Ricordo la donna, quella grassa, di nero vestita, seduta sul legno di una panchina sopravvissuta all’inerzia del tempo, immobile nell’immutabilità della piazza, le mani unite sul grembo e gli occhi fissi a terra quasi a cercare nella polvere le ragioni della propria esistenza.
Ho il timore di pigiare lo start, il pollice indugia sul tasto mentre i miei occhi cercano invano nell’intorno un movimento che giustifichi il mio gesto, qualcosa che spezzi il ritmo sonnolento e ripetitivo che invade l’aria ferma in quel calore che brucia.
Ho l’urgenza di sudare dentro il casco, di allontanarmi contando con gli ammortizzatori le pietre lucide del selciato, di trovare la strada che mi porti lontano, non so dove ma so come.
Devo andare, devo placare la mia fame di asfalto.
I raggi delle ruote si muovono lenti tra i vicoli, sfioro appena la manopola del gas, il cigolio delle molle accompagna il mio passare, da una finestra un bambino affaccia il cuoio bianco di un pallone mentre un gatto randagio esplora i limiti del cortile.
Ho visto un gatto,
un gatto con gli occhi di caffelatte,
girare i vicoli annusando le pietre
ho visto un topo,
un topo contratto dietro le carte,
maledire il mondo
per non saper volare
ho visto un uomo,
un uomo seduto sulle proprie scarpe,
con lo sguardo scaduto
nel nulla guardare
ho visto un gatto,
un gatto con gli occhi di caffelatte,
rizzar la coda
nel rapido balzare
ho visto un topo,
un topo chiuso dentro l’angolo,
maledire il mondo
per non saper volare
ho visto un uomo,
un uomo seduto sulle proprie scarpe,
con lo sguardo scaduto
nel nulla guardare
ho visto specchiarsi negli occhi di caffelatte
il terrore di chi si vide al finale
e ho visto volare in un taglio di sole
un topo ferito che non voleva morire.
In questi vicoli pieni di gatti
esistono molti più topi,
in questi vicoli pieni di topi
esistono molti più uomini,
in questo paese pieno di vicoli
esistono molti più gatti, topi e uomini,
che nulla, intorno, da guardare.
I frutti di cactus appaiono rossi alla forte luce del giorno e le ombre disegnano dure geometrie sulle pareti delle case che si rimpiccioliscono dentro gli specchi retrovisori, davanti a me una striscia grigiastra si arrampica sulla collina, ai lati balle di fieno esposte all’avidità degli insetti sui prati ingialliti.
Inizio ad aumentare la velocità, le buche danzano davanti alla ruota e beffarde si spostano al mio procedere, percepisco nel motore la voglia di esplodere tutta la sua rabbia e sento forte in me il desiderio di assecondarlo.
Ora la strada si allarga, si fa più sicura, le curve sono dolci e invitano ad allentare la presa, gli alberi proiettano a terra oscuri ricami, buchi neri dentro i quali mi tuffo sempre più rapidamente.
Continuo ad aprire mentre sacrileghe le marmitte sporcano il silenzio.
Ho gli occhi sbarrati, fissi sul nastro rossastro che spacca la valle, il sole davanti a me lento cala sull’orizzonte, il contakilometri misura il tempo che mi separa dal mare.
Gocce di sudore mi calano dalla fronte, girano intorno alle orbite e salate si depositano sulle mie labbra, le mani sono bagnate dentro i guanti e la pelle dei pantaloni mi si appiccica sulle gambe,
la polvere sale da terra e vela la visiera.
Mi sento inghiottito dal nulla, mentre il mio polso continua ad aprire.
La strada, sempre diritta, separa i ruvidi ulivi e le righe bianche veloci mi corrono incontro, sembrano arrotolarsi sotto le ruote, l’aria spinge forte il mio petto come una mano che vuole separarmi dalla sella e il casco butta la mia testa dentro le spalle.
Il motore tuona, odo sfogarsi la collera dei due cilindri, i paracarri sfilano lasciando bianche scie sui bordi dei fossi mentre il cuore pompa sangue alle tempie martellanti.
Dallo stomaco mi sale un grido, prima lento poi urgente, apro la bocca e urlo dentro il casco, urlo a spaccare la gola, urlo a coprire il rombo, urlo nel nulla a raggiungere l’orizzonte che lontano si bagna nel mare.
E l’urlo mi copre, mi avvolge, vorace mi ingoia per poi vomitarmi, sfinito e ubriaco, sul confuso limite delle mie emozioni.
Esausto mi siedo sul bordo del mondo.
Seduto fisso il tormentarsi dell’acqua.
Seduto ascolto le chiacchere dei gabbiani.
Il cielo si scurisce, mentre l’onda, frantumandosi sullo scoglio, mi rimanda il fragore di mille pesci d’argento.
Questo è un buon posto,
un posto giusto per fermarsi a dormire,
un posto amico per continuare a sognare.
Come alzarsi alle 4 del mattino senza nemmeno andare a Capo Nord
di Iko
Dunque… mumble mumble… domani è lunedì, lavoro ce n’è poco… qua nella “Bassa” fa caldo… cosa fare per rilassarsi? Mettersi in moto alle 5 del mattino per andare a vedere le Norge che partono per il Raid a Capo Nord! Che diamine! Il MINIMO che qualsiasi guzzista di buon senso farebbe! Ecceccacchio! ;-P
Infilatomi in autostrada alle 5 del mattino capisco che fa caldo anche per i moscerini che sono tutti ancora in giro pronti ad “abbracciare” la mia visiera… vedersi un’alba in moto, comunque fa sempre un certo effetto.
Presa la superstrada per Lecco, più o meno all’altezza di Seregno vengo “spettinato” da una Griso a tutta birra… Muttley secondo me sei in ritardo… Mi accodo al “socio” ed arriviamo a Mandello in poco tempo.
A Mandello c’è aria di festa, come di ricreazione: per la partenza del Raid? No. In stabilimento è saltata la luce ed è tutto fermo (chissà perché capita sempre al lunedì mattina, neh?). Prontamente consiglio uno sguardo al fusibile del generale od ai relé sotto la sella… 😛 (corso intensivo per Bastard Inside: Diventa Guzzista!)
Poteva essere la mia, ma una “svista” del centro stampa mi ha escluso… SABOTAGGIO!!!
Le altre Norge pronte a partire
Le Norge sono lì allineate subito dopo l’ingresso: ce ne sono anche due rosse. Sarà, ma secondo me fa effetto “caramellone”. Al solito piacerà ai nostalgici un po’ NAIF espatriati, tipo Gandalf o Goffredo per intenderci… :-PPP
Arrivano i “giornalisti”* (ma chi era quello tatuato? Secondo me da come camminava aveva più fratture lui della faglia di S.Andrea) e preparano le moto. I furgoni di supporto, opportunamente, sono già partiti il giorno prima…
*(leggi: paraculati, li odio li odio li odio, NON SONO UNO SPORTIVO)
Incontro Marsa, Rugi, Arnamolder, Giancarlo, il Krime che al solito, mi spiega, riuscirà a farsi 8.000,– Km per 5 giorni di vacanza in giro in Europa, e Muttley naturalmente che intuita la mia “sete” di gadget mi rifila una maglietta GMG 2005 prima che abbia finito di grattare con le unghie l’adesivo del Raid da una delle moto.
Naturalmente, parlando di Guzzi, i guasti gravi non mancano: “ben” due giornalisti non riescono a partire immediatamente: lasciano il cavalletto aperto con la prima marcia inserita; come recita un prestigioso rotocalco da parrucchieri famoso per i confronti appropriati: “le borse della Norge sono capienti, MA quelle di BMW sono belle; il logo BMW è audace e aviario, MA Guzzi usa l’ANTIPATICO interruttore di sicurezza per la marcia inserita…” 😉
La partenza tutto sommato è molto tranquilla, nulla di particolare (pochi “storditi” come noi in giro…), la festa grossa è stata alla presentazione il giorno prima. Il “corteo” viene accompagnato nei primi chilometri dalla scorta del Moto Guzzi Club Mandello. Mi accodo anch’io fino a quando non entrano in superstrada sopra a Bellano.
Bella idea, bella avventura: è cosa buona ed auspicabile che Guzzi riscopra e usi la propria incredibile storia. Si potrebbe recriminare sul corso molto “patinato” e un poco paludato scelto dalla nuova Gestione (magari coinvolgere anche degli appassionati tramite i Club non sarebbe stata una cattiva idea, IMHO) che pare scelga soprattutto di focalizzarsi sui nuovi obiettivi (target, per chi non capisce) di clientela… ma questa non è la sede…
Lascio Mandello con il pensiero a Giuseppe Guzzi che in sella a quel “trabiccolo” (si fa per dire) di 500 cc se ne parte per Capo Nord, con strade sconnesse e spesso non asfaltate, vestito di lana e pelle… Impresa che proporzionalmente dovrebbe vedere le Norge impegnate nel giro del mondo a marcia indietro per eguagliarla… Ma ora è un’altra storia, sempre di Guzzi però!
Qualcuno non originario dalla scaligera città si chiederà cosa voglia dire “far berna”. Qualcun altro, stavolta sì di origini scaligere, si chiederà il perché un concetto tipicamente scolastico nonché infantile, venga utilizzato in ambito lavorativo, ancorché professionale.
Diciamo subito, onde sgomberare il campo da strane idee di edificazioni di città elvetiche, che “far berna” vuol semplicemente dire “marinare”. Laddove, ovviamente, il termine “marinare” venga associato a “scuola”.
Bene. Sulla soglia dei 40 anni, con un discreto cammino scolastico alle spalle che mi ha condotto attraverso conoscenze in campi economici, giuridici per giungere a mete “manageriali”, mi è tornata quella sana voglia di far berna. Sì. Però a cavallo di una bella rossa di 24 anni. La V65SP dell’82.
Da convintissimo abitante della Bassa che sono, quale miglior ambito per far berna di un sano giretto al Lago di Garda?
Bene. Ore 14,30. Voglia di lavorare saltami addosso, che mi sposto prima!! Chiedo ai ragazzi dell’ufficio di coprirmi mentre mi assento per qualche ora in uno dei primi splendidi pomeriggi del 2006, e subito dopo mi sentono turisticamente passare prima di loro (una volta tanto) la soglia del fine lavoro insieme alla bella Rossa di Mandello.
Imboccata la 434 in direzione Verona raggiungo un altro centauro. Ma che mi sembra? Sì: è proprio il retrotreno di una Guzzi!
Una fiammante 750 Nevada condotta da un teutonico omone! Dopo una ventina di chilometri i nostri rispettivi itinerari ci separano al suono maestoso delle trombe anni ’70 di equipaggiamento reciproco! Ciao, compagno di un momentaneo viaggio!
Proseguo tranquillo in questa strada che, per noi abitanti confinanti del Polesine, è come un profondo solco che taglia in due il Sud della provincia di Verona, avvicinandoci da un lato al capoluogo scaligero, e dall’altro al capoluogo palesano. Strada che, purtroppo, in troppe occasioni si è rivelata maledetta ladra di affetti talvolta vicinissimi!
Lambisco la cintura sud di Verona per immettermi sulla SS11, tristemente nota per le sue caratteristiche notturne, e giungere così alla meta di Affi. Quasi d’un fiato giungo ad Albisano, da dove è bello fotografare uno scorcio di lago in controluce: si nota la traccia di un traghetto ormai approdato a Torri del Benaco. E’ lì, mentre faccio un saluto a quel Cristo che troppo spesso dimentichiamo come spirituale sostegno, per ben ricordarlo in pesanti sequele, nella bella chiesetta di Albisano, che squilla il telefono (la mia croce, appunto!!)
E’ una telefonata di lavoro per farmi tornare bruscamente alla realtà: è un amico di una notissima ditta cliente che mi chiama per farmi gli auguri di buona Pasqua. Ciao, Sandro! Auguri a te!! A presto! (Meno male che non erano rogne…)! Di certo sto meglio io, una volta tanto!!
Esco dalla chiesetta e risalgo sulla mia amata Rossa per riprendere il cammino che mi porterà giù fino al ristoro dell’oasi benacense. Torri si profila come splendida cittadina mittleuropea: i giovani ormai parlano almeno anche il tedesco, oltre al brenzonal! Ecco allora approfittare della scarsità di turisti (e di controlli) per intrufolarmi lungo la spiaggetta antistante ad Aquefredde: quante nuotate il giorno prima degli esami! Da lì la vista del castello della cittadina regala sensazioni degne di uno scenario da film.
Lascio lo sdrucciolevole pietrisco della spiaggetta di Torri per incamminarmi alla volta di Garda, ed ecco profilarsi all’orizzonte lo sperone dietro al quale sappiamo ergersi la magnifica Rocca di Garda.
