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Le Guzzi special all’Eternal City Motor Show

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Sono particolarmente felice di riportare qui sul sito l’esperienza di un ragazzo che pare essere già un motociclista doc ma soprattutto un Anima Guzzista vera, ormai predestinata a solcare i nastri di asfalto del globo in sella ad una Moto Guzzi.

Parliamo di Federico Bornago, i più attenti avranno riconosciuto il cognome e sapranno quali geni muovono questo giovane virgulto, per coloro i quali invece si affacciano su questo sito da meno tempo peggio per loro, ma potranno porre rimedio sul forum dove in tanti sapranno aiutarli. 

Vi lascio al suo breve ma intenso scritto e alle sue bellissime foto.

Sabato 27 settembre ho avuto la fortuna di vedere la fiera di moto all’Eternal Show di Roma.

La fiera è stata molto bella e divertente dal mio punto di vista perché a me piace terribilmente fare le foto e io la vivo propio come una passione, cioè mi diverte cercare nuovi soggetti da fotografare, nuove moto e anche nuove inquadrature, infatti là ho potuto trovare tante moto diverse tra loro.

Poi io mi fisso sempre sulla Moto Guzzi e anche questa volta ho fotografato solo Special su base Moto Guzzi. Alcuni direbbero purtroppo…altri per fortuna ma questa è la mia più grande passione… Quella della Moto Guzzi che come dice una frase che ho avuto occasione di leggere sulla maglia di Anima Guzzista “se lo spiegassi non mi capirei” Perché è come un amore incondizionato che anche con tutte le parole del mondo non riusciresti a spiegare… È un amore che ti accompagna per tutta la vita… E chissà anche oltre.

Come sono diventato Guzzista: Franco di Schiena

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di Franco “franguzz”

Era piu’ o meno la meta’ degli anni 70…io ero un bambino.
All’ epoca al mio paese la rete idrica non arrivava dappertutto,molte abitazioni avevano la cisterna ausiliaria dell’ acqua potabile che venivano rifornite da autobotti.
Queste venivano a caricare l’ acqua al pozzo di acqua sorgiva di mio zio, dove io andavo d’estate a dargli una mano.
Alle abitazioni del centro storico, le autobotti grosse non potevano arrivarci perche’ le strade erano (e sono) molto strette…a questo ci pensava un burbero omone sempre in tuta da meccanico, con due mani grosse cosi’, che con il suo Ercole cisternato, riusciva ad infilarsi dappertutto.
Un giorno, incuriosito da quel grosso treruote, gli chiesi di portarmi insieme a fare un “viaggio”, e una volta sistematomi nell’ angolo dell’ angusta cabina, l’ omone con una pedata ben assestata, mise in moto…
La spartana cabina con uno scossone inizio’ a vibrare paurosamente, amplificando il rombo del grosso monocilindrico…l’ odore della benzina quasi mi ubriacava, mentre il grosso volano ruotava minaccioso vicino ai miei piedi…lo stridio della frizione e il sibilo del cambio mi attanagliavano il cuore, mentre il “tunf – tunf” del monocilindrico (Falcone) messo sotto sforzo dal carico ( una ventina di quintali o forse piu’) mi rintronava nella testa.
Ci manco’ poco che gli chiedessi di farmi scendere… poi, invece, iniziai a tranquillizzarmi… la tecnica di guida ( l’ omone guidava maledettamente bene) inizio’ a incuriosirmi…
le vibrazioni, il frastuono, il rombo e gli stridii iniziarono ad amalgamarsi insieme creando un ritmo e un suono che ora pian piano risultava essere gradevole e naturale…iniziai a capire che quella era la voce della meccanica allo stato puro…e fu subito concerto, sinfonia…
Quel giorno nacque in me la passione per la Guzzi…grazie all’ Ercole!

Come sono diventato Guzzista: Rolando Chioda

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by Rolando “Rolandix”

 
Io non sono Guzzista … pota! Eh no, non ce l’ho una Guzzi.
Mi spiace. Davvero.
 
Ho una Honda, imponente, affidabile, comoda, nessun problema, nessuna vibrazione. Ma che mezzo!
Eh, scusate, non devo parlare di questo…
 
Devo partire da molto lontano …
 
Mio padre, classe 1941, ad un certo punto della sua vita, tutta boscaiolo tra la Francia e contadino a Gandellino dove era nato (a-meno paesello della Valbondione, una valle minore in cima alla Valseriana), inizia a lavorare come muratore a Barzanò (a-meno paese in provincia di Como).
La Domenica sera parte da Gandellino e va a Barzanò. Lavora tutta la settimana con il fratello e altri “magücc” e il venerdì sera riparte alla volta di Gandellino. Estate, Autunno, Primavera, Inverno. Sole, pioggia, neve, ghiaccio … avanti e indietro una volta a settimana.
Senza guanti e con il giornale sotto la camicia per sentire meno il freddo. Mi raccontava che quando ha potuto comprarsi una berretta e un paio di guanti ha festeggiato.
Tutto questo a bordo di una Guzzi. Eh si, uno Stornello. “o’ Sturnell” come la chiamava. E come ne andava fiero!
 
E poi arrivo io, marmocchio, Dicembre del 1966, un freddo della madonna. La moto stava stretta, va bene portare la moglie seduta dietro con le gambe da un solo lato, ma con il marmocchio come si fa?
 
E allora si compra una “Nuova 500” FIAT e la Guzzi … la regala a suo fratello … dopo qualche anno il figlio l’ha regalata a sua volta, a chissà chi!!!
Odio ancora oggi mio cugino Claudio per questo, quella Guzzi avrebbe potuto essere mia!!!!
 
Mi raccontava mio padre che nella 500 si sentiva un “sciòr”. Riscaldamento, una capote sulla testa, e 4 posti comodi!! Una carrozza regale!
 
Ma facciamo un altro salto nel tempo. Sempre mio padre e io ragazzino di 9 / 10 anni, circa il 1976.
Vita in fattoria, il parco giochi della mia infanzia e adolescenza.
 
Al tempo si comprava “la mezza mucca” oppure il “mezzo maiale” e si faceva tutto in casa, scorta per la famiglia numerosa. Bistecche, salami, cotechini, braciole, costine. Un paio di giorni di lavoro e si era a posto per un po’.
Mio padre si faceva aiutare da un macellaio di un paese vicino che veniva a casa nostra, indovina un po’, con una Guzzi! Probabilmente un Falcone 250; chi se lo ricorda che modello fosse. Però era rossa!!
 
Io ero solito guardarmela da cima a fondo, da sopra a sotto, sospensioni che non capivo, due selle – ma perché due selle?, l’aquila – che meraviglia!!, e questo motore imponente con il volano di fuori, ma perché il volano di fuori?!?
Correva il 1976 circa e le moto erano ben diverse, questa qui cosa aveva che non andava?
Era solo “vecchia” … chissà perché le facevano così quelle vecchie.
 
Poi cresco e inizio a lavorare come meccanico da un tizio “specializzato” in Alfa Romeo.
Anno 1982? 1984?
Passava di tutto, Fiat 124, 127, 128, 131, 500, Giulia 1300, 1600, 2000, Alfette a profusione, Alfa GT, Jaguar, BMW serie 3, Volvo, etc … e qualche cliente in moto (pota, quelle non le riparavamo) ed ecco che arriva il “Filopanti” con la Guzzi V35C. Che bellezza di moto!
Il “Filo” aveva anche una SWM250 (mamma che belva!) e io, minorenne sbarbato, mi giravo il paese con queste moto mentre lui chiacchierava con il meccanico. La SWM una potenza da urlo, sempre su una ruota, sempre di traverso; la Guzzi una poltrona da superfigaccione.
Tuta da meccanico, scarpe di gomma, capelli al vento (si avevo i capelli, allora?), che bellezza! E via per strade di campagna e in paese. Divertimento puro. Incoscienza da vendere.
No, non mi hanno mai fermato, pensa te.
Quello che non so è come è possibile che io sia vivo per raccontare tutto questo.
 
