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Il Decimo Incantesimo

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di CinCin

Le previsioni meteo non erano certo delle migliori, quel pomeriggio.

Le stava trasmettendo la radio a valvole e lei ascoltava sonnecchiosamente rannicchiata sul vecchio divano spelacchiato del salotto, avvolta in una coperta di lana, ereditata dalla sua bis-bis-bisavola, che presentava democraticamente un eguale numero di buchi tra quelli dell’antica lavorazione all’uncinetto e quelli delle tarme.La scopa di saggina, era lì, pronta già da qualche giorno, con il sacco pieno di carbone e dolci che avrebbe dovuto consegnare tutti in una notte, perché il magico mezzo di trasporto funzionava solo un giorno all’anno.La guardò pigramente, poi altrettanto lentamente alzò gli occhi verso il cielo, grigio e per nulla invitante.”… e con questo è tutto. Grazie e buonasera”, quel presentatore con la voce da ranocchio, aveva giocato i soldi dell’università del proprio figlio in una partita a poker, il mercoledì scorso.Lei pensò: “Carbone”, spegnendo la radio.

Aveva solo ancora un “incantesimo festeggevole” dei dieci a sua disposizione, prima dello scadere del 6 gennaio. Poi fino al 24 dicembre prossimo, più niente.

Il primo era stato bruciato subito la sera della vigilia precedente: l’aeroporto era stato del tutto ripulito dalla neve (“Un miracolo!!” dicevano tutti, meravigliati) e quel padre aveva potuto tornare a casa dalla sua famiglia, in tempo per aiutare la propria compagna a mettere i regali per i suoi figli sotto l’albero. Ricordava ancora il loro sorriso dolce, quando lei aveva aperto la porta. “Ma.. come hai fatto? Era tutto bloccato!!… Bentornato!” e lui “Non sanno spiegarlo… vediamo domani al telegiornale. Sarà stato Babbo Natale!!”

Guardando nella sua sfera di cristallo, lei non si era offesa più di tanto: “E’ dagli anni trenta che quel simpatico ciccione vestito di rosso e con la pancia piena di birra, mi frega la vigilia… ahah! Bene ragazzi, domattina i vostri bimbi vi abbracceranno e passerete una bella giornata insieme” e se la rise, perchè non si arrabbiava mai.

Il secondo era servito a riappacificare qualche migliaio di coppiette che avevano litigato nei mesi precedenti ma che desideravano profondamente vincere il rancore e le ripicche, per finire l’anno in serenità.

Il terzo, il quarto ed il quinto erano serviti per far trascorrere un buon Veglione a milioni di persone. Ce n’erano voluti tre, per i troppi fusi orari: “Uno ogni otto ore, potrebbe bastare” aveva pensato.

Purtroppo il mondo aveva in sé troppa infelicità e lei aveva calcolato male, per cui non tutti si erano divertiti.

“L’anno prossimo ne uso quattro: uno ogni sei fusi orari. Speriamo che vada meglio”.

Con il sesto ed il settimo, aveva tentato di rendere più buona un po’ di gente l’anno successivo, ma anche questa volta era andata male.

“Ci proverò sempre, comunque”.

Era una gran testarda.

Per fortuna.

L’ottavo era servito per dare del buon sano (tanto) sesso a Capodanno: un’elargizione di felicità in formato globale. Per fortuna ne bastava uno solo, il resto era semplicemente amore o desiderio, o anche solo una gran voglia di divertirsi.

“Funzionassero tutti così bene, sempre…” sorrise. Era la più giovane della sua categoria, e le altre – più vecchie e ciniche – le rimproveravano sempre di usarne uno per quel motivo, considerato inutile, praticamente uno spreco.

Lei rispondeva, sorridendo: “Sì, sì. Pensate pure che sia futile. Ma se ognuna di noi riservasse un incantesimo al buon sesso, sarebbero tutti più tranquilli e sereni… e ne dovremmo usare molti meno per risolvere gli altri problemi”…

Il nono, come da tradizione, dava pace, serenità e armonia. Inoltre per qualche giorno permetteva di poter sopportare senza troppi problemi parenti fastidiosi, cene o pranzi noiosi e, soprattutto, di offrire una buona digestione, in caso di cuoche non troppo esperte. Era un incantesimo obbligatorio.

“Ok, è quasi l’ora. Ne ho ancora solo uno”.

La regola era che uno dei dieci, generalmente l’ultimo, venisse riservato a se stessi. Era il premio, il bonus. L’unica forma di pagamento per le Befane di tutto il mondo. Bisognava pensarci molto bene, formulare bene le parole.

Lei, ingenuamente, il primo anno l’aveva rovinato chiedendo per sé soldi e nient’altro. Ma aveva perso i veri amici, gli unici che non si possono comprare e alla fine anche i soldi erano finiti.

Il secondo anno aveva chiesto un bell’uomo. Ma la richiesta era stata troppo generica e sulla sua strada era capitato un bellissimo e muscolosissimo uomo abbronzato che, però, non aveva mai letto libri, né era mai andato a teatro, parlava solo di palestra ed esercizi, e non amava il sesso, né la buona cucina e non riusciva a distinguere un brano di Mozart da una canzoncina dello Zecchino d’oro. Aveva avuto conferma della sua totale inutilità quando aveva scoperto che non sapeva fare nemmeno le pulizie di casa e non amava viaggiare. Insomma, un intero anno chiusa in casa ad annoiarsi.

“Quest’anno non posso sbagliare. E’ già il terzo: non oserei più guardare in viso le mie colleghe”

Scrutò ancora il cielo, plumbeo, la scopa di saggina, il sacco dei regali per i buoni ed i cattivi. Si scervellò per qualche minuto ancora e, alla fine, con il sole nel cuore, decise per qualcosa che le avrebbe dato felicità, viaggi continui, amicizie, buone mangiate in compagnia, qualche birretta scherzando e ridendo, la possibilità di raggiungere luoghi per ascoltare musica. Magari anche sesso (non si sa mai).

Sorrise e solennemente pronunciò il decimo desiderio, sapendo che – questa volta – sarebbe stata la scelta giusta.

“Una Guzzi”.