Quanto avrei voluto, in un tempo ormai andato ed impossibile da ricuperare, poter passare qualche giorno nella solitudine di questa grandissima realtà spirituale guidata dai Camaldolesi!! A me è stata fatta bensì la grazia di poter respirare qualche alito di questa vita che sembra così impossibile a viversi, ma che così tanto dà a chi riesce a slegarsi dalla materialità di un mondo alla deriva di principi.
Splendidi ricordi che affiorano alla mente quando ormai oltre tre lustri or sono, su un’altra gloriosa cavalcatura (Vespa PX125) transitavo per questi posti in compagnia di quella che sarebbe diventata la straordinaria ed impareggiabile compagna della mia vita: a te, Paola, dedico questo momento di evasione dalla frenesia dei comandamenti del nostro mondo, esclusivamente imperniato su valori materiali (e quindi passeggeri). Sì: in sella alla V65SP vivo momenti di totale immersione nella purezza di un angolo che così tanto ha segnato nella mia vita: durante gli studi prima, e con la persona della mia vita subito dopo. Dio ti ringrazio di farmi tornare in questo Venerdì Santo alle origini del percorso che mi sta portando alla maturità umana.
Mi giro e vedo lo splendido porticciolo di Garda che porta in cornice lo sfondo dell’aristocratica Punta San Vigilio, che per qualche estate vide la bella Lady Diana riposarsi (serena?) nella villa reale.
Mi giro ancora e non posso fare a meno di notare la bellezza dei cromatismi della chiesetta che sta di fronte al porto di Garda.
E’ difficile disgiungere la nostra natura umana dal forte senso di presenza del soprannaturale: ovunque ci si rivolga è presente una sorta di richiamo, direi quasi di richiesta di motricità che l’uomo, nelle sue espressioni artistiche, vuole fare all’Infinito.
Giunge ormai al termine anche questo Venerdì Santo 2006 e gli obblighi e le responsabilità familiari e professionali impongono di collimare la via del ritorno a questo strano pellegrinaggio.
Grazie, Dio, per la possibilità che mi hai dato di vivere qualche ora in modo splendido, e di saper cogliere il momento; grazie ai miei carissimi collaboratori che riescono a crearmi questa possibilità; grazie alla mia amata Paola che mi lascia gli spazi (ergo: vita) per me indispensabili per queste gite e grazie a Moto Guzzi: un sogno-realtà che possiamo godere appieno nella modestia dei nostri mezzi quotidiani.
Di Rinaz
Marcello è bello, proprio un bel ragazzo… dico sul serio io dipingo e sono abituato a valutare le proporzioni del corpo umano. Per esempio io faccio schifo, quelle rare volte che sono stato magro dopo i vent’anni facevo cagare lo stesso ed ero comunque sgraziato, ad esempio ho un testone enorme per giunta adesso anche pelato, mentre Marcello ha un scatola cranica simile a quella di Marlon Brando… fateci caso Marcello ha la stessa testa quadrata ma con gli angoli rotondi di Marlon Brando, dentro Marcello ci tiene tutto il suo sapere di tecnica motociclistica ed immagino centinaia di manuali d’officina.
Marcello oltre che bello è un vero genio.
Che meraviglia! oggi è il dieci di agosto… estate piena …. fa un caldo… il caldo opulento e tafano del Chianti… la mia moto sembra sentire questa placida armonia gravida e ronzile … la mia Guzzi si sottomette volentieri alle cure di Marcello che l’avvita …la svita, la riempe, la rabbocca la stringe e la tocca con le sue braccia forti e ben fatte… più lo guardo nella sua maglietta “metallurgica romagnola” più mi vien voglia di piazzarlo in un quadro nelle vesti di San Sebastiano… la sua anatomia potente e rotonda sarebbe esaltata dalle linee rigide delle frecce che lo trafiggono… ma Marcello si asciuga il sudore, scaccia i tafani e prova la Guzzi… torna ed instancabile si rimette al lavoro… oh! non c’è verso… potete portare Marcello al Louvre… anche in presenza della Gioconda se vede il motorino del custode ci si attacca e per lui non esiste piè niente…
“…Marcello hai fatto tanti chilometri per venire qui …perchè non vai su almeno a vedere il castello? “… il castello?… Rinaz lascia stare il castello… come fai ad andare in giro con il manubrio messo cosi’?…” “…Marcello nel castello ci hanno deciso l’unità d’Italia…” “…scolta me Rinaz con un manubrio messo così rischi anche di far lavorare male la frizione…”
non c’è storia e non c’è castello, chiesa o monumento che tenga … oh ragazzi neanche se la buttate in politica ce la fate …e oggi che fa caldo per la politica la televisione parla solo di un testa di cazzo che si fa saltare in aria… mentre pelo le patate grido dalla finestra “… Murry cosa ne pensi di questi KAMIKAZE?…” ” …penso che fanno un gran botto … come quando la benzina nella camera del bicilindico esplode e porta giù il pistone… ci vuole una forza… ma oltre alla benzina c’è anche un discorso di compressione e lè le valvole se non sono registrate bene…”… eh vabbuè …getto la spugna e pelo le patate… Marcello parla solo di moto e si interessa solo alle moto, in particolare alle moto Guzzi.
Ma dai di cacciavite e dai di chiave inglese arriva il momento che Marcello, ribaltato un paio di volte la mia moto e la 125 di mio figlio, non ha più niente da smontare e da riparare … è un momento tragico … e allora che si fa? che si fa oggi che gli alberi sono carichi di frutta e c’è tanta luce fino a tardi? Marcello troneggia maestoso ed inoperoso in mezzo ai miei troiai di campagna dove spuntano tre archi scuola ed un monolitico da caccia da 70 libre… “… Marcello hai mai tirato una freccia?…” “…io non tiro mai come una freccia… io di solito vado piano … che a parte la sicurezza il motore va rispettato…” “… NO MARCELLO!!!! L’ARCO E LE FRECCE COME GLI INDIANI… hai mai caricato un arco e scoccato una freccia?”
In questo pomeriggio di caldo e sole qualcosa di diverso da una moto ha fatto breccia nell’attenzione di Marcello.
Marcello, che come Galileo è sostanzialmente uno spirito scentifico, sovraintente a tutta l’operazione di caricaggio e messa in tensione dell’arco… gli passo un arco scuola a basso libraggio, facile da tendere e governare, dopo aver sistemato ad una ventina di metri il paglione nella abbrustolita oliveta di agosto. “… dunque Marcello… piedi paralleli e sguardo sopra la spalla…” era un pò il mio sogno creare una compagnia di arcieri nel Chianti …quando i bambini erano più piccoli stavamo sempre dietro casa a tirare con l’arco …e si diventò anche bravi che si cominciò a prendere la strada del bosco con l’arco e di mira i fagiani, le starne e qualche volta le imprendibili lepri finchè non si prese la faccia severa di un maresciallo dei carabinieri che ci ammoni’ ” L’ARCO PER LEGGE E’ EQUIPARATO AL COLTELLO! …chiaro? SE LO USATE IN CUCINA VA TUTTO BENE SE VE LO TROVO IN DISCOTECA SIETE NEI GUAI! …chiaro? LA PROSSIMA VOLTA CHE VI TROVO CON L’ARCO IN ATTEGGIAMENTO VENATORIO SIETE NEI GUAI! …chiaro?” Chiarissimo signor Maresciallo e intanto prendo la mira e per tre volte faccio una figura di merda perdendo tutte e tre le frecce nel bosco dietro il paglione… “…Insomma Marcello hai capito come si fa no? prova te”… Marcello prende in mano l’arco e lo tende senza nessuna fatica. Per lui tendere un arco scuola e come per noi tirare le stringhe per allacciarsi le scarpe. Marcello infila con precisione tre frecce in successione nel paglione a venti metri… “… brutta merdaccia eri già capace eh?..” ” NO Rinaz è la prima volta…” …cambiamo arco, ma lui sempre piantato sulle sue robuste gambe tira una freccia via l’altra verso il bersaglio… fino all’arco monolitico da 70 libbre particolarmente duro da controllare in tensione ma Marcello non fa nessuno sforzo… d’altronde ci ha certe spalle e certi avambracci il Marcello che tira su un California da solo. Quella notte del dieci di agosto aspettammo le stelle che San Lorenzo fa cadere dal firmamento… frecce infuocate a colpire i nostri desideri… Marcello il miglior meccanico di moto che conosco ne espresse uno: al rientro avrebbe cercato un arco… gli è piaciuta questa cosa dell’arco che un pè ricorda la moto.
…
Oggi è il venticinque di novembre e in Toscana fa un freddo che solo chi abita in Toscana sa che freddo può fare in Toscana. La mia moto gode ancora dei benefici massaggi estivi di Marcello e come una freccia divide il freddo sulla superstrada, fa un gran freddo oggi ma noi Guzzisti quando il bicilindrico gira anzi canta così bene ci sentiamo consolati e ripagati da tutta questa vita amara e grama, ed oggi la mia Guzzi per merito del mio amico Marcello fa il suo bel BRUBRUBRUBRU sulla superstrada gelata, mentre le macchine mi sorpassano e qualcuna addirittura mi saluta… anche perchè adesso sto entrando nel mio bel paesino toscano, tutto abbracciato dalle mure del castello dove tutti ci conosciamo e viviamo in tante anime come se fossimo una famiglia sola… ed io qui non sono neanche Rinaz, il nipote di zingari, ma sono Guzzi, ognuno di noi dentro le mura si porta una sorta di nuovo battesimo a volte anche duro per esempio c’è un signore che si chiama LA MAIALA perchè ha una teoria: gli affari sono buoni se figliano tanto quanto una maiala …o un altro che si chiama LASSASSINO … l’unica sua colpa è stato di tornare al paese dopo venti anni di gabbia per aver ammazzato l’amante della moglie. Io per i miei compaesani sono Guzzi, Guzzi è un po’ matto, Guzzi a cinquantanni va ancora in moto, Guzzi va in moto anche d’inverno, Guzzi ci ha sempre scritto Guzzi adosso da qualche parte, Guzzi ha una Guzzi con la statua della Madonna, Guzzi non parla con nessuno ma è Guzzi e da una mano a tutti… GUZZI è IL MOTOCICLISTA DEL PAESE.
Infatti Guzzi (il vostro Rinaz) entra nel castello seguito da un nugolo di ragazzini che lo chiamano e gli corrono dietro la moto… “Guzzi”, “Cuzzi”, “Uzzi”, “Gutti” e via berciando… a me Guzzi questa cosa piace molto… anche perchè riconosco il mio bambino di dieci anni con gli altri e sono una nuvola bella di speranza, gioia e colore … ci sono bambini Magrebbini, Kossovari, Albanesi, Indiani, Americani e oramai pochi italiani… ma a me piace così mentre posteggio circondato da tutta questa ammirazione per la mia moto e le mie toppe sulla giubba. ” … non toccate la moto che scotta! avete capito?” Entro in casa con il naso freddo ma il cuore pieno di calore… lei è sul divano e sta piangendo. Ha quel modo suo di piangere che non conosco in nessun altro essere umano… piange leggendo carte o lavorando… ondeggia i bei capelli neri che non si arrendono al grigio degli anni nascondendo questo suo pianto che rende il suo viso ancora più bello ma durissimo e severo… ora mi si è gelato anche il cuore… “…è successo qualcosa ai ragazzi?…” lei scuote la testa e non risponde… poi dice: ” è tornato..” e si asciuga una lacrima.
Dunque è tornato.
Quel ragazzo di soli sedici anni è tornato dal viaggio piè terribile che un motociclista puè fare. Quel ragazzo è partito in moto con un amico ed è tornato cinque mesi dopo in paese su una carrozzina a rotelle. Quando a primavera era caduto non muoveva più le gambe e tutto il paese trattenne il respiro… mia moglie spiegava ed incoraggiava, forse era solo un brutto ematoma che premeva sui nervi della colonna vertebrale… forse una volta riassorbito… forse… in paese la gente non parlava più o meglio la gente ancora si salutava o parlava del tempo ma si capiva che non frecava più niente a nessuno del tempo che faceva … tutti aspettavano da qualcuno quella notizia che doveva arrivare da Firenze … il nostro ragazzo ha mosso le gambe… passavano i giorni e le stagioni ma le gambe restavano immobili … la frattura non solo c’era ma era molto in alto, io non sono medico ma mi sembrava di aver capito che la colonna vertebrale è come un palazzo del dolore più è alta la frattura più tremenda sarà la tua vita, nei piani alti delle colonna ci sono sempre meno funzioni… l’ascensore per lui e per nostra disperazione si era fermato molto in alto restavano “per fortuna” respiro ed arti superiori con tutta la via crucis di infezioni e riabilitazioni che ne conseguivano …ed il ritorno a scuola su una carrozzina ed un autobus speciale che gli amministratori avevano approntato…
Tutti avevamo sperato che questo momento non arrivasse mai… un nodo alla gola mi strinse cosè forte che mi impedì di dire qualsiasi frase di circostanza… rimasi sulle scale appoggiato al muro cercando di fare come lei… di resistere al pianto … ma non sono bravo come lei ed il casco mi pesava in mano e la mio moto mi aspettava fuori… fu allora che mia moglie disse ” …a Firenze gli hanno consigliato di fare il tiro con l’arco… mi chiedevo se tu potevi…” non aspettai la fine della frase scappai piangendo come un bambino ferito mentre i bambini che discutevano della mia moto restarono ammutoliti davanti alle lacrime di un adulto… misi in moto e corsi di rabbia nelle crete… antico fondo del mare che pure una volta doveva esserci e dove avrei voluto sprofondare… ma il solitario parlare con se stessi che accompagna tutti i motociclisti si fece greve ed insopportabile cosi fui costretto a fermarmi a piangere dando le spalle al mio paese… la mia moto mi guardava silenziosa ed impotente… non aveva consolazione da porgermi… però uscì il sole mi feci forza e mi voltai … un raggio di sole illuminava il mio paese stretto attorno al campanile della Chiesa di San Lorenzo… mi chiesi come fosse possibile che un posto cosè bello riuscisse a contenere tanto dolore.ù
ùu allora che mi tornò alla mente Marcello e mi consolò il pensiero che quando la moto chiama l’arco non sempre è una tragedia ma qualcosa di misterioso e profondo.
