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Hizzy & Foggy

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AnimaGuzzista Piloti The Steve Hislop Memorial
The Steve Hislop Memorial Foto Wikipedia

di Bernini Michele “red27” e Gabriele Orsini “Tacchino”

 

 

Quando Steve Hislop sali’ sul podio del Senior TT 1987, era semplicemente in estasi. Sul gradino piu’ alto, vicino a lui, c’era King of the Roads, Joey Dunlop. Certo, lui era arrivato secondo grazie ad un paio di rotture altrui, ma aveva messo comunque in mostra grande talento. In fondo,quella era pur sempre la sua prima volta al TT. Correva il Manxgp da 5 anni, ma il TT, quello vero, era un’ altra cosa. Specialmente se nell’anno del debutto fai a pezzi il record della junior e vinci la F2 . Bravo Steve.
L’anno successivo il giovane Steve “Hizzy” Hislop si ripete e vince la production B e fa secondo nel Senior, dimostrando che anche con una Superbike ci sa fare. Nel nostro eroe cresceva cosi’ la consapevolezza nei suoi mezzi e si presentava carico come una molla, alla vigilia del TT1989.
Non vedeva l’ora di fare un bel testa a testa con Dunlop, il suo idolo. Era convinto di poterlo battere, anche con le moto “grosse”
Ma a maggio del 1989 Dunlop si ruppe molte ossa a Brands Hatch,e dopo quell’episodio,forse non tornò più ad essere il rullo compressore degli anni 80. Di fatto diede Il via libera all’inizio di una nuova era,segnata da due titani della Road Race per eccellenza. Steve Hislop e Carl Fogarty.
Come tutti gli antagonisti che si rispettino, i due sono profondamente diversi.
Figlio di un pilota che ottenne buoni risultati sull’isola di Man,Carl Fogarty seguì le orme paterne e nel 1985 vinse la Newcomer 250 al Manxgp.Nell’88 e nell’89 fu campione del mondo della F1TT, che si disputava su stradali come la NW200 e l’Ulster gp, oltre ovviamente il TT stesso.
Gli mancava ancora proprio una vittoria sull’Isola di Man,per consacrarsi definitivamente come uno dei futuri Golden Boy del motociclismo britannico.
Hislop era invece di origini piu’ umili, e visse una giovinezza piu’ travagliata. Di carattere solitario e introverso, era molto legato alla famiglia, specie al fratello. Fu il padre ad inviare i due figli Garry e Steve sulla via delle piste.
Purtoppo Hislop senior mori’ di infarto nel 1979, ma il dado era tratto e Garry vinse la 250 Newcomer al ManxGp1982. La sfortuna ed il destino, che spesso ci mettono lo zampino, quando si parla di grandi personaggi, fecero si che Garry morisse lo stesso anno in un incidente di gara. E Steve,come in un romanzo d’appendice,soffocò il dolore della perdita del fratello, nonché suo unico amico, nel modo piu’ semplice e assurdo: Alcool ed autodistruzione,cercando chissà cosa,rischiando la pelle in una sequela di incidenti stradali in auto.
Furono le corse a salvarlo. In un estremo tentativo di proseguire quanto iniziato da Garry, nel 1983 vinse la stessa gara che il fratello scomparso fece sua un anno prima: la Newcomer 250 al manx gp. Si dovette iscrivere di nascosto da sua madre, cui Steve era l’ultimo uomo della famiglia rimasto.
Nel 1988 si accesero le prime polveri del duello che sarebbe stato il leit motiv degli anni successivi.
Come detto,Hislop vinse la production B e fece secondo nel senior. Fogarty, che più tardi quell’anno vinse il campionato TT F1, fece 4° nella F1 e 7° nel senior. La rivalita’ non era ancora esplosa, ma era questione di poco.
L’anno dopo senza Joey Dunlop, la scena era tutta per loro. Da un lato Hizzy, animo turbolento e manico incredibile sull’isola, dall’altro Foggy, re senza corona della F1 TT. Perché vincere il titolo, senza vincere un TT, cosa può valere?
Hizzy fa tripletta, F1,600,Senior,stabilendo il record sul giro assoluto e di categoria in tutte le gare mentre il futuro King Carl si aggiudica la production 750. Hislop scampa ad una caduta a 240 orari a Quarry Bends, che costera’ a Eddie Laycock la vittoria. Lo sfortunato Eddie farà un intero giro credendo di aver visto in diretta la morte del collega. Quando il giro dopo realizzerà, vedendolo , che Steve è vivo, sarà troppo tardi per recuperare. Secondo per soli 2,8″.
Rotture e gare storte impediscono lo scontro vero e proprio,ma non possono oscurare il talento messo in mostra dai due piloti.Cresce quindi l’attesa per il TT1990.Quell’anno i due sono compagni all’Honda Britain ufficiale, in un clima surreale. Sono amici da anni, ma Foggy si rifiuta di parlare a Hislop, che disse in seguito “Fu ridicolo, perché eravamo e rimanemmo buoni amici. Ma Carl è cosi’.Per batterti ti deve odiare letteralmente, è il suo modo di fare”. Fu forse la prima volta che Foggy tento’ di schiacciare psicologicamente un avversario e gli ando’ bene. Vinse la F1 ed un tremendo Senior partito col bagnato e poi via via sempre piu’ asciutto, dimostrando di essere veloce sul mountain con qualsiasi tempo.
Ma la tanto attesa sfida tra i due salta ancora,a causa della sfortuna accanitasi su Hislop,protagonista di una settimana di gare pessima, costellata di rotture.
Per rifarsi doveva aspettare un’ altro anno,il 1991,e l’attesa era ormai spasmodica.
Hislop e Fogarty, erano ancora compagni di squadra.Essendo il 30° anniversario di gare della Yamaha, la Honda, per contrastare la casa rivale inviò per le gare principali, la F1TT ed il Senior, uno dei suoi mezzi piu’ straordinari mai costruiti: la Rvf750.
Era una moto costruita in Hrc japan al 100%,in due soli esemplari,ed era, rispetto alle altre moto, una belva selvaggia.
Il miglior strumento da gara per i due migliori interpreti del TT in quel momento.
Dopo il primo giro di prova,entrambi i riders tornarono ai box terrorizzati. La moto era un proiettile. A Sulby Straight superarono entrambi i 300 orari,velocità stratosferica,per l’epoca, ed un limite che tuttora in pochi riescono a infrangere . Ma non c’era tempo per avere paura ed a dispetto di tutto i due iniziarono sin dai primi giri di prova a confrontarsi. Il record crollo’ piu’ volte, battuto prima da l’uno e poi dall’altro. Finchè Hislop arrivo’ alla soglia di 124,36 miglia di media.. Pur se “ufficioso” ,al TT i record sono tali se fatti in gara, questo tempo era incredibile e non sarà battuto sino al 1999! Ed ebbe il potere di far spaventare a morte Koichi Oguma, boss del team Honda Hrc in cui militavano i due. Oguma temeva seriamente che i due si uccidessero in gara a vicenda, nell’impeto della sfida sul mostro Rvf, pertanto li prese sottobraccio, si misero a tavolino e volle provare a stabilire una tregua,cercando di convincerli a stabilire in anticipo il vincitore.
I due piloti cercarono di essere accomodanti, ma un accordo non poteva essere trovato. Il colpo in canna era uno solo,ed era la gara di F1 TT. Poichè Fogarty avrebbe dovuto correre una gara di SBK nel giorno del Senior, venne infatti deciso che nell’ultima gara la sua moto sarebbe stata guidata da Joey Dunlop.
Fortunatamente, le paure di Oguma si dissolsero già dopo il primo giro. Foggy ebbe noie tecniche e Steve vinse agevolmente, facendo si il record , ma senza spingere troppo a fondo. Carl pote’ solo arrivare secondo, con una moto che con diversi problemi andava comunque piu’ forte di tutte le altre.
La sfida,il testa a testa,era rinviato un’altra volta,così come quello tra Hislop e Dunlop del Senior. Joey conosceva troppo poco quel mostro di moto per poterne trarre il meglio e Hislop fece un’altra tripletta.
Sia lui che Fogarty, al termine del TT dissero che non sapevano se sarebbero tornati, e che avrebbero lasciato il team per concentrarsi sulla carriera dei circuiti tradizionali.
Alla vigilia del TT 1992,però,le cose per entrambi non giravano al meglio,e decisero così di andare a prendersi un po’ di gloria sulle strade di Man.
Questa volta non c’erano moto esotiche come la RVF, ne un dream-team dal Giappone.
Per Hislop si trovo’ una Norton rotativa, dall’aspetto invero un po’ scassato, con cui fece solo 8 giri ad Oulton Park prima del TT.
Per Fogarty c’era la Loctite Yamaha,mollata dallo stesso Hislop a inizio stagione. Una buona Superbike privata, ma una tristezza rispetto alla RVF dell’anno prima.
Ora erano anche oggetto di scherno da parte degli avversari: “Forza, vediamo cosa sapete fare ora,in sella a moto normali come le nostre”.
Nella F1 gli sfotto’ erano destinati ad aumentare perchè Fogarty ruppe mentre era in testa e Hislop fu secondo con un mucchio di problemi.
La sfida tra i due sembrava non volersi realizzare,ma c’erano tutti i presupposti per un grande Senior, il piu’ eccitante sulla carta dai tempi di Ago e Mike the Bike.
E finalmente fu cosi’.
Al via dell’ultima gara, Fogarty parti’ come un dannato, col numero 4.Hislop aveva il 19, e senza un riferimento preciso spinse forte anche lui, ma era afflitto da grossi problemi di guidabilita’. La moto decollava malamente sui salti, facendo vela col vento e lui pure rischiava di venir proprio buttato giu’ di sella. Nonostante tutto entro’ ai box in vantaggio di quasi 3″ per il primo pit.
Ne usci’ in ritardo di 8″,perchè mentre Foggy fece solo il pieno,lui cambio’ anche la gomma posteriore.
Si doveva rifare tutto daccapo. A testa bassa, sfiorando i muretti e le case, come solo lui poteva, Hizzy recupero’ lo svantaggio, infliggendo altri 9″ a Fogarty, che per altro,aveva il suo bel daffare,con la sua moto che sembrava volesse andare lettaralmente in pezzi.
Tutti i tachimetri si erano rotti, l’ammortizzatore era scoppiato, una forcella perdeva olio, il freno dietro era partito e in più si trovava di nuovo nella condizione di essere costretto a recuperare.
Carl fece quello che gli riusciva meglio. Spense il cervello e si butto’ a vita persa nell’ultimo giro. Hizzy, sapeva che l’avversario ci avrebbe provato sino all’ultimo metro. La Yamaha volo’ giu’ da Bray Hill come un razzo, saltando sul dosso scomposta. Accarezzò i muri dei paesini, con Fogarty che piantava il casco nel cupolino per non perdere nemmeno un centesimo. Uno spettacolo folle per chi potè assistere:con la ciclistica ormai alle corde, la moto ondeggiava sempre piu’ paurosamente in uscita dai curvoni ,e intanto,giusto per non farsi mancare nulla,lo scarico iniziava a dare segni di cedimento.
Ma ormai Carl vedeva solo una cosa:l’arrivo.
Passati i burroni della montagna, la Yamaha latrava ferita, correndo al massimo giu’ verso Brandish Corner, quando finalmente là davanti,ecco le prime case di Douglas.
Foggy uscì rabbiosamente dal tornantino e piombo’ sul traguardo alla velocita’ record di 123.61 mph. Nemmeno con l’Honda Rvf era andato cosi’ forte. Ma non c’era ancora la certezza che ciò sarebbe bastato…
I due erano divisi al via da 150″.
Il cronista inizio’ un estenuante conto alla rovescia… 150-149-148… Hizzy volava al Bungalow… 90-88-87… il pub di Creg ny baa… 60-59-58… la velocissima Curva di Hilberry.
Il countdown si interruppe quando Hislop supero’ il tornantino e fu chiaro che la vittoria sarebbe stata sua.
4 secondi.Questo fu il tempo che sancì la vittoria di Hizzy sull’amico/rivale, al termine di una gara che era stata attesa per anni. Tra l’altro erano vent’anni che una Norton, oltretutto guidata da un inglese,non vinceva sul circuito più famoso del motociclismo. Hislop scrisse un pezzetto di storia.
Dopo questa gara, Fogarty non torno’ piu’ sull’isola per le gare,iniziando a stabilire le nuove gerarchie nel Campionato Mondiale SBK che l’avrebbe visto trionfare per 4 volte su Ducati.
Hizzy sarebbe tornato controvoglia nel 1994,ma senza trovare avversari del suo livello,colse facilmente gli ultimi successi a Man,per poi vincere nel 1995 il Campionato Inglese SBK,anche lui in sella a Ducati. Nonostante i risultati, pero’,la sua fama non miglioro’. La fama dei suoi abusi autodistruttivi, pur essendo una pagina chiusa della sua vita, non lo abbandonava. Persino il suo talento veniva discusso. Quando vinse il titolo 250 nel 1985 dissero che era stato fortunato. Nemmeno il titolo della BSB del 1995 miglioro’ le cose, poiché Jamie Whitam, che era il suo rivale quell’anno, dovette lasciare la stagione per combattere un nemico ben piu’ insidioso, il cancro. Ma questa cosa mise in cattiva luce Steve, aumentando la sua fama di fortunello senza talento. Lui si scherniva: “cosa dovevo fare, mollare tutto per solidarieta’? Stavo facendo solo il mio mestiere, cercare di vincere”. Tutte queste insinuazioni lo accompagnarono durante la sua intera carriera, al punto che lui stesso era il primo a dubitare dei suoi mezzi, ogni volta doveva dimostrare qualcosa di piu’.
Finalmente nel 2002 rivinse il titolo della Superbike Inglese. Nessuno stavolta poteva dire nulla.
Nel 2003, alla vigilia del suo ritiro dalle competizioni, mentre era in volo col suo elicottero, ebbe un incidente non lontano dal suo paese natale. Stava andando a prendere i suoi figli. Il cordoglio che ne segui’ in Inghilterra, dove il pilota era molto popolare, fu l’ultima dimostrazione di chi era Hizzy ai suoi detrattori.
Ma finalmente, non doveva dimostrare piu’ nulla. Il numero 1 che portava sulla sua carena quell’anno, lo doveva solo a se stesso.

Mike Hailwood: Il Ritorno del Re

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TT Assen: Mike Hailwood *21 juni 1967 Foto Wikipedia

di Bernini Michele “red27”

