Sassari, sì, poi vediamo… vedere la nuova pista a Mores? Si puòffare…
In tre minuti e mezzo ho già su tutta l’attrezzatura, pulisco la visiera del casco di Eleonora che, no, non ha guanti in pelle – “vediamo come ti stanno quelli di mamma – mabbabbo sono grandi – solo un po’, vanno benissimo e poi ti servono solo per attaccarti alle maniglie della moto…”
“Babbo, devo fare colazione…” “Non Ti preoccupare: appena arriviamo a Sassari… ci vogliono poco più di dieci minuti”.
Se Dio vuole il cielo sembra mantenersi aperto, non c’è un alito di vento, solo dei nuvoloni lontani sia ad occidente che ad oriente…
Arriviamo al garage, metto in moto… caspita, la batteria stava un po’ giù, farò i primi chilometri a fari spenti.
Finalmente si parte. Mentre vado a Sassari riprendo confidenza con la mia motazza, era tanto tempo che stavamo lontani…
Arrivo all’appuntamento con Fabrizio ma il cielo è più scuro. Mi rendo conto che l’unica parte con poche nuvole è quella verso la costa. Di andare a Mores non se ne parla. Occhèi vada per Alghero, ma facciamo la vecchia strada…
Usciamo da Sassari e ci dirigiamo per la vecchia strada di Alghero che tra ulivi e domus de janas, tra canyons scavati nel tufo dall’età glaciale, in una goduria di saliscendi e tornanti, sembra sia stata progettata da un motociclista. Vado piano, ho la bambina in sella, sì, insomma, sto particolarmente attento alle traiettorie, ai tratti in ombra che sono ancora bagnati dall’umidità della notte: la mancanza di vento si paga anche così.
Ad un certo punto a metà di un tornantino che ho preso nemmeno tanto allegro, SGRRAAT, sento sotto: macchediavolo è? Mi rendo conto che montare il cavalletto centrale non è stata una grande idea: è comodo in garage, ma in curva tocca subito. E non ho ancora un punto di riferimento per regolarmi.
Come tutti, infatti, ho i miei parametri personali per regolarmi quando sono in piega: con il California ho imparato che prima tocco con il bordo esterno dello stivale, poi con la pedana e poi, direttamente, con la marmitta ed il culo in terra contemporaneamente mentre la moto rotola dall’altra parte. Ecco, questo mi preoccupa: mi paralizza l’ipotesi che se la moto “punta” in piega sul cavalletto, io possa vedere la figlia atterrare su un muretto a secco.
Nonostante stia particolarmente attento, durante il percorso qual rumoraccio si farà sentire altre due o tre volte, ed ogni volta rallento e mi impongo di non esagerare. Povero Fabrizio, dietro di me starà mordendo il casco per il passo che stiamo tenendo…
Arriviamo ad Alghero all’una, giusto in tempo per renderci conto che i nuvoloni di ponente stanno per avere un randevù con quelli di levante proprio sopra le nostre teste.
Eleonora mi ricorda che ancora non ha fatto colazione.
I sensi di colpa del padre che è in me toccano l’apice: andiamo nella migliore pasticceria dove io e Fabrizio ci scaldiamo con un caffè e lei può finalmente rifocillarsi.
Quando usciamo sono le tredici e venti, ma è scuro come se fosse l’una e venti.
Ancora non piove ma bisogna fare in fretta a…
Occacchio!!!
La bambina NON HA una tuta antipioggia!!!!
Si è alzato un vento gelido ma appena calerà saranno secchiate…
Farò di necessità virtù: apro il bauletto, estraggo la Mia tuta antipioggia e la faccio infilare alla bambina. Lei mi guarda, sempre più stralunata, e poi si rassegna: “Meno male che qui non mi conosce nessuno!” esclama.
La misura è una XXXL: la giacca le arriva ai polpacci, le maniche rimboccate per metà, i pantaloni, ovviamente tirati su fino alle ascelle, si adagiano con un effetto Scaramacai su quelle che sotto dovrebbero essere le gambe.
Lai mi guarda rassegnata e mi chiede: “Devo fare altro?” con il tono di chi ti vorrebbe chiedere: non ti sembra di aver esagerato? Cos’altro mi devo aspettare?
Io non colgo la provocazione e rispondo, severo: “Certo! Devi salire in moto e devi fare anche in fretta!!”
Grazie all’aiuto di Fabrizio che assiste alla scena accusando dignitosamente lancinanti spasmi vescicali, Eleonora sale in moto.
Ci avviamo sulla strada dei due mari, tra Alghero e Porto Torres. Dopo una decina di chilometri inizia una fitta pioggerellina ghiacciata e sento il casco di Eleonora che si poggia sul mio dorso. Inizialmente penso che stia riparando la visiera del casco dalla pioggia ma delle strane oscillazioni laterali di quel contatto con bruschi ritorni al centro, mi allarmano. Mi fermo immediatamente e le chiedo che cosa stia facendo. Lei, con l’aria più innocente del mondo mi risponde: “Mi stavo addormentando.”
Terrorizzato le urlo.”Ma sei matta? Se Ti addormenti cadi, ed è pericolosissimo!”
“Sì – mi risponde lamentosa – ma scusa babbo: questa strada è tutta dritta e non c’è gusto… come si fa a rimanere svegli?”
E’ inutile, il sangue non è acqua.
Le dico di appoggiarsi al bauletto e di guardare il paesaggio: mancano solo 15 km.
Dopo dieci minuti entriamo a Porto Torres e ci infiliamo in garage giusto in tempo perché si scateni una bufera d’acqua mai vista.
Rientriamo a casa, preparo il pranzo e, mentre mangiamo le chiedo: “Com’è andata?”
“Ci vorrebbero più curve” mi risponde. E riprende a guardare il suo cartone animato.
Ed io mi sento un padre fortunato. Piero

