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Un giorno con Osvaldo

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Di Maurizio ‘Ponant’ Vallebona

 

Ci sono momenti della vita in cui ti costruisci in testa l’idea che niente delle cose che potresti fare possa ancora stupirti e sorprenderti.

Oggi è domenica. Non me la sento di andare fino al raduno a bracciano. Non ho voglia di farmi travolgere dall’orda festante del raduno… So che arriverà ancora il momento per festeggiare, ma adesso no, è ancora troppo presto per me e sento che devo ancora recuperare qualcosa.

Il sole filtra dalle tapparelle, è un giorno buono per una scampagnata, una cosa tra vecchi amici io, il mio guzzi ‘Osvaldo’ e il plaid di tante scampagnate e un nuovo amico, il libro che mi porto dietro.

E, perchè no, anche un po di musica.

Oggi rispetterò tutti i limiti di velocità. Non ho fretta, non ho una sensazione. E dal momento in cui apro lo zainetto a quello in cui sento il ‘cloc’ della prima marcia del Guzzi, tutto è ovattato e impersonale.

Oggi Osvaldo è ancora più ‘rotondo’ del solito… Ronfa come un gatto al quale sto ‘grattando’ il punto giusto, si distende con quel suo pulsare ritmico regolare, abbandonato come se nient’altro ci fosse al mondo in quel momento. Osvaldo mi rimanda la ‘sua’ vibrazione, e come un grosso gattone caldo non si preoccupa di quello che sta facendo o di come lo sta facendo ma mi segue e mi asseconda in modo misurato e lievemente distaccato aumenta le fusa… e di colpo, la strada diventa il pensiero.

Non c’è nient’altro che la musica ed il calore del motore che mi trasporta e mi impone il suo ritmo da assecondare, da approfondire e riconoscere…

Canta guzzone bello canta… fammi ascoltare la tua canzone con quella nota infinita che cambia di tonalita e di ritmo al comando di una manopola… portami via con te, una cambiata dopo l’altra, e fammi dimenticare questi ultimi mesi…

Qualcosa intorno alla strada, un gioco di luci, di geometrie, di proporzioni di orizzonti che la mia vista coglie ma il mio cervello registra, mi colpisce così proseguo, su strade che conosco bene e che una mano invisibile modifica ogni stagione, sempre diverse e sempre uguali come se fossero vive, e se una strada davanti a me dicesse: ‘non ti preoccupare, ti porto al solito posto ma ti faccio fare un giro diverso’ mi fiderei di lei come di un vecchio amico dal quale è bello lasciarsi trasportare…

Osvaldo, lui, continua la sua corsa, mi chiama un pò alla volta. Mi ricorda, tenendomi per mano come sapevo guidare un tempo e come mi venisse istintivo e naturale fare certe cose… e un po’ per volta mi torna la ‘mano’ la ‘voglia’ di essere lì e fare strada… Arrivo alle salite, e la ‘coppia’ mi porta su… questo borbotto cupo ma costante mi fa salire, e ringrazio nella mente un meccanico brianzolo che con il suo talento mi regala un’emozione da lontano.

Sali guzzone, sali.

Portami ancora dove lo sguardo fissa il verde che accarezza le vallate, e svuotami la mente lasciamoci alle spalle tutto quanto. Lasciamo indietro, là nel basso nelle nebbie le mie preoccupazioni. Lasciami respirare gli odori di questo bosco, del suo fresco, dell’umido che resiste ancora dietro a ogni foglia sotto ogni muschio.

Sali Guzzone, Sali amico senza parola che dà sicurezza e calore…

Continua a salire e a cantare la tua cupa e misurata canzone che tanto bene si intona alla mia anima… fammi pensare ad una foto che ricordo, una persona in Vespa con gli amici, ad una Vespa che ho comprato e che non ho fatto in tempo a regalarti…

Oggi se fossi qui con la tua Vespa su questa strada di montagna ti starei dietro e ti accompagnerei.