Lui era annoiato, solo per questo.
Se chiedete a Pauline Hailwood per quale ragione suo marito decise di tornare alle gare nel 1978, lei vi risponderà, molto semplicemente, per noia… e magari per dimostrare a se stesso che poteva farcela.
Nel 1977, Mike Hailwood era un tranquillo uomo di 41 anni, che viveva in nuova zelanda. Sposato con una bella donna, moderatamente ricco, leggermente sovrappeso e ancora unanimemente considerato il miglior motociclista del pianeta. Dopo una lunga carriera fatto di titoli e vittorie a grappoli con le moto e qualche bella soddisfazione, pur se ad un livello inferiore, con le auto, Mike poteva considerarsi anche un uomo fortunato. Perchè in quei tempi il motomondiale, la F1 ed altre categorie al limite erano un continuo sfidare la morte, su ogni curva ed ogni rettilineo. Gli amici persi da Mike erano innumerevoli e lui stesso per due volte con le auto aveva rischiato molto, la prima quando estrasse Regazzoni dalla sua BRM in fiamme, subendole poi a sua volta, e nel tremendo incidente al Ring che gli stronco’ la carriera.
Cosa poteva spingere ora un uomo a ritornare alle gare, contro avversari mai visti, ad undici anni dalla sua ultima corsa in moto? Oltretutto scegliendo la corsa piu’ difficile e pericolosa, il Tourist Trophy, dove lui aveva gia’ scritto la sua leggenda. Il tutto condito dal fatto che le moto da gara, che Mike non guidava dal 1967, erano cambiate incredibilmente, le velocita’ molto piu’ alte, gli angoli di piega molto piu’ accentuati, e lo stile col ginocchio fuori totalmente avulso a quello in uso ai suoi tempi.
Chiunque si sarebbe scoraggiato. Chiunque si sarebbe goduto il denaro, la bella moglie ed una vita di certezze e sicurezze. Se non fosse il fatto che qui si parla non di un campione qualsiasi. Ma del piu’ grande.
A completare il quadro di questa, che sarebbe gia’ una grande sfida, ci si puo’ aggiungere che Mike, il buono di questa storia, l’eroe impavido che sfida la morte e se stesso, trova al suo arrivo sull’isola il perfetto alter ego, il “cattivo” della vicenda. E lo trova nella persona di Phil Read. Se sull’isola di Man del 1978 c’è qualcuno che puo’ considerarsi odiato è il vecchio Fil di Ferro. Perché nel 1972, era con Agostini a capo dei piloti insorti contro il TT. Rivolta dettata dai troppi rischi del TT, ma anche dalle paghe ridicole che i piloti ricevevano, per quella che in fondo era una gara che durava due settimane. Ma se Agostini, pur di fronte a laute offerte, si è sempre in seguito rifiutato di tornare a correre davvero sul Mountain, dandosi a vedere agli isolani come uomo di coerenza, Phil Read nel 1977 cedette ai suoi sogni, e torno’ a Douglas. Certo non solo per romanticismo ma anche per i soldi degli organizzatori. E per questo gli isolani, la gente comune, lo odiò, vedendo in lui un traditore, un venduto. L’astio arrivò a tal punto che Read venne preso a sassate in velocita’ durante le prove, i benzinai si rifiutavano di fargli benzina e gli alberghi di ospitarlo. Questo non intaccò il suo rendimento e vinse due gare, venendo premiato tra i fischi. Ma quando Read si presentò nuovamente sull’isola, per affrontare il TT 1978, si trovò da subito applicato un nomigliolo… baddie… cattivo… quello era il suo ruolo.
Inutile dire che per una sfida di questo livello, la cornice era inimitabile. Se chiedete ad un qualsiasi isolano, quand’è stato che si è vista la massima affluenza per un TT? Lui vi rispondera’ nel 1978, quando tornò Mike the Bike. Appena infatti si seppe del come back di Hailwood, gli appassionati prenotarono in massa i voli, i traghetti, gli alberghi… in fondo nessuno se l’aspettava, i piu’ ottimisti potevano sperare in un giro d’onore del Re in esilio dorato, non di certo una lotta per dimostrare che il suo posto era ancora sul trono. I genitori avevano modo di sognare, ed i figli di vedere in azione l’uomo di cui tanto avevano sentito parlare.
Ed Il TT, che solo due anni prima, perdendo il suo status di gara di campionato, sembrava spacciato, era tornato di prepotenza ad essere la gara piu’ importante del mondo.
Per le gare Mike the Bike si assicurò una Ducati per la F1 e delle Yamaha per le altre gare. Soprattutto con la Ducati era sfavorito anche dal mezzo, decisamente a corto di cavalli contro le Honda Ufficiali. Ma se la Honda aveva il motore, il pompone aveva il telaio ed Hailwood in prova, ottenne un ottimo tempo, vicino al record sul giro. Tutte le chiacchere sul troppo vecchio, troppo diverso, troppo tempo fuori dalle gare furono azzerate in 60km di maestria… chi voleva il primo posto doveva fare i conti anche con lui…
Come disse il suo manager e biografo, nonché fautore in gran parte del rientro di Mike, Ted Maculaey, la pressione sulle spalle del pilota era enorme… lui aveva mantenuto con la stampa e gli avversari un profilo basso, al punto di chiedere a Mick Grant, forse il pilota migliore su quelle strade nel 1978, di fargli da traino per un giro, per rinfrescargli la memoria… “fu come se Dio mi chiedesse di spiegargli la Bibbia” disse lui… ma in realta’ Mike era arrivato sull’isola ripulito, motivato ed in forma fisica. E l’idea non era di ben figurare. L’idea era di vincere ed anche con un certo stile.
Per questo, Hailwood, che partiva con il n°12, 50 secondi dopo Read col n°1, aveva un piano. Semplice ed efficace. Andarlo a prendere sulla strada, ancor prima che sul tabellone dei tempi.
Il giorno della gara iniziò malamente… Hailwood cadde con la 250 in prova, al rampino di governor’s bridge. Lui era incolume e si avviò a piedi ai box, per cercare la concentrazione giusta per la sfida.
Parti’ come detto col numero 12. Alla caccia di Phil Read.
Nelle prime fasi della gara fu Tom Herron a condurre brevemente, ma dopo iniziò il lungo solo del virtuoso. Mike semplicemente faceva un altro sport, ed alla fine del 2° giro aveva preso Read, che era partito 50 secondi prima… la gara era finita ma Read segui’ come un ombra il rivale… sembrava che l’orologio fosse tornato indietro di 10 anni, con i due vecchi campioni che si fiancheggiavano come nei tempi d’oro. Durò finchè Read, per tenere il passo di Mike, sbudellò il motore della sua moto. Sporco d’olio, dopo un paio di sbandate pazzesche per il lubrificante finito sulle gomme, Fil di Ferro pote’ solo fermarsi a bordo strada e lasciare al Re quel regno che gli era sempre appartenuto. L’isola di Man era l’isola di Hailwood. E basta.
Quando tagliò il traguardo l’isola esplose come in un boato… e con essa la moto di Mike. 100 metri dopo l’arrivo la Ducati clamorosamente ammutoli’… il destino e la dea bendata fecero un regalo al campione… avrebbero riscosso il loro debito in seguito.
Sua moglie Pauline ricorda che Mike era incredibilmente calmo, quando gli telefonò dopo l’arrivo… disse che non si rendeva ancora conto di quello che aveva ottenuto… ma aveva fatto quello che rende diversa una superstar da un normale campione… reso l’impossibile non una cosa nemmeno concepibile, ma un cosa semplicemente difficile… e fattibilissima.
Phil Read andò a complimentarsi con lui in albergo, senza nemmeno essersi tolto la tuta della Honda Britain, ed a dispetto della pessima nomea che aveva in quei giorni, era sinceramente ammirato. Aveva avuto modo di seguirlo per tre giri e mezzo, tre giri e mezzo col pilota piu’ grande di tutti i tempi, ed era estasiato dalla guida che Hailwood mostrò… il rimpianto era per quella rottura 100 metri dopo l’arrivo. “Forse, disse Read, se la mia Honda non si fosse rotta, avrei potuto pressarlo sin sul traguardo… e magari la sua Ducati sarebbe scoppiata un chilometro prima… ma sarei diventato il piu’ odiato vincitore della storia del TT… e non so se mi avrebbero fatto salire sul podio vivo!”
Dopo questa gara il TT di Mike prosegui’ senza altri acuti, principalmente per le rotture delle Yamaha con cui correva.
Ma l’anno dopo tornò e con la Suzuki RG500 ottenne un’altra vittoria, nella Senior. La n°14. Da li a poco abbandonò l’attività agonistica. Per sempre.
In quel 1979 si chiuse un era, quella dei Read, degli Agostini, degli Hailwood… e si apriva quella di uomo semplice e buono, antidivo per eccellenza e quasi analfabeta. Joey Dunlop. Il primo e per ora unico a superare in numero di vittorie Mike the Bike.
In seguito solo McGuinnes e Molineaux, con le loro 14 vittorie, riusciranno poi a ed elevarsi al livello di Mike.
Nel 1981, un sera, Mike usci’ con i suoi due figli in auto, per andare a prendersi il tipico “fish and chips” britannico. Un autocarro fece un’ irresponsabile, quanto imprevedibile, inversione ad u davanti alla sua auto. Solo David, il figlio minore, sopravvisse al terribile impatto. Ma come disse il dottor Costa, sul volto di Mike era impresso uno strano sorriso. Perché la nera signora,con cui Mike aveva giocato per anni e di cui si era sempre beffato, per prenderlo con se aveva dovuto barare.

Joey Dunlop: King of the Roads

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Joey Dunlop
Foto Wikipedia

di Bernini Michele “red27”

Il TT del 2000, è uno di quelle gare, che se sei un appassionato di motori, devi poter ricordare.
Quando Joey Dunlop taglio’ il traguardo della gara di Formula 1, in sella alla sua Honda VTR rossa, l’intera isola di Man crollo’ dalla gioia, in un trionfo che abbattè le barriere di tifoseria, team, e campanilismi.
Perché?
Cosa aveva di cosi speciale questo ometto dai capelli grigi, schivo e taciturno? Chi era William Joseph Dunlop?
Per capirlo bisogna partire da lontano. Dai tempi di Armoy. Armoy è uno di quei tipici paesini dell’irlanda, persi nel verde. E negli anni 60, in Irlanda era un posto disperso sul serio. In mezzo al nulla o quasi. Ad una manata di acceleratore dal mare. Su quelle strade deserte l’Armoy Armada si allenava. L’Armoy Armada era una specie di team, di sodalizio, piu’ simile ad una compagnia di ragazzi del muretto per dirla tutta, che non ad una squadra. Semplicemente quattro ragazzi delle campagne, buoni amici, che decisero di essere un gruppo… non so trovare altre parole… era composta da Mervin Robinson, Frank Kennedy,Jim Dunlop ed il suo fratello maggiore William Joseph, detto Joey.

I quattro si misero in luce nelle varie corse stradali nazionali che punteggiavano l’Irlanda di quei tempi con buoni risultati,e si prepararono per fare il salto alle gare internazionali, UlsterGp, North West 200 e Tourist Trophy.
Nel 1976, Joey debutto’ sull’Isola di Man. Non vi era mai stato prima e non aveva idea di dove girasse il tracciato, al punto che in certi tratti, di fronte ai bivi, dovette fermarsi ad aspettare il corridore successivo. Nonostante tutto, si comporto’ bene, dimostrando di essere uno che impara alla svelta. Tant’è che l’anno dopo Joey vinse la sua prima gara, la Jubilee, fatta per celebrare il regno di Elisabetta, e strutturata in modo da favorire i privati, gli underdog. Era l’occasione da prendere e Joey la prese. Il tutto con quell’ingenuita’ tipica del ragazzo di campagna, al punto che quando ando’ sul podio, e gli diedero lo champagne, che lui mai nemmeno si era sognato, rimase li’ candido, per un attimo, non sapendo di preciso cosa farci. Lo avrebbe imparato presto, ma sarebbero dovuti passare due anni ancora, sino al 1980. Due anni tremendi, segnati dalle morti dei fraterni amici Kennedy e
Robinson, che era anche suo cognato, ambedue alla NW200, del 1979 e del 1980. Joey penso’ quasi di smettere, ma era nato per correre, era il suo destino, e nel 1980 mise a segno il suo secondo centro al TT. Da li’ fu inarrestabile sino alla fine degli anni 80, mettendo a segno 13 vittorie complessive, di cui 5 consecutive in F1, con due triplette. Sempre in sella a moto Honda ufficiali al 100%, un sodalizio destinato a durare per sempre, caratterizzato da incredibili concessioni della casa madre. In pratica Joey poteva farsi da meccanico, lavorare sulle moto, e pure portarsele in giro per l’Irlanda per le sue amate e sconosciute gare nazionali. Ma a fronte di questo, lui ripagava il favore vincendo a raffica. La Honda vende piu’ moto e ringrazia. Sinchè nel 1989 fu costretto a disertare, per un crash a Brands Hatch. Ritorno’, un po’ in ombra a dire il vero, nel 1990. Ma ormai era iniziata un’altra era, quella degli Hislop, dei Fogarty e dei McCallen, i primi forse a guidare in strada al 100% tanto come in pista. E il nostro eroe aveva ormai 38 anni, non troppi, specie in gare in cui l’esperienza conta molto, ma era ormai l’eta’ in cui anche i fenomeni danno segni di cedimento.

Nonostante tutto Dunlop non mollava , e sebbene fosse meno competitivo con le superbike, continuo’ a mietere successi con le due tempi, di cui era un maestro. E mica solo al TT. La North West, l’UlsterGp, la Mid Antrim, Skerries, non c’è corsa su strada dove Joey non abbia inciso a ripetizione il suo nome nell’albo d’oro. Solo Macao gli sfuggira’ per sempre. Mitiche le affermazioni nella 125 al TT del 1992, quando eguaglio’ Hailwood e quella del 1994, con suo fratello in ospedale con le gambe polverizzate per un crash a Ballaugh Bridge. Joey corre per lui e per lui vince.
Sinchè nel 1995 lascia un’altra zampata nel seniorTT con la Honda RC45, oltre alla “solita” 250. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Nel 1998 la sua carriera sembra di nuovo finita: alla Tandragee 100 cade e si spacca il bacino e perde anche un dito. Lui come sempre tiene botta, decide di concentrarsi sulle piu’ facili 125 e 250 e due mesi dopo, sotto un diluvio di tuoni e fulmini, vince ancora al TT, con la Honda 250. E’ la vittoria n°23.

Ma Joey non è solo un gran pilota. E’ un uomo raro nella sua anima. Certo, è praticamente incapace di leggere e scrivere, e parla un inglesaccio incomprensibile, ma sa comunque parlare al cuore della
gente. Non si tira mai indietro per foto sorrisi ed autografi, è disponibile con tutti, e non ha mai mollato il suo lavoro al bar
della ferrovia. Gli è stata conferita l’onorificenza di membro dell’impero e di ufficiale dell’impero. La prima per meriti sportivi, ma la seconda per meriti umani.
A meta’ degli anni 90, carica dei camion di aiuti umanitari, e parte per Bosnia e Romania, piu’ volte, in solitaria, per consegnarli alla popolazione.
Non se ne vedono tanti di piloti del motomondiale fare queste cose.
A chi gli chiede perché , lui sorride, fa spallucce e , e si rintana nella sua timidezza e nella sua vita familiare. E’ sposato da sempre con Linda, ed hanno cinque figli, due maschi e tre femmine. Finchè si arriva al 1999. Sono spariti i vecchi rivali, Hislop e Fogarty.
McCallen, l’uomo del poker di vittorie al TT1996 è ferito e sul viale del tramonto. La morte dell’amico fraterno Simon Beck in prova gli da il colpo definitivo. Ma ora c’è qualcuno forse peggiore di questi tre. E’ un omaccione, dal sorriso gioviale, che sembra guidare come si domerebbe un toro nell’arena.
Il ragazzone è David Jefferies, detto DJ. DJ contro JD. Va come un proiettile e se ne infischia della Honda da 500.000 sterline ufficiale di Dunlop e Moodie. Con una Superbike su base R1 di serie, costata in tutto 20.000 sterline, mette in riga tutti con una tripletta alla NW200 ed una al TT. E non solo. All’UlsterGp vince la prima gara del meeting, distrugge la concorrenza e fa il record sul giro.Nella casa di Joey Dunlop.
Il nostro vecchietto inossidabile non ci sta e nell’ultima corsa del giorno, gara 2 delle Superbike, sfodera il colpo da maestro. Parte male e viene dato per tagliato fuori, ma rimonta come un dannato, si sbarazza degli avversari ed inizia a mordere le calcagna di Duffus il compagno di Jefferies. Lo passa , e poi bastona anche DJ, che risponde con veemenza. Ma Dunlop è indemoniato, ha deciso che si vince e ripassa di nuovo DJ che per tutto un emozionante ultimo giro proverà a rispondere a quel vecchietto di 47 anni, che proprio non ne voleva sapere di perdere. E non perdera’, davanti ad al suo pubblico impazzito dalla gioia. Non lo sanno, ma quella è l’ultimo UlsterGp del loro idolo.
Oramai siamo alle soglie del nuovo millennio e tutti si chiedono cosa fara’ Joey….ha 48 anni. Ha vinto tutto. Forse sarebbe ora di smetterla. Lui risponde lamentandosi a scena aperta della sua moto, la Fireblade900, capendo subito che non basta una replica delle R1 per batterle. Riesce a farsi dare la VTRsp1, come quella di Slight.
O meglio, quasi. E infatti le cose quasi non cambiano. Alla NW200 Joey fa solo quinto, e ci resta male. Sa che la sua carriera al top è agli sgoccioli. Ha smesso di fumare, a fatto palestra ed allenamento. Il suo fisico è tirato come un tamburo, altro che nonnetto. E non si da certo per vinto. E Vuole andare al TT con almeno la possibilita’ di provare di vincere. Coi buoni uffici di Bob MacMillan, boss della Honda UK, Joey riesce ad ottenere un motore di Slight e 4 tecnici direttamente dal giappone per il TT. E la pressione mediatica su di lui aumenta, perché se gli danno certe cose, è perché sanno quel che puo’ ottenere. Ma ancora non basta. Solo dopo che gli avranno portato delle gomme con le specifiche dell’anno prima, Joey iniziera’ a girare su tempi da top 10. Ha anche un nuovo compagno di squadra, un giovanotto di cui si parla bene. Un ragazzotto che quando aveva 10 anni corse sotto il podio di un TT, salto’ in spalla a Joey e gli ringhio’: un giorno staro’ qui sopra con te. Il ragazzotto si chiama John McGuinnes, e nel 1998, da buon profeta sotto il diluvio, è sul podio con Joey. E ne diventa pure il compagno di squadra per il TT2000. Il buon Dio da loro una mano, e la notte prima della gara inaugurale, la F1, viene giu’ il finimondo. Il tracciato si è asciugato per la gara, ma a causa del nubifragio ampi tratti sono umidi, sono cadute molte foglie e solo un esperto del Mountain puo’ sapere dove mettere le ruote senza rischiare troppo. E’ la gara di Joey.
Parte fortissimo, ed al termine del primo giro è in testa. Rutter lo segue vicinissimo. Jefferies è quarto, ha perso stranamente alcuni secondi, forse una sbandata, ma si rimette presto in carreggiata. Ed al primo pit stop, annulla lo svantaggio e si porta in testa. Pochi decimi, ma piu’ la pista si asciuga e piu’ Jefferies fa valere la sua irruenza. Stupendo ancora, Dunlop resta vicino, e tiene Jefferies sotto pressione, finchè a meta’ del 4 giro, la sua Yamaha tira gli ultimi, col cambio rotto.
Per un giro e mezzo l’isola diventa il posto piu’ trepidante del mondo. Tutti, tifosi, squadra, Marshall, team e piloti avversari, se ne fregano di tutte le convenzioni e lo incitano. Lui capisce e si fara’ trascinare da quest’onda fluttuante di entusiasmo sin sul traguardo, dove verra’ portato in trionfo e rompera’, nel tentativo di stapparla, la bottiglia di champagne. Ma non è finita. Il vecchietto a razzo mette in riga di nuovo tutti nella 250, e la mattina dopo sbaraglia la concorrenza nella 125.

Tripletta.

La terza della sua vita.