Altro salto in la nel tempo e arriva Elena (LaGaffu). Mai posseduto una Guzzi in vita mia e mi dice che c’è questo gruppo di Guzzisti che ogni tanto fa bisboccia. E mi chiede se andiamo ad un loro raduno.
Uscivo da una separazione, la moto era coperta da due anni in garage, una splendida PanEuropean 1100 blu con i cerchi oro, come piacciono a Goffredo!
Le dico che io ai raduni dove sgommano da fermi e maltrattano le moto non ci vado. PUNTO.
Mi dice che no, che in quel gruppo è diverso, che non sgommano e sono gente seria (macheddavero?).
 
Va beh … tagliando alla moto, gomme nuove, e andiamo a ‘sto raduno.
Oh … nessuno che sgomma da fermo. Ma dimmi te, che gentaglia.
 
Beh mi ritrovo socio da diversi anni e … ancora non ho una Guzzi.
Ma devo proprio dire che Anima Guzzista non è male davvero. Sarà perché nessuno sgomma da fermo? Sarà perché ci sono piloti di tutti i tipi e i generi, sarà perché sopportano che non so fare curve e pieghe, sarà perché nonostante la Honda mi fanno partecipare lo stesso.
Eh no, quelli delle Harley non sono così inclusivi.
 
Quindi sono Guzzista perché mio padre ha avuto una Guzzi. Sono Guzzista perché il macellaio si portava via la chiave e non potevo provare (abusivamente, ovvio) quel “vecchiume” rosso. Sono Guzzista perché il “Filo” mi lasciava girovagare con la sua V35C e chi se ne frega se nemmeno avessi l’età per la patente.
Sono Guzzista perché sento che Guzzi è parte della storia italiana e non sarebbe male che fosse parte anche del futuro italiano.
Sono Guzzista anche senza la Guzzi, del resto sono socio di Anima Guzzista.
 
Giro in moto da quando avevo 10 anni, iniziato alla moto in modo criminale e nello “sterminato spazio” della fattoria dove abitavamo e dove mio padre si è spaccato la schiena per anni. Per lui una fatica immane per me un parco giochi immenso e pieno di divertimenti.
Spero di non smettere mai di andare in moto. Trovo le due ruote liberatorie, peccato solo dover indossare il casco e non poter avere i capelli al vento.
 
Ho avuto nell’ordine queste “due ruote”:
– Garelli VIP3V (a marce!! eh si … santo mio padre)
– una cosa vecchia, rossa, di cui non ricordo il nome – forse un Guzzino? una Gilera? boh chi lo sa … non me lo ricordo proprio
– KTM 125 (un vecchio rottame – chissà come non mi sono fracassato)
– Honda 600XLR (il peggior avviamento a pedale di sempre)
– Yamaha Virago 1100 (rossa sfumata al nero, cerchi oro – una poltrona – l’unica che davvero mi manca)
– KTM 250 (vecchio, meno rottame – chissà come non mi sono fracassato, seconda puntata)
– Honda 600XLR (si, la seconda, sono recidivo)
– Honda VF750 (non sono sicuro del modello – comunque un errore, venduta dopo 9 mesi)
– Yamaha Burgman 400 (e dagli di errori … ma come si fa … durato poco – questo forse non dovevo dichiararlo … 😀 )
– Honda Deauville 650 (a 60000 km ha cominciato a perdere bulloni, viva la Montesa spagnola dove la fabbricano)
– Honda PanEuropean 1100 (bellissima)
– Honda Goldwing 1800 (quella con cui ho forato a Bevagna … gliepozzino)
– Honda Goldwing 1800 my2025 (nuova nuova … non mi odiate)
 
Chissà… magari un giorno … 🙂

Come sono diventato Guzzista: Riccardo Corti

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by Riccardo “Todd”

a differenza di tanti altri sono arrivato alla moto da grande, patente A a ridosso dei 30 anni, saltando in pieno tutta la gavetta dei motorini e 125 varie. volendo comprare la prima moto da neofita i nomi erano tanti, ducati monster 620, honda cbf 600, kawasaki er-5, e così via. nel lotto delle moto interessanti già iniziavano a farsi spazio alcuni nomi made in mandello e in particolare le nevada e breva 750. la scelta però ricadde su una suzuki sv650s usata ma in ottime condizioni, e il caso volle che fosse acquistata presso un concessionario ex ufficiale guzzi, che aveva quindi qualche usato e anche un paio di fondi di magazzino…

bazzicando un po’ quel posto la scimmia guzzistica mi iniziò a salire sulla spalla, ma per un anno circa andai avanti con la suzuki, con la quale avevo imparato proprio l’abc dell’andare in moto. la svolta fu quando incappai in una fortunata congiuntura economica, che unita al fatto che iniziavo a sentire la Sv come un attimo inadatta, un po’ scomoda, non ideale per quello che era il mio uso, mi fece venire l’idea irresistibile del cambio moto.

in vetrina avevano due guzzi, una norge e una Breva 1200, quest’ultima oramai fuori listino e proposta a un prezzo davvero interessante, per essere un “milleddue”: ho usato il termine fondo di magazzino ma per me era una moto bellissima e incompresa, in un mondo che già stava guardando ad altri generi.

la firma sul contratto arrivò così, fulminea, un momento di lucia follia, come quei matrimoni a Las Vegas con una tizia che hai conosciuto due giorni prima. economicamente feci un ottimo acquisto, ma non era solo quello, sapevo che se avessi perso tempo e me la fossi ritrovata comprata da qualcun altro mi sarei mangiato i gomiti.

l’attesa della consegna fu bellissima, così come i primi giorni, era la moto per me, mi piaceva da matti e mi ci trovavo bene sopra, il giorno del ritiro ricordo ancora quando tirai per la prima volta la leva della frizione, il rumore tipico mi sorprese, feci una faccia strana, il venditore mi rassicurò: “è normale faccia così”.

da quel giorno poi di acqua sotto i ponti ne passò un bel po’, posti visti, caterve di km fatti, sole, freddo, cofini passati, tanto amore e un po’ di disappunto, i primi viaggi, amici conosciuti e tanti aneddoti da raccontare, sempre con la Brevona.

poi tutto ha una fine e dopo 13 anni e oltre 220.000km è arrivato anche il momento della separazione. a oggi ho un altro marchio, in futuro avrò altre moto, chissà se ci sarà un’altra guzzi oppure no, ma di certo sarà impossibile replicare quei primi giorni con lei. oggi comprerei altro, ma se tornassi indietro rifarei esattamente le stesse cose.

a oggi la mia prima -e unica- Guzzi è stata quasi come un componente della famiglia.

 

Come sono diventato Guzzista: Marco Faenza

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by Marco “kiaikido”

Marco Faenza o kiaikido che dir si voglia è cresciuto fin da piccolo in mezzo ai motori, per via del padre carrozziere e delle innumerevoli ore passate in quella piccola via di Rapallo tra le auto smontate
le due ruote a motore? un tabù, mai avute e mai “di famiglia”, anzi fortemente temute e te-lo-scordi-zzate
il motorino arriva a quasi 16 anni anzichè i soliti 14, ed i 90 giorni di gesso con lesioni permanenti non aiutarono a farlo amare dai miei

nel mentre, il restauro e l’uso quasi quotidiano di una spider del 1961 dal 1993 al 2005 mi hanno portato a frequentare i mercatini ed i raduni di auto e moto d’epoca, dove le aquile di Mandello erano sempre ben rappresentate; ed in effetti ne ho sempre subito inconsciamente il fascino

un salto fino al 2006 e all’arrivo della prima vera moto dopo anni di motorini e scooter 50 e 125, con la Z1000 che mi ha aperto un mondo nuovo, e mi ha portato su passi e in posti che mai avrei immaginato, dove vedere le ultime supersportive, gli immancabili GS e le prime moto retrò o scrambler
La V7 III è stata la prima a colpirmi in maniera cosciente, a farmi pensare “mi piacerebbe averne una in box, non come unica moto ma la vorrei proprio”, ogni volta che la vedevo da qualche parte
il pensiero si è fatto concreto con l’uscita della V7 850 e la quasi contemporanea vendita del Multistrada per la Streetfighter, che imponeva una seconda moto per poter girare anche in coppia.. unico problema il prezzo, quei 9000€ che in quel momento erano troppi ed hanno aperto la strada alla più economica Leoncino pesarocinese; economica ma non ergonomica, tanto che il piacere di guida -che non mancava, ad essere sincero- veniva vanificato in poco più di un’ora dalla scomodità della sella, seppur rifatta: era giunto il momento

test ride in solitaria,
test ride in coppia, per abitabilità e dolori alle chiappe,
vaglio delle alternative (V7, Street Twin, Royal Enfield)
vendita del Leoncino,
scelta del colore, giallo e nero come l’Ape Maia

da quel momento mille sorrisi, qualche giro in solitaria e molti in coppia, i giri con nuovi amici, una vacanza all’Elba, molte risate su animaguzzista, un weekend sulle Dolomiti dormendo in sacco a pelo sotto il Giau, e qualche ora passata in garage a montare accessori o modificare qualche parte.. un sogno diventato realtà

scendere in box al mattino o rientrare dopo una giornata di lavoro, e vederle una accanto all’altra con le loro due personalità così diverse ma allo stesso tempo così simili nel trasmettere emozioni, beh è una gioia per gli occhi e per il cuore