Ma un po’ più da lontano, per stare lontano dagli scarichi a due tempi… E per non farti fretta. E tu saresti lì come ti vedo nella foto che mi è rimasta con i tuoi amici con la scritta “carogna 1” sul fianchetto… Io e Osvaldo li rispettiamo questi vespisti… e questo più degli altri… e intanto la cima si avvicina e mentre la strada finisce in uno spazio e mi obbliga a fermarmi, la riesco a immaginare questa Vespa che continua a salire e va in alto dove non la posso seguire…

Io mi fermo qui, sulla cima di questa montagna, con i miei pensieri, con i ricordi di quello che son riuscito a fare e con il rimpianto di quello che non c’è stato il tempo di fare… da qualche parte, lassù, c’è un gruppo di vespisti con scritto “carogna n°…” sul fianchetto e stanno andando a ballare ad una fiera di paese come ti piaceva fare quando hai conosciuto la mamma.

Buon viaggio papà.

Report Sicilia

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Report Sicilia

Di andre1100sport

Sono tornato ormai da una settimana da un’indimenticabile (anche perché per me è il primo viaggio così lungo in termini di tempo e km) vacanza in Sicilia in due: io e il mio 1100 Sport.

Cercherò di non tediarvi con gli aspetti turistico-balnear-gastronomico-sentimentali, e di limitarmi invece agli aspetti più strettamente tecnico-motociclistici e all’itinerario (per sommi capi).

Parto con due borse flosce laterali: da una parte tenda e sacco a pelo, dall’altra tuta&stivali antipioggia (mai usati, ha piovuto due o tre volte ma sempre di notte), scarpe da ginnastica e bottiglia di olio motore di scorta (neanche aperta a fine viaggio!); legato sopra una borsa laterale il materassino da campeggio. Nella borsa centrale, fissata sulla sella passeggero, tutti i vestiti. Il peso si sente, soprattutto nei cambi di direzione, ma la moto si guida bene lo stesso.

Addosso tuta di pelle in due pezzi (marrone quasi nera, ideale sotto il sole), guanti e stivali, che userò sempre nei trasferimenti e invece lascerò in campeggio nei brevi spostamenti locali. Casco apribile, sarà anche meno sicuro ma con l’integrale sarei morto dal caldo.

Primo giorno (5 agosto): autostrada da Bergamo a Parma (l’unica che farò fino al tratto che mi porterà a Palermo) e poi solo strade normali fino a Castiglion della Pescaia (GR). Ma che bella è la Cisa? non l’avevo mai fatta; e le stradine tutte curve della Lunigiana e Garfagnana?

km 570.

Secondo giorno (6 agosto): via per le ancora più splendide strade del senese e le altrettanto belle strade per Orte, Narni, Terni, Rieti e L’Aquila, per arrivare per la seconda notte al raduno sul Gran Sasso chiamato “Piccolo Tibet” organizzato da Motociclisti Imprevisti, di cui avevo saputo grazie alla segnalazione di Dav850T3Cali sulla mailing list di AG.

Ed ecco la prima magagna : poco prima di arrivare al raduno, mi fermo a chiedere un’indicazione e, al momento di ripartire, premendo lo start il motorino gira ma non ingrana sulla ruota della frizione, ne esce un rumore tipo mitraglia e la moto non parte. Parto a spinta (in discesa) e arrivo a Fonte Vetica (nei pressi d Campo Imperatore), sede del raduno, quasi senza benza perché piuttosto che fermarmi al distributore e ripartire spingendo con la moto stracarica preferisco rimanere a piedi!
Neanche il tempo di arrivare (cazzo che posto, e sì che ne ho viste di montagne… sembra di essere su uno di quegli altopiani in Kyrghizistan, nel cuore dell’Asia Centrale: avete presente, no?) e subito un team di meccanici preparatissimi e ben attrezzati comincia ad armeggiare intorno al 1100. Che sia la batteria scarica? Colleghiamo coi cavi la batteria a quella di un’altra moto e proviamo, stesso risultato. Ma il capo meccanico (Marcellino Faletto su Yama XJ750 Turbo!!!) ha le idee chiare: nota che, dalla molla della serratura della sella passeggero, ad ogni tentativo di avviamento esce una fumatina e, prima ancora di averlo individuato fisicamente, capisce subito qual è il problema: la batteria non è collegata bene a massa e disperde. A questo punto è fin troppo facile accorgersi che la treccia metallica della massa della batteria è avvitata a un punto di attacco della piastra reggi batteria che si è dissaldato dal telaio, quindi la corrente passa, attraverso la suddetta molla e gli altri punti di attacco della piastra al telaio (infatti la moto e tutti i servizi funzionano regolarmente), ma quando ne deve passare tanta (per l’avviamento) disperde. Avvitata la treccia a un altro attacco della piastra reggi batteria, il problema è bell’e che risolto.

km 1022.