Quando poche ore dopo la vittoria della 125, al via della Junior600, lo si vedra’ partire come una cannonata,di nuovo, in testa per l’ennesima volta, piu’ di uno si chiedera’ dove voglia arrivare Joey Dunlop. Ma ormai il sogno è finito. Complice l’asfalto pulito, e la freschezza fisica, Jefferies ed Archibald riprendono Dunlop, e si fronteggiano poi in una gara da pazzi furiosi, a suon di record sul giro. Vincera’ Jefferies. Archibald 2°, Dunlop 4°.
L’ultima gara dell’edizione 2000, il seniorTT, sara’ il canto del cigno per Joey. Un buon terzo posto, col suo miglior giro di sempre, nella sua ultima tornata di gara al TT. Quel giorno vedra’ la vittoria di Jefferies, alla sua seconda tripletta, consecutiva per di piu’, glorificata battendo il record di Fogarty che resisteva dal 1992. Se c’è un candidato ad essere l’erede naturale di Joey, quello è Big Dave.

Ma ora cosa fara’ Dunlop? Torna a casa con tutti gli onori a Ballymoney, torna alla sua famiglia ed al suo lavoro al bar della Ferrovia. Bob MacMillan arriva ad offrirgli soldi pur di non farlo piu’ tornare al TT. E’ il momento giusto per chiudere, da vincente. Ma Joey ribatte che spesso non ha preso soldi per correre , nemmeno da campione del mondo, ed ora si pretende che li prenda per non correre? La realta’ è che Joey e le corse sono un’unica cosa. Non saprebbe fare altro, per lui c’è solo quello, sua moglie ed i figli.

E come sempre, ai primi di Luglio, si carica le sue moto sul furgone e se lo guida sino a Tallin, in Estonia. Una garetta sconosciuta, dove immagino che nemmeno lo paghino. Se vince prende il premio di gara, viceversa è uno dei tanti, quello che in fondo ha sempre voluto essere.
La mattinata inizia bene, vince la Superbike, sotto il diluvio e fa doppietta con la 600.

Al pomeriggio parte in testa alla 125, sempre sotto l’acqua. Sinchè per motivi mai chiariti, in una curva vola per la tangente, e prende in pieno un alberello. Sul fusto è incisa una gobba che non lascia dubbi sulla sua origine. E’ dove il casco di Joey ha picchiato. E’ dove Joey se n’è andato. Per sempre. Facendo quello che amava. Il mondo delle gare è costernato. Solo un mese prima erano tutti presi dall’eccitazione per le sue vittorie. Ora sono tutti ritornati alla realta’. E in questa realta’ le corse stradali sono l’incarnazione piu’ pericolosa, di uno sport pericoloso a prescindere. Ma nonostante tutto, succede qualcosa di magico, dopo, che tocca solo ai piu’ grandi. Joey non se ne vola via del tutto.
Rivive nelle miriade di caschi i coi suoi colori sparsi in tutti i ritrovi da centauri in tutto il mondo. Rivive nelle sue statue gemelle orientate l’una verso l’altra, poste sul Mountain ed a Ballymoney. Rivive in quel suo atteggiamento da antidivo, da persona normale, e perbene, che ha vissuto con modestia il suo essere campione del mondo, per 5 volte, 26 volte vincitore al TT. Rivive nelle decine di foto, disegni, perfino canzoni, tatuaggi, che la gente fa pensando a lui, il cui mito, a quasi 10 anni dalla scomparsa, brilla di luce propria.

In 50.000 andranno a salutarlo per il suo ultimo viaggio.

L’ultimo viaggio di King of the Roads.

Nuvolari contro il terzo Reich

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Nuvolari contro il terzo Reich
Tazio Nuvolari con il suo celebre maglione giallo con le iniziali e con al collo il suo portafortuna regalatogli da Gabriele D'Annunzio, una tartaruga d'oro. Foto Wikipedia

Racconto di Bernini Michele “red27”

 

Nuvolari contro il terzo Reich
Tazio Nuvolari con il suo celebre maglione giallo con le iniziali e con al collo il suo portafortuna regalatogli da Gabriele D’Annunzio, una tartaruga d’oro. Foto Wikipedia

Quando Alfred Neubauer entro’ in autodromo,la mattina del 28 luglio 1935,non pote’ fare a meno di imprecare. Il cielo sul Nurburgring era color piombo, ed una pesante pioggia si era abbattuta sulla pista. Era sicuro che le sue automobili erano le piu’ performanti e di gran lunga. Pure i suoi piloti erano ottimi e ve ne era qualcuno addirittura superlativo sul bagnato. Ma il problema era quel diavolo d’un italiano. Col sole non avrebbe avuto speranza, nemmeno la classe poteva sopperire ai cavalli vapore… ma col bagnato cambiava tutto, la sua macchina meno potente era piu’ docile, il suo stile spericolato perfetto per la situazione. Si ritrovo’ a sorridere sarcasticamente… forse il Furher non sara’ contento.
Gia’, il Furher…
In mezzo al deliro del nazismo, in modo da affermare la superiorita’ germanica anche nelle corse d’auto, Hitler sovvenziono’ la Mercedes e l’Auto Union con 225.000 marchi ciascuna. Poco importa che quel denaro servi’ appena per il progetto delle rispettive auto. Il risultato fu eccezionale, due tra le piu’ belle auto da corsa mai viste. La Mercedes diede alla luce la W25. motore otto cilindri in linea di 3360 cc doppio albero a camme in testa, con quattro valvole per cilindro, 354 CV a 5800 giri/min, fu portata poi fino a 4740 cc a 449 CV a 5800 giri/min. La macchina, color argento, era di una bellezza commovente. E sembrava uscita dieci anni in anticipo. Se la AlfaRomeoP3 del 1934,per quanto bellissima, era nei tratti somatici non molto diversa dalla sua progenitrice p2 del 1925, la Mercedes sembrava in tutto e per tutto una macchina da Gran Premio come quelle che verranno negli anni 50. Il capo squadra Mercedes era il pingue e bisbetico Alfred Neubauer, ex pilota e dittatore del box tedesco, una figura che gia’ ai tempi era leggendaria.
L’Auto Union era da meno, anzi, con la sua Type C era se possibile ancor piu’ stupefacente. Col suo motore centrale v16, 4.358cc con compressore, 375CV, cambio a sbalzo e serbatoio tra motore e posto guida avanzatissimo, sembrava addirittura spostare i riferimenti piu’ in la. Il motore posizionato dietro al pilota la rendeva qualcosa di diverso e moderno che si sarebbe replicato solo negli anni 50, dalla rediviva Bugatti, ma con scarso successo, e poi dalla Cooper. A capo del progetto un uomo che avrebbe fatto strada, Ferdinand Porsche.Quando i bolidi furono pronti per scendere in pista, i migliori piloti tedeschi del periodo vi si cimentaronoi. La Mercedes aveva la sua bandiera in Rudolf Caracciola, mentre la Auto Union poteva annoverare tra i sui piloti lo spericolato Bernd Rosemeyer. Diversi nel carattere e nel modo di essere, stilista sopraffino e mago del bagnato il primo, irruente e volubile il secondo, erano i Varzi e Nuvolari della Germania. E gli unici che potevano ergersi al livello dei nostri campioni.
Il Gp di Germania 1935 si tenne sul tracciato del Nurburgring, forse il piu’ severo banco di prova per gli uomini ed i mezzi mai creato.Ventidue chilometri di salite,curve, picchiate e veri e proprio salti. Un solo lunghissimo rettifilo dava tregua ai piloti, che si dovevano prodigare in uno sforzo non comune, per completare i 20 massacranti giri di gara. All’impegno della pista si aggiungeva quello di pilotare le auto dell’epoca. Con la formula del peso massimo consentito, 750kg, la federazione internazionale, l’A.I.A.C.R., credeva di rallentare le auto. Pensavano ingenuamente che con un limite molto basso, si sarebbero per forza dovute costruire auto con motori piccoli e poco potenti. Ma l’inganno, se cosi’ puo’ essere chiamato, fu presto trovato. Facendo ricorso alla siderurgia piu’ avanzata dell’epoca, e con un largo uso di leghe leggere, Mercedes e Auto Union e poi Alfa Romeo diedero vita ad autentici mostri, in grado di superare agevolmente i 280 orari. Le stesse auto, adeguatamente carenate, superarono addirittura i 400 kmh in vari tentativi di record. Provate a pensare cosa volesse dire, scendere in pista nel 1935 con tali mezzi, su gomme strette di mescola durissima, con freni inesistenti, senza le norme di sicurezza oggi piu’ elementari. E andare a 280 all’ora. Roba da temerari.
Quando le auto furono schierate l’imponenza di mezzi dei tedeschi fu chiara a tutti. La Mercedes schiero’ 5 macchine, per Caracciola, Lang, Fagioli, von Brauchitsch e Geiger, e la Auto Union 4,per Rosemeyer, Varzi, Stuck e Pietsch . L’opposizione ai bolidi d’argento faceva sorridere i gerarchi nazisti sulle tribune. Nuvolari,Brivio Chiron e Balestrero erano lo schieramento dell’Alfa Romeo, ed aggiunta vi erano una Bugatti 59, una Era e un paio di maserati. Tazio Nuvolari era l’ariete di questa debole compagine. Il mantovano volante era rimasto fedele al marchio italiano Alfa Romeo ed al direttore della sua Scuderia, Enzo Ferrari. Ma era un lotta impari, non tanto contro i piloti avversari, ma nei confronti di quella differenza di 100 e piu’ cavalli, tutti a disposizione del pedale dell’acceleratore dei bolidi d’argento. Nemmeno l’asso italiano poteva sopperire a tanto.Il mantovano guidava l’ultimissima evoluzione della Alfa Romeo P3, la meravigliosa creatura di Vittorio Jano. Il motore della sua macchina era stato portato a 3500cc e la potenza aumentata, ma questo causava problemi di affidabilita’, soprattutto alla trasmissione. Pertanto il cambio fu portato da 4 a 3 marce. Questo rendeva l’auto forse piu’ prestazionale nei suoi valori massimi, ma meno flessibile. Nonostante tutto Nuvolari si sarebbe messo al volante di una macchina non italiana solo quando si sarebbe estinta l’ultima possibilita’ di vittoria. Di tutt’altro avviso era Achille Varzi che all’inizio dell’anno firmo’ per l’Auto Union. Sapeva ovviamente che gli italiani l’avrebbe considerato un venduto, ma nella sua mente di calcolatore utilitarista questo contava come il due di picche. E quando le Auto si schierarono, con la griglia di partenza stabilita a sorteggio, i due incrociarono i loro sguardi, e Varzi saluto’ con un cenno l’eterno rivale. La folla di 250.000 anime fece altrettanto, con una ovazione enorme, salutando quella figura claudicante fasciata dall’usuale divisa:aI collo il nastro tricolore, la maglietta gialla, le braghe celesti, e la tartaruga d’oro, l’amuleto donatagli da D’Annunzio. E quel giorno fu fortunato, col sorteggio partiva in prima fila a fianco a Stuck.
Al via su pista umida il piu’ lesto, come da previsione, fu Caracciola. Quello era il bersaglio di Nuvolari, che cerco’ subito di mettersi alla sua ruota, al punto di mettere due ruote sull’erba bagnata verso la curva sud e sopravanzare Fagioli, che lo incalzo’ al via. Per tutto il primo giro i due si misurarono al massimo delle loro possibilita’. Caracciola guadagnava nei tratti veloci, il Fugplatz, i curvoni di Bergwerk e verso il ponte di Brunnchen, ma Nuvolari gli arrivava dietro come un predatore nei tratti piu’ guidati. Solo nel rettilineo lunghissimo prima del traguardo il tedesco stacco’ leggermente il mantovano, forte di una mercedes in grado di toccare i 280 orari, contro i soli 240 dell’alfa. Ma Nuvolari non si preoccupo’, in quel primo giro volle capire se stesso ed il rivale, e ,dopo aver visto quali erano le sue possibilita’, decise di fare una gara di attesa, senza strapazzare la macchina. Pertanto si fece passare sia da Rosemayer che da Von Brauchitsch e si impegno’ solo a contenere il distacco entro i 30-40 secondi, ma guidando a strada libera, senza pressione e senza schizzi in faccia delle auto davanti. Al 4° giro addirittura Chiron passo’ Nuvolari, ma solo per fermarsi ai box con la trasmissione fuori uso. Brivio per lo stesso problema era fermo da un pezzo. Anche Rosemeyer era attardato per un problema, ed alla fine della 4° tornata Caracciola conduceva su Fagioli, Von Brauchitsch e appunto Nuvolari. Sinchè al 6° giro Nivola ruppe gli indugi e lancio’ l’attacco. Il suo stile inimitabile gli dava un vantaggio considerevole. Semplicemente il tutto consisteva nel entrare in curva fortissimo ,frenare bruscamente, e altrettanto bruscamente dare gas, facendo fare all’auto tutta la curva in un unica e controllata sbandata. Era l’unico a riuscirci col gas a tavoletta. Gli altri lo facevano telegrafando sul pedale, ma lui no. Cosi’ facendo si ritrovava col muso che puntava al rettilineo successivo prima degli altri, percorreva meno metri e poteva uscire piu’ forte dalle curve. Con l’avvento delle sospensioni indipendenti un po’ del vantaggio di quella tecnica al limite era andato perso. Ma quando il tracciato era guidato e bagnato come quel giorno sul Ring, non c’era storia. Passo’ il redivivo Rosemeyer e von Brauchitsch, poi al 9° giro la sosta ai box di Fagioli gli diede il 2° posto. Al 10° passaggio, quando tutti si aspettavano Caracciola, fu l’Alfa col cavallino rampante sul cofano a passare per prima sul rettifilo delle tribune, accolta dallo sbigottito silenzio dei tifosi germanici. Il corpsfuher Hunlein ando’ personalmente al box di Neubauer, chiedendogli cosa stesse andando storto, asserendo che Hitler non l’avrebbe presa bene. Neubauer minimizzo’, ma l’italiano non mollava. Sinchè non avvenne il disastro. Nuvolari entro’ ai box all11° giro per il cambio gomme e rifornimento. Normalmente la pompa Alfa Romeo con leva manuale dava un certo vantaggio. Ma l’addetto quella volte ruppe la leva. Dopo un attimo di concitazione i meccanici decisero di travasare il carburante in due taniche piu’ piccole ed seguire il rifornimento per caduta. Il tutto mentre un agitatissimo Nuvolari gesticolava, saltava intorno all’auto e gridava in dialetto a squarciagola di fare presto. 2 minuti e 35 di rifornimento contro i 47 di Von Brauchistch. 87 secondi li dividevano sul tracciato. Lo speaker, tradendo una certa soddisfazione,diede per spacciato l’italiano. Anche perché era 6° dietro a Von Brauchitsch, Caracciola,Rosemayer,Stuck e Fagioli e tutti loro sembravano in grado di competere per la vittoria. Se non che loro erano campioni. Lui era Nuvolari. L’azione del mitico Tazio fu ancora piu’ impetuosa di quella nella prima parte di gara. Furente per il tempo perso decise di mettere da parte ogni prudenza e ripasso’ i bolidi d’argento uno a uno, piombando sugli avversari come un gatto col topo, rodendo nel frattempo il distacco del battistrada Von Brauchitsch, cui la freddezza iniziava a difettare. 2 minuti prima, poi 47 secondi, 43, infine 30 secondi a due giri dalla fine. Il prussiano ebbe anche la forza di rispondere, mettendo altri 3 secondi tra se e l’italiano. Ma dovette portare la macchina all’estremo e quando passo sul traguardo per l’ultimo giro, Neubauer noto ‘ uno strano colore nei pneumatici dell’auto, unito al concitato gesticolare verso le gomme del pilota. Non tutti capirono ma lui si rese conto che erano spacciati. Quei gesti ed il colore significavano che le gomme posteriori dell’auto erano ormai alle tele.
Von Brauchitsch spinse finchè le gomme posteriori esplosero. L’auto si imbarco’ paurosamente e con uno sforzo estremo il pilota la controllo’ sino a fermarsi quasi. Ma l’unica ricompensa che ricevette fu il veder passare e scomparire nelle nebbia Nuvolari a 4 km dall’arrivo.
Il mantovano taglio’ il traguardo in un silenzio irreale, con lo speaker che balbettava frasi sconnesse. Solo dopo un attimo il pubblico gli conferi’ quell’onore che meritava. L’ultima beffa per i tedeschi prima di salire sul podio. Al momento della premiazione, venne riferito che non poteva essere suonato l’inno italiano. Gli organizzatori erano cosi’ certi della vittoria di un loro pilota che non se ne erano procurati una copia. Nuvolari rispose senza scomporsi che non c’era problema, e filo’ personalmente a prendersi il disco con l’inno che portava sempre con se, prima di farsi cingere dalla corona d’alloro

C.P. Racing

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a cura di Fange con la collaborazione di Andrea Bornago

 

In un giorno di giugno di quelli che puoi cuocere le uova sul cofano di una macchina parcheggiata al sole ci presentiamo da Claudio Petrassi, Cippì per gli amici, titolare della CP Racing, un’officina dove c’è la più grande concentrazione di moto da corsa che io abbia mai visto in una sola volta. Purtroppo la maggior parte sono Ducati ma la Guzzi preparata di Cippì spicca fra tutte come una gemma luccicosa tra tante pietre opache. La linea grintosa, il rosso fuoco della vernice e quegli scarichi altissimi la fanno apparire come una belva che se ti prende nel mirino non hai possibilità di salvezza.

 

Fange: Cippì, raccontaci quando sei diventati un guzzista

CP: Probabilmente ci sono nato

F: Allora dicci quando sei diventato meccanico

C: 29 anni fa. Mi sono occupato di auto per 14 anni e poi per passione sono passato alle moto da 15 anni. Sono due anni che lavoro in proprio.

F: Per chi lavoravi prima di metterti in proprio?

C: Per Celani Team. A Roma è un nome piuttosto conosciuto.

F: Celani portava le Guzzi in pista?