* * * * *
Oggi mi sono svegliata tardi. Era domenica ed avevo molto sonno. Appena alzata sono andata in camera dei miei, ma era vuota. O meglio: babbo e mamma non c’erano, mentre sul lettone c’era la tuta da moto di babbo e lì vicino gli stivali. Strano, penso, babbo non è uscito. Forse piove. Ma allora perché ha tirato fuori tutta quella roba?
Scendo in soggiorno e trovo solo babbo. Ah, è vero, mamma è andata a quel congresso…
Babbo è stato un po’ frettoloso nel farmi le coccole del buon giorno e mi ha chiesto subito di fare un giro. Adesso capisco perché quella roba sul suo letto!!
Vabbè io ho ancora sonno però, se proprio insiste, tra un po’ magari lo accompagno a fare un giro. Solo che fa freddo, accipicchia!
Dopo un po’ me l’ha detto: vuole uscire in moto. Non riesce proprio a resistere, poverino: quando arriva la domenica, se non deve lavorare ha proprio bisogno di andarsene in moto. Io non ne ho molta voglia… però… come faccio a dirgli di no??
Quando gli ho detto di sì ha fatto finta di niente ma è diventato un ciclone: in un attimo era vestito, mi ha dato una mano ad asciugarmi e vestirmi, si è messo a telefonare, guardava continuamente fuori dalla finestra per controllare il tempo…
Mi ha fatto addirittura mettere i guanti di mamma, che a me stanno decisamente grandi. Ma era tanto felice, poverino, che non me la sono sentita di fare storie.
Non mi ha dato nemmeno il tempo di fare colazione: siamo subito partiti.
Io dietro di lui sto bene: la sella della sua moto è comoda e lui è grande e grosso (anche un po’ troppo, per la verità) e mi protegge bene dall’aria. Solo che davanti non vedo niente…
Appena siamo arrivati a Sassari c’era un suo amico e si stava tutto annuvolando. Senza perder tempo siamo partiti per Alghero facendo una strada che non avevo mai fatto. Era tutta curve e la moto si inclinava continuamente a destra ed a sinistra. Qualche volta babbo deve avere esagerato, perché sotto si è sentito il rumore del ferro che toccava la strada…
Però con babbo mi sento sicura, anche mamma lo dice che con lui si può andare tranquilli. Mamma ha anche detto che qualche volta corre un po’ troppo ma oggi mi è sembrato che andasse bene.
Quando siamo arrivati ad Alghero abbiamo finalmente fatto colazione. Peccato che stesse per iniziare a piovere. Babbo mi ha costretto ad infilare la sua tuta antipioggia. Io non ho avuto il coraggio di protestare ma mi sentivo molto ridicola. Ho pregato per tutto il viaggio di ritorno che a Porto Torres nessuno dei miei compagni di scuola mi vedesse conciata in quel modo. Ho tentato anche di nascondermi un po’ appoggiandomi a lui con il casco. Lui ha capito che c’era qualcosa sotto, ed infatti si è fermato per chiedermi cosa stessi facendo. Non ho avuto il coraggio di dirgli la verità, e mi sono inventata che mi stavo addormentando. Si è molto arrabbiato. Poi, quando gli ho detto che era la strada dritta a farmi venire il sonno si è calmato.
Meno male che siamo arrivati a Porto Torres all’ora di pranzo, e tutti i miei compagni erano a casa e non mi hanno visto conciata in quel modo.
Quando siamo tornati pioveva molto forte, ma ormai eravamo a casa.
Babbo ha preparato il pranzo e mi ha chiesto cosa ne pensavo della gita.
Io non sapevo che dire. L’unica cosa è che in rettilineo mi annoio. Gliel’ho detto e lui non mi ha risposto. Ma sembrava molto contento.
Eleonora

