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Un piccolo miracolo

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AnimaGuzzista Racconti Un piccolo miracolo

di Beniamino Vigo

 

Beh gente, non mi sembra vero, e’ giunto il momento di rinforcare la mia V11.

In officina hanno terminato l’opera e non é stata impresa da poco: si trattava non solo di sostituire un buon numero di parti, ma di rimettere a punto una moto resa inutilizzabile da un furto che non ha fatto molta strada ma ha lasciato tracce di dispetto. Per fortuna la stagione si presta a questo genere di opere: per prima cosa la diagnosi sul corpo leso, e quando l’Ercole ha detto “si può fare”, quell’aspettativa ancora incerta ha trovato solida consistenza.

Quindi via con le parti nuove, tra cui pneumatici e sella (tagliati), monodisco frizione (bruciata), disco freno posteriore (abraso fino alla ruggine), manubrio e leva di destra (piegati), batteria, più una serie di altri dettagli (frecce, kit chiavi, manicotto aspirazione ecc ecc…), poi la messa a punto: dalla messa in asse della base di sterzo all’aggiornamento (in garanzia) e pulizia del cambio, a tutte le opere previste per il tagliando dei 10.000, e come tocco conclusivo riverniciatura , sempre in garanzia, del motore previa rimozione degli strati precedenti. Meno male che la parte termica e la ciclistica sono rimaste sane. Quattordici ore di mano d’opera (per fortuna in parte riconosciute dalla Casa) credo dicano tutto.

Il risultato é sotto gli occhi: una moto riportata completamente al nuovo e già questo, da fermo, sembra incredibile. Dopo aver ritrovato a quattro mesi dal furto la mia “piccola” 1.100 ormai data per persa, dopo che l’avevo cercata con annunci su riviste dell’usato e siti internet di “colleghi” guzzisti sparsi per il mondo, dopo che infine mi ero “ridotto” all’acquisto di una pur bella ed efficace quattro cilindri giapponese, più economica e comunque emozionante (ammettiamolo, non é un peccato!), ma senza quella unicità che rende la guida di una moto un’esperienza ancora speciale dopo tanti anni, quella che, a proposito della V11 e delle Guzzi, un giornalista americano del settore letto non so più dove aveva definito una “experience apart”.

I due Maffezzini hanno davvero fatto più di quanto ragionevolmente mi attendessi, si vede che sono “coinvolti” nel loro lavoro, ma giustamente mi invitano a provare con mano quanta sostanza ci sia dietro a quell’apparenza che già rischia di incantarmi.

Confesso di avere un certo timore: dopo aver provato l’altra moto, una sedici valvole “depotenziata” (bontà loro!…) per renderla cattiva anche in basso, ed averci fatto l’appennino in lungo e in largo la scorsa estate divertendomi non poco, cosa potrà mai darmi la “semplice” bicilindrica? O non l’avrò rimessa a punto solo per calcolo, per rivenderla appena possibile?

Non credo di essere facile all’affezione per gli oggetti, e per le moto in particolare come ben sanno gli amici che mi conoscono, e per quanto questa non fosse la mia prima Guzzi, e mi fosse cresciuta dentro forse anche nell’assenza, davvero non mi aspettavo che bastasse accenderla e risentire quello scuotimento di traverso che già in “folle” trasmette solidità e lascia pregustare la potenzialità del motore per provare di nuovo la naturalezza di quei gesti familiari. Poi l’esperienza dinamica: la presa dei mezzi manubri, la ciclistica e le forcelle che trasmettono la giusta sensibilità dell’asfalto, la buona proporzione ergonomica, la sensazione di avere solo poche decine di centimetri di serbatoio lì davanti tra la tua faccia e il vento. Molto bene, ora il peso del motore é diventato possanza con un breve angolo di rotazione del gas, ma fin qui anche altri potrebbero cimentarsi con successo, adesso viene il meglio: il cambio snocciola le marce una dopo l’altra come si trattasse di ingranaggi in un orologio, la frizione stacca con una rapidità che all’inizio mi spiazza un po’, mi ero dimenticato la sua immediatezza, ma presa la giusta mano diventa una qualità cui è difficile rinunciare, e ha acquistato nella revisione una dolcezza che non le conoscevo. Anche la trasmissione è molto diretta, ma la possibilità di giocare con un acceleratore sensibile e di sfruttare i giri fino al minimo permettono di gustarne quasi la dinamica dalla coppia conica alla ruota.

In breve trovo il giusto ritmo tra accelerazioni, scalate e spazi di frenata e la piena intesa con il motore: l’alternanza del moto lineare dei pistoni con l’aumentare dei giri sembra fondersi in un corpo unico, un movimento “rotondo” tutto incentrato sull’albero motore, l’incremento segue la regola della corsa lunga, e dosando il polso sento la progressione della risposta.

Ecco il ritrovato senso della moto: non solo una sensazione il più possibile diretta del movimento di un corpo nello spazio, ma quella presenza del motore che davvero rende ogni moto unica e a sé stante, e te ne fa sentire una più di tutte le altre affine.

E’ una settimana che é successo il piccolo miracolo e nonostante la stagione inclemente davvero non riesco a togliermi di dosso un sorriso quando penso di poter nuovamente godere la pulsatilità di un mezzo meccanico del quale riesco quasi a seguire l’effetto di ogni gesto che compio.

Credo di dover davvero ringraziare non solo la professionalità e la passione dei miei meccanici nonché concessionari di fiducia, ma di dover ringraziare la Moto Guzzi che ha reso tale passione un fatto di cultura vivo e comunicabile.

Beniamino Vigo

Attenti a quei due!!

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di Giuseppe Cavalieri

 

Vallellunga (RM) 2 novembre 2002.

Ore 9: appuntamento davanti casa mia. Carichiamo le moto poi si parte, destinazione Vallelunga.

 

Arriviamo verso le 10, il cielo é nuvoloso. Ci ritroviamo tutti a fare scongiuri, speriamo bene.

Ore 11,30: siamo al cancello, ci gustiamo i soliti sguardi del tipo: “anvedi questi, ma ndo vanno!” ecc. In effetti in mezzo al fior fiore delle sportive giapponesi e ducati varie, siamo un’eccezione, ma a volte le apparenze ingannano!

Ore 11,35: si balla! I primi giri sono di riscaldamento e di assuefazione alla nuova configurazione di Vallellunga. In pratica adesso senza la prima variante, dopo il rettilineo dei box viene una S velocissima che noi con le Guzzi facciamo in quinta piena, le Jap no; molti addirittura frenano di brutto. In effetti ci rendiamo subito conto che il livello é bassino e dopo pochi giri ci ritroviamo a fare i fenomeni, perché a parte quei pochi che il gas lo davano davvero, il resto subisce l’onta del sorpasso da parte dei nostri ferracci.

Dopo 4 o 5 giri vengo passato da Claudio (CP) all’uscita della curva Roma e per un paio di giri mi gusto la sua particolarissima guida, un pò meno il malcapitato pilota di un VTR che si é visto passare un pò rudemente all’esterno della curva Trincea.

Io mi ingarello con una R6 per parecchi giri fino a un contatto alla curva Esse dove resto in piedi per miracolo e comunque davanti. Ad ogni modo il divertimento é pure quello.

Alla fine dei turni ci scambiamo le nostre impressioni sulle moto e sulla pista. Le moto vanno da Dio per quanto riguarda la parte ciclistica e Claudio é abbastanza soddisfatto anche del motore, purtroppo per me il mio di motore non é assolutamente all’altezza del resto (temo che dovremo aprirlo) e anche la forcella ha pensato bene di crearmi parecchi problemi.

Infine vorrei rivolgere un invito agli amici con i 1100 sport, V11, Daytona e Centauro: fatevi vedere di più alle prove libere!!!

Ore 17,30: ricarichiamo le moto, si torna a casa. Mille di questi giorni!

Da Vallelunga Claudio (CiPì) e Peppe (Mandrake)

In pista a Misano

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di Luca Formenti

 

“Una splendida giornata,
quante sensazioni, quali emozioni,
poi alla fine ti travolgerà”

Scrivendo questi versi, Vasco Rossi aveva forse fatto un giro a Misano, in terra d’Emilia, patria del mutür.
E aveva ragione: una giornata in pista non può che travolgere la passione motociclistica di qualsiasi centauro e marcarla in modo indelebile.
La mia giornata da pilota comincia il venerdì, quando “il Maestro” (Firmino Gulmini, storico meccanico Guzzi e Ducati di Cinisello Balsamo, Milano) mi avvisa che la Ducati ha prenotato la pista romagnola, per far di provare le proprie supersportive in circuito (998 e 999, mica pane e fichi!) e far girare i privati con le proprie moto. In contatto con i ragazzi dello Store Ducati Verona e Mantova, grazie a Daria, prenotiamo un posto per il sottoscritto, pilota e reporter di questo avvenimento.

L’appuntamento è per lunedì 30 settembre, presso il circuito Santamonica, anonima frazione di Misano Adriatico. A parte viene descritto il profilo del tracciato e un giro di pista in sella alle due moto che avevo a disposizione: “la Gialla” e “la Verde”, nelle foto.

 

UN GIRO DI PISTA
In 2° la prima curva a destra, poi si apre completamente e in 3° si affronta la seconda curva a destra per poi frenare bruscamente e in 2° percorrere il tornante sinistrorso, in seguito si affrontano le 3 curve del carro, prima in 2° e poi in 3°, aprendo completamente la manetta dopo la seconda curva del carro, sul rettilineo si mette la 4° e si raggiunge la velocità più alta del tracciato (a occhio 210-220 km/h), si inchioda per entrare in 2° nel tornante sinistrorso e poi in 3° si percorre l’ampia curva a destra e si rimette la 2° marcia per percorrere la stretta curva a destra e in salita che porta alla variante affrontata sempre in 2°, si mette poi la 3° e si scala nuovamente in 2° per affrontare l’ultimo tornante e si tira la 2° appoggiando per poco tempo la 3° per affrontare ancora in 2° marcia l’ultima variante prima del rettifilo di arrivo, su cui si scaricano 2° e 3° e si usa per poco tempo la 4°.

L’eccitazione dell’attesa viene interrotta dai soliti imprevisti dell’ultimo momento: una moto che all’inizio non voleva accendersi e una piccola perdita d’olio. Entrambe le moto hanno subìto importanti interventi al motore, come la ricostruzione di un pistone o il completo assemblaggio dei gruppi termici.
Arrivati a Misano, un cielo libero da nubi scalda l’asfalto, tranquillizzando un po’ il sottoscritto, alla prima esperienza in questo contesto di guida.
Mi iscrivo, pago la quota, mi vesto e sono pronto per saltare sulla moto e fare un giro…nei paddock! Non avendo mai guidato queste moto, è meglio prenderne conoscenza in un contesto più facile rispetto alla pista.

 

 
Qualche giro e, in sella alla Gialla, mi butto nella mischia: o meglio, è la mischia che si butta su di me; mi passano tutti, ma proprio tutti, anche quelli che sono fermi ai box….
Prendo confidenza con le curve, con il tracciato e con l’asfalto, confortato dalle Michelin Sport (usate…) che dovrebbero essere ben più sincere e prevedibili delle slick montate sulla verde.
Esco e rientro con quest’ultima: accedere alla pista non è mai stato un problema per l’assenza di qualsiasi coda o di turni da rispettare; insomma, un vero paradiso per chi deve imparare o mettere mano frequentemente alla moto.
Con la verde i miei timori sulle slick si rivelano infondati: per quello che ho potuto osservare, si scaldano con la stessa rapidità delle Michelin, ma permettono angoli di piega ben più accentuati.
Un confronto tra le due moto mi permette di osservare che la gialla ha un motore più trattabile in basso, e una ciclistica più facile da gestire, grazie soprattutto al doppio giunto cardanico e al set completo di sospensioni oleopneumatiche Double System; invece la verde ha rapporti più lunghi e un motore che spinge oltre i 5000, ma ha anche una potenza ben maggiore e un telaio più “nervoso”. Probabilmente durante una gara si potrebbe andare più forte con la verde, ma la mia preferenza va alla gialla.
Per entrambe le moto, i freni dotati di pompa radiale, pinze e dischi racing permettono frenate da monoruota, anche grazie al peso ridotto dei mezzi, sui 160 kg, e del pilota….

Come detto all’inizio, la giornata era stata organizzata dalla Ducati, e a disposizione vi erano due 999 e quattro 998. Ovviamente mi sono prenotato per la prova di entrambe le moto: potendo fare solo due passaggi davanti ai box, non ho avuto il tempo di approfondire molto la conoscenza di questi fantastici mezzi.
Mi sono trovato su due vere moto da pista, che poco o nulla hanno a che vedere con l’asfalto aperto al pubblico: per intenderci, mi permettevano la stessa impostazione di guida che avevo con la gialla e la verde (ovvero moto dedicate unicamente ai circuiti), eppure avevano il portatarga, le frecce e lo scotch telato sui fari…..
Il 998 oltre che bellissima, ha un certa durezza nelle 2 chicane, ma la stabilità aprendo completamente la manetta in uscita dalla terza curva del Carro è eccezionale.
Il 999 aveva un grosso difetto: le moto disponibili avevano fatto molti giri di pista e quindi le gomme erano finite. L’anteriore chiudeva lo sterzo ad ogni accenno di piega, mentre il posteriore perdeva aderenza in qualsiasi piega, senza la necessità di aprire il gas. Non è un caso se entrambe le moto sono finite per terra e la seconda è caduta col pilota che ho preceduto.
Con le moto del Maestro invece non ci sono mai stati problemi, a parte quando la verde si è spenta perché non beveva abbastanza: ovvero, la benzina era finita!!
Ho fatto un solo giro per i prati, quando in un eccesso di amor proprio ho cercato di stare dietro ad un 748 e in piega ho strisciato il piede destro per terra: lo spavento della prima grattata mi ha fatto alzare la moto e allargare inevitabilmente la traiettoria verso lidi più bucolici.

In un attimo la giornata è volta al termine, nonostante abbia fatto circa 35 giri di pista, più i 6 fatti con le Ducati.
Ormai mi sono ammalato di pista e auguro a chiunque di prendere la stessa malattia, perché non c’è nulla di più sicuro per gustarsi la propria moto in modo sportivo.
Un pensiero e un augurio va in questi giorni a Marcello e Antonella, coinvolti in un incidente al ritorno dal raduno di Mandello: conoscendo il pilota, non c’è dubbio che la colpa non possa essere sua. Quello che è successo a loro non sarebbe mai accaduto in pista e ciò mi spinge sempre più a risparmiare le mie finanze per poche, ma intense giornate in circuito.
Una piccola considerazione va anche alla produzione sportiva Guzzi. Parliamoci chiaramente: una moto sportiva non esiste più da anni. Il 1100 Sport e il Daytona non sono delle moto da pista. I mezzi del Maestro sono invece delle basi su cui una azienda seriamente intenzionata a fare una moto sportiva può costruire un modello omologato, che non potrà mai competere con le varie Jap, Ducati, Aprilia, MV, Benelli e tra poco Mondial, ma almeno permette agli appassionati della pista (e non solo del marchio, intendiamoci!) di divertirsi in circuito.
Concludendo, una giornata fantastica, abbastanza costosa, da ripetere appena il portafoglio ingrassa un po’.
Pieghe, emozioni e sicurezza impensabili su strada.
Un ringraziamento a Daria, ai simpatici ragazzi del Ducati Store di Verona e Mantova, alla Ducati e ovviamente e soprattutto al Maestro, Firmino Gulmini.

Alla prossima.