C: No. Celani portava in gara solo Ducati.

Andrea: E perchè un meccanico che prepara le Ducati , che sta sempre in mezzo alle Ducati, che le ha provate di tutti i tipi….perchè proprio la Guzzi?

C: Tu che sei un guzzista lo dovresti sapere…….

A: la mia è una scelta dettata dalla passione

C: Anche per me è la stessa cosa. Nel 2001 una Ducati preparata da me ha vinto il titolo esordienti nel Campionato Italiano Supertwin (mi mostra il trofeo n.d.a.) e ho anche posseduto delle Ducati ma mai per più di un mese, l’ultima volta era un 748 e ho resistito una settimana. Il richiamo dell’aquila poi è troppo forte.

A: Ma secondo te le Ducati due valvole oggi sono moto molto superiori alle Guzzi?

C: No, le Guzzi sono moto particolari, vanno guidate in certo modo, se chi le guida le conosce bene può ottenere risultati simili, non dico uguali, alle Ducati.

F: Ma per ottenere i risultati che dici una Guzzi richiede molto lavoro?

C: Io dico di no, magari se senti altri preparatori dicono il contrario. Per me è abbastanza facile ottenere prestazioni accettabili da un Guzzi spendendo anche cifre ragionevoli.

F: E secondo te quali sono le moto che si prestano meglio ad una elaborazione e su quali punti intervieni maggiormente.

C: Parlando di moto sportive io prediligo il 1100 Sport o la Daytona. La parte che necessita maggiore attenzione è senz’altro il telaio. Io intervengo sulle dimensioni del telaio per variare il valore di interasse e di inclinazione del cannotto di sterzo. Sul motore bastano pochi e mirati interventi per ottenere risultati notevoli.

F: Quindi per te la base su cui lavorare è la ciclistica.

C: Senz’altro, il motore viene in seguito, anche perchè un motore preparato senza una adeguata ciclistica serve a poco.

F: E prendendo in considerazione un 1100Sport o una Daytona in versione originale quali sono i loro limiti?

C: La ciclistica innesca delle vibrazioni strane quando si percorrono i curvoni a forte velocità e l’asfalto è sconnesso. Questo fatto non ti permette di andare forte come vorresti. Inoltre non si possono chiudere bene le curve perchè la moto occupa troppa strada. Facendo delle modifiche adeguate al telaio invece la moto diventa “quasi” come un Ducati della serie 748-998. Si riesce ad entrare bene in curva, ad uscire bene pur mantenendo una altissima stabilità.

F: E queste modifiche di cui parli le hai inventate tu?

C: Che io sappia si. Ora non so se sono l’unico che ci è arrivato ma io non ho copiato nessuno.

F: Quindi sono frutto di tuoi ragionamenti…

C: Più che altro della mia fantasia. Il primo esperimento l’ho fatto sulla mia Daytona perchè non volevo creare il benchè minimo problema alle moto dei clienti. L’ho accorciata esagerando un pochino e la moto è risultata 7 cm più corta dell’originale. Pensavo di aver fatto un danno e invece poi provandola in tutte le condizioni, pista compresa, la moto è risultata completamente trasformata, andava benissimo e i clienti mi hanno cominciato a chiedere di fare l’intervento anche sulle loro moto.

A: E come mai sul 1100Sport che hai ora invece “l’accorciamento” è risultato inferiore?

C: Perchè volevo ottenere un effetto più stradale che pistaiolo. Va bene lo stesso anche in pista, chiude bene le curve ma non come il Daytona che occupava ancora meno pista, ma va bene anche così.

F: Quindi l’intervento grosso è tutto sul telaio.

C: Si

F: E ci puoi dire in che consiste questo intervento?

C: Sarebbe più semplice prendere un telaio e fartelo vedere. Per spiegarlo in parole povere taglio un tassello di telaio di forma triangolare lungo il trave, richiudo il telaio e lo risaldo. Modifico i supporti anteriori del motore che risultano più corti e il gioco è fatto. Viene poi limata la semicarena per non farla sbattere sui cilindri e la moto è finita. Se la guardi una volta finita non ti accorgi di nulla. Solo se la vedi vicino ad un’altra originale la differenza è lampante.

F: Scusa Cippì, ma facendo così il motore non risulta più alto di prima?

C: No assolutamente, la luce a terra è esattamente la stessa. Il motore viene rimesso alla stessa altezza sfilando delle forcelle dalle piastre di sterzo.

F: E a quanto ammonta questo sfilamento?

C: Nel caso del Daytona era di 10 cm. Sul 1100 Sport è di 7 cm che non è poco.

F: Ma la moto mantiene la stessa sicurezza in strada? E nel caso di una frenata di emergenza o altre situazioni limiti?

C: La risposta della moto a queste situazioni viene migliorata in maniera esagerata. La dovresti provare per renderti conto del cambiamento, è un discorso di riposizionamento dei pesi. La moto diventa più rigida sulle sconnessioni della strada, è molto più controllabile perchè “comunica” molto di più con il guidatore. Non ci sono più le vibrazioni al retrotreno, la moto era troppo lunga e tendeva a vibrare. Riducendo le leve si riducono le flessioni e le risonanze.

F: Ma le sospensioni lavorano bene?

C: Lavorano molto meglio una volta trovato il setting. Chiaramente io mi riferisco sempre ad un uso sportivo. Se si vuole fare la passeggiata l’assetto va reso più turistico. Comunque io la moto la uso quotidianamente e non ho mai riscontrato nessun tipo di reazione anomala.

 

 


A: Scusa Cippì, ma tutti parlano male del cardano per un uso sportivo invece tu mi dicevi a microfoni spenti che secondo te in pista “il cardano ti da una mano”!

C: Si e ti spiego il perchè. Il cardano ha un momento di forza che quando acceleri tende a sollevare il retrotreno della moto. Questo si rivela utile mentre stai percorrendo una curva perchè nel momento in cui dai gas l’effetto di alleggerimento dell’avantreno tipico delle moto a catena viene contrastato dall’effetto del cardano che invece alza il retrotreno e tende a caricare la moto davanti. Il risultato è che in curva puoi accelerare molto prima di una moto a catena senza rischiare di perdere la traiettoria.

F: In un certo senso quindi il cardano ha qualche vantaggio.

C: Secondo me si. Infatti tante volte ho pensato che sarebbe interessante vedere cosa succede ad una moto a catena se si potesse mettere a punto un dispositivo in grado di far ruotare la catena al contrario rispetto al senso di marcia e simulare così un “effetto cardano” al retrotreno pur non avendo il peso del cardano. Ma è solo una curiosità che penso resterà tale.

F: E’ innegabile però che il cardano pur avendo i vantaggi dinamici di cui ci hai parlato ha un grosso svantaggio rappresentato dal peso.

C: Certo che il peso del cardano è un grosso handicap ma solo se vuoi fare una moto da competizione vera. Per il resto rimane accettabile.

F: Tu prepari diverse moto che partecipano al Campionato Italiano Supertwin e sono tutte Ducati. Queste moto sono fatte prendendo un telaio del tipo usato sulle 748-998 e il motore è un due valvole raffreddato ad aria solitamente di derivazione 900SS. Secondo te, con un motore Guzzi si potrebbero ottenere le stesse prestazioni di quelle moto?

C: Mah! veramente fino a qualche anno fa era l’inverso, parlando del ’95 ’96 le Ducati vedevano solo il codone delle Guzzi.

F: E oggi cosa è cambiato? Le Ducati sono andate avanti?

C: Beh! oggi le Ducati sono avanti ma non perchè sia migliorato il loro motore, è perchè si sono arresi i Guzzisti!!!

F: Anche il peso riveste un ruolo determinante.

C: Certo la differenza è notevole. Ti basti pensare solo che tra un motore Guzzi completo di cambio e un motore Ducati due valvole ci sono 25 kg di differenza ai quali vanno aggiunti altri 8-10 kg di trasmissione cardanica. Oggi una Guzzi preparata per le competizioni può arrivare al massimo a 160kg ma bisogna lavorare su ogni particolare e alleggerire tutto quello che è possibile alleggerire.

F: Che ci dici delle due serie del V11? Potrebbero essere usate come base per una moto da competizione?

C: Si certo, adeguatamente accorciate…

F: Anche quelle non vanno bene così?

C: No, sono troppo lunghe.

F: E dell’allungamento dell’interasse messo in atto sulla seconda serie cosa ne pensi?

C: Per me potevano benissimo risparmiare tutto quel materiale in più. A mio avviso andava fatto l’esatto contrario di quello che è stato poi messo in produzione.

F: Ma la prima serie tutti dicono che era instabile.

C: Invece la seconda? Pensi che in una gara vada meglio? Vedi, a mio avviso c’è un discorso di fondo, il telaio nato sulla Daytona del Dr. John è un telaio di derivazione sportiva. E’ fatto per avere l’avantreno caricato. Su moto come il Centauro o il V11 è la posizione di guida che è troppo arretrata. Se usando quel telaio scarichi l’avantreno la moto diventa instabile. Mi è successo una volta di fare una strada molto veloce e guidata con il Daytona ancora originale che in quei giorni era senza carena. In entrata di curva la moto era inguidabile per effetto dell’aria diretta che faceva alleggerire la moto davanti. Quel telaio è nato per un uso sportivo e poi è stato adattato su una moto turistica nuda con tutto quello che ne consegue. Il V11 Le Mans va molto meglio grazie alla carenatura che evita l’effetto di alleggerimento dell’avantreno. Chiaramente io ragiono sempre in termini di utilizzo al limite della moto che è la circostanza in cui emergono tutti i difetti di un progetto.

A: Però tu non fai solo lavori destinati alle competizioni. Ad esempio mi parlavi dell’installazione di un monoammortizzatore da montare sulle Guzzi con il telaio Tonti, tipo le California.

C: Si, l’ho fatto per la prima volta sulla Le Mans II che avevo anni fa. Si fa una capriata sul forcellone originale che permette di adottare un monoammortizzatore. L’ho fatto recentemente anche su una California Jackal. Volendo poi si può eliminare anche tutto il telaio reggisella visto che non ha più lo scopo di sorreggere gli ammortizzatori originali e montarne uno più leggero.

 

A: So che hai avuto anche una Aprilia RSV1000

C: Si, una ottima moto, ci vai subito forte, basta trovare il giusto setting delle sospensioni e la moto va benissimo. Magari qualche cavallo in più di motore non guasterebbe ma la moto va veramente bene.

A: E perchè poi sei ritornato alla Guzzi?

C. (ride) Sempre per lo stesso richiamo di cui parlavamo prima……la RSV è un’ottima moto……però

F: Però?

C: C’è sempre quel però……c’è sempre quell’aquila che vedo volteggiare lassù…… è un discorso di passione, fortuna che ci sono le passioni…….. altrimenti andremmo tutti in giro con le giapponesi……..

F: Hai preparato questa 1100 Sport con l’obiettivo di farla partecipare al Campionato Italiano Supertwin di quest’anno.

C: Esatto

F: E poi che è successo?

C: E’ successo quello che succede spesso: il budget. Se ci fosse un pilota coraggioso appassionato di Guzzi che fosse in grado di finanziarsi per la stagione gli metterei subito la moto a disposizione.

F: Tante volte hai detto che la guideresti anche tu

C: Senz’altro, se avessi un budget adeguato lo farei subito.

A: Però la moto l’hai provata anche in pista in vista del campionato.

C: Si, la moto l’ho provata in tutte le situazioni, da Cellole al Mugello, dal misto stretto al superveloce.

A: E c’è molta differenza con una Ducati da Supertwin?

C: La differenza ora è solo nel peso. Io ho concentrato i miei sforzi sul telaio. Ora il telaio funziona bene. Da ora in poi bisognerebbe lavorare sul peso, alleggerire molte componenti ma lo sforzo non è da poco.

A: Quindi il motore non è molto pompato

C: Il motore ha solo dei cilindri maggiorati a 94mm di alesaggio e poche altre modifiche ma va benissimo così. Si dovrebbe lavorare sulla ciclistica adottando dei cerchi in magnesio e tutta la bulloneria in titanio. In fabbrica per risparmiare sulle filettature nella moto ci hanno messo moltissimi perni passanti chiusi con i dadi dove invece potevano benissimo essere usate delle semplici viti che alla fine ti fanno risparmiare peso.

F: Parlaci dello scarico

C: Lo scarico l’ho realizzato io in maniera completamente artigianale. Ho fatto diversi esperimenti partendo da due scarichi indipendenti senza compensatore, la moto aveva molta coppia in basso ma oltre i 7000 giri il motore faticava a salire. Poi ho inserito un compensatore e la situazione è molto migliorata.

F: Ma come, il compensatore non serve per migliorare il tiro ai bassi?

C: Non è così semplice, conta molto la lunghezza degli scarichi e questi sono molto lunghi.

F: Ho visto diversi 1100 Sport anche completamente originali con il compensatore che fai tu

C. Si, lo vogliono in molti. Lo faccio artigianalmente. La moto ci guadagna sia nell’estetica che nel tiro del motore con una spesa più che accettabile che va dai 130 ai 150 euro. Non li produco in serie ma ne costruisco uno nuovo ogni volta così lo posso adattare a qualunque terminale monti la moto. Poi volendo si possono fare tante altre cose tipo togliere l’air-box e mettere due filtri direttamente sugli iniettori. Così facendo l’estetica della moto cambia molto e si alleggerisce notevolmente la linea perchè si sfina la parte centrale e il mono posteriore viene messo in vista sotto il codone. Diventa molto bella.

F: E il compensatore si può fare anche per le nuove moto? Tipo il V11?

C: Certo, il principio è lo stesso. Poi si rifà una piccola messa a punto e la moto cambia dalla notte al giorno.

F: Hai lavorato molto anche sul tuo vecchio Le Mans II. Cosa puoi dire ora che hai messo le mani a fondo su due generazioni di Guzzi?

C: Si, sul Le Mans avevo lavorato molto. Telaio alleggerito, monoammortizzatore, forcella rovesciata, cerchi larghi, motore rivisto, scarico artigianale e batteria spostata sotto il cambio. Ma sono epoche troppo diverse, quella moto non può competere con il telaio del 1100 Sport modificato com’è ora. Qui siamo a quota 1430 di interasse rispetto ai 1475 originali. La velocità di percorrenza della curva e le traiettorie che questo telaio ti permette sono molto superiori.

F: Avevo visto anche un cerchio da 5,5 pollici per il posteriore.

C: Si, era l’originale Guzzi montato sui nuovi V11. L’ho montato senza difficoltà sul 1100 Sport. Serve sempre in un’ottica di portare la moto al limite. Ti dona un’impronta a terra leggermente superiore che ti consente di aprire il gas qualche attimo prima mentre sei in piega.

F: Il reparto freni e sospensioni hanno subito modifiche?

C: I freni di serie sono dei Brembo serie oro e vanno benissimo così. Al limite si può intervenire sul tipo di pasticche adottate in base all’uso che si vuole fare della moto. Passando alle sospensioni le WP di serie sono ottime. Sicuramente migliori di quelle montate oggi sui V11 di serie.

F: Chiaramente non stai parlando della V11 Scura

C: La Scura non l’ho ancora provata. Certo le Holins sono sospensioni di un altro livello. Vedrò di provarla.

F: Veramente avevo sentito che volevi comprarne una

C: Era un’idea. Se la dovessi comprare stai pur certo che non la metterei neanche in moto. La metterei subito sotto i ferri.

F: Ma con quel telaio parti da un interasse di 1490mm

C: Vedremo di arrivare comunque ai 1430 del 1100 Sport.

F: Allora non ci resta che aspettare per sapere come andrà dopo la “cura”.

C: Contaci, non mancherò di fartelo sapere.

 

Dopo i saluti e i convenevoli è difficile non provare un certo senso di inferiorità al cospetto delle nostre moto così “normali”. Certo è che le parole di Cippì sono coinvolgenti. Ti fa vedere cose incredibili come se fossero banali al pari di un cambio d’olio e filtro. Telai accorciati di 4 cm e forcelle sfilate di 7 cm sono cose incredibili se ci pensate ma che diventano normali se le vedi dentro l’antro di Cippì.

Persone così pensavo esistessero solo nella terra dei mutùr, in Romagna, dove si trovano artisti capaci di cose incredibili. Invece con mia grande felicità ho scoperto che anche nella Capitale, cercando con attenzione, qualcosa di buono può saltar fuori.

Cippì rappresenta a mio avviso un caso anomalo nello scenario dei meccanici di Roma. E’ un appassionato, e non c’è cosa più bella che vedere un meccanico che lavora sulle moto con passione, vedere che prova piacere in quello che fa, che è in grado di fare le cose più disparate senza conteggiare i minuti che ci vogliono.

Al contrario, non c’è cosa più triste che vedere un meccanico che lavora senza nessuna passione, che entra nella routine e lavorare su una Guzzi o su uno scooter rappresenta esattamente la stessa cosa, tanto l’importante è arrivare all’orario di chiusura. Purtroppo questa scena a Roma si vede molto, anzi, troppo frequentemente.

Per fortuna che c’è Cippì!!

C.P. Racing – V. Giarratana 76a – Roma – Tel. 333.45.22.920

I miei 11km sul Tetto del Mondo

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Di Stefano Bellotti

Helsinki, ore 8 del mattino.
Nel garage dell’hotel ho appena terminato di caricare la moto. Borse, bauletto, borsa da serbatoio, tutto per bene.
Per bene niente.
Ho il cuore in gola.
Premo il grosso pulsante rosso e apro il cancello automatico per la rampa di uscita, inserisco la chiave nel cruscotto.
Scendo dal cavalletto centrale, e quella maledetta voce dentro di me mi stordisce.