Terzo giorno (7 agosto; e qui mi sto sforzando per tenere fede alla parola data e evitare di dirvi qualcosa degli arrosticini, della grappa e del dopo grappa al raduno…): Marcellino non è tipo che si accontenta di una soluzione di emergenza, sa che ho ancora tanta strada davanti e girare con la batteria che saltella nel sottosella non è bello. Così mi invita a casa sua dove, come se fosse la cosa più normale del mondo, crea dal nulla due piastrine a U di acciaio, le fora e mi rifissa perfettamente la piastra reggi batteria al telaio (penso che la terrò sempre così, a imperituro ricordo della sua maestria). Non contento, mi invita a pranzo (e sua moglie cucina davvero bene) e mi dispensa saggi consigli per il percorso a venire.

La prossima tappa è a casa di una mia amica in Puglia, parto che è già pomeriggio ma resto fedele al progetto no autostrada e mi faccio le varie statali x Chieti, Popoli, Sulmona, Roccaraso, Isernia (quest’ultima parte splendida; tra l’altro non ci passa nessuno perché, come mi spiega un benzinaio, hanno appena aperto una nuova strada a doppia corsia che copre lo stesso tratto; in pratica la strada vecchia è diventata un circuito per motociclisti, particolarmente indicato per supermotard; peccato che una CBR uscita larga da una curva mi stava centrando in pieno, c’è mancato davvero un pelo!), Campobasso, Foggia e Ruvo di Puglia.

km 1500.

Un giorno di sosta a Ruvo di Puglia (8 agosto) e poi il quinto giorno (9 agosto) via per la Sicilia, passando da Matera, Metaponto e Sibari, poi scavalcando i monti della Calabria e sbucando sul Tirreno a Guardia Piemontese, a nord di Tropea. Sempre solo statali fino a Villa San Giovanni, breve traversata in traghetto e ancora statali da Messina fino a Riposto, “Il porto dell’Etna”, pochi chilometri a nord di Catania (cazzo, ma che traffico nei paesini lungo la costa!).

Si manifesta la seconda magagna (che poi si rivelerà essere dipendente dalla quarta, ma non anticipiamo i tempi…): in Calabria, scendendo verso il Tirreno, il freno dietro comincia a mollare. Sul 1100 Sport non è rarissimo, ha una pinza dietro da motorino, la moto è stracarica, io sono abituato ad usare tanto il pedale del freno dietro (retaggio della frenata integrale del Lario?), la discesa era lunga … insomma penso a una bolla d’aria nel circuito idraulico.

km 2105.

Il sesto giorno (10 agosto) vado a Catania a cercare un’officina, un gentilissimo Guzzista locale su T3Cali mi accompagna prima dal concessionario Guzzi (chiuso), poi in un’officina multimarche, che mi indirizza a sua volta all’officina autorizzata Guzzi Nunzio Moto di Acireale (il cui meccanico mi mostra con giusto orgoglio un Daytona Limited Edition che hanno in officina). Qui prima tentano di rimbalzarmi in un’altra officina, poi di fronte alla mia disperazione mi lasciano fare da me lo spurgo dell’impianto (fornendomi molto gentilmente cavalletto, attrezzi, liquido freni e il cosiddetto “cicciamerda”, cioé una tanichetta con tubetto dove far defluire il liquido che esce). Risultato scarso: il freno frena solo dopo una prima pedalata a vuoto, e dopo un po’ di chilometri ricomincia a non frenare più del tutto come prima. Pace, c’è sempre il freno motore!

km non pervenuti (2200?)