 

* * * * *

ECCO!!
LO SAPEVO, IO!!!
DOVEVO ASPETTARMELA, UNA COSA DEL GENERE!!!
PER UNA VOLTA, DICO…
UNA VOLTA…
CHE HO UN IMPEGNO DI DOMENICA…
CHE SONO IO AD AVERE UN IMPEGNO ALLA DOMENICA…
CERTO CHE POSSO STARE TRANQUILLA!!!
PERCHE’ LUI
IL SIGNORE E PADRONE,
LUI
IL GRANDE EGOISTA,
LUI…
NON PUO’ RINUNCIARE LUI A QUELLA MALEDETTA MOTO!!!!!
NON IMPORTA CHE CI SIA FREDDO,
NON IMPORTA CHE LA BAMBINA ABBIA LE SUE ESIGENZE,
NON IMPORTA SE NON E’ ATTREZZATA
NON GLIENE FREGA NIENTE A LUI DEGLI ALTRI!!!
L’IMPORTANTE E CHE LUI,
L’OMBELICO DEL MONDO,
IL CAMPIONE MONDIALE DELL’EGOISMO,
L’IMPORTANTE E’ CHE LUI POSSA ANDARE IN MOTO!!!!
SI DEVE SVAGARE, IL SIGNORE,
SE NE FREGA SE LA FIGLIA HA FREDDO,
SE LA PORTA SOTTO LA PIOGGIA BAGNATA COME UN PULCINO, L’IMBECILLE!!!!
– Mamma, guarda che non mi sono bagnata, mi ha fatto mettere la tuta antipioggia
– Quale tuta antipioggia?
– Quella sua.
BEEENEEEE!!!!
ANCORA MEGLIO!!!!
PERCHE’ NON GLIENE FREGA NIENTE, A LUI, DI CONCIARE LA FIGLIA COME UN PAGLIACCIO, DI RENDERLA RIDICOLA…
SE TU TI VUOI CONCIARE COME UN CIGHIALE, FAI PURE!!
MA MIA FIGLIA DEVE ANDARE IN GIRO VESTITA COME SI DEVE, NON COME VUOLE UN PADRE EGOISTA E IRRESPONSABILE!!
IN MOTO SOTTO LA PIOGGIA!!!
POTEVI AMMAZZARLA, DELINQUENTE CHE NON SEI ALTRO!!!
Rita
N.B.: Il resto è cronaca quotidiana nelle case dei Guzzisti…

 

Una Lodola per il Bepi

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di Vanni Bettega

 

Introduzione
di Fange

Questo racconto merita una premessa visto che il suo autore ha qualcosa di ‘speciale’!