“Ma sei sicuro di quello che stai facendo? Ma hai pensato che casino sarebbe se accadesse ancora durante la giornata di oggi? Riflettici bene: ora sei solo! Non puoi contare su nessun aiuto! E hai pensato ad Anna? Dammi retta, riprendi il traghetto finchè sei in tempo e torna a casa…”

Giro la chiave, il cruscotto si illumina….. la pompa della benzina emette il suo magico ronzìo.
Tiro un lungo sospiro…
Maledetto fusibile! Se non si fosse bruciato misteriosamente la pompa della benzina avrebbe continuato a funzionare, io non sarei rimasto a piedi e oggi sarei ancora insieme agli altri!
Il motore parte prontissimo e lo faccio girare un pochino al minimo, mentre continuo a pensare freneticamente…. Ma sarà il caso? Affrontare una tappa veramente lunga, 900 km circa, per saltare Vaasa e raggiungere il resto del gruppo a Rovaniemi, e solo ieri all’assistenza Moto Guzzi di Tallin si sono letteralmente grattati la pera quando la moto, trascorsa la notte e sostituito l’ennesimo fusibile da 20A è improvvisamente ripartita.
Dopo 3.500 km in mezzo alle Repubbliche Baltiche, Praga, Cracovia, Varsavia, Riga…e 4 giorni in mezzo alla pioggia battente e al vento , la Guzzi si è fermata col triangolino rosso acceso fisso ed un ben poco mandelliano SERVICE (alla faccia della Storia tutta Italiana!) che imperava sul computer del cruscotto! Inutili i tentativi di trovare umido nei connettori, inutili i tentativi di cambiare il fusibile che continuava a bruciarsi, inutile il tentativo di trovare un filo a massa: quella era lì sul ciglio della strada con la sua spia rossa accesa e non ne voleva sapere di ripartire! L’unica soluzione era stata quella di aspettare mestamente il furgone scopa…

“Ma ad Anna ci hai pensato? Non sei piu’ soltanto tu a rischiare adesso. Adesso c’è anche lei! E non ce la farai mai!!! mai!!! MAIIIII!!!!!!Ma chi te lo fa fare??”

Già…. La cosa è parecchio azzardata. Il guasto non l’hanno trovato, potrebbe essere umidità, potrebbe essere un filo che fa cortocircuito….
Ma è il nostro viaggio di nozze! È un sogno che culliamo da quando ci siamo conosciuti. Non posso proprio non tentare il tutto per tutto.

“ E poi sono 900 km! E non ci sono autostrade! E tu adesso ne hai 46! E non è il numero di Valentino, ma gli anni che ti porti appresso, assieme alla cervicale, alla schiena, ad un anno di lavoro, te lo ricordi che ti fai 80mila all’anno in macchina, vero?! E gli ultimi mesi hai occupato tutte le tue energie a organizzare il vostro matrimonio! Dammi retta, getta la spugna! Riprendi il traghetto, vai a casa e vendi ‘sto cesso di moto…”

Ma noi dobbiamo vedere il cielo azzurro della Finlandia che si appiattisce e si allunga! E vogliamo vedere quel Mappamondo che si affaccia sul Mare di Barens!
Il Mare di Barens…
Che con la sua maestosa calma e il suo regale silenzio ci dichiara apertamente di essere il padrone incontrastato di quell’infinito, e ti fa sentire un minuscolo ospite, insignificante….
Ore 8.10.
Esco dalla rampa del garage, Anna è la in cima che mi aspetta.
Non mi dimenticherò mai di quel pomeriggio d’agosto quando entrò in chiesa nel suo abito bianco… quando ero io ad aspettarla… semplicemente meravigliosa! Come lo era adesso in tenuta motociclistica!
Si accomoda sulla sella posteriore con quella grazia che solo lei può avere, ingrano la prima e sono in strada. “Come va la moto?” –mi dice – “Ci possiamo fidare?”

“Tranquilla, è un violino! Non la senti? E poi ho guardato bene la cartina: la strada sarà ottima!!”

La strada invece è peggio di quanto immaginassi! Usciti da Helsinki è tutto un limite di velocità e di rilevatori pronti a castagnarmi. Così non può andare, non ce la farò mai a essere a Rovaniemi per le 7 e 30 di stasera, per la cena che Federico e Stefano prepareranno a tutto il gruppo.
Federico e Stefano…
Sono i nostri accompagnatori. Sono loro il marchio “Raid Inside”. Federico ci fa strada in moto, con una pazienza infinita controlla tutto il gruppo. Ci da delle regole da seguire. Ci fa capire quanto sia importante rispettarle.
Stefano segue col furgone. Lo carica e lo scarica dalle nostre valigie, attrezza la cucina da campo quando ceniamo nei campeggi. Fa il lavoro sporco. “Qualcuno dovrà pur farlo”, non lo dice ma lo pensa. Sono due professionisti. E sono in gamba. Il loro lavoro è la loro passione, e spinti da questa energia si fanno veramente in quattro per venire incontro alle tue esigenze e per far sì che la tua sia una meravigliosa vacanza.
Loro il viaggio ce l’hanno dentro veramente, e conoscono alla perfezione gli stati d’animo di chi ha deciso di seguirli nell’ itinerario che hanno preparato. E sanno cosa devono fare.
Anche quando si è trattato di caricare la mia moto su quel furgone e portarla all’assistenza di Tallin, ad un centinaio di km, loro sapevano cosa fare per aiutare me, in totale coma guzzistico, e far continuare la vacanza agli altri componenti del gruppo.
E quel giorno, vedere che tutti gli altri 16 partecipanti erano lì nel parcheggio di quel centro commerciale ad aspettare noi e la moto nel furgone sotto la pioggia invece di essere già comodamente in albergo…. Beh… lì e in quel momento ho capito che Stefano e Federico stavano facendo proprio un buon lavoro: erano riusciti ad amalgamare persone completamente diverse tra loro. E questo è Lo Spirito Motociclistico nella sua pura essenza!
Anche questo mi ha dato la carica necessaria per non abbandonare la partita e tentare il ricongiungimento…
Ma intanto la strada è ancora lunga, non sono neanche a metà percorso ed è già ora di pranzo! Per fortuna la Finlandia ci regala uno splendido cielo azzurro, tutto sembra incoraggiante e promettente… autovelox a parte!
Un po’ di km li abbiamo fatti, Anna ora ha fame anch’io per la verità, e cominciamo a sentire la stanchezza. È ora di fermarsi per un po’ di riposo, cibo e… benzina.
Provo a sentire Federico per telefono. In linea d’aria sono un bel po’ piu avanti di noi. Loro hanno fatto tappa la sera prima a Vaasa e sono su strada costiera, noi su strada interna siamo partiti da Helsinki e abbiamo quasi 500 km di distanza da colmare. È ancora lunga, troppo lunga. Rovaniemi sembra lontanissima. Ripartiamo, ma dopo un oretta di viaggio la schiena e la stanchezza ci chiedono una sosta extra. Altra pausa, questa volta per un caffè e per un po’ di cioccolata energetica. Quando esco dal bar trovo Anna seduta sul muretto in riva al mare che si è addormentata….
Guardo il cellulare, c’è un sms di Bruno che fa il tifo per noi e per la nostra Guzzi! Ci aspettano per cena, non possiamo mancare!
Questo mi da una nuova fiducia, e mi fa riflettere…. Dunque, di telecamere per la rilevazione della velocità ce n’è un vero macello, però sono tutte ben segnalate. E anche il navigatore me le conferma segnalandole con precisione. E di auto della polizia neanche l’ombra. E la mia moto tra i 4.000 e i 6.000 giri c’ha tanta tanta coppia….
Io ci provo!
Daje de tacco e daje de punta! Come dice un amico mio…
La strada si mette a scorrere più velocemente! Gli automobilisti che mi vedono arrivare si spostano! Incredibile….
Ben presto compaiono i primi cartelli di pericolo attraversamento renne! Il traffico si dirada fino quasi a scomparire, Anna sembra molto tranquilla e soprattutto non mi sembra stanca, la lancetta del tachimetro sale di parecchio…. La temperatura scende altrettanto…
I laghi della Finlandia ci accompagnano per tutta la giornata e ci deliziano lo splendido panorama, alternandosi con larici, abeti e betulle in un verde emozionante, che si amalgama nel blu del cielo.
Ore 19.25.
All’entrata del paese scorgo sul ciglio della strada un tipo curioso, un po’ retrò e con una larga coppola in testa che mi guarda e ferma con aria soddisfatta un antico cronometro che sta tenendo in mano. Lo guardo. Mi guarda. Sorride…. Ma dove l’ho già visto?
Oltrepasso il muretto dove se ne stava appoggiato, lo cerco negli specchietti. Ma non c’è piu’….
Entriamo nel campeggio di Rovaniemi accolti da Andrea che ci corre incontro e da un caldissimo applauso da tutti i nostri amici che ci stavano aspettando per la cena, sicuri che saremmo arrivati per tempo. Siamo raggianti e la stanchezza sembra scomparsa. 865 km.
La Norge ha compiuto la sua impresa.
E si è meritata con onore il posto che occupa nel box assieme alla California e all’Idroconvert… e nel mio cuore.
Solo le Moto che hanno un’Anima fanno i capricci! (questa frase non è mia, ma mi piace tanto!)
E da quel momento si toglierà tanti sassolini dalle ruote, accompagnandoci al Mappamondo per poi scendere lungo la E6, la strada dei fiordi, che è un vero e proprio ottovolante, incontrando renne a go go, proseguendo per la Strada piu Bella d’Europa tra, continuando su e giù per i ghiacciai eterni e…. sulla strada dei Troll!
Ma Bergen, le isole Lofoten, Trondheim, Mo I Rana, Tromso, Svolvaer e tutto il circolo polare artico… saranno luoghi che resteranno per sempre chiusi nel nostro cuore, posti che abbiamo scoperto solo grazie a questi meravigliosi 11mila km con cui la Norge ci ha portato fino in cima all’Europa e riportato a casa. Anche in mezzo all’uragano che si scatenò a Cophenaghen la mattina che stavamo correndo a prendere il traghetto per la Germania, incitati anche da Valeria e Roberto che improvvisamente superano tutti facendo cenno con la mano sull’orologio che eravamo in ritardo.
E quando siamo saliti su quel traghetto, anche se bagnati fradici fin nelle mutande (quasi tutte le tute antipioggia del nostro gruppo si sono arrese a quel finimondo d’acqua, grandine, tuoni e fulmini….), ci ha preso un nodo alla gola.
Addio Mappamondo.
Non sappiamo se ci rivedremo mai piu’, ma grazie comunque per le emozioni che ci hai dato!
E nella gallery del sito di Raid Inside si possono vedere un bel po’ di foto di quello che abbiamo vissuto, e di quanta meraviglia il mondo è capace di offrire a quanti fanno del turismo in moto.

P.S. trovato e sostituito il cavo che faceva i capricci…..

 

 

 

Viaggio per mezza Italia

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Di marcodip

 

Cominciamo da lei.
Come molti di voi sanno Baghy è la mia 1200 Sport equipaggiata col bel motore quattrovalvole, quello famoso per il “buco” fino ai 4000 rpm, un paio di scarpe nuove nuove di Michelin Pilot Power, valige originali MG da 40L ciascuna e borsa da serbatoio.

Nelle capienti valige hanno trovato alloggio biancheria ed indumenti in una (comprese scarpe e abito per un matrimonio), materassino, sacchi a pelo, ciabatte e tenuta antipioggia, nell’altra.
Nella borsa da serbatoio tutta la cartografia, un libro, una bottiglia d’acqua, qualche oggettino di prima necessità e la macchina fotografica.
Sopra alle valige, la tenda.

Ecco come si presenta così equipaggiata:

AnimaGuzzista Racconti Viaggio per mezza Italia044_006
La prima parte del viaggio è stata dedicata alla Toscana dove mi sono fermato a visitare San Giminiano, Monteriggioni e Montalcino.
Senza ombra di dubbio posso definire questa parte del viaggio, quella meditativa e sentimentale.
Dolci curve e colline dorate percorse in 4° marcia a 60km/h con solo il “punf, punf, punf” del motore a scandire il tempo, hanno lasciato molto spazio alla mente di divagare.

La zona delle Crete Senesi, tra Siena e Asciano. Più volte mi sono fermato in posti come questi per una quantità di tempo indefinita, anche solo per ammirare le spighe flettersi insieme mostrando il fronte della massa d’aria in movimento.
Mi sono commosso da tanta bellezza.


La Toscana mi ha anche regalato una nuova esperienza: un bel fuoristrada tutto curve e tornanti di 30km tra Asciano e Montalcino, il primo della mia carriera motociclistica.

Alla fine era conciata così. Io mi riproponevo in vivaci scale di rossi e bianchi.
Nei Pressi di Montalcino, ma proprio alle porte del Comune, ricomincia l’asfalto.

Da qui ho preso la cassia e sono arrivato fino a Roma, dove ho pernottato per 3 notti e ne ho approfittato per il 12° Raduno di AG “Aquile in Ciociaria”. Bello!
La seconda giornata Romana è andata dedicata ad un matrimonio, la terza al giro dei castelli Romani.
Il giorno successivo ripartenza, destinazione Norcia (o dintorni) via Gran Sasso con soste qua e la dove meritava.
Questa parte del viaggio è stata quella che definirei “avventurosa”: sempre, sempre, spemre, lungo strade meno che secondarie, nel bel mezzo del nulla. In questi giorni ho incontrato più mucche, cavalli e asini che macchine e esseri umani.
Le Cascate delle Marmore, davvero impressionanti per portata d’acqua e bellezza.
Grisciano, lungo una delle vie d’accesso principali al paesino. Una vecchia panda ci sarebbe passata a stento tanto era stretto questo passaggio.
Forca Canapine, con altro sterrato (questa volta non tortuoso e lungo come quello in Toscana ma meno compatto più difficile)
Qui comincia la parte del viaggio da “Smanettone”. Del resto punto alla Terra dei Mutùr.
Ancora stradine sperdute nel mezzo del nulla.

Punto al Passo della Calla e al Casentino.
Mai vista natura tanto verde (ma un verde esplosivo, energico), rigogliosa e fitta, mai sentito un fresco profumo di bosco tanto intenso.
Qui la strada era troppo bella per fermarsi a fare foto.
Doverosa la limata alle pedane e agli stivali.
Sorriso da ebete sotto il casco.
Ora si punta verso Comacchio per un giro nel delta del Po.
Per fortuna il tempo è clemente e mi regala un’intera giornata a 28°C secchi mitigati da una splendida brezza di mare.
Rettilineo di 5km (non finiva mai!) in mezzo a campi di girasole.
Uno degli ultimi ponti in legno sul delta del Po.

Qualche tratto di sterrato molto compatto e pianeggiante. In un punto informazioni c’è un ampio spiazzo e una scolaresca (Al 22 giugno?!? Bah, erano bambini in giro con lo scuolabus) sta aspettando di poter salire sul pullman.
Tutti i bambini udendo il rombo del possente bicilindrico e vedendo una così bella Guzzi in assetto da viaggio mi guardano affascinati.
Mi sento in dovere di dare un po’ di spettacolo: giù una marcia, in piedi sulle pedane, gas spalancato e via la frizione di botto, curvone a sinistra in piena derapata e uscita dal piazzale spazzolando a destra e sinistra col posteriore.
Sparisco in una nuvola di polvere.
Altro che Ducati Diavel!

Ok, ora posso anche dire che il tutto mi è riuscito a caso, io volevo solo fare un po’ di polvere, i numeri sono usciti nel tentativo di non cadere come un pirla.Bene, ora mancano 2 giorni al mio rientro e sono a Comacchio, il giro che avevo abbozzato prevedeva un diretto Cortina d’Ampezzo, percorrere tutto l’arco Alpino fino al P.sso del Maloja per poi rientrare su Milano.
Sono le 7.30, sto finendo di impacchettare tutto, butto un’occhio sulla tuta antipioggia e penso che forse è il caso di tenerla a portata di mano.
Do’ unocchiata alle previsioni meteo lassù e… bollino nero: diluvia a Cortina, sul passo Pordoi, ovunque. E non accenna a smettere almeno fino al giorno del mio rientro.
Che palle, dovrò inventarmi qualcosa.
Tempo 10 minuti, chiamo una mia cara amica che studia a Pisa per sapere cosa ha in programma nei prossimi giorni.
“Vieni a stare da me” è la sua risposta. E così è stato.

AnimaGuzzista Racconti Viaggio per mezza Italia044_016

Da Ravenna a Pisa è un vero inferno: 34°C dalle 10 in poi, praticamente ho un phon gigante puntato addosso.

Solo il passo del Muraglione mi da una tregua dal caldo.

Tregua che decido di prolungare facendo su e giù per quella strada 3 volte: la prima in scioltezza (bello, ma chissà com’è a risalire dal lato toscano verso quello Romagnolo, proviamolo), la seconda volta tiracchiando e forzando un po’ le staccate (hummm, slurp! Ma che figata), la terza volta con orecchie a terra e motore mai sotto i 5000 rpm, ogni uscita di curva lo faccio ruggire bene fino agli 8000 rpm, una volta interviene anche il limitatore. Grattato il grattabile. Bei virgoloni neri sull’asfalto. Mi sono dovuto fermare tanto ridevo.

I giorni Pisani sono trascorsi faticosamente tra una sveglia tardi al mattino, colazioni in vicoli improbabili, pranzetti in piazza, aperitivi a gogo, cenette ignoranti sul lungo Arno e vagonate d’alchool a feste e festini universitari.