Settimo giorno (11 agosto) dedicato alla visita dell’Etna: sono arrivato fino in cima (anche se purtroppo la Guzzi l’ho dovuta lasciare alla partenza della cabinovia! ) , ed è davvero uno spettacolo. Peccato che il tanto camminare tolga spazio alla guida, perché la strada che sale da Zafferana Etnea al rifugio Sapienza sembra un circuito x moto: larga, bell’asfalto (che in Sicilia è un po’ una rarità, purtroppo) e disegnata da uno che non può non essere un appassionato di moto.

Freno dietro sempre assente, in più ( terza magagna ) inizio a sentire uno strano rumore dalla ruota (o dai freni?) davanti, la sera in campeggio smonto un po’ di roba e credo di capire che il responsabile sia un cuscinetto del perno ruota. Niente da fare, siamo a giovedì sera, lunedì prossimo è ferragosto e ho già constatato che in questi giorni le officine sono tutte chiuse.

km 2305.

Ottavo giorno (12 agosto): sperando che il cuscinetto regga, parto per la prossima tappa, l’angolo sud-est della Sicilia, località Isola delle Correnti (zona Portopalo di Capo Passero). Giusto a metà strada, appena fuori Siracusa, su una superstrada a circa 120 km/h, il cuscinetto se ne va. L’effetto è simile a quello di una foratura prima che inventassero le gomme tubeless, la moto di colpo diventa incontrollabile, ma per fortuna è un 1100 Sport, la moto più stabile del mondo: resto in piedi, mi fermo e do un’occhiata, dal cuscinetto escono pezzi della guida delle sfere triturata, sembra anche che manchino alcune sfere. Trotterello a 30 km/h fino alla prima uscita, con la ruota che sfarfalla vistosamente e anche i freni davanti che, di conseguenza, non frenano più; disperato, trovo un’officina auto, mi ci fermo frenando coi piedi come si faceva con la bicicletta da ragazzini e imploro i meccanici di aiutarmi. Tra l’altro è quasi l’una e stanno chiudendo per il pranzo. Sulle prime mi dicono di lasciare lì la moto e tornare dopo pranzo (ed è già una pacchia, mi aspettavo che mi cacciassero via; tra l’altro in fondo all’officina vedo fare capolino una Monster S4, sta a vedere che tra i meccanici di questa officina c’è qualche appassionato motociclista…), poi decidono di cominciare a vedere che cos’è e dopo neanche un’ora il cuscinetto morto è sostituito con un altro nuovo fiammante… anzi, prelevato dalla cassa del rottame e proveniente dall’albero a cammes di una Ford Mondeo! Il tutto per l’esorbitante prezzo di 15 Euro (roba da non credersi; ho già scritto a Motoschifismo per ringraziare).

Riparto e arrivo alla meta (Isola delle Correnti, gran bel posto) neanche troppo tardi.

km 2563.

Nono giorno (13 agosto): torno verso nord fino a Siracusa e, quando ci arrivo, noto ( quarta e ultima magagna ) che anche un cuscinetto della ruota dietro (quello lato disco freno) ha deciso di imitare il collega all’anteriore: gira male e fa un brutto rumore. Provo invano a girare un po’ di officine, ma è il venerdì pre-ferragosto, e quando finalmente ne trovo una disposta a guardarci sono le dodici e mezza e i ricambisti sono già chiusi, dove lo trovo un cuscinetto di ricambio?

Decido di fare come per l’altro cuscinetto (l’esperienza insegna!): non si può riparare? Fanculo, proseguo la visita di Siracusa e incrocio le dita.

km non pervenuti

Decimo e undicesimo giorno (14 e 15 agosto): tutto bene, giro nei dintorni di Siracusa (assolutamente da vedere, oltre ai soliti posti che sono su tutte le guide, la valle del fiume Anapo e l’annessa necropoli preistorica di Pantalica) e Ragusa.

km 3076.

Dodicesimo giorno (16 agosto): mi trasferisco oltre Agrigento, a Eraclea Minoa.

km 3338.

