Home Moto Ingegno e regolatezza

Ingegno e regolatezza

11663
0
special MMA
Di Alberto Sala
Foto di Alberto Sala e M.M.A.

 

Eccoci al cospetto di una special assai interessante, anche se non inedita anche perchè si tratta di una moto fatta partendo da un foglio di carta. Una special la cui descrizione è impossibile senza parlare anche dei suoi creatori: i fratelli Alborghetti, Antonio e Giorgio.

Due pazzi furiosi.
Due folletti laboriosi dagli occhi brillanti tanto semplici quanto lucidi che sprizzano silente entusiasmo, coi loro neuroni sempre frullanti a trovare modifiche e soluzioni a ogni cosa che vedono, in grado di sperimentare e risolvere con apparente e disarmante facilità qualsiasi problema.

La prima volta che li ho visti è stato un paio di anni fa, nel paddock di Franciacorta, se non erro a un meeting d’epoca dove, alla ricerca continua di scuse per girare in pista, si erano intrufolati per i turni riservati ai guzzisti. Niente gazebi ipersponsorizzati nè baccano istrionico: li conosci casualmente, intravedi la loro moto che a primo sguardo non attira particolarmente, ma poi ti cade l’occhio sul primo dettaglio che ti piglia per il bavero a notare gli altri, ed esclami un bel porcaputtana. Dopodichè inizi a bombardarli di domande chiudendoli in un angolo dal quale si divincolano con disarmante facilità, perchè altrettanto disarmanti sono i loro ragionamenti.
“Non abbiamo trovato due cerchi leggeri per la nostra moto, e allora li abbiamo fatti noi, fresando un blocco di alluminio”. Così, come dire mi faccio una sigaretta con cartina e tabacco perchè il tabaccaio è chiuso.

Ma partiamo dall’inizio.
“Ho disegnato questa moto in India, nel 1992” dice Giorgio. E te lo immagini con turbante e incenso al cospetto di qualche santone, e invece era semplicemente in trasferta per lavoro e la sera si annoiava: “mi sono messo a pasticciare, influenzato dalla Cagiva Mito di cui leggevo la prova su Motociclismo. Ho preso un foglio e ho ricalcato la forma della Mito, ho preso il motore Guzzi e l’ho messo dentro: ci sta! Poi sono venuto a casa e ho disegnato il telaio”. Ma ovvio, no?
Peccato che poi, una volta realizzata, era un ‘filino’ problematico provarla in strada, così è rimasta ferma sotto un telo per una decina di anni, finchè Antonio non gli dice “ma perchè non la portiamo in pista?” E da lì sono ripartiti con taglia, sega, lima, pialla…

Per comprendere bene il loro intuito e il loro lavoro diventa significativa la collocazione temporale di questa moto: bisogna tener presente che il Daytona non era ancora uscito. Nell’universo Guzzi non si era visto ancora nessun telaio diverso dal Tonti, nessun monoammortizzatore, nessun forcellone quadro, nessun cardano a doppio giunto… sembra facile! Anzi, diciamola tutta… neppure col Daytona era comparso il leveraggio progressivo sulla sospensione posteriore. Che qui c’è, tutto naturalmente ragionato (attenzione che semplicità non vuol dire improvvisazione, tutto è scrupolosamente calcolato) e autocostruito grazie alle loro capacità professionali in ambito meccanico.

Così entriamo nei dettagli.
Il motore proviene dalla moto di Giorgio, un Le Mans III che a furia di elaborazioni non aveva più nulla di originale. Ha subito la sua bella cura dimagrante: l’albero da 78 di corsa è stato alleggerito di 1,5 kg, il volano bello smagrito, più tutta una serie di modifiche ‘classiche’ e non: alternatore Ducati ribassato, molle valvole cambiate, camma KS (una delle poche cose a cui non hanno messo mano), pistoni e cilindri da 95, valvole 47-40, bielle in titanio fatte in casa (due gioielli come documentato dalle foto, peccato restino nascoste…), frizione a comando idraulico, cambio a denti dritti…
Quest’ultimo particolare è sintomatico della loro attitudine. Non contenti della rapportatura di quello originale Guzzi, lo aprono e… lo rifanno completamente! Naturalmente a denti dritti, alleggerito dove c’era troppa trippa (date un occhio al desmodronico) e con la rapportatura ristudiata per avere sempre lo stesso range di giri nelle cambiate (l’unico rapporto invariato è la seconda marcia). Lo scarico è manco a dirlo autocostruito con l’andamento sfociante in un singolo terminale sotto la sella.

Passando alla ciclistica (che è poi la parte più interessante), la forcella proviene da un 748 opportunamente messa a punto, e in questo caso forse finisce qui, mentre in altri settori la sperimentazione è tutt’ora in atto… come per il cardano, che già – ricordiamolo – consente il montaggio di un 180 mantenendo il motore bello centrato (sempre prima che uscisse il Daytona…), e per il quale stanno cercando di continuo altre soluzioni; una di queste me l’hanno mostrata, a cui manca di risolvere un problema di guarnizioni.
Il telaio lo vedete chiaramente. Ha un carico di resistenza impressionante (circa 3000 kg ogni trave: no, non si può rompere!) e a impatto visivo è decisamente massiccio; ciò nonostante assieme al forcellone (anche lui non dà adito a dubbi sulla solidità) alla prova della bilancia totalizza solo 13 kg. E continuando con le misure, arriviamo a quelle cruciali; interasse 1410, inclinazione sterzo 23,5 gradi, 100mm di avancorsa. Misure che dicono chiaro e tondo che non è una cruiser; misure da supersportiva cattiva, come d’altronde era chiaramente intuibile dalla vista laterale del bolide.

Una bella prova di ingegno, creatività, voglia di sperimentare nuove soluzioni di fronte agli ostacoli, e una bella dose di follia (che sono sicuro vedrò applicata in prossime nuove soluzioni). Questa la tavola apparecchiata dai fratelli Alborghetti. Complimenti!