PS ad insaporire questa già succulenta pietanza ci sono l’atmosfera delle Giornate Mondiali a Mandello, la serata del uinterparti appena vissuto, e l’orgoglio di poterla fotografare davanti a quel cancello rosso da cui è uscita lei e da cui sono uscite Leggende del motociclismo in oltre 100 anni di Storia.
PPS c’è anche il merchandising strafigo :clap:

 

Duevolte-esimo Uinterparti e ultime considerazioni

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By Giuliano “Calidreaming” Arcinotti

Volevo solo scrivere due righe sul Duevolte-esimo Uinterparti ma mi son ritrovato qui, giorni dopo, consapevole che devo parlarvi anche di altro e quindi iniziamo.

Il Uinterparti è arrivato e passato come sempre come una festa in famiglia, è una di quelle cose che fai quasi senza sentire stanchezza o l’impegno che comporta, non è solo un evento di Anima Guzzista è una cosa tra amici, ove si prevede di far due conti (a proposito: nella sezione soci trovate un bilancino dell’evento) e organizzare il tutto ma è soprattutto un reincontrarsi tra di noi e stare insieme, proprio come si fa durante i pranzi della domenica in famiglia.

Si sta insieme e si sta bene, senza bisogno di aggiungere nulla, senza bisogno di ricette particolari da adoperare.

Non posso esimermi dal ringraziare personalmente il buon Ticcio che con il servizio Bus Navetta ci ha traghettati, non senza momenti di minchitudo, fino a Mandello e ritorno. Si certo a Spezia, sotto casa mia, lui e Nello si son persi in 50 metri mentre io dicevo dove andare, e avevano anche un navigatore in mano; certamente il Ticcio si è dimenticato delle indicazioni ricevute da Francesco quando lo dovevamo passare a prendere alla stazione di Fidenza andando esattamente dalla parte opposta della stazione, certo io ho dato indicazioni sbagliate al Ticcio mentre andavamo da MotoAirBag ma solo perchè mi pare uno spreco non sfruttare il detto “non c’è due senza tre” e chi sono io per sprecare così…

Detto questo è stato un bel momento, una bella serata e gli Influx sono stati fantastici, un’altra piacevolissima scoperta: teniamo la Band nella rubrica, non si sa mai.

 

Durante la serata abbiamo premiato con delle targhe chi si è distinto in modo importante per AG, oltre ad Anka che merita una targa per l’impegno (purtroppo ancora in difficoltà a muoversi liberamente), ad Antocave che si è guadagnato sul campo il nostro comune apprezzamento per quanto fatto e continuerà a fare per la Moto Guzzi e che ci ha raggiunto la mattina della domenica, ai Bisbetici che si meritano il premio con l’eccellenza direi del Fulvio nazionale, mi è dispiaciuto non aver potuto premiare personalmente chi si sbatte tanto per AG per organizzare i Calincontri, perchè quelli sono i momenti che insieme agli altri eventi costituiscono il cuore di Anima Guzzista, vedersi, incontrarsi appunto è quello che manda avanti più di tutto Anima Guzzista e Fabio merita un seppur minimo riconoscimento per tutto quanto fatto in questi 20 anni.

20 anni di Calincontri ma ci sono anche altri traguardi, io sono a quasi un anno di Presidenza e mi continuo a sentire impreparato come agli inizi; anche se di cose ne sono state fatte, continuo a non sentirmi in grado di valutare correttamente tutte le richieste di tutte le Anime e incontrare figure come Alberto Totogigi mi mette sempre un po’ di soggezione a essere onesto, so che è sbagliato eh e che nessuno può fare le stesse cose, per mille motivi, il contesto diverso, le situazioni sociali mutate, e tanto altro ma consentitemi un po’ di sana umiltà nei confronti di chi mi ha preceduto come Alberto e non solo, rendendo AG quello che è oggi.

Posso però dirvi cosa abbiamo fatto in questo anno quasi completato, finalmente lunedì 17 siamo stati iscritti al RUNTS (Registro Unico Nazionale Terzo Settore) e quindi l’associazione è ufficialmente una APS, siamo in regola con tutti gli obblighi normativi e questo già ci permette di ragionare in modo più sereno anche sugli eventi che vogliamo organizzare.

Tra gli obblighi sociali abbiamo quello di promuovere cose come la sicurezza stradale, direi che visto quello che leggiamo e vediamo nei vari tg e giornali è un argomento che ci riguarda molto, e a tal proposito abbiamo fatto visita a MotoAirBag e organizzeremo anche qualcosa con Andreani Group azienda che non credo abbia bisogno di presentazioni e che non solo si è dimostrata disponibile a fornirci supporto per una convezione riservata ai soci, ma sarebbero anche disponibili a farci fare una visita in fabbrica, si pensava in concomitanza con Cagli, e organizzare dei corsi. Non c’è ancora nulla di definitivo ma stiamo lavorando con loro e vi aggiornerò appena possibile tranquilli.

Ho incontrato insieme a Piero la sera del sabato il buon Giovanni Trincavelli, lo stesso del murales a cui già in passato abbiamo fatto piccola donazione che ci voleva ringraziare per il piccolo aiuto economico dato alla nuova creatura a motore che stanno allestendo presso l’officina del Berardelli, ad Endine Gaiano ispirata al prototipo GP e che verrà ufficialmente presentata al pubblico a Mandello del Lario il 14 marzo 2026. Anche qui appena avremo qualcosa di più concreto e “ufficiale” da mostrare vi aggiorrneremo.

Sempre il sabato prima della cena ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con il Presidente del Moto Guzzi Club Mandello Stefano Bonacina a cui ho esposto, come già accennato in passato, l’incontro di primavera precisando che la loro presenza come quella di altri club locali ci farebbe enorme piacere, in fondo più siamo più ci divertiamo, così come ho accennato anche gli impegni assunti dal Sindaco in merito alla manutenzione al monumento di Carlo precisando che sebbene il nostro intervento non sia previsto se non in forma minimale e molto manovalistica anche in quella occasione condividere quest’onere potrebbe essere un bel momento.

A Stefano ho poi segnalato la possibilità di estendere ad altri club quella convenzione di Andreani su cui si sta lavorando con ovvio interesse anche da parte loro.

Il prossimo anno quindi sarà di nuovo ricco di eventi e incontri, alcuni già definiti, altri ancora da precisare meglio, ma che in linea di massima sono quelli che trovate qui sotto, ancora una volta quindi torno a dirvi quello che vi dico sempre, PARTECIPATE, fatelo numerosi, siate presenti agli incontri, quelli sono i momenti per cui val la pena pagare la tessera dell’associazione, quelli sono i momenti che ci permettono di stare insieme e capire cosa significa Anima Guzzista, oltre a permetterci di norma di scoprire sempre posti nuovi, grazie a ragazzi come Fabio che ogni Calincontro ricercano il nuovo posto mai visto prima dove farci consumare un po’ di gomme.

Indicativamente al prossimo Geotermico o al Giro Delta si svolgerà l’assemblea sociale annuale durante la quale approvare tra le altre cose anche il bilancio, oltre ad altri argomenti: partecipate, ma partecipate anche sul forum, venite a commentare nella sezione Soci cosa pensate delle azioni intraprese se vorreste fare altro; siate attivi, io sono uno e come tutti valgo uno, tutti insieme valiamo molto di più e in tanti  possiamo fare davvero tanto.