Tredicesimo giorno (17 agosto): visito Agrigento e la Valle dei Templi.

km 3388.

Quattordicesimo giorno (18 agosto): mi sposto con armi e bagagli a Selinunte (con strizza incredibile sui tornanti in discesa che da Menfi portano verso la foce del Belice: l’asfalto sembra di vetro e, avvicinandomi al primo tornante, che gira a destra, ogni tentativo di frenare si risolve in un bloccaggio della ruota anteriore; per fortuna riesco ugualmente a impostare la curva senza invadere più di tanto l’altra corsia). Appena arrivato in centro di Marinella di Selinunte, mentre vado a 5 km/h dietro una fila di auto, la ruota dietro di colpo si inchioda (è la definitiva conferma della quarta magagna ). Il cuscinetto ha fatto la fine di quello davanti, ma da come si è bloccata di colpo temo il peggio, cioè che si sia danneggiata la coppia conica! Per fortuna proprio lì davanti abita un Guzzista (mi pare Nevada), che almeno mi aiuta a spostare la moto a lato della strada e mi dà indicazioni sui meccanici della zona. Però siamo a giovedì della settimana post ferragosto, officine chiuse fino a lunedì.

Troppo incazzato per guardare i km, ma così a occhio direi 3500-3550.

Tanto per non starmene con le mani in mano, il 19 vado in treno a Trapani e in traghetto sull’isola di Favignana, poi il 21 me ne torno a Selinunte in treno.

Diciottesimo giorno (22 agosto): alle 14 il meccanico del posto (Castelmoto di Castelvetrano, bravo e gentile) viene a recuperare il 1100 col furgone. Peccato che in questo periodo lavorano solo mezza giornata, al pomeriggio l’officina è chiusa.

Diciannovesimo giorno (23 agosto): la mattina, di buon’ora, mi presento in officina e smonto la ruota dietro. Tolta la ruota, provo timidamente a far girare a mano l’albero di trasmissione, pronto al peggio, e invece gira tutto come l’olio, era solo il maledetto cuscinetto, la coppia conica è OK! Con l’aiuto del meccanico cambio il cuscinetto, anzi già che ci siamo li cambiamo tutti e due, per un totale (compreso il recupero della moto col furgone e i due cuscinetti) di 75 Euro. Altro bell’esempio di onestà. Magicamente, anche il freno dietro torna a funzionare normalmente: evidentemente la magagna n. 2 dipendeva dalla n. 4, nel senso che il bastardo cuscinetto stava già cominciando a partire fin dalla Calabria, faceva sfarfallare la ruota, e quindi anche il disco freno, le cui oscillazioni impedivano al circuito idraulico di funzionare correttamente (infatti, come ho già detto, anche quando era saltato il cuscinetto della ruota davanti non funzionavano più i rispettivi freni).

Pronti via, me ne vado a Palermo: sono in ritardo sul programma e quindi, dopo essere passato dai ruderi del paese di Gibellina, distrutto dal terremoto del Belice del ’68, mi concedo il secondo tratto di autostrada della vacanza (il primo era stato Bergamo-Parma!). Monto la tenda all’Isola delle Femmine (un nome ingannevole, non se ne vede una…) e vado subito al porto di Palermo per prenotare la nave x Genova della sera dopo. Poi mi getto nella Palermo by night, davvero intrigante.

Troppo felice per guardare i km, ma così a occhio direi 3800

Ventesimo giorno (24 agosto): la mattina in campeggio vedo un Hayabusaro che lubrifica la catena e gli chiedo da dove viene, in un italo-inglese malcerto ma efficace quello mi risponde: da Finlandia tutto on the road except boat from Zara to Ancona!!! La mia autostima per i tanti km fatti cade sotto zero.

Palermo by day mi intriga un po’ meno della sera prima, comunque sempre molto bella e mille cose da vedere. La sera a malincuore mi imbarco.

km 3840.