Questo pensiero mi diede la certezza che “Guzzi” il motociclista del paese avrebbe trovato la forza di porgere un arco a quel ragazzo sulla carrozzina.
Rinaz 2006
Fatti e persone sono frutto della mia fantasia le coincidenze sono del tutto casuali.
Dedico questo raccondo a quel tale che scrisse che un Guzzista a volte ha la necessità di lasciare indietro qualcuno.
Premetto due cose: non sono un grande scrittore, e ho 22 anni, scusate qualche mia banalità…
Anche se che l’arrivo, o meglio, l’avvento, della mia prima guzzi, un V35 Imola II del 1984 (visto che siamo coetanei, la chiamo “imoletta”…), è del luglio 2005, questo che sta per chiudersi è il mio primo anno intero da guzzista! E così ho deciso di raccogliere e raccontare le mie emozioni con tutti coloro che avranno il piacere di leggere queste righe. Si, perché di emozioni si tratta, e trovo che sia bello condividerle con chi ti capisce e non ti chiama pazzo (almeno spero…).
Oddio, parlare di certe cose, direi a cuore aperto, è sempre difficile…cercherò di farmi capire il più possibile!
In questo 2006 i chilometri non sono stati moltissimi, con mio vivo dispiacere, anche per le scarse doti di macinatrice di km della mia imoletta, (ma tant’è, bisogna anche accontentarsi…), ma sono bastati a far “cementare” in me la passione, anzi, l’amore per l’aquila di mandello! Forse però l’amore verso la propria moto non dipende solo dai km percorsi. Infatti, devo ammettere che di tanto in tanto, specie quando piove, vado nel garage, la metto in moto, e ne ascolto la sua voce…ecco, questa è una delle tante cose che mi fanno chiamare pazzo da chi non capisce la mia passione. Ma come diceva un certo Enzo Ferrari, “non si può spiegare la passione, la si può solo vivere”. No, non dipende dai km. Una guzzi la ammiri e la ami anche se sta sul cavalletto…
Già, e di guzzi sul cavalletto in questo anno ne ho ammirate tante, nei raduni cui ho partecipato! Che bello andare ad un raduno! Si comincia la mattina, con la “vestizione” (il gilet in pelle con le toppe cucite è un “must”), poi si fa riscaldare un po’ il bicilindrico, e dopo via, verso l’ammassamento…e qui cominci a fare conoscenza con gli altri centauri (magari molto più grandi di te…), e con le loro moto, magari anche con la gente di passaggio che ammira questi strani personaggi che “contemplano” le loro creature e quelle degli altri. Senza contare la goduria del classico giro turistico, anche se a volte “bollente” o “umido”.
Volete sapere la mia definizione di raduno? Eccola: raduno motoguzzistico è il luogo di ritrovo ideale per quelli che sono affetti da una cosa inspiegabile e incurabile: la guzzite acuta. Mi verrebbe da dire una sorta di paese dei balocchi temporaneo, dove chi, pazzo e innamorato come me, trova gioia e sollievo nel vedere tante aquile tutte insieme! Credo che il guzzista abbia in se la propensione al ritrovo, allo stare insieme, magari a tavola (fidatevi, è così….). Anche se, pensandoci bene, credo proprio che il motociclista in generale sia portato anche all’andare in giro in solitario (almeno per me è così…). Che poi non si va mai in giro in solitario, visto che ci sono sempre due cilindri (anche uno, rispettiamo la storia), e tanti sentimenti che ti fanno compagnia!
Certo, questi mesi non mi hanno risparmiato qualche dolore, tipo le filettature delle candele che mi hanno abbandonato, la batteria che ogni tanto fa le bizze, così come l’avviamento a freddo…ma lo sapevo, ero preparato a qualche sofferenza! Amare significa anche soffire…
Ok, credo di essere stato abbastanza romantico, basta così!
Ora passiamo a qualche ringraziamento. Eh si, ne ho di persone da ringraziare! Vediamo un po’…non vorrei dimenticarmi qualcuno!
Il primo grazie (ma non è una classifica, sono tutti al primo posto), va al virtual fun club di moto-guzzi.it, direi il primo nido che mi ha allevato, guzzisticamente parlando! Come non citare tepes, numero8, frizz, insieme a loro abbiamo ormai occupato il bar diventando come i 4 amici al bar di “ginopaolesca” memoria. E poi wvilla, che mi ha omaggiato della prova su strada della mia imoletta lasciandomi senza parole! Fabio Baldrati con i suoi magnifici racconti! “Katia la piratessa”, o meglio la poetessa (il suo “buon natale” dello scorso anno l’ho tenuto appeso in camera anche a ferragosto). Senza dimenticare tutti gli altri (non posso nominarvi tutti, perdonatemi), con i quali ho condiviso tante discussioni che senza dubbio mi hanno arricchito! Grazie a loro ho capito davvero che puoi considerare amico anche chi non hai mai visto negli occhi! Si, ma quanto mi siete costati di connessioni a internet (lo so, è una battutaccia, chiedo scusa…).
Come non citare il forum di animaguzzista, che frequento da poco, ma che ho subito apprezzato per il gran numero di partecipanti e di discussioni (sono davvero tante, a volte mi ci perdo…). E’ da apprezzare l’impegno dello staff che manda avanti un sito, un forum, e una famiglia di 3000 persone!
Un capitolo a parte meritano i “Guzzisti Partenopei”, anche loro amici veri e fidati, anche se non ci vediamo spesso. Il mio primo gruppo in carne ed ossa (molta carne, ricordo un pranzo eccezionale…)! Willy, Antonio, Nicola, Claudio, Pasquale, Rosario, Gennaro, Fabio, e tutti gli altri che conosco di meno. Li ringrazio di cuore, spesso sopportano i miei tormenti di giovane, per di più guzzista! E le mie domande a volte stupide…
Beh, come non ringraziare i miei genitori. Mio padre, ex guzzista, talvolta costretto a fare l’aiuto meccanico, e mia madre, obbligata ad “allestire” il su citato gilet in pelle!
Un pensiero direi particolare va a “G”, amica vera, che mi ha dato lo spunto per questo racconto e che mi ha fatto capire che si può essere amici anche vedendosi poco. E che un amico lontano può essere davvero importante…
Vi abbraccio tutti!
E auguri di un 2007 pieno di felicità!
enzo nasto, o meglio, enas84!
p.s.: lo ammetto, un po’ mi sono emozionato scrivendo queste righe!
In piedi, ritto sul parapetto, osservavo la statale curvare ed entrare nel paese, dietro di me nel parcheggio il vento della primavera a scatti puliva l’aria alzando vortici di sporco.
Ogni tanto davo un’occhiata al grosso bicilindrico nero della Guzzi, non avevo paura che me lo rubassero, che le Guzzi non se le frega nessuno, solo un matto può pensare di fregare un California vecchio di cinque anni con la statua della madonna inchiavardata sul parafango, ma c’è sempre qualche testa di cazzo che si frega il casco o i guanti, magari non gli servono, lo fa così per spregio o chissà perché.
Alle quattro calcolai che erano tre ore che aspettavo e mi rassegnai, Woizec non sarebbe più arrivato. Facevo fatica ad arrendermi all’idea, non per le cose che mi aveva promesso, cioè anche per le cose ma se non arrivava con il suo furgone bianco significava che era finito nei guai. ” …merda d’un Woizec mi sei finito in gabbia un’altra volta..”, saltai giù dal parapetto con un “… ma vaffanculo…”. Alla moto mi aspettano i soliti due vecchietti. Fateci caso quando lasciate parcheggiato un Guzzi al ritorno trovate sempre due vecchietti che parlano di moto e dei bei tempi andati. I miei stavano dicendo
“… macchè ì Galletto, Nedo aveva ì Falcone… ì Galletto… te tu ci avevi ì Galletto…”
” ettu ti sbagli… ti dico che ni cinquantasei alla festa a Campi del primo maggio Nedo venne co ì Galletto… “.
Il mio arrivo li zittisce e gli stampa in faccia un sorriso ebete. Brutta bestia la pensione, forse peggio della galera, così la compassione me li fa salutare per sentirmi chiedere le solite cose “…ma la Guzzi esiste ancora…”, “… indollè ì volano…”, ma oggi non ne ho proprio voglia, il bidone di Woizec mi pesa, così conto i miei soldi e decido rapidamente il da farsi… andrò a San Giovanni da Maurizio, da Maurizio c’è sempre un buon motivo per sbattere via i soldi. Deludo i nonni facendo girare i pistoni. La polpetta di carne congestionata che è la faccia di Maurizio mi aspetta giusto sulla porta.
“Oh zingaro! dove tull’hai lasciato ì carrozzone?”
“L’ho lasciato alla tu mamma che aveva da ricevere dei camionisti, mi ha detto di dirti di non aspettarla che farà tardi”.
A Maurizio la mia Guzzi piace molto, esce dal suo magazzino e si avvicina alla moto mentre scendo e metto il cavalletto.
” … la mi mamma l’era una maiala ma la tua un si sa manco chi l’era, per me te non sei zingaro, te tu sei un bimbo rubato dagli zingari in un bordello!”
” oh brutta merda vuoi vedere che sono il tu fratello… Maurizio fa un piacere al tu fratellino vendimi qualcosa di bello… che ci hai oggi di bono?”
” io ci ho tutta roba bella… sei te che fai fatica a tirare fori ì quattrino, si vede che ì bordello della tu mammima l’era frequentato da un rabbino”
” rabbino icché? ci ho un nome arabo”
” si vede l’era di bocca bona e sbocchinava gli uni e gli altri”
” ma vattela a stroncare al culo, sei il solito pezzo di merda…”
… sbrigato il protocollo dei saluti e dei convenevoli entriamo nello schifo del suo capannone dove nel caos più totale trovi veramente di tutto, affogati nel lerciume più assoluto trovi oggetti sublimi e cacate inutili. Fingo di girovagare a caso nel suo universo arredato alla rinfusa da grandi armadi d’epoca ma anche rottami di moderni frigoriferi, improbabili lampadari e divani sfondati di ogni era e stile. Maurizio mi segue… cerco di depistarlo zigzagando ma so esattamente dove voglio andare a parare, Maurizio ha un oggetto che tengo d’occhio da diverso tempo e io so che più passa il tempo più Maurizio è disposto a trattare il prezzo.
È un inginocchiatoio francese di fine ottocento. A ben guardare è un oggetto troppo pesante ed è il motivo per cui Maurizio fatica a venderlo, troppo grande, tutto di noce ebanizzato con il nero che ha preso una patina grigio scuro. Le corte gambe a tortiglioni tozzi reggono una seduta imbottita in velluto rosso, liso e consunto da chissà quante ginocchia dolenti, ogni volta che lo vedo cerco di immaginare quanti peccati siano stati espiati su questo oramai sudicio velluto rosso fermato al bordo da grosse borchie d’ottone; nell’alto schienale campeggia un grossa croce nera, sempre a tortiglioni, sovrastata da un cassettino anche lui nero come la morte ripostiglio dei libretti liturgici e come se non bastasse all’interno del cassettino è fissato un piccolo crocefisso in metallo di epoca più recente, forse un ex-voto per una grazia ricevuta in cambio delle tante orazioni; lo schienale termina in un fagiolo imbottito ricoperto dello stesso velluto rosso rubino anche lui con la trama sfinita dal continuo appoggiare di mani giunte in preghiera … un oggetto difficile da mettere da qualche parte in una casa, però se si arriva al prezzo è un oggetto sicuramente da comperare. Girato un angolo mi trovo davanti l’oggetto dei miei desideri…
“toh guarda chi c’è!… oh Maurizio, figlio di un cane, ma questo inginocchiatoio non lo dovevi vendere la settimana scorsa agli americani?”
” un cominciamo a fa i bischero… lo voi o no?”