Triste, rientro a Milano ieri sera.

La moto si è comportata in maniera davvero ineccepibile, sempre. Anche con le gomme ora ho miglior feeling e riesco a fidarmi di più, ma ancora non siamo ai livellli delle metzeler M3.
Il consumo medio è stato di 20.3 km/l, ottimo direi.
Del motore non posso lamentarmi, va benone e più passano km, meglio va.
Quel “buco” non è malvaggio e onestamente mi piace: come diceva qualcuno poco fa non invita a tirare fin dalla minima rotazione del gas ma la coppia dsponibile in basso resta comunque tanta fin dai 2000 rpm, insomma il giusto per un’andatura turistica.
Oltre i 5000 è un’altra moto: pura libidine.
Le sospensioni vanno bene, specie il posteriore. Vorrei solo una forcella più frenata davanti.
Ciclisticamente è perfetta: non tradisce neanche nelle situazioni più estreme.

Il viaggio è andato stra-bene: al di là dei bei posti che ho scoprto e visitato, ovunque mi sono fermato ho conosciuto qualcuno con cui ho condviso una birra la sera, una colazione al mattino o anche solo una chiacchierata (tutta gente straniera).
C’è stato chi mi ha raccontato la sua vita e chi solo un episodio, ma ognuno mi ha raccontato una sua storia, ed io la mia

Sono propio contento!

Saluti a tutti,
Marco e Bagheera

Ogni cosa ha il suo perché, sempre.

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di Backstreets

 

Prologo

Millecinquanta chilometri da casa. Sono arrivato. Accosto il furgone al lato della strada e scendo.
I cartelli non parlano. Almeno, non dovrebbero. Però questo ha deciso di fare un’eccezione. Io guardo lui, lui guarda me, e so che mi sta chiedendo: ma tu, cosa ci fai qui?
Bella domanda. Mi ha letto nel pensiero, è la stessa che mi sto facendo io. Vorrei sapere se c’è un senso in tutto questo, o se mi sono semplicemente fumato quel poco di cervello che mi era rimasto.
Dubbi, ovvio che qualcuno ce l’abbia. Sono giorni che ronzano in un angolo della testa. Si può dire che siano iniziati nel momento stesso in cui ho chiuso quella telefonata quasi surreale nel mio stentato francese. Finora non erano riusciti a manifestarsi con chiarezza perché tenuti a bada da una robusta dose di incoscienza; ma ora non ci sono più né spazio né tempo per tergiversare, sono arrivato al dunque.
Fisso il cartello e sto per rispondere. Gli direi di avere un po’ di pazienza: tra poco scoprirò perché sono qui e tornerò per farlo sapere anche a lui. Però sto zitto. Ma non perché i cartelli non parlano, e quindi non fanno domande. Perché se anche glielo spiegassi, non mi capirebbe. E poi perché non sono affari suoi.
Risalgo, ingrano la prima ed entro in paese.

 

Sono in viaggio. Un viaggio tranquillo e senza intoppi. Vero che una pioggia battente di cui avrei sinceramente fatto volentieri a meno mi ha fatto compagnia mentre attraversavo la Svizzera nella notte, però stamattina ha lasciato il posto prima a un timido sole velato, poi a una bella giornata serena.

Ci vuol niente a prenderlo come un presagio.

Conosco la strada come le mie tasche, almeno fino a un certo punto, e conosco il paesaggio che mi aspetta. L’autunno con i suoi colori sta prepotentemente prendendo possesso della vegetazione: finite le montagne, la superstrada prima e la Route Nationale poi danno la sensazione di muoversi in mezzo al nulla. Lungo il percorso le città sono rare; a farla da padrone sono piccoli borghi, sperduti tra distese di campi coltivati e qualche bosco. Da queste parti cinque case, due cascine, una officina per mezzi agricoli e una chiesetta fanno Comune: basta aggiungere un Municipio poco più grande di una delle case, in cui una stanza sia anche asilo e/o scuola elementare, un cartello di inizio e uno di fine del territorio sulla statale e il gioco è fatto. Si rallenta ai 50, più come silenzioso omaggio verso chi a vivere qui ci si è ritrovato (l’idea che qualcuno sia venuto a seppellircisi per libera scelta non è nemmeno da prendere in considerazione) che per reali esigenze di traffico, e in meno di un minuto si è di nuovo nel nulla.

 

Flashback:

Battito cardiaco accelerato, nodo allo stomaco e salivazione azzerata. Li conosco questi sintomi, so cosa significa quando si presentano. Mi sa tanto che anche stavolta sono bello e che fregato, e la cosa pazzesca è che fino a una settimana fa o poco più, di lei non sapevo un bel niente…neppure che esistesse. E neppure sapevo che esistesse questo sito, io che ormai credevo di conoscerli praticamente tutti. Ci sono arrivato assolutamente per caso, leggendo il post di un forumista transalpino in un topic che di solito non guardo neppure. Tutto questo è accaduto nell’arco di due, forse tre giorni. Col tempo ho imparato che bisogna stare attenti alle coincidenze. Non dico di crederci ciecamente e subito, ma almeno di non ignorarle a priori. A volte hanno un perché, e questa ha tutta l’aria di essere una di quelle volte.

Sguardo inebetito da perfetto idiota, fisso sullo schermo del pc. Scorro su e giù la pagina con le foto. Quelle foto. Non può essere vero, eppure… Chi si sarebbe aspettato, conoscendomi, che avrebbero potuto farmi questo effetto?

Chiamo a raccolta tutte le mie limitate conoscenze di francese, preparo mentalmente un abbozzo di conversazione e compongo il numero.

– Hallo?

– Bonjour…… a propos de votre annonce…..

Strade e autostrade della periferia parigina oggi sono quasi deserte, ma per certi versi ancora più infernali del solito. E’ domenica e i mezzi pesanti non circolano, ma lo sciopero generale sta mettendo il Paese quasi in ginocchio e i notiziari sul traffico -invece che segnalare incidenti e ingorghi come d’abitudine- sono bollettini di guerra che raccontano di stazioni di servizio a secco un po’ dovunque. Mi immagino come si presenterebbe la scena se si potesse vederla dal cielo. Sul reticolo d’asfalto, sciami di vetture si spostano come api impazzite sulla base di quelle indicazioni. Lì no, non c’è benzina. Lì no, non c’è gasolio. Lì no, non ci sono né l’una né l’altro. Là pare che qualcosa abbiano ancora…e tutti via a razzo prima che sia troppo tardi.

Sarebbe persino divertente se in uno sprazzo di lucidità non ricordassi che anche il mio furgone non va ad aria, e il sorrisetto ironico che si stava formando si incrina in una smorfia. Spero che le taniche di scorta che ho riempito mi evitino di restare bloccato qui, non sarebbe nei programmi. Come se non fosse già tutto abbastanza folle di suo, mi sono pure trovato proprio un bel momento per fare questa pazzia. Del resto non avevo molta scelta. Se non fossi corso subito da lei, non credo che mi avrebbe aspettato.

 

Flashback:

Tra le mail di oggi ricevo l’informazione che ancora mancava. Si è fatta attendere per qualche giorno, e mi stavo giusto domandando se alla base ci fosse qualche motivo poco chiaro. Magari uno dei sempre possibili inganni di Internet, sirena ammaliante che talvolta si rivela una strega malefica. Però la sensazione ” a pelle” è un’altra. Fin da subito, il cuore mi ha fatto pensare che questa sia una cosa seria. In questi ultimi giorni ci siamo scritti spesso, e in effetti non ho mai avuto sospetti che qualcosa non andasse per il verso giusto. Però…va bene essere folli, ma mi serve una conferma. Non posso partire così, alla ventura: c’è da farsi male per davvero.

La mia amica si è “gentilmente offerta” (per così dire… povera, quanto le sto rompendo le scatole con questa storia) di darmi una mano, quando fosse arrivato il momento. E il momento è adesso. Prendo il telefono e le riferisco quello che ho saputo.

– Ok..sono un po’ incasinata in questo momento, ma dammi dieci minuti che ti richiamo.

Mi ricordo un vecchio spot pubblicitario. Colonna sonora, “Breathe” di Midge Ure. Chiedeva “How long is a Swatch minute?”. A scorrere, immagini di frammenti di vita: istanti che sembravano ore e ore che sembravano istanti. Dieci minuti sono solo dieci minuti. Ma a volte, accidenti a loro, non passano mai. Quando il display del cellulare si illumina indicando la chiamata entrante, gli salto addosso senza dargli neppure il tempo di iniziare il primo squillo e mi sembra di essere invecchiato di dieci anni.

– Allora?

– Allora è tutto ok.

– Tu cosa mi consigli?

– Un’altra come lei non la trovi più. Non fartela scappare.

Mi allontano dalla metropoli e in breve il paesaggio torna quello di prima. Il mio lavoro mi ha fatto girare mezza Europa e anche un po’ di più, ma non sono mai stato in questa regione in passato; da qui in avanti la strada non la conosco, quindi una vale l’altra. Allora abbandono l’autostrada e lascio che il navigatore mi conduca per l’ultimo centinaio di chilometri che ancora mi separano dal traguardo e dalla possibile materializzazione di un sogno, guidando su strade secondarie geograficamente così distanti eppure emotivamente così simili a quelle americane che hanno ispirato libri, film e soprattutto canzoni.

Ecco, visto che mi sono scelto un certo nick per venire a fare il minchione in questo forum, questa è senza dubbio una delle occasioni migliori per onorarlo. Ora mi ci vorrebbe proprio una bella Backstreets sparata a tutto volume. Peccato che il CD di Born to Run sia rimasto a casa a prendere polvere sullo scaffale. Pure Badlands ci starebbe bene, ma anche Darkness risulta disperso. Roba degna di un Rincoboy certificato. Ohibò, ma io sono un Rincoboy certificato. Tutto regolare.

Vorrei tanto sapere invece chi abbia lasciato nel cassettino una compilation di Celine Dion; la tentazione di farne un frisbee e vedere quanto lontano può arrivare è forte, ma il senso civico prevale. Non posso comportarmi come il classico turista becero che butta l’immondizia dal finestrino. Però al primo cassonetto ne riparliamo.

Mi rassegno all’idea di continuare a viaggiare nel silenzio, ma in fin dei conti non è poi così grave: certa musica fa parte della mia vita da così tanto tempo, che la sento suonare nella testa senza più bisogno dei dischi.

Il paese non è molto diverso da quei villaggi attraversati nel viaggio…se arriva alle cinquecento anime è tanto. Piccole case tutte simili, addossate le une alle altre nelle strade strette. Appena fuori, i soliti campi e boschi, piena campagna francese. Non un’anima in giro. Non fosse per le fioriere sparse qua e là e curatissime, immancabili in qualsiasi borgo francese grande o piccolo che sia, e per le tendine pulite alle finestre che raccontano di esistenze che scorrono quietamente, penserei di essere finito in un villaggio fantasma. Trovo la via e svolto. Non so ancora cosa dirle quando la vedrò, ma penso che prima di tutto vorrò chiederle:

E tu, come ci sei arrivata qui?

L’uomo mi ha sentito arrivare ed è uscito dalla porta. Sorride, fa segno di parcheggiare proprio davanti a casa che tanto di lì passano in pochi. Una stretta di mano e mi invita a entrare. Conversare non è un problema, quindi o il mio francese non fa poi così schifo oppure lui è molto gentile nel far finta di niente. Probabilmente una via di mezzo tra le due cose. Davanti a una tazza di caffè ci raccontiamo per un po’ della nostra comune passione. Nel suo passato ha avuto delle esperienze decisamente interessanti, non posso negare che abbia buon gusto e provo anche una leggera, sana invidia.

Poi dice “Andiamo da lei”.

 

Poche settimane prima ho conosciuto una sua sorella; l’ho guardata per bene, ho sentito la sua storia, le ho girato attorno, l’ho accarezzata. Quell’imprevisto faccia a faccia ha liberato la scimmia dalla gabbia ed è alla base della mia follia: ma almeno mi ha -per così dire- preparato, quindi oggi riesco a guardare la sua bellezza senza sentire le ginocchia piegarsi. Non più di tanto, almeno.

Sarà stato un segno del destino inciampare in lei così, casualmente? Tempi giusti, modi giusti. Ma da lì a concepire anche solo lontanamente l’idea di arrivare a questo punto, ce ne correva ancora, e parecchio. Eppure sono qui. Lei mi sta di fronte e si lascia ammirare in silenzio.

Probabilmente è un insieme di fattori; da che mi ricordi, fin da bambino ho avuto la passione per il collezionismo… automobiline, figurine, fumetti, schede telefoniche…qualsiasi cosa. Ma in particolare mi sono sempre piaciute le cose rare, difficili da trovare. Preziose, anche. Ma non tanto per il prezzo (anzi, per dirla tutta: meglio se non per il prezzo, che non sono mai stato, non sono e temo non sarò mai un magnate che nuota nell’oro) quanto per il loro significato. Lei tutte queste caratteristiche ce le ha. Ah, se ce le ha.

Certo non si può paragonarla a una figurina rara o a un albo originale di Tex. C’è una bella differenza, sotto ogni profilo. E’ un giocattolo per bambini troppo cresciuti -o forse per adulti rimasti troppo bambini.

Ce ne sono in tutto diciotto, non una di più. Sparse chissà dove… Già solo l’averla scoperta è stato un po’ come vincere al Superenalotto. E il suo richiamo era irresistibile.

Lei è una V11 Scura “R”.

Il tempo delle parole e dei convenevoli è finito. Ora devo dare risposta alla domanda. Sì, va bene, d’accordo la buona volontà, d’accordo l’amore per il marchio, d’accordo il piacere del collezionismo, d’accordo tutte le altre minchiate che ho raccontato finora per allungare il brodo, ma è concepibile che un fermone come il qui presente -sempre e solo avuto moto di impostazione prettamente turistica- si porti a casa una specie di belva con la quale non sa neppure da che parte cominciare? Lo scopriremo solo vivendo, si usa dire: cioè con il classico giro di prova.

Lui la porta fuori dal garage, spenta, e mi dà le chiavi in mano lasciando che sia io ad accenderla. Mi fa notare gli scarichi Mistral dedicati. Annuisco convinto con la testa, lasciandogli immaginare una competenza che sono ben lungi dall’avere.

Salgo in sella, la accarezzo per un istante, provo la posizione, regolo gli specchietti. Giro la chiave, un leggero ronzio dalla pompa della benzina mentre il quadro si illumina.

Poi do’ contatto, e sembra che il mondo non sia più lo stesso.

So una cippa delle strade dei dintorni: mi fido del proprietario che dice che posso girare come mi pare che di traffico non ce n’è. Oddio, proprietario…parola grossa. Diciamo ex. Lui non sa ancora di esserlo, ma io sì. Faccio un paio di conti: reni ne ho due, e si sa che uno basta e avanza. L’altro occupa spazio e nient’altro, quindi me lo vendo e amen. Ma a casa senza di lei non ci torno.

Fermi all’incrocio, lei borbotta tranquilla. Tiro un bel respiro, innesto la prima con uno scatto secco e signori, si va in scena.

Ovvio che non posso azzardare niente di che, ma quel poco già mi basta per intuire i motivi per i quali chi ha un V11 se lo tiene, chi l’ha dato via se lo riprende e chi non l’ha mai avuto lo cerca. Dopo un paio di rettilinei trovo un invitante tratto tortuoso in aperta campagna, e ci arrivo bello spedito e sull’allegrotto andante. Per un attimo mi viene da fare lo sborone e dico “Vediamo cosa sai fare…”.

Ecco, a quanto pare anche se è stata tutta la vita in Francia lei l’italiano lo capisce oppure se lo ricorda benissimo. Apro ancora e lei risponde con un ruggito di piacere, stabile come un Freccia Rossa ma mille volte più goduriosa (e senza zecche). Ne vorrebbe di più, forse si sta chiedendo la stessa cosa di me…cosa sai fare? Poi mi casca l’occhio sul tachimetro: senza che me ne fossi accorto sono tra i 130 e i 140, in leggera piega, su una moto che non conosco, su una strada che non conosco, vestito con jeans piumino scarpe da passeggio e casco jet. E quelli che si stanno avvicinando molto (troppo) in fretta non sono più le serpentine di prima ma curvoni in un bosco, con la strada in ombra e l’asfalto sinistramente scuro a chiazze per la pioggia terminata da poco. Vedo in anteprima l’edizione di domani del quotidiano locale: un bell’articolo in cronaca sul pirla che è venuto apposta dall’Italia a spalmarsi su un platano, che a casa sua non ce n’erano abbastanza. Però se già sono poco fotogenico da vivo, figuriamoci da morto. Poi sono anche schivo di carattere, non mi va tutta quella pubblicità…è così poco fine. Il neurone che fino a un attimo prima era rimasto beato in ferie rientra precipitosamente in sede e si consulta con l’istinto di sopravvivenza, e la conclusione unanime è: non è proprio il caso. Due dita leggere sulla leva e lascio che i Brembo Serie Oro facciano il loro lavoro.

Ritorno col gas al minimo provando la maneggevolezza, zigzagando tra i tratteggi della linea di mezzeria. Non potrei giurarci, ma credo di averla sentita ridacchiare. Ho capito, ho capito… tranquilla, avremo tempo per conoscerci meglio. Tanto tempo.

Come sono finito qui?

Semplice. Ho seguito il cuore, che a volte sulle persone s’è ingannato ma finora sulle Guzzi mai.

E lei? Beh, prima bisogna dire qualcosa degli uomini della sua vita. Ha girato un po’, ne ha avuti altri due oltre a quello che ora me la sta affidando e che me ne parla.