Alla ricerca della guzzi sportiva

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E’ cosa nota quanto i tedeschi amino l’Italia, per le vacanze. Se poi sono anche guzzisti, i freddi teutonici visitano il Lario con una certa frequenza. Ed e’ proprio da questo dato di fatto, che nasce questa storia. Durante una fresca serata di Novembre, uno strano furgone bianco si avvicina a Mandello, e si ferma per la notte al parcheggio del cimitero. Il furgone ha delle decorazioni strane, che richiamano dei motori a V e un tizio in piega, ci sono anche delle scritte che sembrano addirittura poesie. Alla guida, un pelato con losche intenzioni: dopo la delusione delle non-novita’ di EICMA 2025, ha deciso di andare personalmente a Mandello a prendersi la nuova guzzi sportiva diretta

mente dalla fabbrica. Il pelato perlustra la zona, e documenta il tutto con numerose fotografie: perche’ togli tutto ai tedeschi, ma la precisione no eh! La prima foto ritrae il furgone nei pressi del parcheggio del cimitero di Mandello, proprio di fianco alla fabbrica (parte alta): si notano le cupole dei nuovi padiglioni. Il pelato considera come ragionevole la possibilita’ di saltare il muro ed entrare a piedi in fabbrica, ma poi desiste perche’ non potrebbe portare fuori facilmente una moto dalla fabbrica.

Decide quindi di saltare sul furgone e fare il giro della fabbrica: prende le misure per entrare e uscire dal portone rosso

e poi cerca di mimetizzarsi nel paese parcheggiando come i locali

e facendo un po’ di turismo nei posti piu’ importanti del globo terraqueo (senza la cq, sembra)

apparentemente il furgone si mimetizza senza sforzo nell’ambiente circostante Per pianificare la fuga, il losco figura ha un’idea geniale: scappare sul lago e seminare tutti i poliziotti italici chew ovviamente non sanno come approcciare un elemento cosi’ complesso, come l’acqua. Quindi, si avvicina al porto turistico, sperando di trovare un varco aperto, ma si rende conto che la soletta del parcheggio tiene solo 2.5 T, e visto che il furgone arriva probabilmente a quel peso, torna indietro e cerca un piano di fuga diverso.

Decide quindi di coinvolgere dei complici, che trova a Milano in zona Sempione, praticamente di fianco a Radio DeeJay, one Nation One Station, figa! I due figuri fanno finta di fare una rimpatriata con il delinquente tedesco, e fanno pure delle foto tutti sorridenti.

Uno dei due, il piu’ intraprendente, fa le foto attorno a tutto il furgone, facendo finta di aver disegnato lui gli adesivi di decorazione del furgone.
In relata’ tutti sanno che sono dei prespaziati e degli adesivi fatti dalla guzzi in tempi on sospetti per rilanciare l’immagine sportiva del marchio, ma poi hanno deciso che il cliente con ampia capacita’ di spesa avrebbe preferito la V7850 a una sportiva guzzi da 150 cavalli, e quindi attaccatevi al belino e prendetevi un’Aprilia. L’invasore teutonico non si da’ per vinto: dopo aver usato un figurante (il padre) per pranzare all’elefante rosa (nuova gestione, cibo buono), decide di ritornare al lago, e parcheggiare vicino alla via di fuga. Poco ne sa che, dopo due notti senza dormire molto, si sarebbe appisolato sul letto del furgone aspettando che altre persone arrivassero, per mischiarsi alla folla. Il pelato decide cosi’ di parlare con un sacco di persone, partecipare alla festa, e a mezzanotte crollare a letto, senza salutare quasi nessuno (che brutta persona) perche’ era un pochino stanco (tipo forrest gump): comunque la serata e’ andata bene, ha anche in programma di fare cose losche con Dekra, una nota maialona tedesca di Stoccarda. In realta’ il tipo sta ancora pianificando come entrare alla fabbrica, e ciulare la sportiva, che stanno nascondendo da qualche parte. Il mattino dopo, arzillo come il batacchio di un novantenne, si alza dalla bara che usa come letto, beve mezzo litro di sangue, e si rimette in moto. Per rendere la sua presenza credibile, coinvolge un presidente a fare una specie di rito magico sul furgone, tipo una benedizione con l’acqua del lago. In realta’ il presidente sta segnando con vernice indelebile la carrozzeria del mezzo di fuga, perche’ e’ Colannino travestito da Giuliano. Alcuni partecipanti suggeriscono che invece dell’acqua bisognerebbe lanciare sul parabrezza una bottiglia di spumante, come si fa con il varo delle navi. Non mi e’ sembrata una grande idea. La giornata si conclude purtroppo con un bel nulla. Il manigoldo si rimette al volante per tornare nelle lande teutoniche, e prepararsi a qualche altra notte in furgone a 3 gradi e pioggia (mortacci sua!). Tattavia egli non demorde: coinvolgera’ nel suo piano altri guzzisti, la Dekra (la mignottona di cui sopra), e Baloo (per la abilita di guida in moto), per riuscire a scovare e a ciulare la moto e la Dekra.

A presto per la prossima puntata.

Luca (io non sono tedesco, fatti persone e guzzisti qui nominati sono puramente casuali)

Come sono diventato guzzista: Massimo Zara

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By Massimo “Zaramax” Zara

Questo racconto va letto tenendo in sottofondo il pezzo di Neil Young – Hey Hey, My My.
Oltre a far parte della mia colonna sonora personale, questo brano mi consente di paragonare la Moto al Rock and Roll, infatti ciò che dice Neil Young in questi versi:
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Hey hey, my my
Rock and roll can never die
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Vale anche per la Moto. Ecco perché… Anche la Moto non morirà mai!

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“Guzzite: una malattia incurabile”
Pare che fossi “Guzzista” ben prima di saperlo.
Da bambino, nei mitici anni ’60, mentre ancora alle elementari tentavo di capire cosa volesse dire “dividere” senza la calcolatrice, vivevo a Palmadula (SS), dove mio padre era l’ultimo in zona a saper ferrare i cavalli, ultimo retaggio del lavoro di mio nonno, maniscalco “vero” che, non solo applicava i ferri a cavalli, ma li costruiva direttamente lui utilizzando verghe di ferro che tagliava, piegava e forava passando dalla forgia all’incudine con estrema maestria e velocità.
Mio padre aveva smesso di ferrare i cavalli, ma, imparata l’arte, l’aveva semplicemente messa da parte (gli piacevano i cavalli, ma aveva una cotta per la meccanica e si occupava, fra le varie cose, di motori agricoli).
Però aveva mantenuto la fama e ogni tanto veniva chiamato alla caserma dei Carabinieri, giusto per mettere i ferri ai quattro zampe equini che ancora prestavano servizio in Caserma. E io, come un piccolo scudiero, lo accompagnavo spinto dalla voglia di vedere quel lavoro che sempre mi affascinava.
Ma, sorpresa, ad un certo punto, non mi interessavano più i cavalli! Nel garage adiacente alla stalla, c’erano invece quelle moto nel cortile della caserma, forse dei Falconi – mezzi misteriosi – con quella carica magnetica che hanno le cose vietate ai bambini. E mentre mio padre lavorava sui cavalli, io ero lì a studiare i “bestioni” a due ruote, con l’espressione di chi aveva trovato il Santo Graal.
Forse è lì che è iniziata la “Guzzite”.
Passano gli anni, fatto il militare, arrivo al primo stipendio e… ta-dà! Nell’82 acquistai la mia prima moto, un Nuovo Falcone, ovviamente usato, totalmente riverniciato di rosso, che miracolosamente è ancora con me e che ho recentemente restaurato. Il Nuovo Falcone gironzolava per le strade della Sardegna trasportando me e la mia ragazza (ora ma moglie) da una spiaggia all’altra.
Non contenti, ci piaceva un V50III che un amico aveva in casa, lo aveva acquistato ma lo teneva fermo. Povero V50III, impossibilitato a viaggiare per lo scarso amore del suo proprietario. Ecco che anche il V50III entrò a far parte della famiglia, usato, ma in realtà praticamente nuovo!
Le strade della Sardegna erano il pane quotidiano per i miei due “500”, col V50III ci fu anche una bellissima trasferta a Mandello nel 1996 per l’annuale raduno.
Poi c’è stata una lunga pausa, per cause di forza maggiore chiamate “famiglia e lavoro”.
Ma negli ultimi anni la Guzzite ha rialzato la testa. È arrivato il California 1100 EV e, nel 2022, la mia famiglia a due ruote ha dato il benvenuto al V85TT.
Dicono che la Guzzite sia cronica e senza cura: io ne sono la prova vivente, e sinceramente… va bene così.
Massimo Zara
(zaramax)

Alcune foto.