Vanni Bettega è un signore che ha passato 36 anni della sua vita a svolgere diverse mansioni all’interno degli stabilimenti Moto Guzzi a Mandello del Lario. Potrebbe succedere facilmente che dopo tanti anni a contatto con un certo ambiente uno si senta un pò… ‘saturo’. Vanni invece ha lavorato sempre con tanta passione, così tanta che oggi ne ha ancora in abbondanza e ce la dispensa con le sue partecipazioni ai nostri incontri, con i suoi mille aneddoti, con i suoi consigli tecnici e le sue esperienze vissute li, in fabbrica, tra i banchi da lavoro e il rumore dei motori accesi.

Quanti libri si potrebbero scrivere con quello che Vanni racconta, come di quando De Tomaso non credeva ai suoi occhi dopo aver visto la potenza erogata dal V35 rispetto al suo 4 cilindri simil-Honda, o di quando in fabbrica nessuno avrebbe scommesso una lira sulla prima 850 Le Mans perchè tutti credevano fermamente nella 750S3, o di quando il lunedì mattina la tinta colava giù dai serbatoi appena verniciati perchè i forni non erano ancora in temperatura e fuori faceva -7.

Da un anno è in pensione ma quando uno nel cuore ha l’aquila della Guzzi stare lontano da quel mondo è come chiudersi in una stanza buia. E così Vanni ha deciso di farci un regalo e ci ha preparato questo racconto di vita vissuta al quale ci auguriamo che ne seguiranno molti, ma molti altri…

Vanni: un fatto italiano che il mondo ci invidia!!

 

Sto tornando a casa da Sondrio con la mia GTV classe 1947, ho superato il Crottino e si prospetta la discesa verso Dorio. E’ la vecchia statale 36, la strada di casa mia.

Nello specchietto vedo un faro acceso e allora voglio provare se la mia moto regge il passo con andature “moderne”. Controllo che il manettino sia tutto anticipato e tutto tirato lo starter, quindi apro tutto. La moto è lunghetta e nelle curve, se si marcia sui 100 all’ora, bisogna dare un filo di controsterzo.

Son tutte curve amiche mie e quando arrivo in fondo al rettifilo di Dervio il faro nello specchietto non c’è più.

Il semaforo è rosso e dopo qualche istante mi si affianca il ragazzo col Monster. Mi fa segno col pollice alzato. Forse è alle prime armi… lo saluto mentre vien verde e giro a sinistra perché sono arrivato.

Le sbarre del passaggio a livello sono abbassate mentre io, soddisfatto della mia “performance” chiudo il gas, tolgo l’anticipo e mi ascolto il respiro del motore.

Distinguo perfettamente il rumore dell’aspirazione da quello dello scarico e mentre sto assorto ad ascoltare questa musichetta mi si affianca lui, con il suo benellino scassato. E’ il Bepi che sta portando a spasso le sue 87 primavere.

Alza la visiera e guarda il volano girare: “ela una Guzzi?” mi fa con quella vocetta un po’ in falsetto e un po’ sorniona che fanno quelli che hanno conosciuto Carlo Guzzi e che ne imitano la voce raccontandotene qualche aneddoto, e che io conosco bene, perché di questi aneddoti ne ho ascoltati tanti.

Io sto al gioco e faccio cenno di sì col capo. Passa il treno, io riparto e lui tranquillo richiude la visiera e prosegue per la sua strada.

Diavolo d’un Bepi, c’è stato quarant’anni in Guzzi, per me quand’ero piccolo lui era “LA GUZZI! “. Quando andavo a casa sua a giocare con suo figlio Tato e ogni tanto alternavamo le partite coi soldatini di piombo con lo sfogliare i Libri d’Oro che l’azienda donava ai dipendenti alla fine delle stagioni vittoriose.