CRM Moto

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Intervista di Alberto Sala
Prefazione di Mauro Iosca
Foto di Alberto Sala e Agnese De Biasio

 

Frequento il “nord-est” (specialmente la parte al confine fra Veneto e Friuli) da molto tempo per lavoro e lo attraverso in lungo e in largo, visitando aziende e clienti che negli anni mi hanno permesso di conoscere un “popolo” (come molti di loro amano definirsi), che ad un primo approccio potrà apparire serio ed introverso, ma che col tempo e la frequentazione non “riuscirai”, ma “dovrai” necessariamente amare.
Quello che colpisce di questa gente è la basilare determinazione nel fare le cose, la mancanza di inutili sofisticazioni ed un grande rispetto per la terra, la casa, il lavoro; proprio quest’ultimo aspetto, inteso come l’operare fieramente, qualsiasi sia l’obiettivo da raggiungere è ciò che fa di loro un limpido esempio di razionalità e decoro.
Questi sono forse i connotati generici, ma non scontati che ho ritrovato anche in Sostene e Mauro i titolari della CRM concessionaria MG di Pordenone bellissima e moderna, forse anche troppo Hi-tech per le “rotondità” barocche delle infinite California che la frequentano perché moltissimi sono i guzzisti che qui hanno trovato una “base” un “approdo” un punto fermo.
Insomma Sostene e Mauro e il giovane Michele con i loro affezionati clienti e la CRM sono già “avanti”, la Moto Guzzi… arriverà.

Alberto: Come è nata la concessionaria e quando sei arrivato tu?
Sostene: La CRM nasce nel 1980, ci sono due soci e un meccanico, il meccanico era un giovane apprendista, il mio attuale Socio, (Mauro Marcuzzo). Lui ha lavorato sulle Guzzi sin da allora. La sede di allora e anche la nostra per i primi anni, era un “bugigattolo” di 150 mq, 75 di negozio al pian terreno e 75 di seminterrato per l’officina. Io e Mauro siamo subentrati alla fine del 1995.
Abbiamo lavorato lì fino all’estate del 2001, dopodiché ci siamo trasferiti nella sede attuale che ci sembrava grande rispetto a prima, ma poi vedrai anche tu che in realtà lo spazio diventa poco in fretta. Abbiamo sentito subito la differenza dell’essere posizionati su una strada con molto passaggio (e per di più vicini a un semaforo), rispetto che in una via laterale. All’inizio eravamo solo io e Mauro, poi è arrivato Michele, il ns. meccanico, prima nella stagione estiva e poi appena terminato il servizio militare, in maniera definitiva.
A. Ma da dove ti è partita l’idea di subentrare in un concessionario Moto Guzzi?
S. Mauro era già qui, era stato il loro meccanico. Era stato lui a scegliere il nome della concessionaria (Centro Riparazioni Moto) già all’epoca. Io volevo fare qualcosa con Mauro; l’idea era di gestire una stazione di servizio con officina, ma poi è comparsa questa occasione, i vecchi proprietari hanno chiesto a Mauro se voleva rilevare l’officina, lui è venuto da me e in una decina di giorni ha tramutato i miei dubbi in SI, e siamo partiti in quest’avventura, che è stata un po’ dettata da una “sana follia”, perché non siamo partiti con grosse liquidità, ed abbiamo dovuto arrangiarci con quello che c’era… in questi anni, molto probabilmente non lo avresti potuto fare.
A. Che differenza c’è come clientela da allora ad adesso?
S. Quando siamo subentrati noi, l’età media della clientela era piuttosto alta. In gamma c’era Nevada, California, 1100 Sport e Daytona, non c’era altro. Il grosso della clientela aveva Nevada e California, quindi qualche parvenza giovanile ce l’avevi con la Nevada; coi California, tranne qualche eccezione, erano quasi tutti dai 40 anni in su. Poi più avanti, col V11, un po’ si è abbassata, e con l’arrivo della Breva 750 gli abbiamo dato un altro “colpetto”; abbiamo una forbice d’età media dai 25 in su. Non abbiamo moto per ragazzi, però un po’ con il V7 Classic adesso e un po’ con la Brevina prima, abbiamo anche dei giovani centauri.

A. Quali sono i modelli che vendi di più ora? Cosa ti chiedono?
S. Io due modelli più richiesti sono Stelvio e V7 Classic, nel 2009 e nel trend attuale.

A. Mentre Griso e Breva?
S. Il Griso, rispetto a come era partito, ha un po’ rallentato, un po’ forse col “giro” di motorizzazioni, col “mescolone” che hanno fatto nel tempo, un po’ come avevano fatto col V11… spero che la lezione sia servita… se crei confusione, non crei stabilità; poi c’é la Nevada, che tiene la sua fetta di mercato, è sempre stata una moto che ha consentito di entrare nel mondo Guzzi, poi non tutti, ma una buona parte passava alle cilindrate superiori. E’ una moto da ingresso, anche se non ha un prezzo “accattivante”. Nonostante la Breva e la V7 Classic, lei la sua fetta di mercato ce l’ha sempre, anche perché ha goduto dei vari miglioramenti di quel motore… ora i problemi di vibrazioni e di carburazione che c’erano prima, non ci sono più.

A. Nel prepararmi le domande mi sono riletto alcune interviste, e già nel 2002 si parlava dell’esigenza di fare un motore nuovo, qualcosa di completamente diverso…
S. Beh, io sono abituato a vedere le cose nell’ottica del “cosa costa”, “cosa puoi vendere”, e soprattutto del momento in cui ne parli: era giusto parlarne qualche anno fa e se fosse continuata la gestione di Beggio, oggi forse quel motore ci sarebbe; col passaggio di proprietà e soprattutto con questi ultimi due anni di calo del mercato, dico: c’è stata una sorta di “pausa”, per farlo un motore nuovo in questo segmento di moto, devi essere competitivo anche nel prezzo, devi poter compensare i costi di un investimento del genere; guardando dall’altra parte, alla Shiver, forse non è così semplice. Sarei il primo a volere un 750 più prestante rispetto a quello attuale. Io sui loro progetti… non so se questa cilindrata sarà curata dopo, se sarà portata a 850… non lo so sinceramente, non ho notizie in merito; certo è che in questo momento posso anche capire che stiano a vedere che succede… bisognerebbe capire che progetti hanno loro in mano, che programmi hanno per questo segmento.

A. Che non hanno illustrato alla Convention a Montecarlo…
S. Diciamo che hanno fatto capire che c’è della carne al fuoco, forse qualcosa anche a buon livello di sviluppo, e forse è anche meglio così, che non si sappia molto. Una volta c’era qualche “collegamento”, quando si faceva tutto a Mandello. Qualcosa si riusciva a sapere. Adesso c’è altra gente che cura queste cose e non stanno a Mandello, di conseguenza sapere qualcosa è molto difficile. Io sono certo che gli investimenti nel marchio Guzzi, sono partiti e saranno anche sostanziosi, stanno lavorando sulla “serie grossa”, il segnale deve per forza partire da qui, e quindi il 750 nuovo, se verrà, verrà dopo. Questa però è la mia idea.

 

A. Trovi che sia positivo il fatto che Colaninno si sia esposto un po’ di più in prima persona rispetto a prima?
S. Secondo me è un segno di cambiamento. Non posso pensare che lui abbia fatto quelle dichiarazioni e preso certi impegni se poi non c’è niente dietro. Sarebbe pazzia allo stato puro. Non solo per la Moto Guzzi, per il mondo della moto, ma anche per il suo mondo, non è un piccolo imprenditore di paese. E’ una persona che se dice delle cose, almeno una parte le deve fare. E le deve fare bene. L’ho sentito dire davanti a dei giornalisti, e l’ho visto anche abbastanza ‘accalorato’ nel parlare di Guzzi, cosa che in passato io non l’ho mai sentito fare. Per me qualcosa di positivo ci deve essere; poi è chiaro che dobbiamo metterci tutti in testa che nel mercato moto non ci saranno più i numeri di una volta, né ci saranno per qualche anno cose mirabolanti, che poi se guardiamo anche fuori dal nostro mondo Guzzi, non è che ci sia tutto sto gran ben di Dio… la Yamaha ha fatto la nuova R1, ma quante ne vedi in giro? Stanno ancora vendendo il modello vecchio. Stanno un po’ tutti a guardare… cercando di capire in che direzione muoversi…

A. All’EICMA in termini di impatto forse è stata la Guzzi quella che ha fatto di più…
S: Sicuramente sì, è stato un “baccano mediatico” che non ci ha fatto male sicuramente; poi è chiaro che deve seguire qualcosa di reale, non solo di astratto… è la conferma che qualcosa dietro ci deve essere; Terblanche quei prototipi non li ha fatti gratis… le telecamerine lasciamole stare, ma certe soluzioni si possono applicare a nuovi modelli che nelle prossime stagioni saranno nei negozi, mi auguro!

A. OK ma tu cosa faresti? Tenendo conto della clientela che hai, di quello che magari si aspettano, che cosa dovrebbe fare la Guzzi, in termini di gamma?
S. Intanto dovrebbero fare in modo che la nuova California il prossimo anno ci sia, che sia bella e che funzioni magnificamente; su un mezzo del genere il prezzo è relativo, uno non è che può pretendere di portare a casa un 1400cc con certe caratteristiche a 10.000 euro; però che ci sia, perché la California è il fondamento della Moto Guzzi e negli ultimi anni è stata un pò abbandonata; oltre le tante cose buone che ha fatto Beggio per la Guzzi, sulla California ha combinato un casino… prima la vernice dei carter che si sollevava, poi le frizioni monodisco ed in fine le prime versioni delle punterie idrauliche …. adesso la California ha un buon mercato praticamente solo sull’usato, perchè c’è in giro da troppo tempo la voce della California nuova… la fanno, no non la fanno, la fa Ghezzi, non la fa Ghezzi… e questo ha fatto si che il mercato del “nuovo” abbia rallentato parecchio ….
Per questo, per me è importante che nel 2011 ci sia nei concessionari, così da avere la California che i Guzzisti, presenti e futuri e la Guzzi si meritano!
Pur di tenere alto il nome della California, alcuni concessionari hanno risolto i suddetti problemi a spese loro, come è stato il caso nostro: tutti i nostri clienti hanno avuto il motore smontato e riverniciato, dal primo all’ultimo senza che abbiano pagato neppure l’olio motore, indipendentemente che la vernice fosse poco o tanto sollevata. Noi sappiamo cosa ci è costato tenere alta la bandiera della California. Dopodiché, la Stelvio ora è arrivata a un buon livello; questo lo vediamo dalle richieste della clientela; speriamo che in futuro facciano anche un serbatoio un pò più adeguato in termini di autonomia; per il resto non dobbiamo guardare quello che fa BMW, abbiamo nel Gruppo Piaggio gente e attrezzature che ci possono permettere di costruire moto, ad alta tecnologia e che abbiano quel carattere, come dire ….. Moto Guzzi!

A. Guardare nel senso di copiare…
S. Sì, di andare dietro al filone loro; loro hanno determinate caratteristiche, hanno indovinato quel modello tanti anni fa, come la Ducati con la Monster; andare a sfidare dicendo “noi siamo l’antagonista” come qualcuno si è permesso di fare, non è il caso. Però adesso la moto c’è, è stata un po’ riposizionata nel prezzo, in modo che le eventuali promozioni siano un eccezione e non una regola, anche per tutelare il cliente che acquista la moto e che magari dopo due anni la vuole sostituire e non deva perdere eccessivamente sulla svalutazione della sua moto.
Stelvio, oggi è un gran bella moto!
Le prime Norge hanno avuto una serie di problemi legati più che altro alla carrozzeria, alle plastiche perché problemi meccanici – quantomeno quelle che abbiamo avuto noi – non ne hanno avuti, e ora sono stati rivisti i materiali delle carene. Certo andava fatto prima…

A. La domanda sorge spontanea…
S. Andavano fatti prima, noi abbiamo fatto per quel che era nelle nostre possibilità. Sul motore 4 valvole che verrà montato sulla Norge, (purtroppo la moto non sarà in consegna prima di qualche mese), avrà un’erogazione simile a quella della Stelvio attuale e quindi sarà piena e corposa e permetterà alla Norge di fare un salto in avanti nel comportamento globale della moto. Le piccole modifiche alla carenatura, dettate dal differente profilo dei gruppi termici, non mi dispiacciono per niente .
Sulle “piccole”… torniamo al discorso di prima, adesso abbiamo questo motore da cinquanta cavalli e dobbiamo “lavorare” con questo, se poi, fra due o tre anni ne avremo uno da una settantina di cavalli, allora saremo tutti contenti!

A. D’accordo ma secondo te, dove dovrebbero intervenire con qualcosa di nuovo? Oltre alla California?
S. C’è bisogno di rinfrescare la Breva, di fare un restyling importante, magari con un motore nuovo raffreddato a liquido che potrebbe essere in una buona fase di sviluppo, adesso è da capire in quanto tempo sarà pronto, ma comunque presentarlo solo quando sarà affidabile, e quindi ci vorrà del tempo. Posso dire che una delle cose sulle quali ha più insistito Colaninno nella Convention è la qualità: come devono uscire le moto da Mandello. E lì ha messo delle persone che secondo me, sanno già dove devono intervenire per migliorare la qualità in generale. Ha talmente calcato su questo argomento che immagino sia venuto a conoscenza di cose, di cui in passato, non era al corrente, (ad esempio assemblaggi a volte non curati bene). Ci sono segnali positivi sul voler vedere come arrivano le moto ai concessionari, nel senso che devono uscire dalla fabbrica perfette, con imballi curati, come succede da un paio d’anni, mentre prima, l’imballo era una cosa approssimativa. Su un motore nuovo, ci stanno lavorando… bisogna vedere a che livello di sviluppo è arrivato. Che prestazioni abbia, non lo sappiamo…

A. Neanche che conformazione ha?
S. Da quel che so io un bicilindrico a V, non so i gradi di apertura dei gruppi termici. Sicuramente non avrà più il cambio staccato, ecco.

A. …per farci?
S. Per farci tutta una serie di moto nuove.

A. Certo, la domanda non era tanto per carpirti qualcosa che non sappiamo, ma più per sapere tu cosa faresti. C’è un motore nuovo? Bene, lo fai per arrivare a fare quale moto?
S. Intanto c’è da capire cosa è in grado di erogare e come. Se è in grado di erogare 110-115 cavalli belli corposi, lo metto su una Breva, una nuova Breva…

A. D’accordo, ma questo non lo decidi prima, strategicamente?
S. Mah io penso che con l’aiuto dell’elettronica, da quel motore dovrebbe essere adatto sia a una turistica che a una sportiva; magari sulla sportiva non sarà una meraviglia di erogazione sotto, ma penso sarebbe da pazzi fare in questo momento, (economicamente parlando), due tipologie di motori, per cui partiamo da un motore in grado di soddisfare più esigenze.

A. Quindi si arriverà a fare anche una sportiva?
S. Quella è una cosa che manca da tempo…

A. Anche perchè se si vogliono prendere i giovani…
S. Beh con una sportiva di un certo livello prendi i giovani figli di papà, non prendi la massa dei giovani. Per prendere questi devi avere una moto entry-level, una moto dal prezzo accessibile perché una sportiva da 140-150 cavalli, inevitabilmente costa…

A. Ma non pensi che farebbe un bel baccano?
S. Sicuramente! Il problema è valutare quanto mi costa fare quel baccano, e a cosa mi porta. La moto che fa baccano va benissimo, ma poi devi avere una gamma completa e pronta… è sempre una questione di tempi. Poi… io amo le moto sportive, vedere una Guzzi correre su strada ne sarei felicissimo. Però secondo me oggi non puoi partire da una sportiva e questo vale per tutti.