Il ventunesimo giorno (25 agosto) non si conta neanche: nave Palermo-Genova, arrivo alle 17 e via in autostrada fino a Bergamo. Minaccia pioggia, quindi vado allegro e, sulle curve della Milano Genova, sono anche tentato di gettarmi all’inseguimento di una Hornettina volante che mi passa beffarda; ma poi mi chiedo: chi me lo fa fare, con borse, borsoni e 4000 km sul groppone, di rischiare la vita per star dietro a un pirla? Non mi riconosco più, sta vedere che ‘sta vacanza mi ha maturato!

km finali 4040.

Bilancio: ho lasciato in Sicilia (e ci metto anche il Piccolo Tibet-Gran Sasso) un pezzo di cuore e due cuscinetti. Ho conosciuto gente splendida, generosa, disponibile e cordiale. Ho scoperto (a 34 anni!) che una vacanza in moto (naturalmente Guzzi) & tenda, specialmente se in solitaria, è un’esperienza da fare nella vita.

P.S.: Ma ’sti cavolo di cuscinetti del perno ruota, è così comune che si rompano? Due in un viaggio di 4000 km? Forse che, in un periodo di magra, a Mandello al posto delle sfere gli operai nei cuscinetti ci mettessero le caccole del naso? Credo proprio di essermi strameritato sul campo i galloni di Gran Maestro della Loggia del Cuscinetto.

Ci si vede alle GMG (se riesco a arrivarci… mi porterò dietro un paio di cuscinetti di scorta)!

In Guzzi we trust

Andre1100Sport

Report Sicilia

Le sorprese della vita. Una favola dei giorni nostri.

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di Maurizio Suppo

 

A mia madre.