” quanto costa oggi?”
” un mi fa girà i coglioni che oggi non è il giorno… tu lo sai quante costa… costa uguale a ieri”
“non mi ricordo più… e qui da così tanto tempo che ti si fa un piacere a portarlo via”
” ma va a cacare… sono sempre cen’cinquanta euro…se tu lo voi, se poi tu sei venuto a far girare i coglioni e un altro par di maniche”
” cencinquanta sta merda che non riesci neanche a regalarla?”
” sai zingaro che a volte riesci a starmi sui coglioni? siccome t’hai studiato tu pensi io sia bischero?”
” ma che cazzo dici? sei figliolo di una lorda ma il tuo lo sai fare… ma cencinquanta non te li darò mai!”
” senti, brutto muso di merda, si fa centoventi lo metti sulla tu moto del cazzo e tu ti levi di culo! va bene?”
” non ci penso nemmeno a centoventi lo si lascia qui che quando la tu mammina ha finito co’ camionisti ci viene a recitare il rosario”
” sarai figliol di troia eh? “.
Ma detto questo Maurizio si accorge che sono entrate due clienti, due ragazze sui quaranta, una è un un vero cesso con un grosso naso torto e i denti da cavallo, i blue jeans neri attilati non gli nascondono le brutte gambe secche. L’altra è un vero angelo, un apparizione di grazia ed eleganza che stride nella fogna che è il magazzino di Maurizio, la signora ha lunghi capelli biondi a incorniciare un viso bello e regolare illuminato da due occhi grigi che irradiano tristezza ed infelicità nell’ambiente, una gonna al ginocchio lascia vedere due belle gambe ben disegnate infilarsi in scarpe basse un pò scollate, l’angelo parla anche e dice ” ciao Maurizio” “buon giorno a voi bella donna”.
La ragazza vestita di sensualità scivola, matura e consapevole, sullo schifo circostante accompagnata dallo scorfano goffo, posando la sua tristezza educata sugli oggetti di Maurizio. E’ così bella che né io né Maurizio riusciamo più ad insultarci, ci guardiamo a vicenda vergognandoci di essere così brutti e malridotti. Due veri straccioni. Mentre la bellezza naturale e pulita della signora levitando avanza lentamente tra la merda di Maurizio spargendo i suoi malinconici feromoni su tavolini e comodini dalle gambe spezzate e i cassetti mancanti, noi come ipnotizzati sentiamo tutto il fallimento della nostra vita dove certi piaceri e certe bellezze ci sono sempre stati preclusi, ci risvegliamo solo quando ci ripassa accanto ” ciao Maurizio ” ” ciao a te bella signora ” in una scia di profumo e tristezza esce con il suo scombinato cavallo al seguito.
” … maiala che topa!..” esclamo io, Maurizio fa ” pensa zingaro s’era ragazzi assieme… poi… una fica a quella maniera… c’era da aspettarselo… ha sposato ì figliolo avvocato del Moretti… prima cì fatto du figlioli e adesso l’ha mollata…”
“ma chi lei o lui?”
“no… no… l’ha mollata lui… il vecchio Moretti l’è morto e lui se messo con la ragazzina moldava che, dice, gli faceva da segretaria… pensare che da ragazzi ci ho avuto una mezza storia”
” ma va a cacare, merdaiolo, ma ti sei guardato? ma sei proprio una testa di cazzo”
” che c’entra? s’era ragazzi mica contava ì quattrino…”
” allora se il quattrino non conta perchè non mi lasci sto sgabello merdoso per cinquanta euro? ”
” muso di merda un tu sei altro, bastardo fatto e finito, cinquanta euro per un mobile francese dell’ottocento! ”
” Maurizio ma chi lo vole? chi te lo piglia? ”
” ci posso fare trecento euro quando mi pare ”
” e allora perchè è ancora qui? cosa fai… ti ci sei affezionato? ”
” senti, pezzo di merda che un tu sei altro, tu mi dai settantacinque euro, te ne vai a fanculo, te e la tu moto Guzzi di merda, che un posso più vederti. E unne voglio più parlare, chiaro!?. Ultimo prezzo!”
” Si ma c’è un problema… ”
” basta problemi! settantacinque prendere o lasciare! ”
” oh Maurizio! cerca d’ascoltarmi ti dico ho un problema! ”
” icché t’hai? ”
” ne ho solo cinquanta “…………………………………………..
Maurizio resta impietrito, mi guarda fisso con rabbia, ho paura che la polpetta congestionata della sua faccia esploda e mi insudici con un paio di chili di carne trita di prima scelta ed invece esplode in un ” PORCA MAIALA! ” teso sulle gambe si gira ad osservare l’ingombrante ed incolpevole inginocchiatoio nero ” PORCA MAIALA! D’UNA PORCA MAIALA! ” un po mi spaventa ma non trovo niente di meglio che dirgli
” …dai Maurizio non fare così… ”
” QUELLA PORCA D’UNA MAIALA CHE T’HA MESSO AI’ MONDO! CINQUANTA EURO! ”
” … allora Maurizio lo porto via? “,
Maurizio sta per cedere. Come lo conosco… sta per cedere. Non sembra ma io lo conosco, con Maurizio bisogna fare così, portarlo sul prezzo… se ci arrivi è fatta.
” … allora Maurizio lo porto via? ”
” … per quella troia della tu mamma che non hai mai conosciuto portatatelo via! “.
Maurizio con dispetto mi lascia solo a portare il pesante inginocchiatoio fino alla porta dove tiene la cassa. In silenzio aspetta che metta mano al portafoglio. Dopo aver estratto lentamente il portafoglio sono costretto ad ammettere ” … Maurizio ne ho solo quarantasei… ” Maurizio molto calmo risponde ” … bene l’ho riporti indoe tu l’hai preso… oppure tu mi dai cinquanta euro. ”
” Ma ne ho solo quarantasei! non fare lo stronzo… ”
” che me ne frega? hai detto che ne avevi cinquanta? ”
” Si ma mi ero dimenticato che ho giocato al superenalotto… Maurizio lasciami andare via con lo sgabello… se vinco ti compro tutto il magazzino e ti compro anche la moglie dell’avvocato…”
” sarai un pezzo di merda? ”
” ma Maurizio… ”
” sei un gran pezzo di merda? ”
Maurizio prende i soldi, due da venti, uno da cinque e vuole anche la moneta da un euro, senza dire una parola prende l’inginocchiatoio per le gambe io mi precipito a prenderlo per la testa dalla croce nera e ci avviamo alla moto senza parlare. Appoggiato per terra il pesante catafalco risulta evidente che non sarà facile portarlo via sulla Guzzi. Maurizio non muove un dito e con un sorriso vendicativo guarda i miei goffi tentativi di carico. Non c’è verso che vada bene, se lo sdraio al centro sono largo come un furgone e poi pesa troppo sulla parte inferiore e di sicuro lo perdo anche se lo lego bene. Se lo metto bilanciato sbuca troppo fuori dalla parte dell’alto schienale crociato. ” … tu lo sai zingaro che un vale un cazzo vero? te l’avrei lasciato anche per trenta euri solo per vedertelo caricare ” gli mando un sorriso amaro mentre mi rassegno all’unica soluzione possibile… sederlo a cavallo del sellino posteriore ed il piccolo portapacchi.
Adesso la moto è alta due metri e mezzo e dietro la schiena sono sovrastato da un imponente croce nera di legno di noce. Mi rimetto la giacca nera, indosso gli occhiali neri e mi infilo il casco nero dal quale sbuca la mia fluente barba bianca. Contento e sazio del mio affare, faccio rientrare il cavalletto e giro la chiave… il bicilindrico da la solita scossa che fa traballare l’alta croce. Con un cenno della testa saluto Maurizio che come un ratto rientra nella sua tana, do un po di gas e camminando piano piano mi immetto nel traffico di San Giovanni. Al mio maestoso incedere la gente resta ammutolita sui marciapiedi o al volante delle macchine che mi vengono incontro o che mi sorpassano. La povera gente della Valdarno torna dal lavoro in questo pomeriggio di primavera mentre io butto via il mio tempo in cazzate inutili. La processione della grande croce con seduta rossa attraversa mesta tutto il paese e finalmente, con mio sollievo, imbocca la strada delle colline del Chianti. La croce comincia a salire ed ora svetta tra le cime degli ulivi, si confonde tra lecci e querce dei primi boschi che abbraccio, ascolto il canto d’amore di fagiani e ghiandaie. Ora che posso rilassarmi torna nei miei pensieri il povero Woizec… poveraccio sarà ‘briaco da qualche parte sul Brennero, la mia roba chiusa nel furgone in qualche deposito di tribunale. Ogni tanto qualche grossa macchina tedesca, lucida come un altare, mi affianca, mi osserva per bene, sorride, forse commenta “italianen” e poi mi sorpassa correndo verso la ricca e lussuosa pasqua in agriturismo che il Chianti promette. Povero Woizec, si sarebbe fatto pasqua insieme con una bella bottiglia, come quell’anno che tentò di uccidermi perché non cantavo assieme a lui un inno sacro in polacco, come cazzo facevo a sapere le parole? era così ‘briaco che alla fine cercando di colpirmi cadde immobile per terra, accertato che non era morto lo infilai sotto il furgone dove dormì per un giorno ed una notte.
Mentre la Guzzi arranca con il suo traballante carico spirituale, mi torna alla mente anche la bella e triste signora di San Giovanni, che gusto ci sarà mai ad essere una topa a quella maniera se si è anche sfigati? in fondo io e Woizec quando riuscivamo a piazzare qualche bel colpo si era più felici. E’ proprio vero che la vita è un mistero. Una macchina familiare mi affianca incrocio prima il viso sano e giovane di una tedesca che mi sorride, al suo fianco nell’aria condizionata un marito sportivo ride incredulo alla mia visione, un po mi stanno sul cazzo… che cazzo avranno da ridere? un po mi rendo conto che in effetti non capita tutti i giorni di trovare un mostro gigante che porta a passeggio in moto un inginocchiatoio. La macchina tedesca avanza quel che basta e adesso sono all’altezza del faccino del piccolo figlio che gesticola e cerca di dirmi qualcosa. Ma tra il rombo della Guzzi e i finestrini chiusi non sento un bel niente, così mi
limito a guardarlo minaccioso con la mia barba bianca ed i miei occhiali neri. Il padre gli fa scendere il vetro giusto quattro dita “…was ist das?… herr… …was ist das?”.
Was ist das?. Fermai la moto al lato della carreggiata mentre la macchina si allontanava accelerando, il bambino mi guardava dal lunotto continuando a ripetere “was ist das?”…”was ist das?” Rimasi in silenzio a guardare la mia moto con la piccola Madonnina davanti e la grande croce dietro, osservai il parafango scolorito, presi in considerazione anche la mia giubba sdrucita con le decine di toppe Moto Guzzi scolorate e scucite. Was ist das? “Cos’è questo” mi chiesi? avevo più di cinquanta anni e non solo non avevo una macchina ne una moglie giovane ma neanche un lavoro ne un impegno serio. Cos’è questo?. Non trovai una risposta, rimisi in moto e andai per la mia strada.
2006. Monsieur Krajka, fotografato all'Eicma, stand Moto Guzzi
Sangue Rosso Guzzi
di Goffredo Puccetti.
Intervista a Monsieur Guzzi: Charles Krajka
Foto: Massimo Viegi (Ledzep) 2006 e Archivio Krajka, grazie a Christian Guislain
Tema: Descrivere il Guzzismo.
Svolgimento: Impossibile.
Ecco come ci sente a rileggere gli appunti dopo un pomeriggio passato a intervistare la Moto Guzzi. E sì, perché Charles Krajka non è un personaggio carismatico del mondo Guzzi. Non è un ex pilota, campione, preparatore e storico importatore di Guzzi in Francia e adesso temuto ispettore della sicurezza della Federazione Motociclistica.
No, no, quelli sono dettagli. Krajka è la Guzzi. Charles Krajka è lo zio che ogni Guzzista vorrebbe avere. Charles Krajka è una Guzzi, di quelle che hai l’impressione che siano loro a guidarti: se la stradina laterale è bella la prende. Se c’è un curvone in fondo alla discesa, lascia passare l’altra moto per poi sverniciarla in staccata e quando vuole fare la pausa, si ferma e non c’è verso. Guardo le pagine – quattordici – di appunti presi durante l’intervista e mi rendo conto di essere stato assolutamente inadeguato al ruolo. In ogni pagina una freccetta, una parentesi, una nota: mettere questo prima di questo, ridomandare questo, e così via… Niente da fare. La Guzzi Krajka mi ha seminato.
Me lo dovevo aspettare. Del resto mi aveva avvisato subito, ancora prima di farmi sedere:
– Parliamo di tutto ma attenzione che parlando di Guzzi io divago, va bene?
E via di seguito: “e questo, se per cortesia non lo scrive mi fa un favore” e poi ancora: “posi la penna che le racconto una cosa divertente…” Così, ogni cinque minuti.