A. Torniamo un po’ al “perché la Moto Guzzi”? Tu non sei partito con l’idea della Moto Guzzi… ti ci sei ritrovato dentro…
S. Mi ricordo quando avevo 20 anni “giravo” con un Kawasaki Mach III e avevo un amico con l’Imola 350, e lo prendevo in giro! A chi mi avesse detto “Tu un domani avrai la Guzzi” gli avrei detto che era matto. E’ nato tutto quasi per caso, c’è stata questa occasione, il mio socio l’ambiente lo conosceva perché ci lavorava già come dipendente, conosceva le moto, le persone; io il tarlo della moto l’avevo sempre avuto… proviamoci! All’epoca avevo una Yamaha e l’ho ovviamente venduta subito. La prima Guzzi che ho guidato per diversi km è stata la California 1100 e da lì è partita la malattia, che se non fosse tale, oltre alle moto aziendali, io a casa non avrei un Le Mans 1000 e un California II che non riesco quasi mai ad usare a causa del poco tempo libero che ho in stagione, ma che sono lì, entrambe modificate nel giusto modo… a mio fratello che guidava gli scooteroni ne ho fatte prendere due… la convinzione c’è, dopo 15 anni di monomarca, se sono ancora con Guzzi, con tutto quello che c’è stato in questi 15 anni, vuol dire che il batterio non riesco proprio a buttarlo fuori, avrei già cambiato marca. E’ stata una malattia presa da grande! E’ quella cosa magica, strana che anche noi che ne siamo ammalati, non sappiamo bene cos’è.

A. E’ difficile da spiegare… “Se lo spiegassi non mi capirei” come diciamo noi…
S. Eheheheh esatto! E’ una cosa strana, che vedi anche nel tempo… ci sono stati vecchi clienti della CRM che al tempo avevano i T3, i 1000SP che per un motivo o per l’altro, un po’ per la gestione De Tomaso, un po’ per altri motivi, sono passati alla BMW o ad altri marchi; alla fine sono tornati. Ti dà la conferma che, anche se in quegli anni qualcosa non ha funzionato bene, le moto ti hanno lasciato dentro qualcosa…

A. Tu come lo spiegheresti a un gruppo di persone, che la Guzzi ha qualcosa di particolare?
S. Beh ovvio che io le Guzzi le vendo, le persone lo sanno per cui ti dicono “certo tu racconti queste storie perché queste moto le vendi”. La cosa cambia quando facciamo le nostre uscite in gruppo coi clienti, e stiamo via magari due-tre giorni, e allora la sera quando c’è tempo di raccontare le storie, queste escono dagli utenti delle Guzzi, magari da chi è stato lontano tanti anni e poi ci è arrivato o è tornato. A quel punto le tue tesi sono sostenute da chi effettivamente le vive e non ha interesse specifico. Però francamente la “ricetta” non la so… non so cos’è. Questo motore, che a me all’epoca, non è che mi piacesse un gran ché, è in grado ancora, dopo tanti anni – pur con l’iniezione è sempre sostanzialmente quello – di darti qualcosa, qualche sensazione che altri motori, con ben altra cavalleria non danno. Sarà il mito, sarà la storia, saranno le avventure che ci hai fatto sopra… non lo so. So che c’è.

A. Quindi hai un gruppo di appassionati, pur non avendo un motoclub…
S. Sì, un motoclub non saremmo in grado di gestirlo, siamo già in pochi con quello che c’è da fare, se ci metto anche il motoclub non ho più famiglia! C’è un gruppo di persone che quando organizziamo qualcosa si presenta sempre e ci dà una mano… c’è qualcuno che è cliente anche da prima del cambio di gestione.

A. Lavorate molto con la Slovenia e Croazia?
S. Di più all’inizio… era un po’ anche quello che volevamo, e con l’arrivo di Uros, collaborando con lui c’è stato un buon “giro di lavoro”. Poi venendo a mancare lui si è un po’ perso, e qualcuno da là ogni tanto arriva qui, soprattutto lo scorso anno ne sono arrivati molti.

A. Uros Blazko lo conoscevi bene…
S. Sì, Uros l’ho conosciuto poco dopo aver preso la concessionaria; in pratica nel 1996. Lui mi raccontava che era venuto qualche volta a prendere i ricambi con la vecchia gestione e poi era capitato quella volta a comprare una California nuova… da lì è nato un certo tipo di rapporto, all’inizio semplicemente come cliente (il che per noi della CRM non è mai un rapporto tanto normale, è molto spesso amichevole), poi quando è partito con l’idea di fare il giro del mondo, un po’ noi, un po’ l’importatore sloveno di allora, gli abbiamo dato una mano ad allestire la sua Quota 1100 e da lì è cominciato un rapporto un po’ particolare. Quando è rientrato ha messo su un’officina a Lubjiana, veniva da me a prendere i ricambi… gli importatori che c’erano in Slovenia non gli hanno mai dato un gran supporto, soprattutto coi ricambi, così questa cosa ha fatto sì che lui venisse spesso da me. Era in gamba, si dava da fare. Era una persona genuina, trasparente, appassionata. Al di là dell’aspetto “commerciale”, è stata per me una grande perdita. Ha fatto delle esperienze incredibili… anche perché lui nel suo giro del mondo non aveva alcuna assistenza. Aveva solo il contatto con Francesco Retaggi, (altra persona positiva della Moto Guzzi che ci ha lasciato in giovane età), che in caso di necessità gli spediva i pezzi di ricambio che gli occorrevano. Ho una foto di Uros in Zaire con un cartone Moto Guzzi aperto, col forcellone di ricambio, dato che il suo l’aveva rotto prendendo una grossa buca. Era la sua unica sicurezza. Per il resto se la doveva cavare da solo… la coppa dell’olio bucata in Sudamerica sulla strada dell’Alto Toroya a circa 4.000 metri di altitudine, se l’è dovuta riparare da solo, con la moglie che faceva da sherpa andando a recuperargli l’olio presso il villaggio più vicino, intanto che lui smontava e la riparava con un po’ di pasta d’alluminio. Lui al ritorno ha scritto i libri dei suoi viaggi in sloveno che avevo cercato vanamente di tradurre in italiano, arrivando solo a qualche racconto che sono quelli che vi avevo mandato. Era stata lanciata l’idea di acquistare attraverso una “colletta” la sua Quota… lui quello che desiderava e che mi aveva detto nei suoi ultimi mesi di vita era di addirittura regalare la sua Quota al museo Moto Guzzi, poi in quel momento non era ben chiara la gestione del museo, così avevo lanciato l’idea coinvolgendo Mario Arosio, colonna World Club Moto Guzzi, di acquistare simbolicamente con quote da 1 euro la moto per poi, in un secondo tempo, darla al museo, come fosse “la moto dei guzzisti”, poi invece la sua famiglia non ha più voluto e la moto è stata poi venduta a un altro sloveno. Peccato perché sarebbe stato un modo per ricordarlo e per far sì che tutti conoscessero la sua storia. Perché era un bel personaggio. Uno sloveno che ogni tanto viene a trovarmi mi ha detto una frase significativa: “quando c’era Uros, per uno sloveno era facile essere guzzista”. Io so cosa voleva dire, e quella frase diceva tutto. Se avevi un problema, con lui lo risolvevi. Con gli importatori mica tanto. Ha lavorato fino all’ultimo, anche quando non era in grado di muoversi… l’ultima sua telefonata pochi giorni prima di lasciarci era per delle fasce elastiche di un 850 Le Mans.

 

 

© 2010 Anima Guzzista

Sebastiano Marcellino

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di Alberto Sala
Note biografiche di Elena Marcellino

 

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INTRODUZIONE

Questa è la storia di un uomo meraviglioso.
Un uomo che si è tentati di definire ‘d’altri tempi’, detto col timore che un giorno persone così non ne esisteranno più.
Un uomo che ha dedicato e dedica tutt’ora la sua vita alle motociclette: dapprima come pilota, poi come meccanico, infine come costruttore.
Ma non stiamo parlando di un ‘capitano d’industria’. Lui crea motociclette, è vero, ma le motociclette che costruisce non sono motociclette qualsiasi. Sono un po’ particolari. Lui dedica loro tutta la sua passione, e fin qui certamente si può dire che non è il solo, ma quando si pensa che quest’uomo ha sognato di costruire con le sue mani una motocicletta come la Moto Guzzi 8 cilindri da corsa e ha avuto l’ardire di farlo, allora si capisce che quest’uomo è davvero unico.
Ma non è solo la storia di un uomo meraviglioso. E’ anche la storia di una famiglia meravigliosa, perchè quando conosci la passione e la dedizione di sua figlia Elena e quando apprendi che le splendide verniciature delle sue repliche sono fatte da sua moglie Maura, ecco che il quadro si fa unico.
Replica.
Qualcuno potrebbe storcere il naso pensando se abbia senso costruire una copia di qualcosa che già esiste, pur d’eccezione che sia. Ma ciò oscurerebbe il vero senso della cosa: vorrebbe dire non pensare minimamente a quale enorme atto di passione e di talento sia ciò che crea Sebastiano Marcellino. Decidere di ricostruire una moto leggendaria di cinquant’anni fa, costruita in pochissimi esemplari e di cui non si sa esattamente tutto, e quindi pensare a cosa significa rifare una otto cilindri di 500 centimetri cubi, con due batterie di quattro carburatori ciascuna di dimensioni e complessità uniche, con una cascata di ingranaggi della distribuzione che sembrano un ingrandimento di un delicatissimo meccanismo d’orologio svizzero, e ridargli vita non solo per tenerla in soggiorno ma per farla cantare libera nei teatri d’asfalto d’Europa, non è uno scherzo di lusso, o il semplice desiderio di soddisfare un cliente facoltoso. E’ la raccolta di tutta una vita dedicata alle moto focalizzata, espressa per ricrearla a testimonianza eterna. E’ punto di incontro di talento e amore straordinari, cioè come dice la parola stessa, al di fuori dell’ordinario.
Scoperchiare questo ‘pentolone’ piemontese ribollente aldilà della riservatezza apparente significa scoprire un mondo di fronte al quale io mi sento tanto piccolo e alla cui fonte non posso resistere dall’abbeverarmi religiosamente. Toccare con mano una delle otto bielle o ammirare i microscopici accuratissimi fori nei carburatori è, oltre che grande privilegio, occasione di apprendimento paragonabile al corso universitario più esclusivo immaginabile e occasione di crescita culturale e umana non indifferente, per noi malati cronici terminali di motociclette da leggenda come sono le Moto Guzzi.
Unitevi quindi in religioso ascolto a questo viaggio in una giornata ombrosa nelle colline piemontesi, e tenete all’erta tutti i vostri sensi. Ne vale la pena, e non capita spesso.

IL SOGNO E L’ESSENZA

Un uomo e il suo sogno: nel delineare i tratti di Sebastiano Marcellino non si può prescindere dalla sua opera più spettacolare, così come ogni artista è inscindibile dalle sue opere più intense e rappresentative: seguiamo le splendide parole della figlia Elena nel narrarlo.
“Il sogno si è realizzato alcuni anni fa, ma l’inizio di tutto si perde, nel vero senso della parola, in una serie di piccoli eventi che solo ora, alla luce del risultato finale, appaiono per quello che sono sempre stati: il percorso segnato verso la ricostruzione di una Guzzi V8 perfettamente funzionante. Sono brevi parole introduttive, ma in esse sono racchiusi molti anni, anzi la vita di una Persona, che non ha mai smesso di credere in se stesso ed ha realizzato quanto promesso. Nel suo stile inconfondibile non vuole parlare di sé, ma del suo sogno (continua a chiamarlo così, anche ora che è diventato realtà).
Ma cominciamo dall’inizio.
Dobbiamo allora immaginare un mondo molto diverso da quello in cui siamo abituati a muoverci: radio, televisione e giornali non sono ancora mezzi di comunicazione di massa, sicché le notizie giungono ovattate ed in tempi non proprio reali. In questa situazione un poco più che adolescente, già appassionato di motori, sente parlare di una sorta di mito motoristico che in piena ascesa scompare, senza lasciare traccia.
Il ragazzo cresce, approfondisce le conoscenze tecniche, scopre la passione per il moto cross e decide di puntare in alto. Passano gli anni e -forse- la chiusura con il mondo delle corse (in parte voluta ed in parte imposta dalla nascita di una figlia) lo spinge a colmare il vuoto rimasto. Resta pur sempre nello stesso campo ma si avvicina al settore delle moto d’epoca. E’ come ricominciare tutto daccapo, ripercorrendo in anni le scoperte di decenni. Conoscere un nuovo linguaggio e diventarne padrone è la nuova sfida.
Cominciano così i restauri di marche più o meno note, le ricostruzioni di motori più o meno complessi. Poi, nei vari scambi tra appassionati o più semplicemente tra gente del mestiere c’è il ritrovamento, in una cassa di ricambi, di una vaschetta di un carburatore “particolare”, di cui non si riesce a rinvenire la provenienza. Per sapere non resta che rintracciare il venditore, il quale con sicurezza attribuisce il pezzo alla Guzzi V8, mostrandone su una rivista specializzata la foto.
E’ una sorta di colpo di fulmine: la funzionalità della V8, la tecnica impiegata, i materiali: tutto tende all’armonia, alla perfezione, all’essenzialità. C’è poi lo stupore per la netta differenza tra quel tipo di lavoro e la meccanica in genere impiegata dalla stessa casa costruttrice nei modelli stradali. La butta lì così: “Sarà il primo pezzo della V8”.
Passano gli anni ed il lavoro non lascia molto spazio per i sogni nel cassetto, ma di tanto in tanto spunta qualche novità: disegni tecnici, pezzi. Poi la pensione e finalmente il tempo di dedicarsi alla ricerca sistematica di tutto ciò che riguarda la V8; si parla di anni di raccolta di materiale, di classificazione, di assemblaggio. Alla fine tutto è pronto: si parte. Viene ora la parte più difficile, perché si tratta di mettere in gioco la propria abilità.
Sono altri anni complicati, in cui i pezzi mancanti vengono ricostruiti da zero, sulla base di disegni ricopiati e collezionati con precisione certosina. In più si aggiunge il principale problema di tutta l’avventura: la necessità di appoggiarsi ad esperti di fusione, di fresatura… E qui la delusione più grande, ovvero lo scoprire che non sempre alle ditte maggiormente conosciute corrispondono effettive capacità produttive e conoscitive. Ritardi, rifacimenti, pezzi buttati, ma anche l’incontro con professionisti preparati e competenti.
Alla fine l’emozione più grande: sentirne per la prima volta in assoluto la voce, anzi le voci: otto carburatori che cantano all’unisono in una sincronia totale. L’emozione è contagiosa, perché chi ascolta questa musica ne viene rapito.
Se non ci credete potete cogliere l’occasione di sentire con le vostre orecchie. Non accade spessissimo, ma ad alcuni avvenimenti motoristici la V8 è a disposizione, in tutto il suo splendore! ”

 

L’INCONTRO

Abbiamo avuto modo di conoscere la famiglia Marcellino in due occasioni, che potremmo definire ‘pellegrinaggi’, perchè anche immersa nel grigiore autunnale la casa sulla collina nella campagna piemontese della famiglia Marcellino contiene un calore unico e avvolgente. Così è bello scoprire che la differenza d’età ha ben poca importanza rispetto alla similitudine passionale, e allora è facile e dolce perdersi nei tanti discorsi, nei tanti ricordi evocati sia nell’officina magica al pian terreno sia attorno al tavolo a pranzo al piano superiore. A tal punto che gli argomenti scorrono liberi di sovrapporsi e quello che segue è una piccola ricostruzione delle piacevoli e fluenti chiacchierate, cominciando col mistero delle V8.
Già, mistero, perchè dopo la fine della proprietà Guzzi-Parodi non è ben chiaro cosa sia successo alle V8 esistenti. Così come non è chiaro quante siano esattamente le V8 originali esistenti ad oggi: secondo quello che si dice Frigerio ha una V8 originale e Todero anche, ma c’è sempre un po’ di mistero: chi ha visto da vicino la V8 dell’inglese Sammy Miller ne ha notato alcuni particolari sicuramente non originali. Si dice che un’altra l’aveva portata via il Direttore Generale dell’epoca. “In origine quel che pare certo è che esistevano parti per 6 moto più o meno complete all’epoca della costruzione”, dice Sebastiano. Sappiamo la storia del magazzino di Abbadia Lariana, ormai assunto a paragone come il posto meno sicuro al mondo. Forse non sapremo mai quante ne restano: chi ha un V8 originale se ne sta zitto, perchè in teoria i V8 originali esistenti sono di proprietà Guzzi. Mica si potevano comprare. Conviene piuttosto dire che è una replica. Ma l’unica replica certa è quella di Sebastiano Marcellino, che l’ha ricostruita completamente, basandosi su fotografie e disegni e compiendo diverse visite al museo di Mandello.
I disegni della V8 sono in scala 1:1. “Io li ho recuperati quando c’era ancora DeTomaso, ma ai disegni bisogna fare attenzione perchè insieme ci sono le quote della 350” ci precisa Sebastiano. Che già che c’è ha magnificamente replicato pure quella. Ma parlare di questa moto è un po’ entrare in un piccolo mistero all’italiana, insomma, è argomento “delicato”. Così attorno a Sebastiano Marcellino si alza uno strana indifferenza. Eccetto Anima Guzzista, nessuno in Italia lo invita mai, neppure la Moto Guzzi. Elena ha provato a richiedere la partecipazione di suo padre e della sua V8 al raduno di Mandello, chiedendo se poteva interessare la loro partecipazione, anche con la 350 bialbero. Mai nessuna risposta.