Anno 1989 Campeggio in Sardegna
Anno 1989 Campeggio in Sardegna
Anno 1989 In attesa dell’imbarco sul traghetto
Anno 1989 In attesa dell’imbarco sul traghetto
Anno 1989 Sterrato in Sardegna col V50III
Anno 1989 Sterrato in Sardegna col V50III
California EV
California EV
V85TT
V85TT
Nuovo Falcone restaurato
Nuovo Falcone restaurato

 

 

Come sono diventato Guzzista: Mauro Fiorentini

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By Mauro “Age073” Fiorentini

Quando vedi una moto parcheggiata ti fermi mai a pensare ai sentimenti che si porta dietro? Pensi mai che quella moto, magari, è stata muta spettatrice di cambiamenti, di dolori, di amori, di speranze? Tra un graffio e l’altro della carrozzeria, in mezzo a una coppia di pneumatici consumati, tra le spire del nastro isolante che sostiene la staffa di una freccia rotta, ci pensi mai che quella moto porti con sé qualcosa che non la rende solo un semplice pezzo di ferro?

Io sì, ci penso, e so che non sono il solo ad avere questo sospetto. Lo disse anche Valentino Rossi, e scusa se è poco, che le moto non sono solo pezzi di ferro, anzi, che sono cose troppo belle per non avere un’anima. Chissà quanti altri lo hanno pensato, mentre impugnavano le manopole lise alle estremità di un manubrio vecchio, ruotando la destra e sentendo il motore rispondere con la felicità di chi prende giri grintosamente, come se il prossimo chilometro fosse il primo di chissà quanti, mentre invece magari è solo l’ennesimo dopo altri centinaia di migliaia.

Allora, chiariamo subito le cose: io non penso di essere Guzzista. La Moto Guzzi non fa motociclette che comprerei; o meglio, qualcuna ne ha fatta, anche recentemente, ma stanno tutte nel limbo dai contorni vaghi e indefiniti del “chissà, magari un domani, se avrò modo…”.

Perché a me incuriosiscono tutte le moto, e non è che perché una la fa la Moto Guzzi, allora quella si merita un posto in garage più di un’altra fatta dalla Suzuki, per dire, o dalla Honda. Io questo plusvalore dato dal marchio non lo vedo. Non lo sento. Conosco la storia della Moto Guzzi quasi a menadito, la trovo assolutamente epica ed affascinante, mi inorgoglisce pensare di essere connazionale di tanti geni che questa storia l’hanno scritta, però tutto questo non è comunque un motivo sufficiente a farmi preferire una moto a un’altra solo perché la prima è una Moto Guzzi.

Tantomeno da quando la Piaggio ha tolto la concessione all’officina Primo Moretti di Macerata, la più antica del mondo dopo Mandello, un’officina che se l’avesse la Harley o la BMW avrebbero comprato tutto il palazzo e ci avrebbero fatto un museo col biglietto d’ingresso a 50 euro. Ecco, per i miei gusti quella mossa fu di una bassezza tale da pregiudicare qualsiasi mia futura intenzione di comprare, dalla Piaggio, una Moto Guzzi nuova.

Fatta questa premessa, uno si chiede: e allora di cosa ci parli? Perché stai scrivendo?

Perché io, una volta, Guzzista lo sono stato. Il mio essere Guzzista venne decretato nero su bianco dall’SMS che ricevetti sul mio Nokia 3310, nei primi anni duemila, due minuti dopo che papà firmò il passaggio di proprietà della usatissima Florida 350 che mi aveva regalato. Me lo ricordo come fosse adesso, il telefono fece bip-bip e sullo schermo lampeggiò una pixellosa carta da lettere. La aprii e lessi: “Complimenti! da oggi sei un Guzzista”. Proprio così, c’era scritto, minuscole e punteggiatura sbagliate incluse.

L’amore che provai per la mia Florida fu viscerale, la amai la prima volta che vidi la sua ruota anteriore, con il disco del freno ed il parafango scintillanti, spuntare da un mucchio anonimo di moto dimenticate nel cortile del concessionario di Pesaro da cui la prendemmo; la amai durante ciascuno dei 70.000 km che facemmo insieme, la amai dopo aver modificato tutti i pezzi su cui riuscii a mettere le mani, la amai quando mi si ruppe in piena tempesta chissà dove sugli Appennini (di notte, tanto per), la amai quando si piantò due volte la valvola, la amai quando la vidi andare via sul cassone del pick-up di chi me la comprò, anche se ero contento, e la amo ancora adesso che, a conti fatti, la detesto per tutti i soldi che mi ha fatto buttare: ci veniva una Breva meno problematica.

Chissà, però, se l’avessi ancora, magari affidandola proprio alle cure impareggiabili di Roberto Freddi dell’officina Primo Moretti, magari ci andrei ancora in giro.

Però c’è un motivo per tutto, ed il motivo per cui, in realtà, non rimpiango la mia amata-odiata Florida 350 è che, venduta lei, ho cominciato a guidare la California di papà.

Qui, però, si apre un mondo, e mi perdonerai, ma bisogna che io faccia un salto indietro di più o meno 35 anni, ché tanto, se stai leggendo proprio queste pagine, è ovvio che ti interessa questo genere di storie, e quindi puoi ben dedicarmi qualche minuto del tuo tempo.

Anconatown, via Benedetto Croce, primi anni ’90. Avrò avuto 6-7 anni, e papà mi venne a prendere all’uscita di scuola. Con la moto, nonostante casa nostra fosse distante appena quattro-cinquecento metri. Ricordo come fosse oggi che mi fece salire davanti a lui, le gambe una di qua e l’altra di là del serbatoio – nessun pericolo di toccare i cilindri con i piedi, non ci arrivavo – e mi infilò il casco, un vecchio jet Nolan giallo che vent’anni prima aveva indossato mamma, nelle loro vacanze in moto per tutta Europa, e che da pochissimo tempo usavo anche io ogni volta che facevo un giretto sulla minimoto che papà mi aveva appena regalato.

Mani sul manubrio… e andiamo, non scorderò mai il sorriso che feci, l’aria sul viso, la pura e semplice felicità di muovermi in groppa a questa motocicletta enorme, lucida, possente, che mi pareva di guidare anche se ovviamente lo stava facendo papà.

Percorremmo via Benedetto Croce avanti e indietro come in una marcia trionfale, accompagnati dal rombo regolare del grosso motore, ed in quel momento assaggiai la speciale libertà che solo una moto può dare, e fu in quel momento che diventai non dico Guzzista, ma sicuramente certo al cento per cento che non avrei mai e poi mai rinunciato a quella moto, che un giorno l’avrei guidata davvero e che mi avrebbe tenuto compagnia per sempre.

A pensarci bene, io di Guzzisti ne conosco pochi. C’è Roberto, ovviamente, e tutta la sua famiglia, che lo sono da generazioni. Poi c’è papà Fabrizio, uno dei motociclisti più completi che io abbia conosciuto.

Con un nonno e un padre macchinisti ferrovieri a partire dalla fine dell’Ottocento, uno zio meccanico di idrovolanti e bombardieri ed un fratello ufficiale di macchina sulla Vespucci e sulla Raffaello, era più che naturale che anche papà avesse la passione per i motori. Cominciò a sedici anni, con una MV 125, ed ebbe poco meno di quaranta moto, di tutti i tipi: da quelle della guerra alle prime giapponesi, da pista e da cross, veramente di tutto. La sua prima Guzzi fu una Airone 250, della quale ricordava che “la notte, si arroventava lo scarico”, e poi fu il turno di una V7 Special, con la quale compì il suo primo viaggio: a nonna disse che sarebbe andato a Rimini, e le telefonò quando giunse a destinazione. Solo che anziché a Rimini era andato ad Anversa!

