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La sindrome da “Guzzismo”

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(Mentalis Putrescentia Inter Cilindres”) nella storia della scienza: visioni ad uso e consumo dell’ufficio marketing-comunicazione Guzzi

di Davide De Martin

 

Nei secoli passati Cesare Lombroso, famoso italico criminologo, propugnò e ribadì la convinzione che fosse possibile, sulla base di tratti somatici ben distinti, stabilire la propensione a questo o quel crimine dei diversi individui. In pratica chi aveva il naso così era un potenziale pedofilo, chi ce l’aveva cosà un potenziale omicida, e così via. Negli anni seguenti ci fu chi stabilì che nasi adunchi e profili slavi erano degni di frequentare campi di rieducazione di massa sparsi tra la Germania e la Mitteleuropa. Ma questa è (purtroppo) un’altra storia. Quello che pochi sanno è che la teoria di Lombroso non andò in crisi a causa delle teorie evoluzioniste darwiniste o per chissà quale altra pensata, bensì sull’infido concetto di Guzzismo.

La storia ci dice come in occasione di un convegno tenutosi il 14 marzo 1897 presso l’Università di Trieste, tale teoria venne contestata da parte del professor Gucanti, esimio ed illustre ricercatore della libera università di Mandello, sulla base di un semplice assunto: perché non era possibile riconoscere e riportare una chiara devianza come quella del Guzzista all’interno di concetti pur teorici che altrimenti dimostravano di funzionare? Perché la sindrome da “Guzzismo”, nota col nome scientifico di “Mentalis Putrescentia Inter Cilindres” rimaneva al di fuori di questo schema? Lombroso non seppe mai dare risposta a questo quesito, arrivando a suicidarsi gettandosi nel vulcano di Iwata in sella ad un velocipede giapponese viola e verde dall’esoticissimo nome di Minghya, senza avere capito che nella vita esiste sempre una eccezione che conferma la regola. La crisi di tale lombrosiana teoria resta, al pari della sacra sindone e dei templari, un mistero ancora oggi irrisolto, che proveremo qui di seguito a sviscerare.

Partendo dall’assunto che per anni il marchio Guzzi ha fatto la storia, resta innegabile che, dalla fine degli anni ’50 in poi, ha giocato, tra alti (non tanto) e bassi (molto), un ruolo che rispetto ad altre case anche meno blasonate, è sicuramente di secondo piano. Triumph, Laverda, Ducati, e addirittura BMW hanno ottenuto sicuramente risultati maggiori. E allora, dove sta il perché della succitata sindrome? Il premio Nobel 1974 per la medicina, il dottor Torcazzi, formulò la teoria del “Sexual and Vibrational Thrill”. In pratica dimostrò che chi ha chiara la sintesi tra il concetto di vero uomo e quello di pupazzo (termine scientifico atto ad identificare un individuo dalla non stimabile moralità ed attitudine, oppure, secondo la definizione che ne dà il Devoto-Oli “colui che propende al mero e vuoto possesso di moto jappanise”), è più portato alla sindrome da Guzzismo. Simile teoria venne in periodi simili fomentata anche dal Doctor John, ma con il nome di “The Lion and the Sheep Syndrome”. Approfondimenti successivi a questi studi portarono altresì alla scoperta del fattore SVS (Sound & Vibration Syndrome); in pratica, una volta usi ed assuefatti al suono ed alle vibrazioni del lacustre mezzo, poche o nulle risultano le possibilità di salvezza (ciò nonostante una visione avversa del Dottor Yoshimura, i cui argomenti sono stati facilmente confutati a colpi di biella del Trialce). Nella realtà dei fatti negli anni ’80 il professor Hyfra dell’Università di Parigi, mostrò come si stesse assistendo ad uno strano fenomeno, che pareva contraddire gli studi precedenti; tale fenomeno, meglio noto come JVT-AUXALL (“Je vends tout aux allemands”) spinse molti soggetti “Guzzisti” a disfarsi dei loro mezzi per acquistare zappe, frullini, e montagne russe japponesi.

Con l’inizio degli anni ’90 l’allora Papa Giulio Cesare II, nella sua celeberrima enciclica “De infidele motociclo” arrivò addirittura a scomunicare chi negli anni precedenti aveva compiuto l’insana bestemmia di vendere una Guzzi per una jap. L’attuale Papa Bruno XVI, ha deciso, con un atto di clemenza che ci rende non degni di lui, di stabilire che anche i bambini morti prima del battesimo, gli ex-Guzzisti ed i poliziotti motociclisti della Polstrada, possano accedere al Paradiso. Ciò non spiega comunque il tutto, ma concorre ad alleviare le nostre coscienze.

Alle soglie del XXI° secolo infine, il celeberrimo teorico della scienza arabo Ab-Bah-Din, nel riportare dopo 3 decenni una Guzzi alle competizioni internazionali, ha propugnato il ritorno della sindrome sportiva Guzzista, stabilendo e ribadendo vieppiù, che il “(…) il Guzzismo in quanto tale non esiste, è una sana deviazione della mente e dello spirito (…)” e che “(…) solo chi è stato un buon Guzzista potrà alla morte essere accolto da 40 Guzzi(…)”. Sembrerebbe che nelle ultime settimane lo stesso Ab-Bah-Din abbia lanciato una Fatwa contro la dirigenza mandellese per l’uso “(…) indegno ed immorale (…)” che si apprestano a fare delle MGS. A questo riguardo recenti ANSA ci dicono di un vastissimo movimento di opinione e di pellegrini già in viaggio verso il museo Guzzi, al fine di potere ricevere un atto di clemenza e la benedizione, direttamente da quegli iniettori MGS che da Albacete non potranno che finire a fare di sé stessi bella mostra nel museo Guzzi, sotto lo sguardo compiaciuto ed invidioso del Diavolo Nero. Come per la sindone e per i templari, tanto inchiostro è stato versato e tanto lo sarà, ma il mistero del “Guzzismo” resta aperto. Si aprono oggi nuove scuole di pensiero sul come vada affrontato e fomentato: la Casa della Trippa di Verano sostiene la teoria della “competizione duodenale selettiva”, mentre la nuova dirigenza Guzzi quella del “mottecopioabiemvù”. Difficile dire chi abbia ragione, come possano convivere e dove andremo a parare, ma tra tanti punti di domanda vi sono almeno 4 punti fermi, che fanno la storia della Guzzi degli ultimi 40 anni, e che con buona pace di tanti ne rappresentano il futuro:

* il pubblico Guzzista è un malato, da non curarsi
* meglio una Graziella di una moto Jap
* meglio una sportiva Guzzi da 100 cv che la Norge coi vetri elettrici
* se la Guzzi fosse femmina saresse la Bellucci, se fosse Jappa la Lecciso

E’ da questi assunti che possiamo financo asserire che il Guzzismo è una delle pochi sindromi dalle quali non solo non è possibile guarire, ma che addirittura meriterebbe di essere fatta peggiorare. Non sappiamo quali siano le percezioni e le considerazioni di questo fenomeno all’interno della ennesima Guzzista Dirigenza. E’ a lei però che auguriamo di farsi cogliere nella giusta misura da questa sindrome, nella speranza che finalmente tutti i malati possano contare su un(a) Bandiera altamente infetta e dai chiari intendimenti aquileschi.