 

Altrettanto curioso il silenzio della rivista ‘principe’ in Italia delle moto storiche, che nonostante un contatto avuto con uno dei giornalisti non ha mai dedicato nulla a Sebastiano e alla sua splendida moto. Curioso. All’estero le cose vanno in maniera diversa, Elena racconta di ottimi rapporti con riviste come Moto Legendes e altre; d’altronde chiunque farebbe i salti di gioia a contare sulla presenza della sua V8, non trovate? Come succede a Monthlery, dove nonostante facciano bella mostra centinaia di spettacolari motociclette da corsa originali d’epoca, è sempre la sua V8 a strappare i consensi più entusiastici. Come quelli di Bill Lomas.
Una persona splendida, “ha quasi 80 anni ma aveva una gran voglia di salire sulla mia moto – racconta Sebastiano – ma un problema alla gamba e soprattutto la moglie gle lo impediva”. Comunque si è subito appassionato alla V8 e alla famiglia Marcellino: “ci ha riempito di autografi: mi ha dato delle foto bellissime, mi ha autografato perfino il cappellino…” dice Elena.
Altro personaggio appassionato alla famiglia Marcellino è Ken Kavanagh. “Mi raccontava Kavanagh che a Monza, alla curva Ascari (la curva, non la chicane di adesso), si usciva dal sottopassaggio a 270 kmh e la curva si faceva in pieno ma con le moto di allora non si usciva mai (nè si entrava) allo stesso modo: ci voleva gran pelo sullo stomaco” “Più volte ho cercato di portare Cavanagh a Monthlery, ma niente, non si schioda dalla sua casa di Bergamo.” dice Sebastiano. “E’ una persona splendida” aggiunge Elena “non l’ho mai conosciuto di persona, ma ci siamo scritti e sentiti diverse volte, è una bella persona, molto loquace e disponibile a raccontarmi tanti episodi di quell’epoca e cos’era il motociclismo allora, ben diverso da quello di oggi”.
E’ bello sentirli raccontare di episodi, di emozioni, sentendoli appassionare accavallandosi tra loro coi racconti a tal punto da far sparire ogni apparente riservatezza tipicamente piemontese.
“Avevo comprato una volta un Ducati bialbero da Farnè, del ’62-63, eravamo andati giù una domenica mattina, c’era Giovannini del reparto corse, ci aveva portato nel suo garage, aveva ancora tre teste del Marianna, mi aveva detto “dammi centomila e portatele via”, accidenti adesso valgono un capitale, ma io avevo già preso il bialbero 125, l’ultimo usato; poi ci ha portato in fabbrica, stava facendo l’Apollo a quei tempi, avevano lì smontato un Norton Commando per prendere delle idee e per fare delle prove di comparazione. Poi questa bialbero l’ho venduta e ricomprata diverse volte, salendo in continuazione di prezzo, finchè è finita a uno svizzero.”
Sebastiano aveva un Dondolino: “il mio Dondolino prima era di un tizio a cui gle l’aveva comprato lo zio nuovo, mai usato. Lo ha portato da me chiedendomi di metterla a posto bene, perchè voleva andarci forte, dato che lo zio gli aveva detto che quella moto andava forte. La moto non era stata praticamente usata, aveva 500 km circa, questo succedeva nel ’68 circa. Poi questo ragazzo è andato a provarla, è tornato indietro e mi ha chiesto: “quanto vuoi?” Perchè, non va? “Sì che va, va troppo!” “va bene, dimmi quanto vuoi” “80 mila Lire”. Io non aspettavo altro, ho tirato fuori le ottantamila e me la sono presa! Era perfetta!”

“A me piaceva da matti” dice la moglie, “perchè fregavo sempre il ginocchio per terra. Ogni volta che andavo in moto buttavo via un paio di pantaloni”. …! “poi una volta mi ha fatto prendere uno spavento: ci invitano degli amici in moto anche loro ad andare in un certo posto; gli altri tutti tranquilli, lui invece parte sparato e invece di fare la strada si infila in un filare di viti!” “Certo, volevo far strizzare un po’ gli amici” precisa Sebastiano, “sapevo che dopo il filare c’era la strada, solo che al momento di frenare il freno dietro non ha funzionato: l’ho fatta derapare e siamo finiti nel fosso. Io ho strappato un po’ i pantaloni ma lei non si era fatta proprio niente!” “Dopo – prosegue la moglie – penso: forse è meglio se andiamo a casa e invece saliamo di nuovo; a un certo punto sento odore di bruciato, e gli dico di fermarsi. All’epoca si usavano dei pantaloni stretti, in un tessuto tipo il nylon: gli si erano praticamente ritirati a contatto con la marmitta.” I racconti delle follie di gioventù prendono il sopravvento: “una volta avevo anche un’Abarth, una 600 portata a 1000, non andava proprio piano” dice ironicamente Sebastiano, mentre la moglie si chiedeva come mai si fosse trovata un compagno simile visto che non era una ‘votata’ alla velocità; “una domenica la prende e mi dice “andiamo al lago”; ci avviamo, e dietro di noi arriva una Fulvia Coupè, lui l’ha vista, ha dato fuori di brutto tirando come un dannato e la Fulvia mica è riuscita a superarlo, no! Però quando è arrivato al lago poi l’Abarth non è più partita! Meno male abbiamo trovato qualcuno che ci ha dato un passaggio a casa”. La conversazione assume toni scherzosi ora: “Allora eravamo fidanzati; sai, in genere i fidanzati regalano anelli, diamanti, fiori… ” “qualche segmento, sì” interviene Sebastiano; “lui mi regalava emozioni! E continua!! Sono andati lui e Elena a Monthlery, io sono stata a casa – continua la moglie – la prossima volta stacco il telefono! Non è possibile, ogni dieci minuti mi chiamava!” Elena conferma: “mi diceva, in dialetto, se avevo chiamato mia madre. Gli dicevo: vuoi parlargli? E lui: “Salutamela.” Io e Mauro ci guardiamo e non possiamo far altro che pensare quanto sia una fortuna nascere in una famiglia così, soprattutto pensando alla fatica per poter avere la nostra prima moto. Ma Elena obietta: “tutte balle, io la moto non ce l’ho mica” riferendosi alla Parilla che sta da tempo nel box in attesa di essere riassemblata: “Tu la moto ce l’hai *virtuale*” gli replica il padre simpaticamente; “ah sì, certo, *virtualmente* ne ho un magazzino pieno! Io ho cominciato a 4-5 anni ad avere la moto, poi mi hanno troncato la carriera!”
La conversazione prosegue di questo passo estremamente piacevole e infine volge al termine, vertendo inevitabilmente sui problemi che si riscontrano in Italia, sulla differenza rispetto ad esempio alla Francia in termini di manifestazioni riguardanti le moto d’epoca, e Marcellino si emoziona solo al ricordo di quante moto c’erano a Monthlery, allo spettacolo infinito della parata di tutti i 1500 iscritti (!) dello scorso anno… ma la cosa più sconcertante è la differenza di credito che riscontra Marcellino: in Francia lo adorano, viene regolarmente invitato, lui e la sua splendida moto; la stessa cosa avviene in Germania mentre in Italia… beh, in Italia Marcellino trova solo muri di gomma. Chiunque sia in grado di comprendere la passione che le motociclette sono in grado di suscitare non può fare a meno di chiedersi perchè ogni tanto le cose non vanno come dovrebbero a rigor di logica. Poi si ricorda dove siamo, e allora non è così difficile (anche se terribilmente amaro) capire che da noi spesso, anche a livello di giornalismo, comandano le ragioni del ‘cortile’, del ‘ma la mia moto è più originale della tua’, e altre bambinate via di questo passo. Casa madre inclusa. Perchè l’invidia, la paura del confronto (ammesso che debba sempre esserci), il campanilismo, devono essere sempre i sentimenti alla fin fine dominanti in questo paese? E’ mai possibile che una mentalità ottusa che si tramanda di padre in figlio possa rendere ciechi così tanti personaggi dell’ambiente motociclistico italiano? Credo che chiunque abbia avuto modo di avvicinare Sebastiano anche solo per cinque minuti e abbia avuto modo di vedere al nostro Incontro di Primavera dello scorso anno a Roma la otto cilindri si sia reso conto di aver assaporato un piccolo pezzo di storia, di vita vissuta con l’amore per le moto nel cuore. Come è possibile che stranieri srotolino tappeti di fronte a tanta passione e noi no? Persone, anzi, famiglie come la Marcellino sono concentrati di storia in grado di farti rivivere episodi, periodi, momenti di alta emozione come se fossero macchine virtuali con tanto di occhiali 3D. E siamo orgogliosi di aver viaggiato con loro (e spero almeno un po’ voi con noi) in quel mondo che tanto adoriamo, che ci fa stare tutti attenti come bimbi all’ascolto delle favole, rendendo un po’ giustizia a un profeta amato mai abbastanza in patria.

 

La mia prima Guzzi

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immagine-racconto

di Dondolino

 

Venerdì 1. Febbraio 2002, sveglia alle 5. Il treno per Stoccarda parte da Wiesbaden alle 6:29.

Oggi è il giorno in cui ritirerò la mia prima Guzzi.

Alle 9:29 arrivo puntuale a Balingen, Stefan (www.motostefano.de), venditore di Guzzi usate importate dall’Italia, viene a prendermi in stazione, mi porta in officina e mi mostra la mia “promessa”.

È bellissima: tutta rossa, tutta pulita, aquila d’oro e scritta Moto Guzzi sul serbatoio rosso-Airone, stesso colore per il resto della carrozzeria e la forcella, tutto come volevo io, ruota anteriore da 18 pollici; cavi freno in acciaio, batteria, olii, gomme e giunto cardanico nuovi e molto altro. Ombromanto è in forma e si vede.

Fissiamo la targa, poi la metto in moto e so che Guzzi è per sempre. A chi non capisce non mi sforzo nemmeno più di spiegarlo, devi sentirlo e basta. Se non capisci per te non c´è speranza nè salvezza; se capisci, benvenuto tra noi.

Un pò impacciato parto in direzione benzinaio. I due difetti della moto si annunciano subito: non solo manca il cavalletto laterale (come ho appreso con sconforto due minuti prima, non so se è così di serie), ma il cavo del gas è durissimo.

Faccio benzina, torno indietro, saluto Stefan. Quello del cavo è – dice – un problema tipico, Motospezial mi può aiutare, ma il mio cavo è veramente duro in modo anomalo. Mah, vedremo, anche per il cavalletto laterale Moto Spezial ha pronto un aiuto, poi forse lo ha tolto il precedente proprietario, mah….

Parto e comincio la mia vita guzzista, il motore fa un borbottìo incredibile, mi ricorda sempre Don Camillo e Peppone anche se ai tempi lui ancora non c’era e se è per questo nemmeno io, una sensazione stupenda sentire questo coso che si scuote e agita e urla al mondo che se ne frega delle moderne tecnologie. Lui sa cosa serve a far battere il cuore, secondo me meglio di qualsiasi ingegnere Honda.

I primi 100 km sono emozionanti ma non del tutto lieti: la combinazione di gomme nuove e asfalto scivoloso mi fà stare all’erta, la “scalata” del Feldberg (1500m di quota, sotto il Titisee in parte ghiacciato, di lato muri di neve ghiacciata alti anche due metri, nebbia fitta in cima) è interessante ma non molto divertente. Arrivo in albergo, primo bilancio: motore stupendo, comando gas criminale, moto geniale fatta da gente a cui non fregava niente di venderla?

Mi fa male la mano destra, sono i tendini, mi faranno male nei due giorni successivi, mentre scrivo il dolore ancora non è passato. Mi chiedo se i guzzisti ordinino tendini di ricambio assieme ai cavi del gas o se il mio cavo ha qualcosa che non va, oppure ancora se sono i miei tendini ad essere troppo delicati. Sia come sia, qui bisognerà fare qualcosa.

Il venerdì pomeriggio viene passato per strade non troppo impegnative; niente Schauinsland, le strade sono bagnate e scivolose di fango. La differenza della gommina da 110 rispetto al 170 della mia Monster si sente, ma il motore canta, la moto è agile (più della mia vecchia Triumph Thunderbird Sport), il baricentro è basso, ottima ripresa, niente velleità sportive ma il pepe non manca.

Il tratto di strada più bello è quello da Sankt Blasien verso albbruck lungo la Albtalstraße, una cosa incredibile in mezzo a crepacci mozzafiato, bellissima strada tutta curve, tipica per gli enormi massi ai lati della

strada a mò di paracarro, che ti fanno intravedere meglio la gola sottostante. Strade pressochè deserte ma ahimè sempre bagnate, spesso scivolose, comunque uno spettacolo. Il motore borbotta cupo nella gola, non lo scambierei con

nessun’altro, non vorrei essere lì con la Ducati e penso di aver detto abbastanza.

È inutile fare un elenco di strade, il bello della Foresta Nera è che basta tenersi lontani dalle grosse statali e non si può fare nulla di sbagliato, un vero Nirvana del motociclista.

Dopo vari giri per strade circostanti (Todtmoos, Wehr e Todtnau oltre alla citata St. Blasien sono i tipici crocevia) mangio e bevo bene a Sankt Blasien, poi torno di notte all’albergo. I fari sono più che adeguati, la carenatura è abbastanza rumorosa ma protegge bene dal vento e dal freddo, complessivamente daresti alla moto meno dei 16 anni e al motore minimo 35 ed è un complimento.

Mi fa male la mano destra, invece la frizione è tutto sommato accettabile, basta ricordarsi di mettere in folle quando stai fermo al semaforo. Il modo migliore per trovare il folle è *non* guardare la spia, ma anche questo è noto.