Vroom vroom vromm, il piccolo Giovanni correva sempre ad affacciarsi alla finestra che dava sul grande cortile quando sentiva il vecchio signore che accendeva il suo Falcone. Giuseppe andava ormai per i settanta ma sembrava un ragazzino. Alto, con un fisico asciutto ma ancora incredibilmente atletico, tutte le domeniche mattine da quando era vedovo dopo la messa andava a casa, metteva il Guzzi bello fiammante in mezzo al cortile rivolto verso l’uscita e dopo un bel cicchetto al carburatore via un bel calcione deciso sulla pedivella, mai che lo tradisse una sola volta, partiva sempre e il suo borbottio lo salutava dicendogli che era pronto. Appena lo sentiva Giovanni correva e si sbracciava urlando un sonoro ciao. Giuseppe lo salutava con il suo solito sorriso, un sorriso alla voglia di vivere, gli ricordava tanto lui da piccolo, ai suoi tempi nemmeno si vedevano le moto, vere e proprie mosche bianche. Giovanni, quando i suoi genitori lo permettevano, correva giù per le scale e si fermava a pochi metri dalla stantuffante motocicletta e rimaneva lì incantato con la manine dietro la schiena a guardarla mordicchiandosi il labbro tutto preso dalle sue emozioni da bambino. Giuseppe allora lo prendeva in braccio e lo sedeva sulla sella, il piccolo tutto teso si aggrappava al manubrio e proprio come l’anziano signore gli aveva insegnato, dava dei piccoli colpetti al gas, per lui era importante perchè Giuseppe gli faceva scaldare la sua moto, poi dopo pochi minuti, eccolo di nuovo che ridente tornava di corsa su per le scale tutto felice. Ed eccolo pronto a partire, caschetto, occhialoni e una borsa di cuoio a tracolla, e via. Lasciava le vie di Vercelli per prendere la statale che collegava la città al Monferrato, su per le colline il mono borbottava vivace e prendeva con calma i giri. Giuseppe rimaneva incantato dai pendii coltivati a grano e a vite, e guardava quel paesaggio che conosceva a memoria, per anni aveva fatto su e giù per quelle strade con il suo Sport 15 prima della guerra. Arrivava sempre al solito punto panoramico dal quale si vedeva l’ìmmensa pianura tutta lì sotto ai suoi piedi e in quel momento si sentiva il re del mondo, pensando che nessuno poteva pretendere di più di quello. Il muretto lo aspettava sempre lì fermo e fedele, tirava fuori il suo bel pane e salame, anche il pranzo domenicale era servito, erano lontani i tempi delle tavolate piene di parenti, ora lui era solo, e così gli bastava. Finito il pranzo si ripeteva la procedura del cortile, fatto salvo per il piccolo Giovanni, ma il ritorno se lo faceva allegro, trotterellando di buon passo e mettendo a dura prova il suo fedele rapace. Rientrando nel cortile il motore calava di giri fino a smettere di borbottare, “Alla prossima” gli diceva accarezzandogli la sella e via a casa, ma era felice sebbene fosse sempre stato solo, era felice perchè sapeva che di lì a poco avrebbe sentito il festoso scampanellio di Giovanni, che correva a casa sua ogni domenica per sentire gli incredibili racconti di motori e viaggi che aveva fatto in giovinezza, di quella volta che in pieno inverno rimase senza benzina ad Alagna, di quella volta che lui e sua moglie Claretta andarono a trovare un vecchio cugino a Venezia facendo un viaggio di due giorni,di quelle “volte che…” avevano reso incredibili tanti viaggi agli occhi di un piccolo uomo di quattro anni, racconti che facevano assumere a Giuseppe agli occhi di Giovanni un alone eroico e magico, che gli facevano pensare che anche lui quando fosse stato grande avrebbe voluto fare tutte quelle avventure. Poi arrivò un inverno,freddo e pieno di neve, il vecchio Giuseppe un giorno prese il suo Falcone per fare il suo solito giro, Giovanni non scendeva più per le scale perchè la mamma non glielo permetteva per il freddo, tirava un’aria rigida, ma a lui non importava, calzoni di lana, doppio maglione e un bel montone rovesciato. Ma quella volta non bastò. Il giorno dopo gli prese una gran febbre, e si ammalò di polmoni. Rimase vivo per un pelo dopo quasi tre mesi di malattia, la sua medicina migliore fu il piccolo Giovanni che tutti i giorni gli portava la minestra calda fatta dalla sua mamma, e che gli dava la forza di non lasciarsi andare, viveva per lui, era il figlio, o meglio il nipote che non aveva mai avuto. Gli pianse il cuore quando fu costretto a vendere la sua moto, pianse di dolore perchè era un’amica per lui, una fedele compagna. Passarono gli anni e purtroppo Giuseppe se ne andò lasciando dietro di sè un gran vuoto nel “piccolo” bambino, ormai adolescente. Per Giovanni arrivò il primo motorino, un fiammante M50 della Garelli, poi con il suoi risparmi decise che era ora di comprare una moto. Le sue finanze non gli permettevano molto e quando vide da un meccanico un Falcone con un cartello vendesi, gli venne in mente Giuseppe, e la sua moto, il ricordo delle emozioni che provava quando sentiva le parole del motore e quelle del suo amico lo convinsero ad entrare a chiedere il prezzo. “E’ un pezzo vecchio e malandato, sei sicuro giovanotto?” gli disse il meccanico, “Sì, quanto?” – “Ma non posso chiederti più di centomila! Ha quindici anni!”. L’affare fu concluso, e Giovanni si portò la vecchia moto a casa con un po’ di apprensione dei suoi genitori. In effetti era un po’ malandata, e spelacchiata nella vernice ma il motore stantuffava come se lo ricordava lui e ciò gli bastava. Guardò il libretto e vide scritto in cima alla fila di proprietari il nome del primo :”Vercelli, 22 ottobre 1954. Generalità del proprietario: Giuseppe Mazzeri …” Rimase fulminato, non riusciva a crederci, era la moto del suo amico, e ora era sua, gli occhi gli diventarono lucidi dall’emozione, il vecchio meccanico non sapeva quale tersoro gli aveva ceduto a così poco prezzo. Dopo otto padroni che le avevano ormai fatto sputare l’anima, ora lui un, ventenne studente, aveva ritrovato una parte del suo migliore compagno d’infanzia di sempre e per nulla al mondo l’avrebbe ceduta. Era vecchia e malconcia ma non ai suoi occhi.Trent’anni dopo Giovanni la restaurò, ridonandole lo splendore che ricordava quando era bambino. Ad ogni giro Giovanni non manca di passare per il punto panoramico tanto caro al suo amico, e ogni volta il suo sguardo e quello del Falcone si perdono nell’immensità della pianura. Oggi nel vecchio Falco rivive la memoria di Giuseppe, e delle tante fantasie fatte dal piccolo Giovanni accoccolato sulla sua sella intento a dare dei colpetti di gas sognando le avventure del suo grande amico.