E adesso che ci faccio con gli appunti? Provo a rimetterli in ordine? Ma quale ordine? Ma no, del resto, se lo spiegassi non mi capirei, quindi basta con le ciance e mettiamoci a seguire le tracce che la Guzzi Krajka ha lasciato sul bloc notes.
Incontro Monsieur Krajka per un caffé a casa sua, a Fontenay-sous-Bois a pochi chilometri da Parigi. Ancora non mi ero seduto che la Guzzi Krajka già partiva in impennata:
CK: e quella cosa sarebbe?
GP: È la protezione dorsale, chi meglio di lei che…
CK: Proprio perché lo so, le dico che quella non è una protezione dorsale, è una barzelletta. La schiena ha un inizio e una fine, e va protetta tutta, non solo la parte lombare, capito?
Prima che inizi a scrivere, lasci che le spieghi perché sono così fissato sulla sicurezza.
Bene, la prima figura da pirla in meno di dieci secondi… Mi fa posare la penna e mi racconta una storia fatta di sidecar, di velocità, di questa passione folle capace di donare tanto e di chiedere il conto all’improvviso, senza pietà per nessuno. Nell’era di internet è una storia che è si può trovare altrove e della quale qui non parleremo oltre.
GP: Signor Krajka, ho raccolto alcune domande…
CK: Andiamo!
GP: Dunque dunque lei ha ricevuto l’anno scorso il premio Anima Guzzista..
CK: Bellissimo, grazie, ha visto come sta bene in libreria?
GP: Però immaginiamo che molti dei guzzisti, soprattutto fra i più giovani e fuori dai confini della Francia non sappiano tutto di lei. Facciamo un rapidissimo riassunto?
CK: Rapidissimo? Dice? Proviamo, ma veda, se parliamo della mia attività commerciale parliamo di un qualcosa nato nel 1961; se parliamo di corse dobbiamo risalire ancora di qualche anno e ad oggi, nonostante in teoria dovrebbero pensionarmi, sono ancora in giro come Commisario Tecnico con la Federazione… Lasciamo perdere il breve riassunto.
GP: Va bene, allora a domanda risponda: Charles Krajka, campione di moto, come dove quando?
CK: Campione di Francia su Airone Sport, nel 1957, categoria 250. Che moto!
GP: Bella?
CK: Bella? Un colpo di fulmine! Costava più di una Golden Flash!
GP: Ehm di una che?
CK: Una BSA Golden Flash! Una BSA, la referenza. Una 650! E l’Airone pur essendo una 250 costava di più! Ma era una moto eccezionale: Forcelle telescopiche rovesciate, regolabili! E poi il telaio elastico, le sospensioni posteriori a compasso fino ai meccanismi di regolazione della tensione molle valvole.. l’anticipo automatico… E quel motore! Tutti con i loro bei motori verticali et voilà la Guzzi con il suo mono orizzontale… Diversa da tutte le altre. Me ne innamorai subito e ne comprai una usata, nel 1951, a prezzo di notevoli sacrifici.
GP: Certo che l’Airone fu una moto straordinaria ma nel 1957 aveva già una decina d’anni, sulle piste non c’erano già avversarie più agguerite?
CK: Certamente ma le ricordo che a vincere le gare è un binomio composto da una moto e… un pilota! E poi dal punto di vista tecnico, era davvero un’altra epoca. Mi spiego: oggi nessuna gara si vince per un colpo di genio, per una invenzione estemporanea in un paddock. Dal punto di vista tecnico motoristico, da diversi anni siamo vicini alla soglia della perfezione. È una questione economica.
Vuoi mettere su un bel team? prendi il libretto degli assegni, un buon pilota e una buona moto e vai a farti una buona stagione. Non hai bisogno di preoccuparti di nulla. Le moto pronto-gara le puoi acquistare in negozio. La stagione è garantita senza intoppi.
Ma allora era diverso. Gli ingegneri non avevano ancora inventato tutto, anzi, il paddock era il regno delle invenzioni e delle sperimentazioni.
Una messa a punto sbagliata e la gara era bruciata. Il mio campionato lo vinsi grazie alla meticolosità con la quale mettevo a punto la moto. E poi, grazie ai freni e al telaio dell’Airone. Sempre dopo gli altri a frenare al limite. Così ho vinto.
E poi con il mio olio che…
GP: Il suo olio?
CK: Certo. Venga che le faccio vedere una cosa.
In un nanosecondo il distinto gentlement rider con papillon (sempre!) che mi ha accolto si è trasformato in un garzone di officina che mi trascina correndo in giardino, improvvisa una scaletta con tre bidoni, si arrampica e tira giù dal ripiano più alto una tanica d’olio.
Venga. Venga!
Scendiamo in garage. Non ho nemmeno il tempo di posare lo sguardo sulle moto che Monsieur Krajka ha vestito i panni dell’ingegnere meccanico… Un trapano verticale viene acceso in un attimo. In una bacinella viene fatto colare dell’olio motore.
CK: Ecco, vede questo, guardi cosa succede appena entra in contatto con la punta del trapano… Vede? Effetto centrifugo da una parte e olio che tende a salire dall’altra, risultato? Con un olio così, il bol d’or non lo finisci, grippaggio sicuro. Olio buono per friggere questo…
Ora proviamo col mio… stessa densità sulla carta ma attenzione… Et voilà. Il nuovo olio si lascia mescolare dal trapano come uno zabaione, ma è incredibile notare come resti al suo posto, senza schizzare verso l’esterno né salire lungo la punta del trapano.
Gli olii non sono tutti uguali, eh. Oggi forse… Ma ai miei tempi un olio giusto faceva la differenza. Ma bisognava sperimentarle di persona le cose, inventare.
E poi, come le dicevo, grazie al fatto che queste mani sono le mani di un meccanico prima e di un pilota poi; la mia prima moto fu una MR, diciamo che è grazie a tutti suoi guasti che sono diventato meccanico!
Non conosce la MR?
GP: Ehm…
CK: Una marca francese… Io lavoravo da Moto Bastille, più che un negozio, uno dei negozi più importanti d’Europa… Sa quante marche trattavamo?
GP: Ehm.. Diec..
CK: Quarantadue marche! Se lo immagina un negozio con oltre quaranta marche diverse?! Le inglesi ovviamente: BSA, Sunbeam, Ariel, Matchless e poi le francesi, le tedesche, le italiane.
La MR era una marca francese. Ottima per imparare a… riparare moto! Dopo di lei passai alla gigantesca 350 NZ, la moto dell’esercito tedesco. Va da sé che è necessario contestualizzare un pochino. Adesso un giovane fresco di patente che si avvicina a una moto guarda alle 600 come entry level… Mentre allora l’entry level era la 125. Poi c’erano le 175, le 250, le 350 e infine, le maxi, da 500cc in sù!
L’Airone Sport con cui ha vinto il titolo lo conserva ancora, giusto?
Sì è giù in garage. È tornata qualche anno fa.
GP: Prego?
CK: La comprai nel 1951 e la tenni fino al 1960, facendoci di tutto! Dal campionato velocità ai rally, alle corse in salita. Ad un certo punto la vendetti ad un mio amico. Un vero amico, come i fatti mi confermarono in seguito. Un mattino di qualche anno fa, verso Natale… Mia moglie mi dice di andare a prendere qualcosa in garage… Scendo e al centro, coperta da un telo Guzzi… Eccola lì, la mia Airone Sport! Perfettamente restaurata! A mia insaputa mia moglie aveva rintracciato il mio vecchio amico e gli aveva comprato la moto poi un collega era andato a ritirarla col furgone a Bourg Saint Maurice in Savoia… Un gran bel regalo di Natale, non c’è che dire e …
Ma che bella Guzziiiii!!!!!!
Il fulmine che interrompe la conversazione, facendomi un mucchio di complimenti per la mia Breva, parcheggiata davanti casa, è Madame Titi Krajka o come ci tiene a precisare Monsieur Krajka: Madame Guzzi! Veda, questo le deve assolutamente scrivere! se è vero che per un certo periodo in Francia ‘Moto Guzzi si pronunciava Krajka’, come diceva la pubblicità della mia concessionaria, in realtà ogni volta che si citava Monsieur Guzzi ci si sarebbe dovuti ricordare anche di lei, di Madame Guzzi; senza di lei non ci sarebbe mai stato nessun Monsieur Guzzi! Dagli inizi così duri, e poi per trent’anni di carriera sportiva che si accavallava all’attività commerciale, mai un rimprovero, mai una critica. Sempre dalla mia parte! E sapesse quante volte ha gestito lei il concessionario mentre io ero in ospedale dopo qualche gara andata storta. Iniziammo nel 1961. Un gigantesco locale di ben 24m2!!
GP: E che moto vend…
CK: Moto? Ma che moto? All’inizio era solo officina. E per dirle, si aspettava di vendere una candela per comprare la baguette la sera. La mia prima vacanza a mia moglie l’ho offerta dopo 11 anni di attività. Per settimane e settimane si arrivava a lavorare più di 100 ore. Aprivo prima che passasse il carretto del lattaio. Pausa di 15 minuti a pranzo e via. Mai aperto in ritardo. E il weekend si partiva per le corse. Anche a credito!
GP: Prego?
CK: Una volta ho fatto un Bol d’Or pagando l’iscrizione a fine anno.. Gli organizzatori mi volevano, io soldi non ne avevo, feci prima la corsa e poi pagai! Fu una straordinaria epoca, Moto, pane, sardine e patate. Non rimpiango nulla e rifarei tutto, ma era davvero dura.
Per pagarmi le modifiche e la manutenzione della moto da corsa poi si partecipava a tutto quello che si poteva. Tra una gara e l’altra, si faceva magari anche il passeggero nei sidecar.
GP: Il sidecar è noto, è la sua grande passione. Una passione e un impegno che ha portato dei frutti, a giudicare dal numero di sidecar che si vedono ancora in Francia rispetto agli altri paesi europei, nei circuiti e sulle strade.
CK: Effettivamente… nel 1962 proposi una serie per il Bol d’Or. Dovetti garantire la presenza di almeno 12 equipaggi. Li andammo a convincere uno a uno! Negli anni seguenti si arrivò ad edizioni con ben 45 equipaggi!
Poi c’era il sidecar-cross e soprattutto le corse in salita…
GP: Le sue preferite?
CK: Eh, una grande epoca, col sidecar su base V7… Veda, per una gara in salita, la cosa più importante è saper disconnettere completamente il cervello per due minuti e mezzo. Non serve altro. Tieni tutto aperto, non pensi a niente e vai. In quello ero bravino…
Certo, come le dicevo, partecipavo alle gare in condizioni economiche molto risicate… A Calais, non avendo i soldi per affittare un furgone ci andai in treno!!! A spinta fino a Gare de l’Est et voilà! E al ritorno riuscii a piazzarla sul rimorchio di un collega e me ne tornai in autostop… Mano a mano che l’attività prendeva spazio, i weekend di gare lasciarono il posto ai viaggi in Italia.
GP: Ovvero?
CK: Per i ricambi!
GP: In che senso?
CK: Nel senso che per vendere moto bisogna vendere e continuare a vendere. Ovvero bisogna mantenere il cliente contento. E come si fa a mantenere il cliente contento? Lo si fa andare in moto! Il che significa: un magazzino ricambi sempre fornitissimo, la soluzione pronta e immediata per ogni piccolo inconveniente. Così si mantiene un cliente che continua ad avere fiducia nel marchio.
GP: Qual’era la ricetta Krajka?
CK: Come dicevo: i miei pellegrinaggi in Italia. Con l’Italiani gli affari non si fanno per telefono. Bisogna guardarsi in faccia, no? Si partiva in furgone il sabato. Domenica sera, si arrivava a Mandello. Lunedì, giro in Guzzi, per essere al corrente di tutto, martedì i fornitori in zona e in giro. Direttamente alla fonte, eh! Sempre. Servivano scarichi? Pistoni? Dischi frizione? E io partivo e andavo a parlare direttamente con i Gandini, i Lafranconi, da Adige… E poi sempre con un occhio sui cataloghi dei ricambi per automobili, eh! Ma questi cuscinetti… Non sono gli stessi della 131 Fiat? E queste valvole Alfa Romeo non sono identiche a quelle della Guzzi? E le molle? Ma le vado a comprare direttamente in Fiat! E così via. Mercoledì poi, tappa obbligata a Bologna, alla Casa del carburatore, da Malossi: giovedì Milano e, dogana permettendo, sabato si vuotava il camion in negozio.
GP: E questi viaggi avvenivano con che frequenza?
CK: Almeno una volta al mese, ogni due settimane, anche più di frequente se necessario. E poi spesso c’erano gli imprevisti o le occasioni da cogliere al volo. Una volta comprai trecento steli forcella, pagati in contanti e la domenica notte, lucidati, incremati, e incellophanati erano pronti in stock. Ed ecco che, magari nei mesi invernali, a rifornire clienti e concessionari ero direttamente io, che avevo più stock della casa madre! Da Viganò una volta presi cento parabrezza per il California tutti in una volta.