E il cambio? È molto ma molto meglio di come lo si dipinge: vuole attenzione e se gliela dai ti premia con un comportamento esemplare, appena ti distrai ti punisce. È tipico Guzzi: se lo conosci, lo ami.

Sabato mattina, sole e cielo azzurro, si prevedono 14 gradi. In mezzo ai monti e per gole però la storia cambia poco: strade bagnate, fanghiglia insidiosa, in compenso pochissimo traffico. Mi dirigo verso lo Schauinsland, il mito motociclistico della Foresta Nera, distante pochi chilometri. Contrariamente alle previsioni, *non è* vietato alle moto: forse perchè è ancora inverno, forse per un attacco di ragionevolezza degli amministratori locali (ci sono cause in corso da anni).

Pur bagnato, il percorso è spettacolare, oltretutto con pochissime auto che con la tipica gentilezza locale si premurano di farti passare, la cultura motociclistica qui è molto sviluppata.

Mi faccio un paio di volte lo Schauinsland su e giù fino al sopraggiungere della sazietà curvarola, poi Friburgo, poi strade circostanti, sempre belle come sempre bello e a volte mozzafiato è il paesaggio.

Il pomeriggio rinuncio a ricerche eccessive di strade nuove, tra le varie strade locali non rinuncio a rifarmi la valle dell’Elb citata sopra, lo Schauinsland ancora un paio di volte, il tratto Sankt Blasien- Todtmoos, Todtmoos-Wehr e via curvando.

Mi fa male la mano, mi chiedo come si può essere così idioti da fare moto che regalano sensazioni così belle e poi cadere su dettagli secondari, l’erogazione del gas è, grazie al comando, poco progressiva, chissà se sono solo io o se è

premeditazione Guzzi allo stato puro.

La Guzzi, penso, è bella e difficile. È bellissima, ma per amarla devi prima superare il tuo rito di iniziazione, devi uccidere il Balrog come Gandalf, allora sei cresciuto, sei in un’altra dimensione motociclistica, sei pronto per una Guzzi. Il Balrog è, nella fattispecie, la moto giapponese abs-asr-ssr-ppt-cct dove tutto funziona e ti pare di guidare una lavatrice.

Il sabato se ne va tra gole umide e suggestive, ascese in vetta, strapiombi impressionanti e panorami bellissimi. La Foresta Nera è di tutto, di più, poi non costa nemmeno tanto, mi manca solo la torta di ciliege perchè non è stagione.

Domenica decido di tornare nella parte Nord della Foresta Nera. Per essere presto in zona operativa e curioso di provare la moto in autostrada, prendo l’autostrada da Friburgo (altra volta Schauinsland, altra volta strada deserta, bellissimo!) alle 9 del mattino e dopo circa 75 km esco all’uscita per Baden-Baden. La prova autostrada viene superata con un “buono”. A velocità di crociera sui 120 il motore gira a 5000 o poco meno, bel rumore anche in autostrada, protezione buona, purtroppo fruscii fastidiosi, non forzo di più per rispetto della mia non più giovane cavalcatura, ma il motore c’è.

Da Baden-Baden, meta di prìncipi, giocatori (Dostojevski!), Zar e guzzisti, punto dritto verso uno dei punti nevralgici del motociclismo locale: Forbach. Forbach offre uno dei tratti più incredibili della Foresta Nera: la strada per Baden-Baden è, fino all’incrocio della statale per Bad Herrenalb, di una bellezza inaudita e non può mancare nel diario di bordo del motociclista curvarolo. Me la sparo varie volte sotto un sole stupendo, poche e gentili le auto, aria frizzante; perchè non è sempre così…

Vicino Forbach, continuando sulla statale venendo da Freudenstadt (altro nodo “importante”) si prosegue per un altro paio di km, poi viene un incrocio da non mancare: direzione Wildbad, altra tratta indimenticabile, non così bella come la

Forbach-Baden-Baden, ma più lunga e con alternanza di tratte ripide e ricche di tornanti con altre più veloci e “guidate”. Ombromanto è in azione quasi ininterrottamente (mi fermo solo per fare benzina e per l’espletamente di inevitabili funzioni fisiologiche, combatto ogni volta col cavalletto ma vinco sempre io), non emette un gemito, è pronto e divertente, coppia quanto basta anche senza scalare, se scali sorpassi come e meglio che con la Triumph, però le è

inferiore in quanto a freni e soprattutto tenuta del posteriore. Il suono è leggenda e ti accompagna a qualunque velocità senza essere mai coperto dai sibili aerodinamici. Una moto con cui è un piacere attraversare un centro abitato,

non importa se a 30 o a 50; in quanti potete dirlo, voi amanti della supertecnologia gialla?

“Che ne sai della nostra poesia, che ne sai…….?”

Mi fa male la mano.

Non sazio però, vado su lungo la statale per Bad Herrenhalb, molto bella e ricca di curve e qualche bel tornante, piano piano pianifico il ritorno. La statale numero 3 mi porta senza grosse emozioni fino a Karlsruhe, di lì autostrada verso casa. I circa 120 km fino a casa sono molto più sopportabili che con una moto non carenata, Ombromanto si rivela adatto all’impiego per cui è stato comprato: belle passeggiate in moto senza ambizioni sportive ma senza dormire, tratti autostradali sopportabili per trasferte a medio e lungo raggio.

Torno a casa e parcheggio (non senza difficoltà, ovviamente) la moto. Me la guardo per la prima volta per vari minuti da quando l’ho ritirata. È così sporca di fango che sembra uscita da una foto di guerra.

È bellissima.

Ho un appuntamento alle 7 e mezza, devo fare presto, inauguro il nuovo telo coprimoto, il buio scende sul mio eroe tolkeniano senza tempo. Più di 1400 km in 3 giorni, nessun inconveniente a parte la mano e il cavalletto, motore eroico.

Buonanotte, Ombromanto.

Ingegno e regolatezza

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special MMA
Di Alberto Sala
Foto di Alberto Sala e M.M.A.

 

Eccoci al cospetto di una special assai interessante, anche se non inedita anche perchè si tratta di una moto fatta partendo da un foglio di carta. Una special la cui descrizione è impossibile senza parlare anche dei suoi creatori: i fratelli Alborghetti, Antonio e Giorgio.

Due pazzi furiosi.
Due folletti laboriosi dagli occhi brillanti tanto semplici quanto lucidi che sprizzano silente entusiasmo, coi loro neuroni sempre frullanti a trovare modifiche e soluzioni a ogni cosa che vedono, in grado di sperimentare e risolvere con apparente e disarmante facilità qualsiasi problema.

La prima volta che li ho visti è stato un paio di anni fa, nel paddock di Franciacorta, se non erro a un meeting d’epoca dove, alla ricerca continua di scuse per girare in pista, si erano intrufolati per i turni riservati ai guzzisti. Niente gazebi ipersponsorizzati nè baccano istrionico: li conosci casualmente, intravedi la loro moto che a primo sguardo non attira particolarmente, ma poi ti cade l’occhio sul primo dettaglio che ti piglia per il bavero a notare gli altri, ed esclami un bel porcaputtana. Dopodichè inizi a bombardarli di domande chiudendoli in un angolo dal quale si divincolano con disarmante facilità, perchè altrettanto disarmanti sono i loro ragionamenti.
“Non abbiamo trovato due cerchi leggeri per la nostra moto, e allora li abbiamo fatti noi, fresando un blocco di alluminio”. Così, come dire mi faccio una sigaretta con cartina e tabacco perchè il tabaccaio è chiuso.

Ma partiamo dall’inizio.
“Ho disegnato questa moto in India, nel 1992” dice Giorgio. E te lo immagini con turbante e incenso al cospetto di qualche santone, e invece era semplicemente in trasferta per lavoro e la sera si annoiava: “mi sono messo a pasticciare, influenzato dalla Cagiva Mito di cui leggevo la prova su Motociclismo. Ho preso un foglio e ho ricalcato la forma della Mito, ho preso il motore Guzzi e l’ho messo dentro: ci sta! Poi sono venuto a casa e ho disegnato il telaio”. Ma ovvio, no?
Peccato che poi, una volta realizzata, era un ‘filino’ problematico provarla in strada, così è rimasta ferma sotto un telo per una decina di anni, finchè Antonio non gli dice “ma perchè non la portiamo in pista?” E da lì sono ripartiti con taglia, sega, lima, pialla…

Per comprendere bene il loro intuito e il loro lavoro diventa significativa la collocazione temporale di questa moto: bisogna tener presente che il Daytona non era ancora uscito. Nell’universo Guzzi non si era visto ancora nessun telaio diverso dal Tonti, nessun monoammortizzatore, nessun forcellone quadro, nessun cardano a doppio giunto… sembra facile! Anzi, diciamola tutta… neppure col Daytona era comparso il leveraggio progressivo sulla sospensione posteriore. Che qui c’è, tutto naturalmente ragionato (attenzione che semplicità non vuol dire improvvisazione, tutto è scrupolosamente calcolato) e autocostruito grazie alle loro capacità professionali in ambito meccanico.

Così entriamo nei dettagli.
Il motore proviene dalla moto di Giorgio, un Le Mans III che a furia di elaborazioni non aveva più nulla di originale. Ha subito la sua bella cura dimagrante: l’albero da 78 di corsa è stato alleggerito di 1,5 kg, il volano bello smagrito, più tutta una serie di modifiche ‘classiche’ e non: alternatore Ducati ribassato, molle valvole cambiate, camma KS (una delle poche cose a cui non hanno messo mano), pistoni e cilindri da 95, valvole 47-40, bielle in titanio fatte in casa (due gioielli come documentato dalle foto, peccato restino nascoste…), frizione a comando idraulico, cambio a denti dritti…
Quest’ultimo particolare è sintomatico della loro attitudine. Non contenti della rapportatura di quello originale Guzzi, lo aprono e… lo rifanno completamente! Naturalmente a denti dritti, alleggerito dove c’era troppa trippa (date un occhio al desmodronico) e con la rapportatura ristudiata per avere sempre lo stesso range di giri nelle cambiate (l’unico rapporto invariato è la seconda marcia). Lo scarico è manco a dirlo autocostruito con l’andamento sfociante in un singolo terminale sotto la sella.

Passando alla ciclistica (che è poi la parte più interessante), la forcella proviene da un 748 opportunamente messa a punto, e in questo caso forse finisce qui, mentre in altri settori la sperimentazione è tutt’ora in atto… come per il cardano, che già – ricordiamolo – consente il montaggio di un 180 mantenendo il motore bello centrato (sempre prima che uscisse il Daytona…), e per il quale stanno cercando di continuo altre soluzioni; una di queste me l’hanno mostrata, a cui manca di risolvere un problema di guarnizioni.
Il telaio lo vedete chiaramente. Ha un carico di resistenza impressionante (circa 3000 kg ogni trave: no, non si può rompere!) e a impatto visivo è decisamente massiccio; ciò nonostante assieme al forcellone (anche lui non dà adito a dubbi sulla solidità) alla prova della bilancia totalizza solo 13 kg. E continuando con le misure, arriviamo a quelle cruciali; interasse 1410, inclinazione sterzo 23,5 gradi, 100mm di avancorsa. Misure che dicono chiaro e tondo che non è una cruiser; misure da supersportiva cattiva, come d’altronde era chiaramente intuibile dalla vista laterale del bolide.

Una bella prova di ingegno, creatività, voglia di sperimentare nuove soluzioni di fronte agli ostacoli, e una bella dose di follia (che sono sicuro vedrò applicata in prossime nuove soluzioni). Questa la tavola apparecchiata dai fratelli Alborghetti. Complimenti!

La mia storia, le mie moto

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immagine-racconto

di Maurizio Vallebona

 

Cap. 0 Introduzione

Che cos`e’ una moto ?

A questa domanda volendo si possono dare migliaia di risposte piu` o meno pre-confezionate ma fondamentalmente, credo che la qualita` di queste risposte sia direttamente proporzionale all` atteggiamento con cui si cerca di dare una risposta.

 

L`indifferente.

A me quegli aggeggi lì mi sembrano un po` troppo pericolosi, e se piove ? poi c’è un mio amico che ci va sempre che un anno è caduto e se ne e` fatto per…. e poi se non hai il garage dove la metti ?

 

Lei (disinteressata)

Si d`estate qualche volta andrebbe anche bene ma ste selle sono proprio scomode e poi non e mica detto che bisogna usarla sempre no?! in fin dei conti se ho appena passato mezz`ora a sistemarmi i capelli devo infilarmi in testa quel coso li ,e quando me lo tolgo mi lascia un disastro in testa…

 

Lei (fanatica)

Quello di prima l’ho mollato perche’, a parte che sembrava un ritardato mentale, non aveva mai voglia di fare niente e di andare da nessuna parte, questo invece come ci siamo conosciuti mi ha fatto fare dei giri incredibili e insieme abbiamo conosciuto un sacco di gente, adesso che e’ un po che stiamo insieme gli ho detto che se ci tiene a me piuttosto si venda la mamma ma non venda la moto che altrimenti lo pianto li’ come un baccala’.

Il pazzo.

Io con questa me li inculo tutti, non c`e` un semaforo dove non cia sia uno con un GTI che non me lo faccio, l`altro giorno uno mi ha fatto una manovra che se non lo evitavo era un macello, quando l`ho ripreso lo volevo fare scendere per caricarlo di schiaffoni….

 

Il Genitore.

Ma chi te lo fa fare di prendere quell`affare li che fra un anno, un anno e mezzo ti prendi la patente e la macchina e con quella ci fai quello che vuoi e noi cosi` siamo piu` tranquilli….

 

Il romantico.

Quelle di adesso non sono moto, mi ricordo la Guzzi di mio padre ancora di quelle con il volano che non si spegnevano mai, mio padre era il terzo proprietario e l`ha data via dopo 10 anni che gli dispiaceva tenerla sempre ferma e poi non andava mai alla fine, adesso varrebbe un capitale, quelle erano moto !

 

Il tecnologico.

Questa metterci la mani è un casino ma come le fanno adesso non si fermano mai ti dimentichi perfino di averle e quando apri ti sembra che vola sta bestia. L`altro inverno e` stata ferma ,e dopo 4 mesi ,vado li giro la chiavetta e` partita al primo colpo, ci cambio l`olio piu` per scrupolo che per altro….

 

Io.

Ci sono dei giorni che il lavoro e` un casino e quando esco ho la testa come un pallone, ma salgo sulla mia Guzzi, metto in moto e dopo tre minuti mi sento un altro. Sabato sono andato a fare un giro in una strada sperduta, in un paesino appena fuori Torino ho girato tre ore senza vedere una macchina.

Ho visto dei posti che non potresti immaginare ,e poi c`e` gente che per vedere qualcosa fa il giro del mondo.

 

Ho capito che nell`amore e nella passione non ci sono ragioni , io amo andare in moto, sono anni che lo faccio e non ho ancora capito cosa ci trovo.

Appena vengo a capo di qualcosa vi faccio un fischio, ma credo che ci vorra` ancora del bel tempo.

Per cui se vedete passare un motociclista con la faccia rapita che sta guardando il paesaggio e magari nel frattempo canta cercando di intonarsi con il rumore del motore, non pensate che sia matto e` solo innamorato, della sua moto, della vita ,e in fondo tutto cio non e` poi cosi` brutto.

 

p.s. Se il soggetto in questione e` su una Guzzi rossa e sta incrociando su una strada di campagna ci sono forti possibilita` che sia io.

 

Cap. 1 La prima moto.

Come si scrive la storia di un grande amore ?