La Special ed i viaggi in moto gli piacquero talmente tanto, ed in quegli anni l’influenza del film Easy Rider era tanto forte, che appena uscì la 850 GT California decise che doveva averla. Anche perché lui sognava una Harley Electra Glide, ma quella ogni mese aumentava di prezzo, e così alla fine scelse la Guzzi.

La pagò in contanti, col provento dei quadri che dipingeva. E nonno dovette intervenire con la Moto Guzzi perché il concessionario voleva che i tubetti paraginocchia fossero pagati a parte, 500 Lire l’uno, quando papà aveva pagato sull’unghia un milione e cinquecento mila Lire (equivalenti a tre Fiat Cinquecento) per una moto che, nella foto del catalogo, quei tubetti li aveva di serie. Storie d’altri tempi.

Come d’altri tempi fu la lunghissima serie di viaggi che, a bordo di quella Moto Guzzi instancabile, papà fece in tutta Europa, a volte con degli amici ma molto più spesso con mamma Ada, la quale a volte guidava pure, portandosi dietro una tenda canadese ed il sacco a pelo, legati sopra un enorme baule che si era autocostruito.

Il primo viaggio fu ad Istanbul, in compagnia di una seconda V7, e poi in Portogallo e Spagna, in Francia, Germania e Svizzera, oltre la cortina di ferro (dove i miei caddero e li soccorse un gruppo di motociclisti di Verona, tutti infermieri!), in Romania, dove un ufficiale di frontiera accettò una penna Bic come tangente, in Grecia, dove un altissimo pastore gli offrì da bere e papà disse ai suoi amici “…e se fosse sonnifero e quello torna e ci ammazza?”, riuscendo così a dormire mentre loro si tenevano svegli a vicenda, facendo la guardia, in Olanda a trovare zio Orlando, e quella volta, tornando, fecero L’Aia-Vercelli in giornata e sotto l’acqua, e se non era amore quello…!

Mamma non mi ha detto niente, ma mi sono fatto dei conti e sospetto che mi concepirono mentre erano in vacanza a Sarajevo – ci erano andati con la moto, logicamente. E gli imprevisti? Una volta tornarono a casa con la cinghia della dinamo sostituita da una calza di mamma. E un’altra volta rientrarono con un cilindro solo. E una terza dovettero caricare la moto sull’Orient Express.

Insomma, non a caso il concessionario da cui papà comprò la moto gli chiese se potesse esporla ad un Salone, davanti ad una bella mappa di tutti i posti visitati in così poco tempo.

In effetti, quando nacqui io, la moto aveva 13 anni e circa 250.000 km. Dopodiché venne utilizzata molto meno, ed in campeggio ci andavamo con la macchina ed il carrello-tenda. Passati qualche anno ed un sacco di motorini e motorette, quando ebbi l’età giusta arrivò la Florida 350 ed arrivarono i giri insieme a papà, a bordo delle nostre Moto Guzzi.

A volte gli facevo da passeggero: il sabato, dopo pranzo, avevamo preso l’abitudine di andare a prendere io una Coca-Cola, e lui un gelato all’amarena, al bar in fondo a Corso Carlo Alberto, prima di salire verso il Duomo e passare una mezz’ora a guardare le navi che manovravano nel porto.

E gli feci da passeggero quel giorno di Giugno in cui prendemmo la moto per andare a fare i caroselli in città, per festeggiare la promozione dell’Ancona in serie B. Quella fu l’ultima volta che papà poté guidare la sua moto: nella notte venne colpito da un ictus che lo lasciò semi paralizzato, e la moto rimase in garage, inutilizzata, per i successivi tre anni.

Come mi è capitato di raccontare in un articolo pubblicato su Bicilindrica, quando decisi di far resuscitare la California non dovetti far altro che cambiarle l’olio e la batteria. Una leggera pressione sul bottone dell’avviamento ed ecco che il motore tornò a rombare, dopo neanche mezzo giro. Ricordo perfettamente le emozioni che provai quel giorno, quando guidai per la prima volta la motocicletta che era stata di papà, e con la quale avevo già un legame così profondo. Era grande, mastodontica, pesante, rassicurante.

E sentivo che aveva una gran voglia di riprendere un discorso interrotto a metà. Seduto a cavalcioni su quella sella confortevole, col motore al minimo che rombando faceva vibrare tutta la moto, era come se la moto mi stesse valutando: sarai all’altezza del mio amico Fabrizio? si chiedeva, pensando a papà che l’aveva guidata per tutta la sua vita. Hai voglia di fare tanta strada insieme? mi stava domandando. Perché lei non aveva mica voglia di andare in pensione, il rombo regolare del motore me lo stava dicendo chiaramente!

Ci bastarono i primi due metri fatti insieme per capirci, e a me bastarono per scoprire che quella moto mi piaceva infinitamente, più di qualsiasi altra avessi mai guidato, e mi piace ancora più di qualsiasi altra abbia mai guidato da quel giorno del 2011. Si guida benissimo: bilanciata, docile ai comandi, richiede una guida decisa e dura ma la ripaga con una stabilità ed un comfort di marcia assolutamente eccezionali, peraltro sconosciuti ad alcune delle moto moderne che mi è capitato di avere.

Cominciammo così la nostra storia insieme. Una storia dalle mille sfaccettature, durante la quale non sempre usai la California col riguardo che l’età ed il lignaggio impongono: infatti l’ho anche usata per portare le cassette del pesce, o la legna. Ma sono anche questi piccoli episodi irriverenti che irrobustiscono e rafforzano la relazione, e la mia moto divenne ben presto la più ammirata del porto, dove lavoravo già da un po’ e dove ancora oggi riscuote commenti ammirati.

Sì, perché io la mia California la uso per andare al lavoro tutti i giorni. A dispetto degli oltre cinquant’anni, si lascia usare anche come moto da pendolare: sole, caldo, pioggia, freddo, nebbia, si prende di tutto. E il finesettimana, via! a fare qualche bel giretto nelle mie strade preferite tra le Marche e l’Umbria. Del resto, con un pieno percorre poco meno di 500 chilometri, e riesce ancora a spingersi a 185 km/h, da brava granturismo d’epoca: è veramente un’ottima moto polivalente, e solo quando lavoravo in nave le ho concesso un po’ di riposo, giusto perché dovevo starle lontano per tanti mesi.

La nostra convivenza, però, non è fatta solo di questa quotidianità. Capitano anche degli eventi un po’ fuori dall’ordinario.

Per esempio, grazie a lei ho potuto conoscere meglio quel gran maestro della meccanica che è il già citato Roberto Freddi, dell’officina Primo Moretti di Macerata. Roberto ha preso a cuore la mia moto, che del resto non ha mai dato problemi, ed ho l’abitudine di portargliela ogni anno per una controllatina. Col tempo è nata una buona amicizia, tanto che ho avuto anche modo di parcheggiare la California nel box di Misano occupato dal team di Roberto, quella volta che vinsero il titolo nazionale endurance.

Sempre a Misano, con la California facemmo un simbolico giro di pista in ricordo di Marco Simoncelli; e poi, l’8 Agosto 2016, il contachilometri girò superando i 300.000 km.

Ora devo aprire una piccola, ma doverosa parentesi. Ho già detto che, quando nacqui, la moto aveva circa 250.000 km: papà mi diceva sempre che il contachilometri aveva “girato due volte”, prima di rompersi. Da che ho memoria, è rimasto rotto fino al 2000, quando papà fece ricromare alcuni particolari e, con l’occasione, fece anche riparare lo strumento. Nel 2008, quando mio malgrado ereditai la moto (avrei preferito farlo in una circostanza diversa), esso segnava 276.500 km. Pochissimo tempo dopo si ruppe un qualche ingranaggio all’interno del contachilometri, e su consiglio di Roberto lo mandai a riparare presso uno specialista, al quale feci aggiornare il totale a 290.000.

Non penso di aver esagerato, facendo aggiungere questi 13.500 km, anzi, penso di essermi comunque tenuto basso. Infatti, se dal 2000 al 2008 papà aveva percorso circa 26.500 km, cioè 3.300 circa all’anno, potrà ben averne percorsi almeno 13.500 dal 1986, anno in cui nacqui, al 2000, anno in cui riparò il contachilometri: non sono neanche 1.000 km l’anno.