GP: Una routine infernale.
CK: Sì ma indispensabile. E piacevolissima, anche. Le relazioni in Italia sono ancora basate sul contatto umano, sul sorriso. Un magazziniere si affrettava a farmi un pacchetto e io al viaggio successivo gli portavo un vino francese. Mi ricordo una volta dalla Adige che non volevano vendermi i dischi frizione per non so quale accordo di esclusiva con Guzzi. Prendo un disco frizione, esaminiamo la finitura…
– E se me li fa con una finitura diversa? Se non lucidiamo qui e qui…. Non è più lo stesso disco, no… Insomma non è più lavorato come quelli che fa in esclusiva per Guzzi, giusto?
Insomma, per farla breve, la Adige mi faceva dei dischi frizioni direttamente per me.
E ad ogni modo, al di là dell’aspetto commerciale, c’era la frequentazione con la casa madre, con Mandello, che era indispensabile. Una volta ricordo un viaggio in una tirata sola! Io con la V7, mia moglie con l’Aermacchi. Non c’era mica l’autostrada, eh? Arrivati di sera a Abbadia Lariana mia moglie si butta su un prato: io di qui non mi muovo più!” Io che le dicevo: ti giuro, ancora solo due curve e siamo arrivati!!
GP: Ci racconti la sua amicizia con Tonti.
CK: Un personaggio straordinario. Straordinario. Tenga presente che la crisi della Guzzi di cui tutti parlano ora è iniziata senza ambiguità alla fine degli anni 60. Con la creazione della SEIMM, è inutile negarlo, si è interrotto quel qualcosa di magico che aveva costituito l’unicità, la leggenda della Guzzi dalla sua fondazione. L’inerzia che voi lamentate alle dirigenze attuali ha radici antiche. La meravigliosa eccezione fu Lino Tonti, che in quel periodo difficile, è stato di una importanza capitale. Era davvero un genio. Il suo progetto di un V4 era un gioiello! Tra noi nacque un amicizia profonda, sincera, fatta di rispetto reciproco assoluto. Sapeva che per il suo lavoro aveva bisogno dell’opinione di chi veniva dalla pista. Quando andavo a trovarlo al reparto esperienze, mi lasciava vedere anche i bozzetti, i prototipi. Tutto! Sapeva che una volta uscito di lì, non avrei parlato con nessuno. E sapeva ascoltare e fare tesoro dei consigli. Anche se, a modo suo, da genio insomma…
GP: Ovvero?
CK: Beh per esempio i rinforzi laterali al cannotto delle V7 sportive, del Telaio Tonti, ha presente?… In fase prototipale… glieli suggerisco perché in pista il telaio derivato dalla V7 special ballava, eh… e lui nicchia: “mah… non saprei…caro Charles, credi davvero servano?”… Due mesi dopo ecco il telaio del V7 Sport con i suoi bravi rinforzi!!
Ma ancora più spettacolare fu quando andai a trovarlo mentre stavano uscendo le T… Vedo il giro complicato che deve fare l’operaio per assemblare il faro posteriore, chiacchieriamo del più e del meno lungo la linea di montaggio e gli dico che bucando il parafango qui e qui, si farebbe prima e il tutto risulterebbe anche più protetto… Lo vedo che annuisce, e mi fa: ‘adesso però andiamo a mangiare!’ Andiamo al Grigna e rientriamo nel pomeriggio e ti vedo un operaio che era già intento a bucare i parafanghi esattamente nel punto indicato! Con due gesti e uno sguardo, Tonti aveva aggiornato una procedura in catena di montaggio, così al volo! Tonti davvero fu il personaggio chiave di quell’epoca straordinaria per la Guzzi: Il lancio della V7 e gli anni in cui grazie al suo genio se ne testarono le potenzialità in pista… con il Bold d’Or che finalmente tornava a rivivere, dopo ben nove anni di abbandono…
GP: Come mai?
CK: Eravamo più in pista che sulle tribune alla fine degli anni 50!!! 8 categorie, 3 classi, una infinità di manches… E poi gli incidenti, i morti, l’abbandono delle tre grandi marche italiane, l’immagine della motociclismo ai minimi storici… Ma nel 1969, si riprende grazie a Moto Revue, Jean Murti, al Sidecar Club di Marcel Seurat e al MotoClub Chatillone, dove ero dirigente.
GP: Il 1969, uno degli anni più importanti della storia della Moto Guzzi.
CK: Che annata! le due sessioni di record a Monza, il Bol d’Or! Ma anche l’anno successivo con l’iscrizione formale della Moto Guzzi e poi l’anno dopo ancora con l’evento a Monza per i cinquant’anni del marchio. Peccato solo la sfortuna perché per due volte andammo vicinissimi alla vittoria al Bol d’Or. Due moto ottavo e decimo posto, l’anno dopo a Montlhery noni… E se penso a come arrivarono le moto al primo Bol d’Or!
GP: In che senso?
CK: Beh, è una storia che ho raccontato mille volte, diciamo solo che per telefono non ci capimmo con Mandello, io parlavo di endurance, di durata… ed ecco che al mio arrivo a Mandello mi trovo una V7 pronta per… La Milano-Taranto!!! A momenti svengo: valigetta per gli attrezzi, kit per le forature, gomme da strada, manubrio largo, comandi non arretrati…E quindi, cambio di programma, si resta una settimana a Mandello: smonta tutto e rifacciamo le moto per la pista! Il serbatoio da Endurance lo prendemmo da una Linto, con un bel cuscinetto sopra, perché ci si passava parecchio tempo sdraiati sopra, sennò ai semimanubri non ci si arrivava proprio!
1957. Charles Krajka in azione sulla sua Airone Sport
1969. Un cambio pilota al Bol d’Or Douniax, accucciato cede il posto a Krajka
2006. Monsieur Krajka, fotografato all’Eicma, stand Moto Guzzi
GP: Partendo da Mandello, passando ai giorni nostri: sa delle voci sempre più confuse sul futuro della fabbrica di Via Parodi?
CK: Beh, sì ho degli amici che mi rassicurano, però. Pare che il momento sia difficile, con la cassa integrazione, ma che la Piaggio non pensi a chiudere Mandello, giusto?
GP:Non saprei cosa dirle, certo in molti siamo pessimisti. È ormai certo che l’attuale dirigenza contempli anche questa possibilità.
CK: Chiudere Mandello sarebbe una catastrofe. Una catastrofe! Una ca-tas-tro-fe!! Per il marchio Moto Guzzi, ovviamente e per l’indotto della zona. Ma diciamolo, per tutto il Motociclismo!
GP: La Culla del motociclismo italiano, come diceva Duilio Agostini.
CK: Ma certamente! La Guzzi non è una marca come le altre perché è la Guzzi di Mandello del Lario. Se si leva Mandello, il marchio diventa uno dei tanti. E signori miei, il mercato generale è in mano ai giapponesi e agli orientali in genere, le marche europee per sopravvivere devono far tesoro della loro differenza.
GP: Cosa farebbe un Charles Krajka con budget illimitato per risanare il marchio?
CK: Io? Ma cosa vuole che farei? Riaprirei il reparto corse, chiamiamo i migliori giovani che ci sono e via in pista. Cercherei il Tonti dei giorni nostri. C’era quell’americano, Wittner ma non so più che fine abbia fatto…
GP: Eh, non bazzica più Mandello da anni, diciamo. Ma del resto, fino a un paio d’anni fa, c’era anche Ghezzi se per questo, il papà della MGS-01 ma lo hanno lasciato partire… La sua idea è agli antipodi di quanto sta facendo Piaggio
CK: Sulle strategie attuali non sono molto informato, glielo dico francamente. Ho visto una bella gamma ma continuo a non sentir parlare di Guzzi. Non so di strategie, forse ma su come si promuove un marchio di moto qualcosa l’ho imparato… E personalemente penso che abbiano iniziato a sbagliare già molto tempo fa. Con l’arrivo delle SEIMM e la gestione De Tomaso. A parte l’eccezione Tonti, che aiutato da un paio di manager riuscì per un po’ a far passare certe idee, da allora è iniziato il declino. Ma se lo immagina un progettista che vede i suoi disegni buttati nella spazzatura da un capo che arriva con le brochure della concorrenza dicendo: da oggi si fa così! Vidi personalmente trenta telai da gara preparati da Tonti per creare una serie per moto da corsa che ci avevano chiesto alcuni clienti, mandate alla pressa da De Tomaso, per far capire che diceva sul serio, che con tutto ciò che aveva a che fare con le corse si doveva chiudere una volta per tutte! Trenta telai alla pressa: Niente gare qui, capito?! Come dite voi in questi casi: Mavaf… (nota: Monsieur Krajka sa farsi capire in perfetto italiano quando serve…) Senza contare la miopia commerciale. Io avevo clienti che venivano da me anche dal sud della Francia. Io gli garantivo un’assistenza adeguata, evidentemente e loro continuavano ad essere clienti soddisfatti del marchio. Ebbene dall’Italia puntualmente mi telefonavano perché il concessionario di tale o tal’altra città si era risentito! Anziché chiedersi come mai in certe aree proprio la Guzzi non la si riusciva ad imporre, mi rimproveravano di venderne troppe e fuori dalla mia zona. Mi creda, il declino del marchio Guzzi ha ragioni antiche. Senza prestigio e credibilità un marchio di moto muore. E il prestigio e la credibilità si ottengono in pista. Vinci il Bol d’Or, e fai la lista dei nomi di quelli che hai battuto, quando viene in negozio qualcuno a chiedere informazioni. E ripetigliela quando esce. Ecco come si vendono le moto.
Questo contava allora e questo conta oggi! Una volta che si ha prestigio e credibilità si può recuperare terreno, cercare di sconfiggere i pregiudizi. Non è questo ciò che ha fatto Ducati? E Aprilia anche ci sta provando, no?
E pensa che le giapponesi si siano imposte sui cataloghi da subito? Le dico la verità: quando arrivarono le giapponesi i meccanici italiani e inglesi ridevano… E poi sappiamo come è andata. E mi fa male dirlo… Ma se non si capisce questo, ecco che gli affanni continuano.
GP: Ad esempio?
CK: Beh penso ai tentativi ricorrenti di rinascita di marche francesi che non riescono mai a imporsi. Anche se in questo caso c’è anche un’altra ragione.
GP: Cioè la spiegazione non è quella appena enunciata?
CK: Certo. Ma aggiungerei poi nello specifico anche perché siamo dei coglioni!
GP: Ah! E.. che faccio, lo scrivo così?
CK: Scriva, scriva. Lo deve scrivere! Le faccio alcuni esempi: si ricorda la BMG?
GP: Certo, motore boxer, pesantiss…
CK: Ecco, Tipico!! Ma l’ha mai provata?
GP:Ehm.. no ma…
CK: Però si ricorda che la BMG era pesantissima! Et voilà! La Honda tira fuori un catafalco come la Goldwing ma nessuno si sogna di dire che è pesantissima, anzi! Tutti a dire: eccezionale maneggevolezza! Una moto così pesante eppure così maneggevole: brava Honda! Se una marca francese fa una moto che pesa uguale e va pure meglio, niente da fare: è pesaaaaantiiiiisssima e basta!! Come vede, senza argomenti non si sconfiggono i giudizi acquisiti e non ci si impone nel mercato. Il pubblico non si fida, i pregiudizi non si scalfiscono.
GP: E tornando a Guzzi? Si ritorna alle corse e poi?
CK: Si fa quello che si è fatto ininterrottamente fino agli anni 70: si inventa, si sperimenta.
GP: lei vedrebbe bene anche motorizzazioni diverse dal bicilindrico a V in gamma?
CK: E perché no? Guzzi ha fatto talmente tante motorizzazioni che ogni sperimentazione è plausibile.
GP: la sua sfacciata predilezione per la Guzzi è ormai leggendaria in seno alla Federazione…
CK: Io? Ma quando mai? È un caso! Ma lo sa che ieri mi sono punto e guardando il sangue mi son detto: toh, è rosso Guzzi! Ma uguale, uguale, eh!
GP: non lo dubito! Certo è che quando lei nega di essere partigiano dell’aquila, nessuno le crede. Eppure lei sostiene di attenersi solo ai fatti, il suo ormai famoso ragionamento…
CK: Eh, ma non lo sa a memoria?!…
GP: sì ma è sempre un piacere risentirlo, ci spieghi.
CK: Allora premettiamo che non ho assolutamente nessunissima preferenza per la Guzzi! Da motorista, ritengo che il motore bicilindrico sia il migliore che ci sia per l’utillizzo motociclistico, va bene?