Qualche volta , quando ci si trova a parlarne, la storia di un grande amore viene rappresentata in modo estremamente semplice, talvolta poco riflessivo, enfatizzato. Ma scrivere, e` avere il tempo di condensare i propri pensieri, dare un corpo a idee vaghe che ,insindacabili nel proprio pensiero, diventano nude sotto l`occhio di chi le osserva guardandole dall`esterno delle nostre emozioni e delle nostre convinzioni.

La mia prima moto, la ricordero` sempre perche` fu quella che non ebbi mai il coraggio di chiedere, perche` entro` nella mia vita senza che potessi desiderarla o aspettarla. Tre materie a settembre furono il degno finale di un anno scolastico ,quello della prima superiore, per molti versi estremamente difficile della mia vita.

L`anno in cui ogni sistema scolastico si trasforma da garante di un`istruzione a strumento della competizione e della necessita` di dimostrare la propria capacita` e la propria affermazione. Cosi mi ritrovai a colmare anni di vuoto e di non-metodo, di non-apprendimento, in una realta` difficile e ostile. Questo avrebbe scoraggiato qualsiasi genitore (cosi fu per i miei) a nutrire qualsivoglia speranza.

Ma dove talvolta non arriva un genitore ,arriva un nonno che alle ragioni della mente antepone quelle del cuore, e leggendo il tempo in modo diverso sa che 14 anni arrivano una volta sola nella vita. Cosi in un dopopranzo di mare e di sole speso a fingere di non dormire sui libri fui trasportato davanti all`entrata di un negozio .

L` insegna diceva ai passanti “Singer” ma nella vetrina tra lampadine, macchine da cucire, biciclette per bambini, si vendevano anche , e per me, soprattutto, motorini. Ci sono momenti che valgono una vita e che si ricordano per sempre, indelebili, come questo mentre, venivo invitato, stupito e attonito a fare una scelta.

Ero impreparato, come scegliere ? perchè certi motorini avevano i pedali e altri no ? le ruote piccole sono meglio di quelle grosse ? di che colore lo vuoi ? troppe emozioni ,troppi interrogativi in una volta sola. E allora ? Presi il colore piu`bello ,e la mia prima moto , un Califfo K Rizzato azzurro metallizzato, entro` nella mia vita. Azzurro come il mare che circondava la mia isola ,Carloforte, che contemporaneamente amavo e temevo e dal quale mi sentivo sempre inspiegabilmente attratto e impaurito.

Azzurro come il cielo dell`isola che ogni estate mi rapiva e per 4 mesi mi faceva fare una vita diversa.

Non so se Carloforte avesse solo il fascino dei paesi piccoli o delle isole , o qualcosa in piu` ,ma sulle strade di quell`isola percorse sotto il sole avanti e indietro dalle spiagge cominciai a covare i pensieri che accompagnano tutti coloro che `usano` i loro chilometri per isolarsi, per pensare.

 

Probabilmente lo Stato e la Chiesa si sono messi d`accordo per compiere ai danni dell`umanita` una delle piu` gravi ingiustizie mai perpetrate nell’arco della storia . Sto parlando della legge che vieta ai quattordicenni di viaggiare in 2 sui motorini. Si, ingiustizia! Quale mente ottusa, aberrante e incolta se non quella di un vescovo o di un ministro, in una eta` dove comunicare, toccarsi,parlare con chi ti e` simile, sentendolo vicino, e` tutto, arriva a porre un divieto di questo tipo. La stessa mente ottusa e idiota che non permette di viaggiare in 2 permette di costruire motocicli di 50 cc che fanno i 100 km/h sui quali molti viaggiano senza casco, vieta, ciò che anche il piu incapace degli psicologi sa essere una caratteristica dell`adolescenza, parlare e toccarsi senza pregiudizi, in modo naturale.

 

Io disubbidii. E non lo feci con manifestazioni di piazza,non invocai partiti e fazioni, ma colpii lo stato nei suoi interessi piu vitali, mettendolo in conflitto contro se stesso. Cominciai a uscire sempre in motorino con la figlia del capitano dei vigili.

 

Se ogni paese ha le sue leggende anche Carloforte tra le sue ne vanta una speciale, un vigile incorruttibile, moralmente irreprensibile, che, mentre il resto dell`italia lasciva e guardona esibiva i suoi mezzibusti, percorreva le spiagge in stivaloni di cuoio, pantaloni neri e camicia multando, riprendendo e invocando il pubblico pudore. RAMONA, quale mente di motociclista Carlofortino puo risentire questo nome senza vedere tornare giorni ed emozioni dimenticate. L`intimo timore di attraversare ,accompagnati dalla propria colpevolezza e dalla propria compagna, le strade meno battute del paese, affacciandosi ad ogni angolo ben sapendo se colti,quale triste destino si sarebbe compiuto !. Ramona non perdona Bastona !.

Ma dividere per meta` il frutto della colpa (la multa) direttamente con il capo dei vigili rese ai miei 14 anni una consapevolezza diversa.

Quell`amore non poteva durare, e come tutti gli affetti verso i quali le famiglie sono apertamente ostili, morì giovane, ennesimo destino incompiuto.

Se penso al mio Califfo ,ai momenti che insieme vivemmo a Carloforte mi pento della fine che ha fatto. Per lunghi inverni mi attese nella nostra casa al mare dove la nostra unione si rinsaldava a luglio di ogni anno ,forse avrei dovuto lasciarlo la nei luoghi dove era nato, dove avevamo consumato insieme la nostra adolescenza e dove avrebbe dovuto finire i suoi giorni. Stupidamente (come si fa talvolta quando si e` giovani) pensai che avrebbe voluto vivere tutto l`anno con me e lo portai a torino. Dapprima non abituato a tutto quello smog mi manifesto` la sua scontentezza con dei problemi di carburazione che assomigliavano a dei rantoli feroci, convulsi. Poi quando mi accorsi della fatica che faceva ,per farlo sentire a casa lo feci verniciare di un bel colore rosso granata, ma anche questo a lui non piaque e me lo fece capire subito facendosi venire una specie di morbillo. Fu a quel punto stizzito da quel suo comportamento irascibile e burrascoso che decisi di venderlo, non pensando che con lui avevo venduto un pezzo della mia adolescenza, che non si puo avere una moto con un carattere mediterraneo, e pretendere che immersa nella nebbia si comporti con la flemma ed il distacco di quelle moto di citta` con lo sguardo indifferente.

 

 

Cap. 2 La Giapponese.

 

Era gia` passato qualche anno da quando avevo venduto il mio motorino, la patente B e i miei venti anni avevano fatto il resto. La matura non lasciava molto tempo per pensare, e la macchina offriva sicuramente delle comodita` in piu` rispetto alla moto.

Finita la scuola ,ebbi la fortuna di trovare un lavoro a Formigine, dove andai a vivere, dando cosi una brusca svolta alla mia vita. Anche le mie possibilita` economiche cambiarono notevolmente, e mi ritrovai cosi` senza macchina. Formigine, provincia di Modena, a un passo da Maranello, era un paese dove le biciclette regnavano incotrastate.

Strano destino per un paese famoso nel mondo per le sue macchine. Formigine terra del lambrusco e delle tigelle, dove la gente ti offre piu` volentieri da mangiare che da pensare, ma lo fa con la furbizia e la bonarieta` di chi ,si vede, ha un passato da contadino misto di saggezza,di furbizia e di voglia di divertirsi.

Ma in un paese dove chiamarsi Ferrari e` una cosa normale ,Roberto ,un amico, posava una pietra migliare della mia esistenza motociclistica, quando, una sera portandomi con lui sulla sua Honda 400 four mi proponeva un fine settimana da passare al mare.

Tra amici `normali` una proposta di questo genere puo` talvota destare qualche perplessita` , ma tra motociclisti ,abituati a condividere una passione (la moto) che spesso allontana da situazioni normali, tutto questo e` assolutamente normale.

Partimmo cosi ,tenda e bagagli, e mentre la ruota posteriore si scuoteva di dosso la nebbia padana, la ruota anteriore andava dritta verso il sole e il mare.

A ben pensarci il ricordo piu` vivo e` il giallo del casco che mi era stato `passato`. Imaparai quel giorno una cosa importante sui caschi.

Ogni motociclista ha almeno 2 caschi ,uno, il suo, che e` sempre quello, dalla memoria del tempo, dove ha ormai gia riprodotto tutto l`ecosistema dei suoi odori ,del suo respiro,della forma della sua testa, l`altro quello di tutti, che si conserva per `quelli di passaggio` occasionali fruitori di una esperienza, che condividono insieme con tutti quelli che li hanno preceduti ,forfora, cerchi alla testa , odori.

 

Per tornare al viaggio, il momento culminante fu quando , dopo 300 km ,in una stradina sulle 5 terre feci la fatidica richiesta:

Me la fai provare ?

Una domanda che segna una vita ? forse. Sicuramente una delle poche domande che contro ogni buon senso si continua a ripetere fino ad avere una risposta positiva .

Ognuno volendo può fare le sue riflessioni, ma la mia e` che dopo avere `provato` giurai intimamente a me stesso che sarebbe stata solo una questione di tempo, e poi, anche io avrei avuto una moto – vera -.

 

Quella Honda Four, strano connubio di idee giapponesi e nomi inglesi, mi insegno` parecchie cose sulle moto, per esempio che 4 cilindri e una sola marmitta rendono odioso anche il piu` simpatico dei motociclisti.

Quando si e` giovani, e si pensa che tutto il mondo sia casa tua, perche una casa, veramente tua, non te la sei ancora costruita, credo che tutti abbiano desiderato un`avventura o una storia con una donna straniera, (io si !), ma raggiungerla insegna un sacco di cose.

Anche Sharon mi insegno`, insieme con la Honda del mio amico Roberto, che se si e` troppo diversi e la propria cultura insegna a cercare cose troppo diverse, incontri occasionali o subitanee passioni difficilmente si trasformano in relazioni durature, e che un` H nel nome non e sempre sinonimo di qualita`.  Imparai da entrambi che prima di scegliere qualcosa, o qualcuno e` importante sapere ciò che vuoi , e che di ciò che vuoi non devi vergognartene perche` non e` di moda o perche gli altri non lo trovano attraente.

Ma se si riesce, prima che a avere, a capire che cos`e` che si vuole, allora forse si impara a vivere in un modo diverso. Cosi come Sharon, anche la Honda dopo avermi tenuto per qualche tempo mi lascio`.

A entrambe va la mia riconoscenza per essere state un punto di svolta della mia vita, ed anche il mio disappunto pe non avermi dato il tempo di far capire loro chi io fossi.

 

 

 

Cap. 3 IMOLA ovvero la prima guzzi non la scordi mai.

 

Tornare in una grande citta` dopo qualche anno di assenza e un`esperienza che tutti coloro che l`hanno fatta se la ricordano bene. Tornai da Formigine a Torino, dove con un milione di altri torinesi mi ritrovai, ogni mattino ed ogni sera, a condurre quella lotta senza quartiere e senza onore che che gli urbanisti osano chiamare circolazione.

 

Circolare ,probabilmente, nella lingua italiana è una parola che in qualche modo da l`idea del movimento, ma nel dialetto torinese il piu` delle volte si lega all`idea di stare in coda.

Sicuramente anche altre citta` hanno lo stesso problema. Ma ai torinesi questo, sembra ancora piu` grave,perche` nella loro citta` dove tutte le strade si incrociano a 90 gradi ,suggerendo in qualche modo la felice appartenenza a qualche ordine cosmico, il doversi ritrovare perennemente in coda assume un sapore quasi blasfemo.

Si arriva così a ogni sorta di bruttura, ad esempio incolpare i meridionali per il loro modo di guidare, i marocchini perchè lavando i vetri non ti lasciano partire al verde, le prostitute perche` rallentano la circolazione. Pochi pensano che nella citta` con la piu` grande fabbrica di automibili italiana il vero problema è che ci sono troppe macchine, e troppa gente che le usa.

 

E` strano che a Torino non ci siano più costruttori di moto. Non credo fosse per questo motivo che la mia prima moto non era targata torino. Imola la prima -veramente moto- -veramente mia- nata da umili origini partenopee (targata Benevento) venne come migliaia di altri suoi conterranei a vivere e lavorare qui nel nostro freddo nord, sali` su un treno e ne scese in un mondo diverso, nella capitale dell`automobile.

Non c`era mai stata un`altra Guzzi nella mia vita prima di lei, eppure quando la vidi per la prima volta ,capii che eravamo fatti l`uno per l`altra. Il prezzo,quello giusto , la marca -italiana- come voleva mio padre (lo sponsor), e soprattutto il motore, dal primo momento che lo sentii girare capii che era quello giusto per me. Rotondo ,pieno, sicuro sono gli aggettivi istintivi che mi vengono in mente.

E` vero che era un po piu` bassa delle altre ma come tutte le meridionali trasmetteva un calore particolare, inconfodibile che non si poteva non amare. Fu con lei e con il mio omonimo e amicissimo Maurizio Cogno che decisi di trascorrere le vacanze estive.

Le ferie in numeri:

4 borse

2 ragazzi

1 tendina canadese

1 Imola

3800 km su tutte le costiere d`italia da Genova a Venezia

22 giorni meravigliosi di scoperta del mondo

Non riesco a commentare quel periodo, ancora oggi non riesco a valutarlo completamente. Lei ,Imola, si comporto` piu` che egregiamente e la sua Targa BN ci fece quasi da lasciapassare per molte zone d`italia, ma soprattutto grazie a lei imparammo a viaggiare. Il termine viaggiare passo` da quello puro e semplice di arrivare in un posto a quello di godere il viaggio per quello che era, e deve essere, nelle sue sensazioni piu` istantanee, quelle che si percepiscono quando non si sa dove si vuole arrivare.

Ma viaggiare, se diventa una condizione, diventa anche un modo di pensare e di affrontare ciò che ci si trova davanti.

A IMOLA devo giorni e momenti indimenticabili trascorsi a scoprire l`Italia, e con essa, le persone che ci vivono dentro e che incontri per strada ,nei bar e anche quelli che ,come te, sono sempre in giro da qualche parte. Ho letto su un libro che dire Guzzi non e` citare una marca, ma parlare di uno stile di vita che si riflette sulla scelta di una moto, tutto vero. Ho incontrato centinaia di altri `guzzisti`, e pur sentendomi con tutti loro parte della grande famiglia dei motociclisti, i guzzisti hanno qualche idea in piu`. Non hanno comprato la loro moto perche costava meno di altre o dava piu` di altre , la hanno comprata perchè sapevano che lei a differenza di tutte le cose delle vita che sono passeggere ,lei, sarebbe rimasta per sempre. Piu` una Guzzi diventa vecchia più il proprietario finisce per amarla ed apprezzarla,diventa una di famiglia di cui non ci si disferebbe mai. Ci sono pochissimi motivi per cui ci si disfa di una Guzzi:

a) voglio una guzzi ancora piu` grossa

b) voglio darla al mio amico cosi-inizia-a-venire-in-moto-con-noi-che cosi-non-mi-fa-la-fesseria-di-comprarmi-una-honda-che-poi-lo-porto-in -giro-che-mi-tocca-vergognarmi.

c) l`ho venduta a quello li che e` un amatore e so che l`avrebbe tenuta meglio di come la stavo tenendo io

d) se la tenevo ancora un po si accorgeva che non sono più il manico di una volta.