Questi conti cervellotici mi servono per introdurre un altro episodio che mi piace ricordare: cioè quando la moto fu protagonista di un servizio di Motoclassiche. Fu un’esperienza molto divertente: venni contattato da Alberto Pasi, grandissimo appassionato di moto, in particolare di Triumph, che aveva letto non so dove dell’esistenza di questa vecchia moto piuttosto chilometrata.

Organizzò un servizio fotografico col bravissimo Alvaro Deprit (non mi stancherò mai di vantarmi del fatto che mi ha fatto le foto lo stesso fotografo che ha lavorato per Playboy) e passammo un pomeriggio piacevolissimo a fare avanti e indietro sul Monte Conero, accompagnati da mamma Ada, lungo le strade che conosco benissimo per aver abitato proprio lì a due passi fino a pochi anni fa: per un sacco di tempo sono state il mio “circuito” personale, e quel giorno mi divertii davvero tanto a fare le pieghe a favore di fotocamera. All’epoca, la moto aveva già 340.000 km.

In verità la California di mamma e papà apparve anche su altre riviste: alcune volte sul rimpianto Motociclismo d’Epoca, e poi su InMoto, dove mi pubblicarono un articolo che parlava di un raduno a cui avevo partecipato. Raduno tra i più importanti della mia vita.

Era un periodo che facevo esperienze motociclistiche di tutti i tipi: provavo qualsiasi genere di moto, andavo a vedere tutti i tipi di gare, vedevo un incontro che mi incuriosiva e ci partecipavo. Tutto questo perché poi avevo piacere di scriverne alle riviste, per esplorare in tutte le sue sfaccettature questo mondo vivace che è il motociclismo.

Quella volta scelsi di andare a Melano, questo paesino mai sentito nei pressi di Fabriano. Inforcai la Guzzona e dopo un po’ arrivai a destinazione. E, non appena entrai nel campetto da calcio che fungeva da sede del raduno, la mia attenzione fu attirata dalla ragazza più bella che avessi mai visto. Che, combinazione, era l’organizzatrice del raduno.

Si chiamava Nicia ed oggi, otto anni dopo, è mia moglie.

E sì, ci siamo andati a sposare con la moto!

Che festa, quel giorno! I parenti e gli amici più stretti, la California tutta tirata a lucido, infiocchettata di bianco davanti e dietro. Perché non era solo la moto con cui ci siamo conosciuti. Non era solo la moto con cui mamma e papà hanno esplorato mezza Europa e sulla quale hanno condiviso tanto. Non era, come dice Vale, solo un pezzo di ferro.

Quel giorno, sulla California tirata a lucido e infiocchettata, c’era papà, che ci accompagnava a sposarci. Non ha mai avuto modo di conoscere Nicia, ma sono sicuro che gli sarebbe piaciuta tantissimo. Intanto perché è una compagna, e poi dai, una ragazza che organizza i motoraduni, ma che figa è?! E che continua a venire in moto con me nonostante siamo pure cascati su una invisibile e bastardissima macchia di gasolio… nonostante le abbia squagliato mezzo casco sulla marmitta della Bandit!

Una motociclista vera: certo, che gli sarebbe piaciuta!

All’inizio di questo racconto ti ho chiesto se ti fermi mai a pensare ai sentimenti che si porta dietro una moto, quando la vedi parcheggiata.

Se vedi parcheggiata la mia, non te la prendere troppo se appare sporca, se le cromature in qualche punto sono saltate, se una borsa è diversa dall’altra. Quelli, sono solo oggetti, particolari, inezie, quisquilie. È solo la superficie, il corpo, l’involucro esteriore.

Vai più a fondo, pensa alla vita che è passata sopra quella moto, pensa a mio papà da giovane coi baffoni e il gilet di pelle, a mia mamma, bellissima con i capelli lunghi e i jeans, pensa ai Paesi che ha visto e che ora non esistono più, pensa a quanta strada ha illuminato quel faro, a quanta se ne è lasciata dietro il cono di luce rossa del posteriore, pensa al freddo che ha preso, all’acqua ed ai moscerini spiaccicati, pensa alle cadute, ai guasti e ai riavvii, pensa all’amore di un figlio per i suoi genitori, al dispiacere di aver perso suo padre, alla gioia di aver trovato la compagna di tutta una vita ad un motoraduno in un paesino tra i monti.

La mia moto è la mia, epperò non è solo la mia.

Perché se, come dice Vale, le moto hanno un’anima, la mia moto porta dentro di sé, sopra di sé, tutto intorno a sé tantissime anime.

Porta innanzitutto quella di chi l’ha progettata. Poi porta quella di chi l’ha costruita. Poi porta quella di chi l’ha venduta, il concessionario che voleva far pagare 500 Lire i tubi paraginocchia. Poi porta quella di chi l’ha comprata, il ragazzo che diceva “la moto è libertà”, e porta quella della donna che con lui ha condiviso tanto amore e tanta vita, sua moglie. Porta quelle dei meccanici che l’hanno riparata e porta quella del maestro che la tiene in regola controllandola una volta l’anno. Poi porta la mia, e quella di mia moglie.

Questa Moto Guzzi California, che dal 1973 continua orgogliosamente a nutrirsi di benzina e asfalto, è impregnata di tutte queste anime.

Perché io posso anche pensare di non essere Guzzista, ma sono sicuro al centodieci per cento che la mia moto ha un’anima grossa così.

Come sono diventato Guzzista: Andrea Manzotti

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By Andrea “Beef” Manzotti
 
Il “Guzzismo” può essere considerata una malattia ereditaria, insita nel DNA di una persona? Oppure una malattia infettiva ad alta carica virulenta?
Secondo me sì…e la dimostrazione è data dalla storia della mia famiglia, di mio padre e dei suoi due fratelli, perché per parlare di come sono diventato “GUZZISTA” è necessario partire dall’inizio, da una storia che già conoscete.
 
Classe 1923, mio padre è il secondo di sei figli, nasce in seno ad una famiglia contadina, con un padre (mio nonno) invalido della Grande Guerra: il pane non manca mai, ma la vita dei campi è dura, le bocche da sfamare tante e si vive – e si acquista – lo stretto necessario, spesso tramite il baratto.
 
In famiglia, la prima Guzzi arriva per motivi di lavoro: mio zio Antonio, primogenito e di 2 anni più grande di mio padre, abbandonata una possibile carriera ecclesiastica, si butta nel commercio, apre un piccolo negozio di generi alimentari e per il traporto della merce acquista un motocarro 500 Ercole.
 
Come l’Ercole, anche la seconda Guzzi – un Galletto – arriva per motivi di lavoro: mio zio Carlo (12 anni più piccolo di mio padre), che come tecnico si occupa della manutenzione delle linee telefoniche, lo utilizza per spostarsi all’interno della provincia di Ancona.
 
In realtà, gli spetterebbe un più umile Zigolo da utilizzare per il lavoro, il Galletto è riservato ai capo-squadra, ma lui se lo guadagna sul campo: non solo è il più bravo alla guida fra tutti i colleghi e impara agli altri come va portato, ma oltre a fargli la manutenzione, lo modifica con soluzioni ingegnose (per il trasporto di attrezzi e ricambi) che vengono approvate dai suoi superiori.
 
E mio padre? Sulla carta sembrerebbe un vespista convinto perché, dopo aver fatto le scuole di avviamento professionale e aver iniziato a lavorare a 16 anni, fa carriera, guadagna bene e acquista in successione ben 3 Vespe…ma non è così, perché ha il marchio lariano impresso nel suo DNA e il “SACRO FUOCO GUZZISTA” brucia dentro di lui facendone un insospettabile ed inconsapevole guzzista.
 
Ricordo che ogni qualvolta pronunciava il nome “…Moto Guzzi…”, lo faceva seguire da una piccola pausa quasi a voler sottolineare la sacralità del marchio.

Ricordo che parlando di una gara [i]endurance[/i] amatoriale a cui partecipò in sella alla sua Vespa 125 nel 1958 o forse nel 1959, parlando di un collega che correva nella categoria motoleggere, disse “…Gualtiero gareggiava in sella alla sua Guzzi…eehh…in fatto di moto aveva il meglio…”

Ricordo che quando gli dissi che mia sorella si era comprata la moto (una Breva 750), si arrabbiò molto dicendo che buttava i soldi, per poi commentare “…aaah, una Guzzi…vi sarà costata un occhio della testa…però è una Guzzi…”, una volta saputo che l’acquisto era una bicilindrica lariana.