Raffreddato ad aria, per la semplicità meccanica e quindi affidabilità. Dal punto di vista termodinamico il miglior motore bicilindrico è quello con i cilindri disposti trasversalmente, per garantire un raffreddamento uniforme;
Come architettura, la migliore per un bicilindrico montato trasversalmente è la disposizione a V, ovviamente di 90 gradi,
Stante questa configurazione, la trasmissione finale ottimale è quella a cardano.
Detto questo, possiamo aggiungere che le moto italiane sono senz’altro le più belle esteticamente. Giusto?
Dunque ricapitolando, obiettivamente, la moto ideale è italiana, con trasmissione cardanica, dotata di un motore bicilindrico a v di 90 gradi, raffreddata ad aria. Che combinazione, la mia Guzzi!
GP: non fa una grinza! Monsieur Krajka, le ho rubato già troppo tempo, la chiacchierata si ferma qui. Le anticipo i ringraziamenti da parte di tutta la comunità di Anima Guzzista per il tempo che ci ha concesso.
CK: Ma si figuri. Quando vuole, io sono qui, e come vede parlando di Guzzi non ci si accorge nemmeno del tempo che passa.
Chiamo mia moglie e l’accompagniamo alla sua moto, è sempre un piacere vedere partire una Moto Guzzi.
Ieri, domenica 16 ottobre a undici mesi e 17 giorni dall’acquisto della mia CALIFORNIA ho doppiato quota 10.000 km in sella al Cali… si lo so molti di voi li fanno in meno di una stagione ma per me è un bel traguardo.
È una cifra tonda tonda, 10.000 un bel numerone volendo lo leghi all’anno in corso 2005, al mese, io poi son nato il 5 ottobre pochi giorni fa era il mio 35 compleanno perchè sono del ’70 altra cifrona tonda tonda come le curve che finalmente ho imparato a fare, o almeno così credo.
Sono passati ormai diversi anni da quando un vecchio GT 850 mi ha insegnato cosa vuol dire motocicletta, cosa c’è dietro la parola motociclismo anche se lei era indietro di più di vent’anni rispetto alle moto circolanti la sentivo viva come non mai, provavo a guidare altre moto ma più le guidavo, più ne provavo, più sentivo di essere motociclista solo con lei, ho provato il mito delle Harley e mi sono piaciute subito le good vibe che solo il Milwakee Iron sa regalare ma non ero convinto, ho provato l’eccezionale meccanica teutonica della BMW ma non trovavo neanche l’odore di uno spiritello che mi trasmettesse buone sensazioni, si precisa e facile e affidabile ma poi????, ho provato piccole sincere giapponesine che fanno così bene il loro dovere di motociclanti che tutto sembrano tranne che moto, poi dopo anni di raduni e lettere di complimenti spediti a Mandello un bel giorno mi arriva una email “Moto Guzzi è lieta di invitarla a provare l’intera gamma a Varano de Melegari” dopo un momento di riflessione che mio padre insiste a chiamare stranamente catalessi, e dopo essermi pulito con un fazzoletto l’angolino della bocca come si fa con i bimbi, chiamo in fabbrica e mi confermano che potrò recarmi a Varano a provare i modelli Guzzi.
Provo ovviamente il California, uno splendido Special Sport oro e nero e decido di cambiare moto a metà percorso per provare la nuovissima Le Mans; salgo in sella al Cali e mi sembra di incosciare il GT850 solo che qui ci sono freni a disco davanti e dietro (che mi faranno finire con le balle sopra il serbatoio alla prima pinzata), un motore a iniezione che spinge forte e fluido sempre, sospensioni impeccabili e un telaio che ti legge nel pensiero per iniziare a piegare prima che tu possa anche solo accennare la curva.
Mai stato così bene in sella a una moto, la prima mezzora passa in fretta e le uniche incertezze sono solo il frutto di anni di cambio a destra invertito e di freni che rallentavano e basta, scendo soddisfatto come non mai, salgo in sella al Le Mans ma non mi trovo più…. i pedali sono spariti laggiù in fondo nemmeno fossero le pedaline del passeggero e il manubrio è là davanti lontano … no non è la moto per me, almeno non per ora.
Faccio circa 6 km in terza senza riuscire a toccare il freno dietro e chiedo al tipo con cui ho scambiato la moto se rivuole il LM e lui tutto contento mi restituisce la Special Sport e quello che prima era un buon feeling diventa una totale simbiosi, le curve mai viste prima sembrano sparire per lasciare il posto a curve di tutti i giorni e il Cali scende in piega come se non avessimo fatto altro per anni, sfioravo l’acceleratore e lei andava via liscia e rotonda come solo una signora italiana sa fare … e i vu-undicisti sportivi davanti a me non mi scappano più come prima, ma rimanevano lì vicini come se fossimo tutti in sella alla stessa moto, non avevo freddo ma continuavo ad avere i brividi ad ogni curva, ad ogni accelerata, ad ogni frenata, era gioia e basta.
Finito il giro finita la magia … scendo compilo la scheda di rito, e la guardo andar via cavalcata da un’altro fortunato … e da quel giorno comincia un’attesa, si perchè mentre fino a quel giorno fantasticavo soltanto sulla possibilità di avere una California tutta per me da quel momento le fantasie sono diventate un forte desiderio, un desiderio che finirà soltanto dopo due lunghi anni di sogni, era il 22 marzo 2002, il 2 novembre 2004 ho realizzato il mio sogno e da allora io la macchina la considero un accessorio.
La mia esperienza con il Cali è nata male sinceramente perchè il sottoscritto anziché fidarsi di un brav’uomo, oltrechè bravissimo concessionario, che conosce da anni e che sicuramente gli avrebbe procurato il miglior mezzo possibile per le sue tasche si è lasciato abbindolare dalla prima Cali incontrata, oggi dopo aver sistemato l’albero a camme con l’apposito kit, dopo aver cambiato la frizione perchè montava una monodisco (grazie Beggio) e dopo aver sistemato altre piccole magagne qua e là sono sereno e tranquillo.
Il mio Cali non è silenzioso come dovrebbe essere, anzi un po’ di rumore di punterie c’è ma ho imparato a conviverci e dato che questo rumorino c’è da parecchi km e non cambia ne diminuisce ne aumenta semplicemente lo lascio stare il giorno che ci sarà da fare qualche intervento si farà.
In compenso ho imparato a capire la mia splendida Stone Rosso Corsa che mi ha insegnato a piegare e a guidare decisamente meglio di prima, ho imparato a farle scegliere la velocità di crociera quando sono in viaggio, lei sa sempre qual’è la velocità giusta da tenere in ogni momento e sono sicuro che almeno in un paio di occasioni non so come mi ha avvisato che stavo andando lungo ad una curva.
Non so come sia possibile ma da quel giorno di novembre è cambiato tutto, è come se in moto non ci fossi mai andato eppure di strada anche con il GT ne avevo fatta e parecchia anche… ma il California è un mondo a se, è unica da tanti anni, non c’è nessun’altra moto che possa vantare un connubio di pregi e bellezza come lei, da tanti anni cambiano un piccolo particolare un parafango, un nuovo colore, ma il suo spirito è sempre lo stesso, un implacabile motore che non si ferma mai, una ciclistica talmente sincera che ti ci puoi confessare, un impianto frenante che nonostante manchi di sistema di frenata integrale è comunque sufficiente per levarti di impiccio anche in situazioni estreme con passeggero, bagaglio e velocità non proprio da codice (ehm), una moto che a distanza di anni dalla sua prima comparizione continua a venire considerata un punto di riferimento del settore.
E mi ritrovo a essere contento e felice per tutto quello che questa moto mi ha saputo regalare in questi 10.000 km, perchè dopo averla spenta sotto il sole riesco a stare dei minuti fermo a guardarla come se non l’avessi mai vista prima, e mi domando come mai una persona come me, uno come tanti altri, una persona comune insomma, non riesca a rendersi conto che ci sono moto migliori a questo mondo che sono più comode, costano meno, non si guastano mai o quasi, e fanno le stesse strade che mi fa fare la mia Cali magari in meno tempo, con più sicurezza…. poi lo sguardo finisce su una delle tante aquile presenti sulla rossa Stone e le mie domande spariscono, e inizio a sorridere, sorrido per quel poco di cultura che mi son fatto in questi anni di Guzzi, una cultura che non è semplice affetto o amore per un marchio ma è comprensione, è percezione dello spirito del motociclismo, è capire che andare in moto non è solo guidare un mezzo a due ruote ma è molto di più, non è qualcosa che puoi spiegare puoi solo provarlo e quando l’hai provato hai trovato la tua dimensione.
Il motociclismo per me non è solo dimenticarsi della meta, ma è viaggiare per percepire, tutti i miei sensi si acuiscono e si fondono, quando arrivi ad avere un sesto senso sai di essere in sintonia con la tua moto e smettete di essere due cose distinte, e da quel momento non vuoi altro che poter ritornare a fonderti con la tua moto e il motociclismo diventa una necessità, una droga, non sai stare più di qualche giorno senza moto, e il freddo e la pioggia che già ieri erano dolci compagni di viaggio che mi distinguevano da altri simil-motociclisti, sono compagni ritrovati e diventano anche loro sensazioni piacevoli da percepire.
Ecco cos’è il mio California per me, una maestra di vita che ogni domenica sale in cattedra e cerca di insegnarmi un po’ dei tanti significati di quella parola che molti stravolgono per il vile denaro ma che per molti fortunati è invece uno stile di vita, il Motociclismo.
E oggi una volta di più sono contento, sono contento perchè mia mamma mi ha fatto Guzzista, perchè adoro la mia moto, perchè dopo un anno ormai finisco con il fermarmi a guardarla rapito dalle rosse rotondità del serbatoio lungo le sinuose curve di parafango e rimango come avvolto dal riflesso nero del motore nel cromo del Lafranconi e mi perdo dietro a minuti particolari che sono uguali da lustri, e che sembra siano stati messi lì un attimo prima che ci posassi sopra lo sguardo.
Oggi una volta di più sono contento perchè ho provato il confort e l’efficacia della Breva e ho scoperto cosa vuol dire godersi una strada senza pensare alla guida, ho scoperto cosa vuol dire viaggiare in due senza preoccuparsi di buche, buchine buchette, ho scoperto un cambio che è talmente ben fatto che hai il dubbio di non aver inserito la marcia, ho scoperto un nuovo modo di viaggiare che sicuramente un giorno sarà anche il mio ma quando sono risalito in sella al mio Cali ho riscoperto un mondo moderno ed efficace ma antico e ricco di sapori e di ricordi e di sensazioni uniche.
Oggi una volta di più sono contento perchè ho provato Il Griso, ho provato una moto che sa dare emozioni forti, con un carattere deciso che ti porta a spingere più di quanto sapessi fare fino a ieri catapultandoti in avanti dopo ogni curva come se avessi passato giorno e notte a provarla, ti ritrovi con quel manubrione largo in mano e ti chiedi cosa farci come se fosse un giocattolo sconosciuto poi giri la chiave nel quadro premi lo start e un nuovo mondo si apre davanti a te, un mondo fatto di curve impostate come mai prima d’ora, un mondo fatto di staccate (???) e di un sound che non è quello dei vecchi Le Mans ma che comunque è bello forte e rauco come si deve; poi ritorni in sella alla California e riscopri un amica che è lì come sempre ad aspettarti per portarti dove vuoi, con lo stile che solo lei può avere e mi ritrovo a fare tutto come se fosse un automatismo le mani e i piedi si muovono da soli senza pensare questa è una California.
Oggi sono contento perchè c’è qualcuno che nonostante questa mia strana malattia mi sopporta lo stesso e mi aiuta anzi a godermi ancora di più questa splendida moto, che ha imparato a sua volta ad amare, perchè quando sono fermo a guardare la nostra Cali arriva mi prende per mano e come si fa con i bambini mi porta in casa perchè sono le nove di sera e non possiamo passare la notte in garage o nel vialetto di casa, grazie Nadia ti amo ogni giorno di più.
Oggi sono contento perchè da oggi incomincio a contare la strada fatta a suon di 10.000 km alla volta.
Ciauz
Durata del viaggio: 7 giorni, dal 15 al 22 Agosto 2005
Km percorsi: 1700 circa di cui 140 km di pista (sterrato e sabbia)
Itinerario: Palermo – Trapani – Tunisi – Sfax – Gabes – Douz – Ksar Ghilene – Douz – Matmata – Kairouan – Tunisi . Trapani – Palermo
Partiamo il 15 mattina da Palermo destinazione il porto di Trapani dove ci aspetta la nave per Tunisi, le operazioni doganali (controllo passaporto e biglietto) devo dire che durano parecchio, infatti la partenza che era prevista per le 11:00 è slittata alle 14:30 circa!! Dopo la traversata in nave molto stancante con nessun tipo di comfort arriviamo a Tunisi verso le 23:00 e dopo le stressanti operazioni doganali dei poliziotti tunisini riusciamo ad essere finalmente liberi! Visto la tarda ora cerchiamo un posto dove poter passare la notte, chiediamo ad un ragazzo tunisino in moto che era sceso dalla nostra stessa nave e si offre subito di ospitarci a casa sua. Arrivati a casa troviamo tutta la famiglia che ci accoglie come fossimo dei parenti, ci fanno entrare le moto dentro casa e si sacrificano a dormire per terra pur di offrirci i loro letti! Questo è solo il primo episodio di grande ospitalità e generosità del popolo tunisino!!! Al mattino ci alziamo di buon ora e troviamo pronta una colazione veramente squisita che ci dà la carica per affrontare la lunga giornata “on the road” che ci aspetta.