Imola e stata la prima di una lunga serie. Per venderla misi un annuncio su un giornale di quelli tutto inserzioni e il tipo che si presento` mi comunicò esattamente ciò che volevo sentire, Imola, non sarebbe stata maltrattata ma avrebbe ricevuto tutte le cure del caso ,chiesi allora di poterla rivedere dopo le modifiche che sarebbero state apportate e lo ottenni. Quando me la riporto` per farmela vedere quasi non credevo ai miei occhi era molto piu` bella di prima, meglio cosi` mi dissi, ero contento per lei. Mi spiace averla venduta. Adesso comincio a capire quelle persone che conservano tutto o quasi e che quando toccano certi rottami hanno quell`aria sognante, stanno rivivendo pezzi del loro passato dei loro ricordi, delle loro sensazioni. Vorrei avere un garage dove tenere i miei ricordi e magari ogni tanto metterli in moto, lucidarli e accarezzarli con aria sognante.

 

Cap. 4 Guzzi sempre Guzzi (ma piu` da americani).

 

L`unica cosa che puo` impedire ad un motociclista di essere felice e di continuare ad esserlo per tutta la vita, nonostante gli incidenti, e una stronza di fidanzata che comincia a dire :

 

Affermazione 1

“Ma perchè dobbiamo sempre andare in giro con quella roba lì che non ci possiamo portare niente dietro, neanche per cambiarci, che sembriamo sempre degli zingari ?”

soluzione,

Caricarsi di borse e valige e attrezzature in kit dal costo pari quasi a quello di una seconda moto che si potrebbe regalare alla fidanzata al fine di corromperla.

 

Affermazione 2

“io dietro ci sto scomoda da morire e poi non vedo niente e non mi diverto e poi se non faccio attenzione mi brucio i polpacci sulla marmitta e quando mi lavo i capelli il casco mi distrugge tutto il lavoro che faccio e sembro una strega !”

soluzione

Cambiare moto possibilmente con un custom che oltre ad offrire una comodita` a tutta prova offre una notevole visuale al passeggero e date le basse velocita permette l`utilizzo di caschi di dimensioni quasi irrilevanti

 

Affermazione 3

“Se ti piace tanto andare in giro in moto a prendere freddo e pioggia vai pure in giro da solo che ti aspetto quando torni e poi facciamo altro , ma vedi di non fare tardi.”

soluzione

mollala !!

 

Essendomi trovato allo stato 2 mi ritrovai dopo un po di tempo a vendere la mia amata (sic) imola. Aquistai cosi Gertrude la mia seconda Guzzi e la mia prima custom.

Le custom spesso riescono a compiere un miracolo nella mente di una donna. Infatti danno la possibilita alle donne di giudicare un mezzo nell`unico linguaggio che a loro è dato dalla nostra ristretta cultura (aime!) di comprendere, la bellezza. Le custom sono belle,anzi bellissime, e per questo si puo trascurare il fatto che siano troppo basse per affrontare qualsiasi tipo di strada che non sia asfaltata, che ti riempiano d`aria e siano quasi ingovernabili alle alte velocita` e che abbiano lo stesso angolo di sterzata di una bisarca carica di roulottes o che per lavarle si puo usare solo il SIDOL.

Tolto questo si puo` dire che sono ottime moto. Gertrude era un custom moderato, perfino piacevole ma con lei commisi un errore fatale, insieme a lei e ad una ex (Miriam) commisi la fesseria di partire per una settimana di ferie non autorizzata.

Risultato :

a) sfuriata tremenda del mio capoufficio che scoprendomi sulle coste della Sardegna poco manco` non mi offrisse come vittima sacrificale al pranzo aziendale dei donatori sangue.

b) riprensione della mia non-ancora fidanzata che ancora oggi me lo rinfaccia.

c) quasi distruzione del cambio che mi era stato già demolito da mio padre (precedente proprietario) a tutto questo si aggiunga una settimana di tortura della ex che ricorda ogni momento l`altro che sta cornificando ripetendo a se stessa che non ha mai amato nessuno come lui.

Gertrude non era fatta per me , sarebbe andata benissimo per qualche sbarbatello desideroso di risparmio sul bollo e di corti tragitti bar-casa-chiesa-scuola. Ma tra le urla lancinanti del cambio che si autodistruggeva quasi a celebrare il passaggio da una fase della mia vita a quella successiva arrivai ,sorprendendo per primo me stesso, a realizzare che sentivo il bisogno di una moto che nel traffico di città fosse in grado di infliggere una severa punizione anche alla quattro ruote piu` cattiva disponibile.

Cominciai così quel che nel gergo amoroso e` definito `corteggiamento`. Il corteggiamento si svolge all`incirca così:

a: si comincia a non lavare piu` tanto la moto vecchia

b: si effettuano solo le riparazioni strettamente necessarie

c: si va in quei luoghi dove e` possibile trovare una degna sostituta della attuale compagna e si inizia la caccia.

 

Dare la caccia vuol dire, una volta individuato il luogo, passare lunghe ore a osservare tutto il reparto usato passando piu` volte giorno e notte nella speranza di notare qualcosa di veramente interessante.

Il mio corteggiamento, essendo mirato alla conquista di una maxi (maxi vuole dire una moto tra 650 e 1000 o piu` di cilindrata), si sapeva non sarebbe durato a lungo.

Provate tutte le 1000 disponibili, scartate le 850 troppo sportive e i tutto-avanti scoprii nella cilindrata 650 il ‘rumore’ giusto.

Si trattava ora di capire quale 650 avrebbe avuto l`onore di essere la prima maxi della mia vita.

La trovai.

Così senza dire niente in famiglia fissai la data del nostro primo appuntamento.

Quell`appuntamento mi diede diverse sorprese.

La mia ex venne per vedere com`era la nuova (moto) La mia non-ancora venne per vedere come andava a finire la ex (moto) Il fidanzato della non-ancora venne con la sua (moto) all`insaputa della mia ex, di me, e della mia non-ancora,a sua insaputa futura ex.

Da tutto quel groviglio io uscii con una Guzzi 650 C superdotata (vuol dire che aveva tutto di serie). Non sapendo ancora come districarmi in tutto quel groviglio decisi di giurare fedelta` solo alla mia moto. Anche perche` a conti fatti è molto piu difficile trovare una moto usando una donna che una donna usando una moto.

A non tutti piaque la nuova (moto) ma a me non importava. Ciò che mi importava era quello che avremmo fatto insieme senza tutta la carovana di gente che in quel periodo angustiava la mia vita.

La belva (cosi` la chiamai) era una bella moto. Sabato dopo sabato,domenica dopo domenica mi offrii momenti spensierati di relax, di tranquillita` lontano dal trambusto che la mia famiglia e le donne della mia vita generavano.

Alle mie preoccupazioni,ai miei tormenti, lei rispondeva con quel suo andazzo imponente robusto,irresistibile negli allunghi, che dava tranquillita` al mio spirito.

Solo lei per un lungo periodo di tempo non mi fece promesse che non potesse mantenere, non mi rinfaccio` le mie indecisioni e soprattutto non mi tradi` mai, anche se qualche volta una vecchia e bizzosa batteria mi diede qualche fastidio.

Lei, nelle lunghe ore che passammo insieme, in quel periodo mi fece ritrovare il valore di me stesso e soprattutto la mia tranquillita`.

Di tutte le mie moto la belva fu quella che indubbiamente valeva di piu`. In piu` avevamo qualcosa in comune io e lei.

Nel periodo in cui ci incontrammo eravamo entrambi scartati da tutti, io dalle mie donne, e lei da tutte quelle specie di mostri ricoperti di plastica chiamati enduro che scorrazzavano, perchè cosi andava di moda, sulle strade della mia citta`. Eravamo giudicati entrambi molto inadeguati e fuori moda per le nostre idee e per come eravamo fatti, troppo solidi, fermi nel nostro modo di vedere le cose.

Ma si sa che la costanza paga e sia io che la belva ci prendemmo cosi le nostre rivincite io con le donne, lei con le altre moto.

La moda si ricordo` di noi e da un giorno all`altro ritornammo all`apice della popolarita`, io come compagno e lei come custom. Oramai eravamo troppo popolari , come tutte le grandi coppie correvamo il rischio di offuscarci l`uno con l`altra e così decidemmo di lasciarci.

La nostra separazione ci lascio` molto piu` ricchi di quando ci eravamo incontrati. La belva ritornò nella stesso salone da dove era stata presa e dove qualcuno dopo una cura di bellezza la volle per molto di piu` di quanto la avessi pagata io, anche lei come molte altre Guzzi fu venduta unicamente perche il suo nuovo padrone sicuramente la avrebbe protetta e amata molto piu` del vecchio.

Io invece iniziai un nuovo corteggiamento.

 

Cap. 5 Libera.la mente (ed il cuore).

 

Non saprei quale e` l`eta giusta per fare certe cose, ma devo dire che mentre per certi eventi della vita ci sono periodi nei quali ci sentiamo ,per cosi dire, predisposti, per altri non lo siamo mai abbastanza. Iniziai ,a settembre, dopo un`estate triste, un corteggiamento.

Io da una parte, lei dall`altra al nostro primo incontro neanche ci guardammo, lei stava li in mezzo alle altre – nuove – che tradotto nel linguaggio del mio portafoglio voleva dire irraggiungibili.

Io non volevo piu un altro custom,ormai troppo di moda, ma volevo una moto che mi portasse un po dappertutto e che non fosse necessariamente troppo veloce.

Gli Enduro fino a quel giorno ignorati, perche non italiani, e perche` troppo di moda, mi apparivano,bistrattati dalle masse, sotto una nuova luce. La prima condizione ,quella della marca, era soddisfatta. Guzzi. Avevo provato a guardarmi intorno, anzi una delle ultime uscite con la belva mi aveva portato a Milano al salone della moto, ma avevo avuto 2 delusioni.

La prima una Aprilia Pegaso 650 mi aveva incantato con le sue forme per poi rivelarsi una moto estremamente complessa e inaffidabile, l`altra una cagiva RIVER per la quale forse sarei riuscito a scendere a compromessi aveva il difetto di essere presentata ma non in produzione.

Chiusa la parentesi Milanese, tornai al primo amore. Il mezzo alle altre ,ancora perfettamente anonima come lo sono tutte le cose nuove che non hanno un`anima, c`era lei, con quella sua sigla spigolosa e quel nome paradossale. NTX. Chi compra una Guzzi di solito si imbatte in nomi che a loro volta sottodefiniscono il marchio e che definiscono dei periodi. Le moto postbelliche avevano nomi che parlavano di pace ,airone, cardellino,stornello,le moto dell`ondata sportiva avevano nomi legati ai grandi circuiti dove si era fatta la storia delle corse italiane, imola, monza,le mans,lario.

Nomi che sapevano di storia.

E poi c`erano i gli SP ,le vere moto di chi macinava i chilometri,lentamente pacificamente, le moto che accarezzavano la strada , il paesaggio. Si potrebbe fare una storia dei nomi della guzzi.

Ma NTX non s`era mai visto. Cominciai così con diffidenza i primi approcci incuriosito da questa moto per cosi` dire di svolta.

 

Manopole diverse,accensione elettronica,,super ammortizzatori,maxi serbatoio un vero enduro africano. Ma il mio motore 2 cilindri a V di 90 gradi era sempre lì solido sicuro,rotondo come quello di Imola (la mia prima guzzi).

Come dubitare ?

Anche la mia aquila era sempre là, quella aquila che insieme a me aveva attraversato tutta l`italia. Devo dire che non fu facile, ma dopo 2 mesi e 1/2 la decisione era presa e a dicembre del 93 lei fu mia.

Non la avevo mai sentita in moto ma quando la sentii fu come se avessi da sempre saputo chi era. Faceva freddo. Era un periodo nel quale faceva freddo anche dentro di me. Le mie giornate non erano per cosi` dire `luminose`. Iniziai cosi` il rodaggio, Libera non era proprio uno zuccherino all`inizio con quel telaio così alto ,che in curva non capivi mai dove potevi arrivare quegli ammortizzatori incredibili che quando frenavi ti sprofondavano in avanti.

Non e` facile iniziare un rapporto in inverno, l`estate da passioni piu` esaltanti l`inverno per contro ti lascia piu` tempo per conoscierti. Adesso e` arrivata l`estate ,ci stiamo ancora conoscendo.

 

Capitolo 6. Regina ,ovvero sogno di ragazzino.

 

In africa non ci sono mai andato (nonostante l’intenzione) anche perchè questa ha sempre sofferto di un grosso problema, è piena di figli di Maometto , Forse lui poi non era tanto cattivo ma i suoi successori non badano a spese.

Scoraggiato dai costi, scoraggiato dalla mia Signora (in africa ? Ma sei matto?!) torno a pensare alle moto del tempo che fu. Ma , come dice sempre un mio caro amico (Enrico Paschino), di tutto ci si puo ammalare,ma mai contrarre il morbo della ruggine. Strana malattia. Il metodo migliore per prendersela è frequentare anche per poco chi ce l’ha già. L’untore ti fa vedere la sua vespa restaurata del 52 praticamente perfetta ,e ti dice, sai ,l’ho trovata in una cascina sotto un mucchio di legna, ma l’ho riconosciuta subito.

A questo punto chiunque sia l’untore che racconta la storia ci sono sempre dei fattori comuni :

 

A) trattasi di esemplare rarissimo ,numerato, riportato in bella mostra in tale o talaltro testo di mitico esperto del settore.

B) prezzo di acquisto praticamente nullo…….

C)Il preziosissimo materiale viene completamente smontato e rimontato in ogni sua parte con un numero di ore difficilmente quantificabile (alcune migliaia), e dopo, sottoposto a mago del settore il quale appone così la sua esperta benedizione alla sfavillante creatura che rinasce alla vita.

 

Moltissime parti della storia (quella vera) sono praticamente omesse per favorire la diffusione del contagio.

A quel punto il neofita, all’idea di procurarsi un mezzo favoloso ad un costo irrisorio è praticamente agganciato.

Ed allora eccomi qua nelle file dei restauratori. Il mitico mezzo non viene agganciato in una sperduta fattoria, ma dal venditore di fiducia, lo si recupera ad un’asta ,non quelle della polizia o dei carabinieri, ma cosa alquanto insolita ad un’asta della Rai.

Trattasi di mega-moto-guzzone-come quelli di una volta, tanta cilindrata (1000cc) pochi cavalli , durata eterna e ritorno a casa praticamente assicurato. La frase esatta è “con quella roba li si torna a casa anche da una guerra mondiale!!”. Resistere è impossibile ,davanti al nero e alle cromature al cuor non si comanda. Si vende l’NTX (plasticaccia!!bleha!) e si inizia l’avventura old-style. Ma dato che la creatura è figlia della RAI-radiotelevisione italiana è forte la commozione al momento della consegna, per 2 motivi,primo per la scritta sulla borsa laterale ancora recante il logo della tv di stato secondo perchè con quel libretto non si può circolare, si, perche mamma rai non ha comprato una moto ma un mezzo speciale attrezzato per riprese audiotelevisive.

Ne consegue che un libero cittadino qualsiasi non lo può usare. Ma l’amore abbatte le barriere, e la corruzione regna sovrana alla Motorizzazione. Gli amici osservando la creatura chiedono notizie della dotazione di serie cioè erpice , aratro e mietitrebbia ma questo non scoraggia, anzi in fondo in fondo dà la certezza di avere provocato la pubblica invidia.

Ma la parte più dura deve ancora cominciare, bisogna preparare l’officina. Ed è cosi nel miraggio del risparmio che si comincia ad attrezzare il luogo della passione, da quel momento in poi ogni azione diretta al miglioramento del mezzo si trasforma in una reazione uguale e contraria corrispondente all’aquisto di una certa quantità di attrezzature atte allo scopo.

Man mano che aumentano le attrezzature aumentano le possibilità di manovra, e così si entra nel vortice.