Ma, in particolare, ricordo quando io comprai (usata) la verdelegnano

(Io) – …ho cambiato la moto…
(Lui) – …hai cambiato la moto?…quella che avevi non andava bene?…cosa hai comprato?…
(Io) – …vieni a vederla, è in garage…
(Lui) – …tutti ‘sti soldi buttati…ma te guarda se è il caso di spendere i soldi così…c’era bisogno di una moto nuova?
(Io) – …ECCOLA…E’ QUESTA…
(Lui) – …ah…ma è una MOTO GUZZI…
 
(una lunga pausa, poi la voce via via più roca, come rotta dalla commozione)
 
– …questa ti sarà costata una fortuna…E’ UNA GUZZI…
(Io) – …no papà…l’ho comprata usata e quindi non l’ho pagata tantissimo…

Dopo tanti anni, per la prima volta, vidi nel suo sguardo quell’orgoglio che un padre prova per il figlio quando questo fa qualcosa di grande e per lui, vespista convinto che in cuor suo aveva sempre “venerato” il marchio lariano, acquistando la V11 Sport avevo fatto qualcosa di VERAMENTE grande.

Quindi…come non posso amare la Moto Guzzi, un marchio, una moto, che ha compiuto il miracolo di rendere mio padre orgoglioso di me?
 
Poi i nomi, forse all’epoca molto comuni, mio padre Giuseppe e mio zio Carlo, che ricordano altri due fratelli più famosi sulle sponde del Lario…con zio Carlo, tecnico sopraffino, in grado di riparare un po’ tutto, responsabile della manutenzione di tutte le auto di famiglia e artefice di vere e proprie “invenzioni” (lui così le chiamava) per risolvere problemi di tutti i giorni.
 
Un esempio? La sveglia meccanica, collegata ad un motorino elettrico, che nelle notti estive, faceva chiudere la persiana alle 3 in punto per evitare che l’alba lo svegliasse dal sonno.
 
E siamo giunti a me.
 
Io non mi definirei un guzzista tourt court, non capisco nulla di meccanica, non so effettuare nessun lavoro meccanico, sono negato per qualsivoglia lavoro manuale ed è già molto se so qual è il tappo del serbatoio benzina e il tappo del serbatoio dell’olio.
 
Non ho percorso centinaia di migliaia di chilometri in sella ad una (o più) Guzzi, ho avuto moto di altri marchi e sono affascinato ANCHE da altre moto.
 
Ma il proprio DNA non mente: per colpa di mio padre, quando ero ragazzino ero convinto che le storie legate alle Guzzi, che ogni tanto raccontava, fossero delle favole e che Mandello del Lario – questo paese adagiato sulle sponde di un lago – in realtà non esistesse, come l’epica Camelot.
 
Ricordo che quando, in compagnia di mia sorella, nel 2002 giunsi per la prima volta davanti alla grande carraia rossa dove campeggia un’aquila d’argento dalle ali spiegate, rimasi imbambolato per quasi un quarto d’ora a guardarla…e quando, di straforo, in una solitaria domenica pomeriggio un giovane ragazzo addetto alla sorveglianza ci fece fare il giro della fabbrica, ero talmente emozionato che non scattai neanche una foto delle linee produttive, nonostante la macchina fotografica al collo.
 
La prova provata di essere affetto da “GUZZISMO” è però legata all’acquisto, nel 2023, della Breva 850: nel momento stesso in cui chiusi l’affare con l’ex proprietario, ricordo che il primo pensiero che mi venne in mente fu che i guzzisti sono – per definizione – degli accumulatori seriali di Guzzi e che io, chiuso l’acquisto, ero già alla numero due.
 
E mentre scrivo queste righe, mi accorgo che oggi sono 20 anni esatti che mio padre non c’è più…ma forse, in realtà, non mi ha mai lasciato e anche questa storia, come altre, l’ha scritta lui.
 

Come sono diventato Guzzista: Antonio Bruni

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By Antonio “Bicilinder”

Ma cosa ci facevo, verso la metà degli ottanta, poco più che vent’enne, con la mano sulla fronte per ripararmi dai riflessi della luce, appoggiato ad una vetrina di un negozio che vendeva moto in Milano? Era nella zona dove si teneva un tempo la fiera di Sinigallia … ma non ero lì per caso. Non ricordo, non riesco proprio a ricordare, quale evento, quale apparizione o esperienza o cos’altro, mi spinse a cercare negli annunci del settimanale “Secondamano”, una Moto Guzzi California 2. Ne trovai una proprio lì, vicino a quel mercato di vecchie cose che già da tempo frequentavo. Era esposta in primo piano, bianca, bellissima.
E’ una cosa piuttosto strana perché le mie radici motociclistiche erano di ben altro genere.
Verso la metà degli anni settanta, mio cugino, circa ventenne all’epoca ovvero col doppio dei miei anni, aveva messo in piedi, in una cascina del sud milanese nella quale vivevamo, quello che oggi mi verrebbe da chiamare un “circolo culturale”. Tutti i fine settimana si trovavano in una quindicina nella “Rimessa” dell’azienda agricola, fra un trattore e l’altro, spesso con morose la seguito, a smontare, rimontare, modificare, elaborare e testare nei campi e nelle sterrate, le loro motociclette. Si trattava esclusivamente di moto non stradali. Il termine “enduro” non era ancora stato coniato. Parliamo di moto da cross e da regolarità.
Erano tempi nei quali il “GS” era un KTM, rosso, blu o bianco. C’erano poi i Maico, le Moto Villa, le Gilera Elmeca e i Fantic. Un tale aveva addirittura una Zundapp 125 da regolarità. Me ne stavo lì a guardare i “grandi” alle prese con le loro moto. A volte penso che il fumo di miscela che ho respirato in quel luogo, per me affascinante, ancora adesso mi annebbi i pensieri e mi fa comodo pensare, quando ragiono col c…, quando ragiono poco, che in parte non sia colpa mia ma una conseguenza di tutta la nebbia che si è evidentemente depositata ai tempi attorno al mio permeabile cervello.
Ad ogni modo, era difficile per me “vedere” una moto che non avesse i tasselli sulle gomme o che fosse dotata di frecce. Solo mezzi trasgressivi, randagi.
Proprio in considerazione di ciò, trovo ancora oggi difficilmente spiegabile come possa, non molti anni dopo tutto sommato, essere stato attratto dal “California”.
Veniamo così ad una precisazione: io non sono Guzzista ovvero non lo sono nel senso che non ho mai provato un amore viscerale per il marchio tout court. Non fosse per Lei, evidentemente “randagia” ai miei occhi, non sarei Guzzista.
E non è l’unica Guzzi che mi piace sia chiaro. Considero ad esempio il V11 la Guzzi più bella.
Sta di fatto che, qualunque cosa fosse, gli stessi stimoli, li provai anni dopo per la 1100 che poi presi. Si, parecchi anni dopo: quella bianca nella vetrina rimase un sogno. Da un lato costava parecchio, dall’altro, soprattutto, quella inspiegabile attrazione era contrastata da quelle mie origini motociclistiche che mi portavano ad identificare in una enduro anni ’80 la più naturale o forse “comoda” evoluzione.
Il seme però non morì. Rimase latente e quando le “condizioni ambientali” lo permisero, germogliò rigoglioso.
Nel lontano 2010, nel mio messaggio di presentazione in questa bella Comunità, con queste parole spiegavo la mia scelta. A distanza di anni e quasi 180milakm percorsi, riconfermo tutto:

“…Perchè Guzzi California? Perchè le altre moto arrivano passano e se ne vanno, lei resta. Perchè può essere la moto della vita, o ti piace o non ti piace. Se ti piace ti piacerà per sempre. Perchè a mio avviso è uno stile di vita. Fuori dalle convenzioni, dalle mode. E’ una custom ma non di quelle per andare al bar e basta. E’ turismo. Non è un purosangue dello
0-100, è un mulo, una compagna di viaggio…”

Ciò che invece non avrei mai potuto immaginare è che grazie a questa moto sarei entrato a far parte di un bellissimo gruppo di motociclisti appassionati, quelli di “Anima Guzzista”.
Senza di lei mi sarei perso un pezzo di vita importante.

 

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