Del primo non sa nulla. Del secondo, quello da cui l’ha comprata, sa che l’ha venduta per prendere un Rosso Corsa o un Rosso Mandello, non ricorda.

Lui invece ha avuto tra l’altro un LeMans I e un LeMans II, e non ho capito bene quante altre Guzzi prima e dopo di loro. E’ iscritto a un forum di appassionati simile ad AnimaGuzzista (simile ho detto: come Anima c’è solo Anima). In garage ha una BMW R850RT; la terrà, ma tra poco il posto della V11 che viene via con me verrà occupato da una Norge 8V nuova.

Credo sia stata in buone mani.

Se non dappertutto, almeno in una certa zona della Francia i cartelli sono particolari. Parlano.
Mentre venivo qua non ci avevo fatto caso e non li ho ascoltati con attenzione. Ma adesso che me ne sto andando a ogni incrocio, a ogni rotatoria, a ogni bivio trovo la risposta che avevo avuto sotto il naso da subito, a saperla cogliere. Lei non poteva finire altrove che qui. Ogni cosa ha il suo perché, sempre.
Se non dappertutto, almeno in una certa zona della Francia i cartelli sono particolari. Parlano.

Sono sicuro che si parlino anche tra di loro. Forse sono tutti parenti. In fondo è probabile, vivendo tutti così vicini. Allora a questi chiedo un favore: ora che l’ho capito anch’io, glielo spiegate voi al vostro fratello curioso cosa ero venuto a fare?

Epilogo

Sarò sbadato…non ho ancora detto come si chiama.
Prendete l’accenno che ho fatto a una ormai sopita passione giovanile per Tex Willer.
Aggiungete che è l’ultima della sua specie. In quel senso definirla “crepuscolare” non è fuori luogo: dopo di lei, il buio.
Infine ricordate che è nera, ma nera tanto.

Shakerate il tutto con cura e servite:

Aquila della Notte è una AnimaGuzzista.

Sempre Sia Lodata

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AnimaGuzzista-immagine-racconto

di Samside

Anche con le date sono un disastro.
Sarà stato il 2000, al massimo il 2001. Ricordo che era caldo, probabilmente estate. Era sera ed ero in macchina con un amico, ascoltando musica dopo una canna. In silenzio. Quel silenzio che non infastidisce solo quando sei con un amico vero o con la donna che ami.
Decido che mi devo comperare una moto. A dire il vero mi rendo conto di essere un perfetto imbecille per non averlo già fatto. Ripenso ai posti visitati e a quanto sarebbe stato più bello visitarli in moto, ripenso ai soldi buttati in synth mai accesi o in dischi mai ascoltati, con i quali ne avrei fatte 10, di moto.
Ripenso al fatto che la prima trombata della vita l’ho fatta durante l’unico viaggio in moto con mio padre, e che solo per questo sarebbe stato un atto dovuto comperarne una non appena avuta la possibilità economica.
E invece ne sono passati di anni da quando ho la possibilità economica, ma che fossi un motociclista me ne rendo conto solo quella sera.

L’indomani mattina sono da Lazzarini. E’ la famiglia dell’attuale campione del mondo di motocross, mi pare. A Pesaro rappresentano “le moto” da non so quanti anni. Io sinceramente non so neppure che marche vendano, ma del resto a me importa sega. So che è gente seria e a me tanto basta.

“Salve, desidera ?”
“Volevo una moto”
“Noi le vendiamo, è nel posto giusto. Su che moto è orientato ?”
“Sinceramente non ne ho idea, pensavo di dare un’occhiata e vedere cosa mi piace”
“Prego, faccia pure. Se ha bisogno io sono qui”

Comincio a girare tra le moto, i serbatoi mi dicono che qui vendono BMW e Honda.
Boh, a parte che quasi tutte sono cifre ben più alte di quella che ho in mente, soprattutto non ce n’è una che mi piaccia davvero. Il GS non mi dispiace, ma appunto non andiamo oltre il “non mi dispiace”, tutte le carenate mi sembrano fatte con lo stampo, le nude invece sono proprio brutte. Passo nell’area degli usati.
E mi innamoro.
Cazzo quanto è bella questa moto.
Di un verde strano, con il telaio rosso e il motore che viene fuori. Ma non come quello delle BMW che sembra una pedana per riscaldare i piedi. Questo è bello.
C’è una macchia nera a terra, sotto al motore. Ma anche di quella a me importa sega: questa è proprio bella.

Faccio un cenno al venditore che mi raggiunge e gli chiedo il prezzo.
“Questa però è una moto impegnativa come prima moto, perché mi sembra di capire che lei stia cercando la sua prima moto. E’ pesante, ha bisogno di manutenzione …” [“ma io cazzo ti ho chiesto quanto costa, non quanto è pesante o di quanta manutenzione ha bisogno”]
“Non si preoccupi, io sono una persona impegnativa. Quindi costa ?”
Era, boh, qualcosa intorno ai 10 milioni, ora non ricordo. Ricordo la macchia sotto al motore, ricordo che questo me la sconsigliava e che io ne volevo spendere 5 al massimo 6.
Vacillo, desisto, e vado da quello dall’altra parte della strada.

Queste invece mi fanno proprio tutte cagare. Kawasaki e Suzuki, mi sembra di essere in un negozio di giocattoli. Davvero, non ce n’è una che mi faccia soffermare lo sguardo. Queste altre invece non sono male, anzi. Sarà perché hanno il motore fatto come quello della moto verde di prima. Queste rosse, lunghissime, sono proprio belle. Ma anzi, che roba è questa ? Che prima non ci ho neppure pensato alla marca.

Moto Guzzi.

La stessa marca della moto che mi fece correre dal terrazzo in strada, quando da ragazzino sentii che mio padre stava rientrando con qualcosa di diverso dal giorno prima. Quella moto gigantesca e che faceva il rumore più bello di tutte le moto che sentivo in strada.
Quella moto con la quale mio padre mi portò all’Isola d’Elba dove mi adescò la strafighissima sposa insoddisfatta che abusò di me per due notti intere. Sempre sia lodata.

Voglio una Guzzi.

Di queste rosse non domando neppure il prezzo, e comunque mi fanno paura. Vado dietro nell’usato, di Guzzi neanche l’ombra a parte una che non mi piace. Poi … booom ! Come quella verde, ma grigio opaco con le forcelle oro. Bellissima. A pelle costa di più della verde, io ci provo ed effettivamente costa di più. Sto lì a guardarla e a rosicare. Sfoglio una rivista di moto per vedere cosa ha Guzzi a catalogo.
Quella che piace a me, ed è l’unica che mi piace, si chiama V11.

Esco sconsolato perchè non ci sono cazzi: a me piace quella moto lì, ma quella moto lì, nuova o usata, io cash non me la posso permettere.
Vado a prendere un caffè nel bar in mezzo alle due concessionarie, dove praticamente sono di casa e dove incontro Marco che sta andando a lavoro. Il suo titolare ha una moto che non usa da almeno un anno, un TDM che tiene sotto le coperte in attesa di ricordarsi di venderlo. Ci ha fatto casa/lavoro per un po’ e poi si è stufato, mai un problema, il TDM insieme al Monster è l’unica moto che mi piace di quelle che vedo per strada, ne ha uno un amico e me ne ha sempre parlato bene … insomma, tanto lui lì deve andare, lo accompagno così la vedo.
Ha 12k chilometri e dire che sembra nuova non rende l’idea. Ne chiede 5, ci accordiamo per 4 e mezzo.
Sono diventato motociclista. Non ho la patente, ma sono diventato motociclista.

A questo punto mi dimentico del V11, di Moto Guzzi ma soprattutto di tutto il resto della mia vita: la moto mi assorbe qualsiasi istante libero. Macino chilometri su chilometri, mi informo, i frazionamenti, le alimentazioni, scopro che la mia moto va a carburatori, ha due cilindri ed è raffreddata ad aria. Macino chilometri. Mi dimentico di non avere la patente nel vero senso della parola, guido in ogni condizione/luogo/circostanza. Il giorno in cui mi scade il foglio rosa, non so chi mi domanda quando avrei preso la patente. Riesco ad iscrivermi all’ultimo esame utile entrando negli uffici chiusi della Motorizzazione grazie ad una telefonata ad un altro, di amico.

Poi succede che un giorno vado nell’officina di Giacomo, vicino Tavullia. Ci conosciamo da una vita, i motori sono la sua passione e il suo lavoro. Ama le competizioni, ha lavorato e lavora nel motomondiale, ma soprattutto ama le moto d’epoca. Vado da lui come è successo mille altre volte, e tutte le volte ho sempre visto delle moto, d’epoca e non, bellissime. Ma questa sulla quale lavora ora mi colpisce particolarmente.
E’ grigia con la sella rossa, ha quel motore che piace a me, ma io una uguale non l’ho mai vista prima.
No, perché io del TDM sono contentissimo, ma intanto le Guzzi ho continuato a tenerle d’occhio. Ho visto che il V11 ancora è fuori portata, che quelle alla portata non mi piacciono, ma questa qui mi piace da matti e non l’ho mai vista prima.

“Jack, questa che Guzzi è ?”
“E’ una special su base 1000 SP”
“E che cazzo è una special ?”
“E’ una moto non di serie. Prendi una moto e la fai come ti piace”
“Insomma una roba illegale”
“Illegale nella misura che vuoi tu. Di solito le più belle sono le più illegali”.

Cazzo, mi piace. Prendo una Guzzi vecchia e la faccio come mi piace. Non è un V11, ma questa ad esempio è proprio bella.

“E quanto si spende per fare una roba tipo questa ?”
“Tipo questa più che comperarne una nuova, ma esce una gran moto anche spendendo molto meno”

Bon, obiettivo individuato. Costo spalmato nel tempo e quando è finita vendo il TDM. Ora mi manca solo sapere dove cominciare, come proseguire e in che modo terminare.
Insomma, ma dove cazzo vado io che guido la moto da ieri e più che mettere la benzina e ingrassare la catena non ho mai fatto ?
E mentre vedo la mia special (cazzo, già uso ‘sto termine con una nonscialans della madonna) dissolversi nel nulla, entra il proprietario di questa Guzzi grigia. Si chiama Mauro, è un polentone che da qualche tempo si è trasferito per lavoro nella zona. Gli è andata bene, insomma.
Gli faccio i complimenti per la moto. Lui capisce subito che io di moto, specie di queste, non ci capisco una fava, ma nonostante ciò (o forse proprio per questo) mi sfrangica i coglioni per non so quanto tempo con nomi, date, numeri, modelli, cazzi e mazzi. Io vorrei prendere quella biella e dargli un colpo secco alla base del collo, ma resisto sino a che non se ne va, e Giacomo:
“Questo ci corre con le Guzzi, e tra un po’ sono a Vallelunga. Io volevo andare a vedere, vieni con me ? Guarda che è figo, ci divertiamo, e poi di queste moto ce ne sono a pacchi”.
Accetto con riserva: se non posso portarmi la biella, sto a casa.

Belle le moto a Vallelunga. Quelle dei visitatori e quelle dei primi box che visitiamo, amici di Giacomo tutti hondisti o ducatisti. Belle, ma che due coglioni di gente: distaccati, assorti, timidi. Il programma prevede gara e poi cena e dopocena con questi di questa “Anima Guzzista” e notte in tenda insieme a loro: se sono come questi qua, la biella me la do io tra le gambe.
Arriviamo da questi di questa “Anima Guzzista”.
E’ il box …. si, vabbè, il tendone più grande di tutti. C’è un banner gigantesco con il nome del gruppo, un sacco di Guzzi parcheggiate di fronte. E’ pieno di gente in mezzo alle moto che correranno, e la maggior parte sono visitatori. Insomma, “è qui la festa” [op. cit.].
Boh, sono qui in mezzo da cinque minutii, a casa ho lasciato una Yamaha ma sembra che ci conosciamo tutti da una vita. Mauro già lo conosco. Conosco Paolo, che scopro abitare a Fano, a 10 km da me. Quello che corre con Paolo, Roberto di Macerata. Conosco Andrea con il logo sulla schiena, Filippo che di lavoro fa le special, un uomo immenso di nome Vladimiro, un uomo grasso di nome Fange, il logorroico Alberto, un altro Mauro, italiano a Madrid. Per tutta la cena parlo con quello alla mia sinistra, il meccanico di Mauro. Simpaticissimo e disponibilissimo. Troppo disponibile.
Anche lui mi spacca le palle per tutta la cena con tutta una serie di informazioni delle quali a me, in quel momento, non me ne può fregare di meno. Ma sono stato io ad attaccargli bottone, quindi mi tocca.
Giacomo col caffè in mano:
“Sam, ma sai chi è quello lì ?”
“Il meccanico di Mauro ?”
“Si”
“Si chiama Bruno, perché ?”
“Quello è Bruno Scola e io non c’ho mai parlato”
“Ah. E chi cazzo è Bruno Scola ?!”.
Giacomo mi volta le spalle e mi manda a fanculo.

E’ mezzanotte, l’euforia è tanta, tanto che io ho le lacrime agli occhi. Si verifica infatti un evento che di qui in avanti si ripeterà ad ogni incontro con questo pennellone pelato che si chiama Goffredo, italiano a Parigi: oltrepassata la soglia della sobrietà, mi fa ridere sino a farmi piangere e tanto da togliermi il respiro.

Non sono più un motociclista, sono un’anima guzzista. Un minchia, insomma.

Scopro cos’è un forum, cos’è un topic e cos’è un emoticon. Scopro un mondo che mi affascina e mi attrae, questo marchio e tutto ciò che rappresenta e che ci ruota attorno. Ed il tutto ha un che di magico.
Dentro di me lo sapevo, non so se da quando un V35 II mi sembrava gigantesco o se dalla strafighissima sposa insoddisfatta. Ma lo scopro realmente solo ora.
Leggo molto ma resto fuori. Un po’ perché sono guzzista solo nell’anima, un po’ per quello sciocco timore di mettere i piedi in una comunità affiatata, un po’ perché non so proprio come si faccia tecnicamente.
Ne resto fuori, ma lo assorbo tutto. Il forum e le sezioni statiche.
Accumulo informazioni, foto, contatti.
Ma soprattutto emozioni.
Frequento l’officina di Macerata. Quella di Roberto, un uomo per il quale qualsiasi aggettivo è riduttivo.
E senza rendermene conto sono dentro Anima Guzzista, ho dato un volto a parecchi avatar, ho restaurato il V35 del babbo e mi ritrovo con un T5.

La special in pdf è bella che pronta da un pezzo e con la moto non ci percorro nemmeno un metro: originale non mi piace e non mi serve, a me serve finita.
Scarichi, carburatori, pistoni e cilindri, sovrastrutture, cerchi a raggi…un lavoro appassionante per quanto estenuante, dopo un anno dal quale mi ritrovo il garage che sembra un’officina dopo un bombardamento.
Roberto, un uomo per il quale qualsiasi aggettivo è riduttivo, stava misurando le tolleranze dei pistoni quando gli dico:
“Robi, non se ne fa più niente”
“Come non se ne fa più niente ?”
“Ci fermiamo qui Robi. Perché ti ridò il T5 e mi dici cosa vuoi di differenza per ‘sto V11”

E’ da qualche tempo che ci parliamo mente Roberto lavora.
Lui è lì sconsolato che vuole ringhiare e io tutte le volte che lo vedo vorrei tornarci a casa.
Ci parliamo dicevo, ma è una mezza verità. Io gli parlo, lui fa l’indifferente.
Gli dico che a me quel grigio metalizzato fa cagare e che il cupolone è bello, ma glielo toglierò. Lui fa il finto tonto, ma lo capisco che tra stare lì fermo e galoppare con degli altri vestiti, preferisce la seconda. E me lo trasmette chiaramente quando ci salgo sopra, un secondo prima di rivolgermi a Roberto, un uomo per il quale qualsiasi aggettivo è riduttivo.
La trattativa dura non meno di quattro minuti e non più di sei. Il doppio di quanto era durata quella per il T5 insomma.

Sono passati dei begl’anni da quella moto di un verde strano col telaio rosso e il motore che viene fuori.
E questa volta non mi faccio inculare. Ci faccio più di un metro prima di cominciare a metterci le mani: il giorno dopo averlo portato a casa sono in Provenza insieme ad un’allegra brigata di minchioni. E mi si apre un mondo.
“E’ impegnativa” diceva il tipo di Lazzarini. E’ impegnativa questo paio di coglioni (appoggia i dorsi delle mani sugli inguini).
E’ pesante, è faticosa, è difficile in tutto. E’ rognosa. Cazzo che gran moto.
Hai portato un aggeggio con più o meno gli stessi numeri fino al giorno prima, ma è come ricominciare da capo. E’ bellissimo, è come uscire da una storia d’amore ed innamorarsi di una donna molto più difficile da conquistare della precedente. Ed è giusto che questa sia molto più difficile, perché ora che ne sei fuori ti rendi conto che quella di prima era una ragazza intelligente, questa è una gran donna.

Non ti basta mai.
L’hai portato in lungo e in largo, l’hai portato a Mandello a rivedere casa, ci sei andato in giro per un anno circa e da almeno altrettanto è più largo che alto.
Ora il garage sembra come il “Museo V11” dopo un bombardamento. Hai 3 di tutto: serbatoi, scarichi, codoni, coprivalvole, pinze, pompe e centraline.
E in mezzo a tutto questo c’è anche un T3 California. Perché hai scoperto cosa vuol dire motociclare col telaio Tonti e la frenata integrale. Perché è una delle Guzzi d’epoca più affascinanti e perché una volta che ti sei abituato agli sguardi della gente quando giri o quando scendi dalla moto, ti tira il culo farne a meno. Perché senza una Guzzi non puoi stare. Perché sei un minchia, insomma.