I più fortunati ne escono dopo un pò con qualche decina di kg di ferramenta in inox e cromo-molibdeno, i più sfortunati per rifarsi delle spese devono aprire una concessionaria ufficiale con officina annessa. Per un’altro strano effetto legato alla malattia tanto più pulito diventa il mezzo tanto più sporco tende a rimanere il restauratore, si tratta di momenti difficili dell’esistenza nei quali i famigliari e i congiunti devono manifestare pazienza e comprensione in modo significativo.

Vi è un momento nel quale tutto ciò raggiunge il culmine della follia. Alla rottura di un qualsiasi pezzo non più reperibile presso la casa costruttrice, attimi di panico segnano mortalmente l’aspettitiva del neofita ma per fortuna dello stesso esiste una fiera schiera di restauratori, che approfittandosi della evidente debolezza psichica e mentale del soggetto riescono a sostenerlo nei momenti più difficili, lavorando si come meccanici, ma facendosi pagare come primari neurologici.

Mitico compimento di tutta l’opera è il Raduno. Anchè perche non si può avere un tal gioiello e non renderne cosciente il mondo. Si compiono sforzi sovrumani per portare il gioiello fino alla data fatidica, si arriva fino al luogo del raduno,si parcheggia e dopo non si ritrova più il mezzo confuso in mezzo ad altre decine perfettamente uguali.

Pazienza tanto era una bella giornata di sole………..

 

Capitolo 7 ritorno alla normalità.

 

Cosa succede ad un motociclista al culmine della sua Parabola amatoria ?! A patto che si tratti di una persona normale ,quindi dotat di un solo stipendio mensile e di tutte le comuni necessita di noi poveri comuni mortali le scelte che restano sono

nel migliore dei casi solo 2 :

 

soluzione A) impazzito del tutto il soggetto comprende di essere stato segnato dallo scorrere degli eventi, a quel punto ricopre il suo corpo di ogni sorta di pellame che a sua volta è ricorperto di placche di ogni tipo recanti la pubblicità di tutto cio che ha a che fare con il mondo dei motori, si rende irriconoscibile (capelli barba piercing, pratiche Sadomaso…..) litiga furiosamente con la Famiglia, si compra un’harley Davidson, si sperde per il mondo, mantenendosi facendo il corriere della droga.

 

soluzione B) si accorge di essere alla frutta, si compra una moto da persona normale, la usa con un pò di buon senso,essendo ben conscio che con l’andare degli anni le fratture vengono riassorbite in tempi sempre più lunghi, ritorna a quei giretti che prima snobbava con tanto disgusto e che in ultima analisi gli regalano dei sani pomeriggi, e sabati di felicità.

 

Credo che mi rassegnerò.

Non ci posso far niente.

Ma tutto le volte che potrò mi ribellerò e se quando suona il telefonino qualcuno non vi risponde ci sono solo 2 possibilità o fa l’amore, o va in moto, e se sta facendo l’amore magari fra 5 minuti lo richiamate e vi risponde (sono i limiti attuali riconosciuti scientificamente), se va in moto non riprovate fino a sera.

 

Capitolo 8 TRADIMENTO

Lo so.
Certe cose non dovrebbero succedere.
Eppure è successo.
2 anni e mezzo senza moto , è evidente che c’era qualcosa che non andava.
Certi meccanismi fino a che li tieni in movimento ci metti l’olio, il grasso, un giretto ogni tanto. e tutto Continua a funzionare, ma se molli di colpo lasci le cose li qualche annetto senza farle girare Vai li fai per farle ripartire è..crac! si è rotto. La mia passione resta uguale.
Ma è il motociclista che è cambiato. Ha passato tutta la vita a maledire i giapponesi, le harley gli fanno schifo e costano un capitale
Poveretto tutta la vita così.
Eppure dopo 9 Guzzi doveva cambiare.
Ma chi tradisce una guzzi che moto si può comprare ?
Una bicilindrica ? sicuro!
Raffreddata ad aria ? sicuro!
Che non si ferma mai? Sicuro !
E allora l’unica moto che sembra una guzzi ma e fatta come tutti noi pensiamo dovrebbero essere le guzzi
Per essere perfette . è solo una BMW!
L’ho ammetto,,, è stato un momento di debolezza , tutti quei bmwuisti tronfi che ti guardano Dall’alto in basso con sti motoroni che sembrano infiniti e senza vibrazioni , e guardano con disprezzo La macchietta che si forma quando una guzzi sta ferma un po di tempo nello stesso posto.ho ceduto.
E allora venga il mostro! Bmw 1000 r100

L’ho tenuta quasi 8 mesi.
Finche non ho provato a guidarla un pò non era neanche troppo male, poi un mattina ho deciso che era ora di vederla andare come una moto…e fu l’inferno ad ogni curva, a un operaio di stoccarda prendeva il mal di gola, quando ho cambiato i dischi dei freni a qualcuno del reparto ricambi di monaco deve essergli morto un parente..
Sicuramente i dirigenti degli stabilimenti BMW non possono avere figli maschi.merito di tutto quello che gli ho mandato con il pensiero ad ogni
curva e ad ogni frenata.. Un giorno ho avuto un dubbio e appena ho visto una moto uguale alla mia ho provato ad avvicinarmi al proprietario per chiedergli se me la faceva provare…stessa minestra.
Non voglio crearmi dei nemici. lasciamo perdere.

sapete cosa ho capito ?
le Guzzi vibrano perché sono vive,,, ma le curve almeno le fanno dove vuoi tu.
E vero che ogni tanto se guardi sotto luna guzzi che sta ferma ci trovi una macchietta , ma è perché con tutti I cavalli che ha dentro gli fa schifo stare ferma e allora piscia per disprezzo…
Ho imparato la lezione, ma almeno mi sono tolto un’illusione, in più adesso sto seduto Sopra ad un california II e tutte le volte che passa un r100 mi giro dall’altra parte …
Quando sono andato al raduno del 75° della moto guzzi mentre ero dentro alla fabbrica parlavo con un amico Della qualità di certi componenti e dicevo: certo che se imparassero un pò dalla BMW..
Un omaccione grande e grosso dietro di me mi disse ” le bmw sono guzzi tristi…
Aveva ragione solo che io non ne avevo ancora provata nessuna.
Guzzi per sempre !!! Guzzi For Ever !!!
Capite a me !

IL 750 S3….UN MITO!

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di Stefano Annino

 

Erano i tempi che mi gustavo Bruce che suonava Born, i tempi che nulla al mondo ti può fermare…manco le buche della strada…… quella vera……. quelle buche dove se ci cadi dentro non ti rialzi più come prima. Su quelle buche, che neanche vedevo per come ero incosciente, ci volavo sopra senza accorgermi di nulla. A quei tempi erano tante le cose che non sopportavo e molte altre che mi stavano salendo su per il groppone….una di queste fu……il Falcone, il Nuovo Falcone! Non ne potevo più di quel trotterellare tranquillo al massimo dei 3500 giri, di quel ticchettio “insopportabile”, di quel motore che diceva sempre e solo la stessa cosa, vuoi che fosse carico come un ciuccio su per una salita, vuoi invece che si corresse (?) giù dalle strade di montagna. Sempre la stessa espressione, la stessa tonalità, impassibile…..bom..bom..bom.. quasi che fosse un orologio…a pendolo però! Basta! Ne avevo le palle piene!

Non sapevo proprio che cosa fosse giusto, per me, in quel momento….solo Bruce era capace di domare gli ormoni!

Che tormento! Che visione…..

Ma che cos’è sto coso mezzo nascosto dietro la vetrina del concessionario Guzzi di Empoli? Entro, saluto frettolosamente il proprietario e mi “incollo” su un Guzzi…basso…lungo….cattivo…tre dischi….due cilindri che sprizzavano sesso….rosso….tutto rosso….. Si avvicina il proprietario del negozio…..dice…”E’ un S3″, rispondo…..”E’ MIO!”.

Lascio il Falcone ed esco con il 750 S3. L’amore a prima vista, che a volte non dura, fu ripagato ampiamente per i successivi anni passati insieme un pò da tutte le parti, su molte, ma molte strada d’Italia e d’Europa.

Non capita tutti i giorni di rimanere letteralmente folgorati da un “pezzo di ferro” e rimanerne “attaccati” visceralmente per tanto tempo. Quasi sempre capita…a me capitava spesso a quei tempi….di stancarsi delle cose, delle persone, soprattutto delle femmine, ma dell’S3 no, mai successo…..neanche di Bruce.

Entrare in sintonia con l’S3, per me è stato facile, merito della moto, della posizione di guida caricata in avanti (una posizione con la quale ti sembra di impugnare il mozzo della ruota anteriore piuttosto che il manubrio).

Merito anche del motore, sempre pronto, pieno di coppia , di spinta, ma mai esagerato. Anche quel motore, però, diceva sempre la stessa cosa, mai un lamento, un’esitazione, un tintinnio, MAI NIENTE!! Merito del Telaio, delle geometrie, del genio di chi seppe disegnare e realizzare una moto unica che ti entra nel sangue e non ti passa…

n o n t i p a s s a a a a ……non ti passa nessuno alla lunga distanza!

 

Al Nurbungring un Katana 1100 e un GSX 750 ancora adesso si domandano…..”Ma come!!…??…..ma come?….ma sulla parabolica apri la manetta?”……”Ma stavi dietro un kilometro sul rettilineo….ma come, ma come cazzo hai fatto….eppure sei una schiappa!” Sulla statale Cecina- Colli Val d’Elsa, la tipina di turno durante una sosta dovuta (paja e pipi) mi dice, timidosa e con un filo di voce……” Ma sai….ho toccato con la punta delle scarpe”. Il proprietario del London Pub di Livorno mi immortalò sul Muraglione (la foto in onda a breve….devo chiederla indietro a mammà) perché non riuscì a scrollarmi via nonostante il Kawa 900 GPZ nuovo di trinca.

Non vi dico poi l’Honda Bol Dor…..ondeggiava così tanto che pareva una barca…in cima al Muraglione, Paolo (lo sfortunato proprietario)….. raccò! I 6500 giri tenuti delle ore per nulla inficiavano l’affidabilità del motore, come quella volta che alle 08.00 partii da Salisburgo e alle 14.30 ero a Livorno. E pensare che dalle parti di Bolzano mi fermai timoroso perché mi accorsi della spia dell’olio accesa!! Un benzinaio sull’autostrada mi disse….”E’ la pompa”…..”Devi uscire a Bolzano e chiedere del concessionario Guzzi….però non so se la vigilia di ferragosto è aperto…forse no. Se io fossi in te non ci camminerei con la spia accesa”. Tra me e me pensai….”Ma come…la pompa o si rompe e si grippa quasi subito, oppure no. Chissà da quanto tempo è accesa la spia!”. In effetti non potevo stabilirlo con esattezza perché la borsa da serbatoio mi ostacolava la visione degli strumenti. Presi coraggio e continuai il viaggio di ritorno a casa. I primi minuti….con l’orecchio teso a non più di 90 all’ora….poi 100…poi 120….poi….mi ritrovai a Verona a 170 e la spia dell’olio sempre accesa!! Alle 14.30 ero a Livorno. Il giorno dopo cambiai il bulbo e, siccome quasi tutti i negozi erano chiusi per ferragosto, lo trovai agli autoricambi Fiat…quello della 500!

 

L’S3 è stata, per me, la migliore moto che abbia mai guidato ad oggi, nonostante il Le Mans che altro non è che una versione rivista e aggiornata della serie Sport.

Ma quel motore a 6500 giri per delle ore come Taranto-Rimini, Salisburgo-Livorno, senza soste (solo il tempo per rifornire), senza un goccio d’olio consumato, come i 5000 km fatti in 15 giorni in giro per l’Europa…era ed è un’opera d’arte!

Un solo desiderio…..riprendere il mio S3 che è ancora dal falegname di fronte a casa dei miei genitori e che non lo molla, nonostante il tormento subito dal sottoscritto! E pensare che è fermo da anni…e pensare che è seppellito da “tonnellate” di segatura!! Se trovate un S3 e non sapete cosa fare….non dubitate…PRENDETELO…..vi saprà ripagare dei sacrifici fatti per comprarlo e NON ve ne pentirete. Se invece deciderete di lasciarlo li oppure penserete di spendere i vostri soldi per altre moto, bhè amici miei….non sapete cosa vi siete persi!

 

Il 750 S3….un mito!

 

Sté

CENTAURO

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di Marcello Molteni

 

Il motore si sta scaldando, il pulsare del bicilindrico trasversale trasmette un nervoso movimento laterale alla moto, sorretta dall’inevitabile obbligo del cavalletto laterale; l’asimmetria del movimento e l’andamento sinusoidale del ronfare del motore hanno su di me il potere di un mantra ripetuto all’infinito.

Non smetterei mai di ascoltare quei due quintali ed oltre di materiali estratti dalle viscere della terra e plasmati dalla forza dell’uomo, al solo scopo di diventare un basso e vibrante animale colore antracite capace di trasportare i sogni a 230km/h, ben oltre quanto serva per assaporare la sensazione di volare ad un metro da terra, senza barriere che si frappongano tra il mio corpo e tutto ciò che sta attorno.

Il rito della vestizione è quasi completo; allaccio la fibbia del casco, infilo i guanti, e sono già a cavalcioni dell’animale pulsante; il cavalletto scatta all’indietro, la belva perde magicamente il suo peso e sento che nel suo intimo mi ringrazia per averla liberata da quell’ultimo vincolo prima di poterla cavalcare nel suo naturale e necessario stato d’equilibrio instabile.

Un gioco di mani, piedi e leve e la belva è agganciata al guinzaglio dell’uomo; i suoni cambiano, metallo contro metallo, tintinnii, e poi le vibrazioni nello stomaco e poi il movimento e poi l’assurda legge fisica che ti tiene in piedi alla prima curva e poi…

La metamorfosi si sta compiendo, il mitologico Centauro riprende vita; metà uomo e metà cavallo, metà ragione e metà emozione, metà cervello e metà macchina; una simbiosi perfetta; l’asfalto scorre sotto di me, nelle curve più famigliari è a pochi centimetri dal mio ginocchio; la belva mi sussurra segnali, ora incoraggianti, ora cautamente allarmati; noi due ci conosciamo bene e soprattutto conosciamo ognuno i limiti dell’altro.

La simbiosi non si spezza, anzi viene rafforzata chilometro dopo chilometro; supero, incrocio e vengo superato da altri centauri; pur riconoscendoli affini non riesco a considerarli uguali a me; probabilmente per loro è lo stesso nei miei confronti; l’unicità dello stato in cui mi trovo è gelosamente custodita nel mio intimo; ci saranno altri momenti per condividere le cose; non oggi, non ora.

Un lago; il sole crea mille scintille sull’acqua increspata e fa splendere di un bianco abbacinante le cime delle montagne attorno coperte di neve; diminuisco la velocità per gustarmi quello spettacolo; è uno di quei giorni che la natura si degna di regalarci per farci capire quanto siamo piccoli al suo confronto.

I paesini con le case strette tra acqua e roccia sfilano ai miei lati; il tempo pare prima rallentare, poi fermarsi, ed infine cominciare a scorrere all’indietro; vedo un antico campanile, donne con la borsa della spesa affrettarsi verso casa, ragazzini che giocano a pallone in un cortile, un piccolo ponte di mattoni sotto la ferrovia sulla destra; il mio pollice spinge quasi automaticamente un tasto e due lampadine lampeggiano.

Una massiccia costruzione gialla a ridosso della strada amplifica il rombo della bestia al suo passaggio e su un cancello vola l’immagine di un rapace dorato identico a quello sul mio serbatoio; uno sguardo dove tutto è nato otto decenni fa; due amici, un’idea, una cantina, odore d’olio e di benzina.

Ed il resto è storia.

 

Marcello e la sua Moto Guzzi V10 Centauro

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