Il modello GP, la 350 da competizione, i lunghissimi elenchi di vittorie, le foto di Bill Lomas, Mentasti, Stanley Woods e poi Tenni, Lorenzetti, Dickie Dale, Ken Kawanag e quelle moto con la carenatura a campana.

Ma come faranno a inclinarle così tanto in curva ?

Le mezze giornate, ci perdevamo. Altro che studiare!!

Erano i tempi che i miei mi mandavano d’estate alla Colonia di Cesenatico. Con noi del lago c’erano i ragazzi di Milano. Ovviamente noi eravamo quelli della Guzzi e loro quelli della Gilera.

Canzonavamo gli avversari con una cantilena che faceva così:

La Gilera
Sconquassera
che prima no la gh’era
adess a l’è rivada
tuta sconquasada!
adess a l’è rivada/ tuta sconquasada!

Noi non sapevamo che la Gilera era nata dodici anni prima della Guzzi ma, dato che non lo sapevano nemmeno loro, la cosa funzionava perfettamente!

Poi un giorno mio padre che aveva fatto la Ritirata di Russia col Bepi, arrivò a casa e mestamente mi disse che per qualche giorno era bene non andare a impicciare in casa del Tato perché suo papà s’era fatto molto male. Ora so cos’era successo.

Bepi era addetto al banco prova. Si stava provando il motore V2, l’antenato del V7, quello che avrebbe dovuto motorizzare la 500 FIAT, roba che poi non andò in porto.

Il motore girava ed era collegato al banco con un giunto. Fuori dal vetro c’erano l’Ing.Carcano, il Bepi, il Piero e l’Ing.Renzetti. A un certo punto, il giunto si ruppe, rimbalzò sul soffitto della sala prova e fra i quattro scelse di colpire il Bepi in pena faccia.

Tutti credevano che il Bepi sarebbe morto, invece recuperò ed eccolo ancora qui, con quella sua faccia ridotta a metà per la mancanza di uno zigomo.

Quando si rimise, l’azienda gli regalò una Lodola Gran Turismo, rossa e fiammante che era la più bella moto del paese. Lo vedo ancora, in tutte le stagioni arrivare col telo, una specie di tonnau che partiva dal manubrio e s’allacciava dietro al collo, i guanti rigidi applicati fissi al manubrio, gli occhialoni gialli e il berretto in pelle, portarsi appresso al portone del deposito in cui teneva la moto, accostare di lato, aprire la porta, mettere dentro la ruota e infine togliere la chiave e ricoverare tranquillamente la moto.

Di tanto in tanto, le domeniche d’estate, di mattina, mi s’accostava e vedendomi un po’ annoiato, mi diceva “dai salta su che si va a Livigno”.

Metteva la prima e con un colpo di gas scendeva la moto dal cavalletto, io sistemavo i pedalini e salivo dietro. Prima, seconda, terza e quarta senza tirare le marce.. A questo punto si sistemava gli occhialoni e tranquillamente s’infilava i guanti, senza far ondeggiare la moto. Ecco, adesso si poteva aprire.

La moto andava via con signorilità, si sentiva solo il rumore dell’aspirazione e il variare dei profumi man mano che la vegetazione cambiava in virtù dell’altitudine. Com’era bello senza casco!

Una volta a Livigno si compravano le sigarette per gli amici, qualche tavoletta di cioccolato, la saccarina per la zia diabetica, poi due panini a testa e due birre da divorare in uno di quei grandi prati che circondano la cittadina.

Seduti sull’erba, si parlava del più e del meno e poi, prima che calasse il sole, il pieno alla moto e giù. Tanti giovanotti di allora, di una decina d’anni più vecchi di me, in paese comprarono la Lodola, forse più per lo stile con cui la portava il Bepi che non per la moto in se stessa.

Oggi non posso nel vedere una Lodola non pensare al Bepi, ma lui non sa che se son diventato Guzzista è proprio colpa sua!

 

Vanni Bettega

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