Da Tunisi percorriamo l’unico pezzo di autostrada che c’è, quello che va da Tunisi a Sousse, continuiamo per la statale direzione Sfax, ma comunque la maggior parte delle strade statali sono molto buone, si percorrono benissimo anche ad una media di 110, 120 Km/h. Lo spettacolo che si vede ai bordi di queste strade è pittoresco, quasi indescrivibile, si incontrano bambini che galoppano in sella a dei somari, scene di pastori che lavorano le pelli delle pecore o capre appena scannate, piccoli villaggi pieni di colori. Arriviamo giusto ad ora di pranzo a Sfax, il caldo inizia a diventare abbastanza pesante, pranziamo con del bel pesce fresco in un ristorante pagando quanto avremmo pagato un panino in Italia! Passiamo le ore più calde del primo pomeriggio girovagando per la cittadina e chiaccherando con dei ragazzini che nel frattempo si erano radunati attorno alle moto! La sera ci troviamo già a Gabes, ci sistemiamo in un campeggio dove gli unici ospiti siamo noi ed una coppia di fuoristradisti torinesi, paghiamo in tutto 10 Dinari circa (1,00 € = !,60 Dinari). Facciamo un giro per il paese e incontriamo un ragazzo che ci porta in un locale per offrirci da bere, passiamo una serata piacevole parlando del più e del meno, religione, politica e del nostro viaggio, ci dice che il padre aveva un negozio di tappeti a Douz e che lo avrebbe avvertito che noi il giorno successivo saremmo stati da lui. Così la mattina successiva ci mettiamo in marcia verso Douz, e qui iniziano le strade desertiche e affascinanti, strade rettilinee per centinaia di kilometri dove ai lati puoi incontrare solo qualche cammello o dromedario, li percorriamo pieni di emozione sentendoci come in un film! Arrivati a Douz nella tarda mattinata troviamo il negozio di tappeti che ci aveva indicato il ragazzo di Gabes e il padre ci accoglie offrendoci qualche tazza di tea. Finalmente siamo al sud, alle porte del deserto, qui il caldo è davvero insopportabile e passiamo il pomeriggio gironzolando per le strade del mercato, fra odori, colori, sapori… poi si va a vedere da vicino i cammelli!
L’indomani mattina prima di partire per Ksar Ghilene facciamo un giro per il surreale mercato degli animali. Ci prepariamo per quella che sarà la tappa più dura del nostro viaggio ma forse la più bella. Si offre di accompagnarci una ragazzo del posto che ci dice di avere suo fratello che lavora a Ksar Ghilene, cerchiamo di dissuaderlo e di convincerlo che con quella strada sul mio sellino posteriore avrebbe solo sofferto, non ci riusciamo ed eccolo con noi sullo stradone polveroso che va da Douz a Matmata, dopo 70 kilometri di questa strada deserta, polverosa ma abbastanza scorrevole ci troviamo a deviare a destra e imboccare la pista di 70 km che ci porterà a Ksar Ghilene, qui inizia la sofferenza, la pista è veramente messa male, sterrato con tanti piccoli dossi distanti circa 30cm l’uno dall’altro che provocano il cosiddetto “effetto frullatore”, a tratti è piena di sabbia e le nostre moto fanno fatica ad andare avanti, è difficile rimanere in piedi! Dopo una trentina di chilometri ci fermiamo al famoso “Cafè Bir Soltane”, tappa fissa per chi va a Ksar. Dopo aver preso qualcosa di fresco ripartiamo, la velocità è molto bassa, non più di 10, 15 Km/h e la strada va peggiorando diventando sempre più piena di sabbia. Le moto si insabbiano continuamente e la moto di Geppetto ha avuto un piccolo problema elettrico, decidiamo che non si può operare sotto il sole cocente (54°C) e con una corda traino Geppetto e la sua moto ritornando indietro di qualche kilometro al Cafè Bir Soltane. Mi appisolo un pò sdraiato sui tappeti mentre Geppetto risolve il problema. E’ da poco passato mezzogiorno e rimetterci in moto sotto quel sole sarebbe un suicidio quindi rimaniamo bloccati altre 4 ore al Cafè. Riprendiamo la nostra marcia che diventa sempre più faticosa, il caldo è insopportabile, la stanchezza ci assale e far stare la moto in equilibrio è quasi impossibile, per la strada ci raggiunge un motociclista italiano che si allena per la Parigi-Dakar che guarda le nostre moto e ci dice: “Con quelle lì non ci arrivate a Ksar Ghilene” Ci saluta e riprende a sfrecciare su quella pista come fosse in autostrada. Ci fermiamo quasi ogni centinaio di metri, siamo sfiniti, disidratati, scoraggiati… per fortuna è una pista abbastanza trafficata dai fuoristrada delle agenzie che portano in giro i gruppi di turisti e ne fermiamo qualcuno per farci dare dell’acqua fresca. Gli ultimi 13 kilometri che portano a Ksar Ghilene sono asfaltati e stiamo quasi per arrivarci. Finalmente vediamo l’inizio dell’asfalto che ci appare come un miraggio, la sensazione è difficile da esternare, abbiamo quasi le lacrime agli occhi e arrivati sul primo pezzo di asfalto ci fermiamo e troviamo ad accoglierci un gruppo di turisti italiani che vedendoci si erano fermati ad aspettarci per farci i complimenti, l’emozione confusa alla soddisfazione è stata enorme! Finalmente Ksar Ghilene, un’oasi a cento chilometri nel deserto, ci rilassiamo un pò alla sorgente d’acqua, mangiamo e scherziamo con il ragazzo di Douz che ci ha accompagnato e suo fratello, dormiamo nella tenda dei beduini. Il paesaggio è sublime, siamo praticamente in mezzo al deserto, vedi distese di sabbia tutt’attorno ad una piccola oasi con una sorgente e delle palme, cose che avevo visto solo nei films!
Nella tarda mattinata ripercorriamo nel senso opposto la strada del giorno prima. Siamo così di nuovo a Douz! Passata un’altra notte a Douz iniziamo a risalire pian piano la Tunisia, E’ la volta di Matmata, famosa per le case troglodita scavate nel terreno e per il set di Star Wars, ma dopo aver fatto un giro per il paese hai già visto tutto quindi è inutile rimanere ancora. Dopo pranzo ci mettiamo sulle moto verso Kairouan, Troviamo un albergo che con dieci dinari a testa ci offre una camera, colazione e parcheggio per le moto, abbiamo fatto un giro per il centro storico, ci siamo intrufolati in una festa di matrimonio e stanchi siamo andati a letto. Al mattino di nuovo in moto verso tunisi dove ci aspetta il ragazzo che ci ha ospitato la prima sera. A casa sua la madre ci fa trovare un bel cous cous da leccarsi i baffi, passiamo la sera in giro per Tunisi, ma dopo esseri stati in paesi come Douz, non ci colpisce molto, una metropoli come tante altre!
Al mattino salutiamo il nostro amico e la sua famiglia e andiamo a visitare Cartagine, bella la città antica di cui ne avevo sentito parlare sempre a scuola! Beh sui nostri volti un pò di tristezza perchè siamo giunti al termine del nostro viaggio, tristezza che si confonde con la stanchezza, con quei profumi, odori, colori, sapori e quelle sensazioni che vorresti condividere con altri, ma ci provi e non riesci a tirarle completamente fuori perchè ti rimangono dentro, e li custodisci lì dentro di te!!!
Ieri 5 Agosto 2005, primo giorno di ferie (che giorno, lo ricorderò a lungo… penso di avere trovata la mia futura moto: un amore a prima vista) ero in giro con la mia piccola Breva – un anno al 29 Agosto e quasi 15000 KM.
Stavo facendo il passo San Marco – per chi non è dei luoghi: è il passo che dalla Valtellina scende in Val Brembana – e, fermo ad ammirare il paesaggio ed a scattare qualche foto, ho sentito un suono – che dico?- una musica, venire dai tornanti più a valle e tre moto zigzagare tra essi con una naturalezza quasi le moto stesse conoscessero la strada e fossero nate solo per far quella.
Non riuscivo a capire che moto potessero essere, sicuramente non delle jap, quelle stridono, nè delle tedesche… quelle frullano, ma non mi sembravono delle Ducati il cui suono è inconfondibile così come lo è il suono dell’amata Moto Guzzi; non riuscivo proprio a capire, senonchè, quando ormai avevo dato per assodato che fosse qualche ducatista smanettone e perfezzionista, con mia somma sorpresa quando mi hanno raggiunto, il cuore ha iniziato a battere a mille: sì era proprio Lei , l’ultima creazione di quel di Mandello, inconfondibile e dal vivo ancora più bella, in azione ancora più eccitante… era la GRISO, anzi non una ma ben TRE Griso, condotte dai rispettivi collaudatori i quali, riconosciuto che ero uno della famiglia, mi hanno salutato con molto entusiasmo e io a sbraccirami e saltare dalla gioia!
Allora mi è quasi scappata una lacrima per la gioia, sentendo forte quel sentimento di appartenenza che vuol dire avere una GUZZI ed essere GUZZISTA, anche perchè mi è tornato in mente che un desiderio si stava avverando: la mattina infatti attraversando Mandello sono passato davanti allo Stabilimento (è un vizio che ho quando passo da Mandello, anche prima che mi comprassi una Guzzi) e vedendolo ancora aperto (mi aspettavo di trovarlo già chiuso per Ferie invece no tutto era in fermento anche la facciata stanno riportando a nuovo così come hanno rifatto il sito… che bello rivedere tutta questo ripartire e rinascere), mi sono detto: “sarebbe bello incontrare qualche collaudatore” ed ora erano lì, con ben tre moto non ancora in produzione, niente male per il primo giorno di ferie.
Appena mi hanno passato, intuendo che si sarebbero fermati in cima al passo che distava pochissimo da lì, mi sono precipitato sù (penso di non aver mai smanettato così!!!) e arrivato in cima le ho trovate lì che facevano bella mostra di sè.
STUPENDE, le foto non le rendono giustizia: MERAVIGLIOSE… non ci sono termini per poter esprimere quello che provavo, ho tentato di condividere la mia grossa emozione con la persona più importante della mia vita, mia moglie Cristina, ma ahimè non c’era campo al cellulare e allora ho inziato a scattare foto per avere un ricordo.
Ho avuto anche la tentazione di salirci ma non ho osato, non per timore di essere rimproverato , ma perchè troppo belle e quindi quasi un peccato toccarle.
Con lo sguardo sempre sulle tre Griso mi mangiavo un panino al punto di ristoro mobile che sosta in cima al passo; sempre restando a due passi dalle tre – un vero peccato abbandonarle! – e le ho guardate una per una, quasi fossero diverse, quasi per vedere se c’era una differenza tra esse.
Con lo sguardo perso davanti a una delle tre mi sono sentito rimproverare da uno dei collaudatori, perchè stavo mangiando e non avevo aspettato loro per mangiare insieme al ristorante che stà poco più sotto! Ho rifiutato ma non stavo più nella pelle: dei collaudatori della GUZZI mi avevano invitato a pranzo con naturalezza, come se fossimo dei carissimi amici e ci conoscessimo da una vita… anche questo vuol dire avere una GUZZI.
Ho chiesto com’era da guidare e che particolarità aveva rispetto alla mia e uno dei tre mi ha risposto con disponibilità.
Poi a conclusione lo stesso mi ha chiesto se mi piaceva ed io gli ho risposto che vista dal vivo è molto più bella che in foto, poi scherzando mi ha detto: “allora l’anno prossimo ti vendi la Brevina e ti pigli questa e magari ci reincontriamo qui”.
Poi hanno acceso: che SUONO, che…MELODIA! Sembrava il battito di un cuore come se qualcosa di umano si risvegliasse e rendesse onore all’impegno di tutti quelli che credono e continueranno a credere in questo mito del motociclismo italiano e… in un attimo sono scomparsi dietro la prima curva dopo un ultimo saluto.
Non stavo più nella pelle, mi sono precipitato a cercare campo per il cellulare perchè dovevo raccontare a mia moglie quello che mi era capitato.
Ho provato delle sensazioni che solo in pochissimi e importanti momenti della mia vita avevo provato, è per questo che ho deciso di scrivervi, per condividere con Voi e con tutte le persone che vi seguono e amano la GUZZI, i sentimenti che ho provato e la fortuna che ho avuto; penso che mi sia capitata una di quelle cose belle che un GUZZISTA sogna gli possano succedere.
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