Non so bene quanti anni siano passati da quella moto di un verde strano col telaio rosso e il motore che viene fuori. Era il 2000, al massimo il 2001.
E non so bene neppure perché abbia scritto questa cosa, non ho neanche bevuto.

E’ bello pensare che avrò un figlio al quale un giorno darò le mie moto e queste righe, ma più probabilmente è stato per fare lo sborone con la storia della strafighissima sposa insoddisfatta.
Sempre sia lodata.

Porte Aperte

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Di Giuliano Arcinotti

Domenica mattina sono le 05 e 20 del mattino e pare assurdo (almeno per chi mi conosce) ma sono sveglio e mi rigiro nel letto senza pace incredibile 35 anni fatti e mi comporto ancora come un ragazzino … dopo 40 minuti suona la sveglia, ci si alza oggi si va a Mandello per provare il Griso.

Partiamo e in poco tempo grazie alla quasi totale assenza di traffico siamo a Mandello del Lario.

Arriviamo e troviamo tutto fatto i potenti mezzi di Anima Guzzista erano già stati allestiti (un gazebo con un tavolo e una panca).

L’abbondante merchandising consegnato da Alberto alias Totogigi è tantissimo e consta in ben 1 (diconsi UNA) polo e qualche maglietta di taglie minime (di quelle che io e MarcoB ci mettiamo giusto un braccino e basta se no si sforma) spille, toppe (con due P sporcaccioni) adesivi, cappellini (belli mi son dimenticato di comprarne uno, stupido che non sono altro) e foulard.

Insomma c’era tutto anche se in quantità troppo risicate magari (ma va bene istess infondo contava partecipare).

Faccio la conoscienza del buon Leolito che aveva preso in carico lo stand e incontro il buon Enrico, poco dopo vedo una specie di troll che si aggira per l’area in uso per la manifestazione e lo riconosco è MIR (scherzo Fabrizio è che un po’ l’aria da troll ce l’hai eh), che ovviamente brandisce un bicchiere di vino (sono le 10 di mattina per la cronaca, e quello non era il primo bicchiere).

Saluto anche il Krime e dopo aver dato una rapida occhiata in giro mi metto a far finta di dare una mano allo stand di Anima.

Poco dopo, o subito prima non ricordo, nel chioschetto immediatamente di fianco al nostro gazebo iniziano a suonare buona musica, tanta musica, troppa musica… lo capiremo durante le loro pause, perchè la gola farà male e non servirà urlare per poter chiaccherare… mannaggia mannaggia.

La giornata si trasforma presto siamo partiti con l’idea di provare semplicemente una moto o due e ci rendiamo invece conto che stiamo partecipando ad un vero e proprio raduno, sono tantissimi i motociclanti accorsi, proprio tanti tanti e cosa ancor più importante sono tantissimi i non guzzisti direi in rapporto 1 a 1, buon segno anche questo direi.

Il Griso è presente in tutte le sue varianti e non è più un oggetto statico e fermo come quello visto tante volte sui siti internet o sulle riviste, ma si muovono vanno e vengono sono qui in mezzo a noi come le Breva 750 e le 1100 insomma c’è (un flop come direbbe Motociclismo), c’è Bimbomix con il suo Griso Azzurro che è estremamente elegante, c’è un Griso Giallo che aspetta solo di esser provato e che sprizza rabbia da tutti i bulloni, ovviamente non manca la versione Nera che piace ai più e poi passa anche lui sua maestà il Griso Rosso mi ha lasciato tanto imbambolato che non ho nemmeno pensato di fare una foto… ragazzi è bellissimo rosso non ci sono storie è proprio un altro pianeta (se poi avesse il gruppo motore/catena cinematica verniciato come il 1° prototipo presentato sarebbe proprio fantastico!!!).

Presente all’appello anche la nuova California Classic nella colorazione Rossa, ora io ho un adorazione per questo colore però sarà stata l’aria fresca del lago, sarà stato quel di più che solo posti magici come Mandello del Lario sanno dare, fatto sta che mi sembrava obbiettivamente bellissima, si certo magari una colorazione un po’ pesante e non per tutti ma comunque bella, presenti all’appello anche una Nevada e una Breva con le nuove livree, poi disponibili per la prova c’erano anche un California EV, una Breva 1100 e una 750 e un’altra Nevada 750 (modello dell’anno scorso) completa di borse e parabrezza che è stata un po’ il brutto anatroccolo delle prove, eran più le volte che era ferma che quelle che girava e quando era in prova stava sicuramente ferma la versione nuova rossa spoglia di accessori, mi facevano quasi tenerezza, son stato tentato di farci un giro io pur di vederle camminare.

È il momento di prenotare il giro ma voglio davvero provare il Griso? all’ultimo minuto e dopo aver sentito che avrei dovuto aspettare più di un ora, mi vien voglia di provare il nuovo California e mi prenoto quindi per il prossimo giro sul Cali con Nadia che mi guarda come se fossi un alieno; in effetti son strano: sono due o tre giorni che la sfinisco su come sarà bello da provare il Griso e ora anche se c’è da aspettare un poco mi butto sul California… che vuoi amore il sangue è sangue, poi vedo la Brevona e mi passa per la testa il dott. Zaius e mi vien voglia di provare anche quella…. però tocca aspettare di aver finito il giro con la Cali per prenotarsi nuovamente vabbè ormai è andata vediamo come finisce (il dott. Zaius è la scimmia che ho da un po’ per la Brevona ormai dargli un nome era il minimo, è così tanto che ci conosciamo).

Torno allo stand e mi rimetto a far finta di dare una mano, e intanto si fan due chiacchere con Leo e quelli che passano, non manca ad esempio Vanni che passa e che quasi quasi voleva far la tessera ma non si ricordava nemmeno bene se per caso l’avesse già fatta o meno alchè gli dico che non era certo un problema avrei riferito ad Alberto e se è il caso avrebbe provveduto lui (ma davvero deve pagare Vanni per fare la tessera ad Anima Guzzista?).

Arrivano altri amici (tutti quelli che non cito c’erano lo stesso è che la mia memoria è decisamente inaffidabile tanto che alcune cose me le sono segnate nel dubbio), saluto Handbrake & HandWife, Pietro, MarcoB (che praticamente è arrivato ha acceso la sigaretta e con la stessa ancora accesa è ripartito, ma tanto te ripijo domenica :D), Euebre, Marmo e tutti quelli che non mi ricordo che sono autorizzati a picchiarmi a sangue alla prima occasione utile.

Arriva il momento della prova e partiamo per provare il California Classic Rosso, mi siedo comodo e mi sento ovviamente a casa, partiamo piano e il manubrio diverso e il predellino del freno posteriore si fanno sentire subito mettendomi in difficoltà (sai che sforzo eh) mentre usciamo dalla piazza di partenza, un paio di kilometri orari oltre la velocità di manovra e arriva la magia del miglior telaio mai utilizzato per una cruiser, il peso sparisce e mi diverto a cercare la posizione migliore per il piede destro con il Cali che sta in piedi da sola.

Ci avviamo verso il semaforo che immette sulla statale e al verde scatta la sirena del Carabiniere SPIII munito (mi pare) che si spara un prima, seconda e terza da paura (ma chi le prepara le Guzzi dei Caramba, Ube???), visto l’andazzo ravano un paio di marce anche io e godo come un riccio nel liberare dai vincoli del CDS il Cali (si lo so che non si fa … ma provate voi a star dietro a quel Brigadiere).

Arrivano le prime curve e cerco di capire meglio il manubrione e le pedane che mi portano a impostare decisamente meglio le traiettorie, il California viaggia sui binari peccato non avessi le pedane come sul mio Stone sarebbe stato perfetto altrimenti.

La velocità da codice è solo un vago ricordo per tutto il tragitto e una volta riavvicinatomi alla testa del gruppo mi accorgo che ovviamente il Carabiniere sta viaggiando come se stesse passeggiando peccato che la velocità non sia esattamente da crocera … vabbè se lo fa lui 😛

Al rientro mi adeguo meglio alla postura del cali e tenendo il piede destro sul predellino riesco a mantenere una migliore andatura (se fa per dì per star dietro a quel fulmine in divisa ci voleva un R1), il Cali con il nuovo motore mi sembra vibri decisamente di meno, mi sembra anche più rotondo presumo possa essere merito della doppia candela, la frenata integrale non mi ha convinto però anche il freno anteriore mi sembrava necessitasse di un maggiore sforzo rispetto all’impianto del mio Stone probabilmente erano le pastiglie nuove che si dovevano un po’ “fare” come si suol dire; insomma voto più che buono decisamente diverso il motore non differenze stravolgenti ma comunque mi è parso migliore, e le punterie non si sentivano nonostante l’assenza del sistema idraulico e tenete conto che su di giri la ragazza c’è andata, certo una Cali qualunque sotto cura Ube sarebbe stata perfetta però dai per un bestio nuovo decisamente un bel 10 e lode :D.

Si rientra e si ritorna allo stand dopo aver consegnato la moto e il parere sulla moto provata, parere ovviamente poco obbiettivo ma non mi riesce di esserlo quando si parla di Guzzi.

Durante la mattina mentre eravamo soli io e Nadia arriva anche un signore che prima ci squadra un po’ circospetto e poi si fa avanti facendoci i complimenti per il sito e ringraziando perchè gli abbiamo dato 5 stelle e si presenta alla fine come tale Stucchi al quale ho subitaneamente contraccambiato i complimenti per il lavoro fatto fino ad oggi, abbiamo poi chiaccherato amabilmente un paio di minuti (non di più anche perchè con i musicanti a un metro dalle nostre orecchie era dura fare discorsi troppo lunghi) e ci siamo congedati, ora io non vorrei dire ma penso che si sia confuso con altri siti ma forse mi sbaglio io.

Nel corso della giornata poi è anche passata la Alis Agostini a salutarci o meglio a salutare Anima Guzzista e nel corso della giornata ci ha portato in visita anche il Neo Sindaco Mariani che ho ovviamente invitato a venirci a trovare sul forum, a questa Donna ad Alis va il mio più sentito Grazie e deve andare anche quello di tutti noi, perchè è l’artefice di questa manifestazione è lei infatti che ha organizzato quello che abbiamo vissuto io e gli altri guzzisti/e e motociclisti/e (e relative mogli/mariti al seguito :D) domenica scorsa ed è grazie a lei e a tutti quelli che hanno dato una mano facendo avanti e indietro con la propria moto lungo il lago guidando e chiudendo i gruppi di prova, a quelli che si sono tirati su le maniche è hanno cercato di mettere una pezza ai Griso danneggiati, a quelli seduti a organizzare i turni insomma a quelli che hanno contribuito a rendere unica questa domenica rimettendoci del tempo libero senza ricavarne una lira, anzi, un Euro deve andare il nostro GRAZIE RAGAZZI.

Verso l’una visto anche il cambio dell’ora avvenuto la notte, decidiamo di andare a mangiare un boccone in un ristorante dove uno splendido Loris Capirossi mi serve uno splendido dessert in una coppa d’oro, fantastica gara tirata dall’inizio alla fine splendida cornice di una splendida giornata.

Torno al gazebo con evidente ritardo ma con un sorriso a 74 denti e dopo aver salutato Arnamolder che è rientrato (minkia com’è massiccio il ragassuolo) scopro che anche a Misano le cose sono andate bene con uno splendido 1° e 3° classificato per le due MGS-01 ma che bella domenica… 😀

Ritorniamo a vendere (capirai … eh eh eh) e nel pomeriggio scopriamo che tutta la fortuna di cui sopra è costata in sfiga a qualcuno e difatti Marmo è finito in terra con il Griso che stava provando proprio alla fine del turno di prova mentre stava rientrando tanto per cambiare per colpa del solito pirla in sardomobile… ma perchè non le vietano?

Vabbè alla fine la storia già la conoscete Marmo per fortuna (e per intelligenza, dato che aveva abbigliamento tecnico) non si è fatto nulla se non giusto una botta in terra che si è fatta sentire dopo un po’, il Griso non ha subito danni enormi solo che è caduto sulla destra dove c’è il radiatore dell’olio che si è danneggiato ovviamente, e subito la guzzite che ci contraddistingue si è fatta sentire

Marmo: “certo che però in quella posizione se anche te la toccano appena si rompe subito il radiatore basta che te l’appoggiano in terra e tac”

Io: “eh si e inoltre non ci puoi certo mettere il paramotore come al Cali”

Marmo: “ci vorrebbe qualche cosa di fatt’apposta ma come?”

Io: “beh potrebbero fare la mascherina anziché in plastica in bel ferraccio dovrebbe reggere no?” ecc. ecc.

Ma perchè ogni guzzista deve sempre pensare a modificare, cambiare, smontare, migliorare ? Siamo un’eterno lavoro in corso come le autostrade italiane.

Lasciamo Marmo è il suo bellissimo V11 senza collettori di aspirazione in corrugato e mi avvicino al parco moto per capire quando tocca a me per provare il Griso prenotato e scopriamo che toccherà aspettare le 17.00 perchè la moto incidentata ha fatto slittare alcuni test per l’appunto.

Mi rimetto a cercare di vendere qualcosa ma è dura se le figlie di chi vuole prendere toppa, berretto e bandana gli dicono “ma che te ne fai della bandana che ne hai mille” e io “ah regazzì famme lavorà che altrimenti che je porto ad Alberto eh…” e cerco di far due discorsi anzi due urli con Arnamolder perchè bella la musica ma dopo un po’ di ore c’hai due tonsille rosse come il Griso che ho visto la mattina.

Comunque tocca provare anche il Griso finalmente e ci avviciniamo, Nadia sempre più intimorita e dubbiosa della scelta fatta poco prima (si perchè se fosse stato per me avrei provato la Brevona invece lei ha insistito tanto) ci accomodiamo sul Griso bello raccolto cattivo e pronto e Nadia ride nervosamente io invece sotto il casco già pregusto il giretto che ci faremo dietro al Krime che fa da apri pista (Krime apripista è sinomo de genuità e de garanzia del consumatore!).

Partiamo e subito iniziano le prime difficoltà il gioco nell’apri e chiudi si fa sentire e in due è decisamente più fastidioso, durante la guida un po’ sportiva che impone lo stare al passo del Krime poi l’assenza di maniglie per il passeggero si fa sentire ancora di più, io ho goduto come un riccio ovviamente anche se avevo il limitatore di velocità installato sul sellino posteriore che interveniva non appena si superavano i 110 incominciando a picchiettare sulla schiena (forse era morse… punto punto punto linea linea linea punto punto punto cos’avrà voluto dire????).

La guida del Griso non ha risentito troppo della presenza del passeggero come ogni Guzzi non accusa troppo il peso, certo non guidi come se fossi da solo però insomma non accusa così tanto, ho potuto finalmente capire quanti dicono che manca un pelo di spunto, in un paio di rettilinei infatti uscito da una curva lento dietro a una vettura ho riaperto bene e avrei apprezzato quel poco di potenza in più ma non tantissima eh, sia chiaro che nell’uso normale è più che abbondante quanto offerto dal Griso ma ogni tanto posso capire che si voglia di più; non come i due pirla passati in direzione opposta con due CBR e ginocchio a terra che erano decisamente eccessivi (capisco fare la tirata e camminare, soprattutto dietro ad un apripista o meglio ad un Carabiniere a sirena spiegata) ma così da soli lungo il lago con tutti gli incroci a raso … mah… contenti loro…

Appena arrivati dietro al Krime, che ovviamente stava passeggiando mentre noi fativamo non poco per tenere il suo ritmo (almeno io, il tipo con il Brevone si stava divertendo anche lui), Nadia ha ringraziato il cielo di essere tornata sana e salva (non capisco perchè ?) e io ho provveduto a compilare la scheda di gradimento con molta obbiettività (la mia ovviamente) e mi sono goduto il momento, si perchè mi è passata una scimmia grossa così, il Griso Rosso è forse la più bella motocicletta che ci sia in vendita secondo il mio gusto ma non potrei mai comprarla oggi come oggi anche avendo i soldi (dettaglio ormai secondario :P) perchè io la moto non la vivo da solo ma insieme alla mia compagna (compagna non solo di vita ma anche di motociclismo, la passione non l’arrivista) ergo non potrei mai pretendere di usare tutte le domeniche una moto che risulta scomodissima sia a me che a lei… (magari un domani con un figlio e la moglie a casina … no dai Nadia metti giù quel cardano …dai che poi ti fai male … AHIAAAA sfi amorfe scfufa non lo facfcio più).

Torno allo stand per salutare, per noi la giornata Lariana finisce qui, ci aspettano almeno tre ore di viaggio (considerato l’attraversamento del Milanese) e quindi saluto tutti, ringrazio nuovamente Alis e partiamo.

Domenica è stata una splendida giornata, ho provato il nuovo California (nuovo non tanto ma insomma me la son goduta) su un percorso splendido, ho provato il Griso e nonostante lo s-confort mi son divertito come un bimbo lo stesso, ho visto splendidi esemplari di Guzzi, la Ducati ha vinto in MotoGP, due MGS-01 sono andate a podio una prima l’altra terza a Misano, ma soprattutto ho respirato un aria che ormai mi è familiare come quella di casa mia, ho incontrato persone che non conoscevo di vista ma che conosco da una vita ormai, e sono stato bene, ma proprio bene bene.

Se si replica son qui, magari con qualche maglietta in più da vendere, e magari vengo su in moto e mi mangio un panino allo stand così mi diverto ancora di più e aiuto anche di più.

Un saluto a tutti e un grazie da Giuliano e Nadia.

 

 

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