In viaggio

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AnimaGuzzista Racconti In viaggio

Di Cesare Abbate

 

Partimmo al sorgere del sole, nel cuore delle montagne che catturano il vento per coprire col loro manto le piccolissime città, tra le nuvole che quasi ci sfioravano mi sentii protetto come un bimbo nell’incavo dell’ utero materno. Durante il tragitto udivo come una eco lontana di antiche voci semicoperta dal rombo della moto. Lo sguardo che anticipava ogni curva era la sorta di un antico esorcismo, la mente in direzione delle montagne violate dall’empia strada fantasma. Ad ogni sguardo pellegrino pareva apparire e riflettersi all’infinito, come in un gioco di specchi, la stessa identica curva: la curva dei miraggi che conduce per piste fantasma in una sorta di inferno, nel quale non vorresti mai arrivare…

Viaggiamo, inizialmente, per perderci. E viaggiamo, poi, per ritrovarci. Viaggiamo per aprirci il cuore e gli occhi, e per imparare più cose sul mondo di quanto possano accoglierne i nostri giornali. E viaggiamo per portare quel poco di cui siamo capaci, nella nostra ignoranza e sapienza, in varie parti del globo, le cui ricchezze sono variamente disperse. E viaggiamo, in sostanza, per essere giovani e sciocchi, per rallentare il tempo ed esserne catturati…

…mai come sulla strada ci convinciamo di quanto le nostre fortune siano proporzionate alla difficoltà che la precede. E mi piace l’enfasi su una vacanza morale perché ci abbandoniamo alle nostre abitudini etiche, così come la sera ci abbandoniamo nel nostro letto. Pochi dimenticano il nesso tra viaggio e travaglio. E io so di viaggiare in gran parte alla ricerca di una sana sofferenza, la mia, che voglio sentire, e quella degli altri, che ho bisogno di vedere. Viaggiare in questo senso ci conduce ad un migliore equilibrio tra saggezza e compassione, fra vedere il mondo chiaramente e sentirlo veramente. Perché vedere senza sentire può portare all’ indifferenza, mentre sentire senza vedere può renderci ciechi…

A volte l’Aquila ti porta dove meno te lo aspetti

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AnimaGuzzista Racconti Rinaz

Di Rinaz
Fa freddo questa mattina e’ l’otto dicembre festa consacrata all’Immacolata.
Fa freddo e sono solo le sei del mattino, mi aspettano i mutandoni di lana ed un Chianti sotto una gelata che sembra proprio la reclame del Natale piu’ scontato, patinato e finto dei grandi magazzini.
Aspetto la luce di una tersa giornata di sole e accendo “Igiakal” che non mi tradisce piu’ da quando i miei amici Pietro e Marcello ci hanno messo le mani. Fuori fa davvero freddo e mi aspetta l’attraversamento dell’alto Chianti sulla direttiva Gaiole – Badia Coltibuono – Cavriglia poi da li raggiungero’ Ponte a Sieve dove mi aspetta Lorenzino alle nove. Nelle borse ho messo un po’ di speranza perche’ da Ponte a Sieve io e Lorenzo raggiungeremo Nonnoenio ed andremo al Toy Run con quelle “trunce” degli Harleysti.
Di mezzo c’e “solo” l’Appennino con il passo del Muraglione o il passo dei Tre Faggi da superare per raggiungere Nonnoenio a Meldola provincia di Forli’.
Sembra tutto deciso e segnato ma l’Aquila a volte ti porta dove meno te lo aspetti.
Oggi mi ha portato in un posto imprevedibile quanto incredibile.
Seguiteci fratelli, seguite me e Lorenzo in questo viaggio che solo le Guzzi possono fare, seguiteci se anche voi avete una Guzzi… perche’ se l’amate qualche volta avra’ portato anche voi in posti che non vi immaginavate.
Verso Gaiole comincio a salire, il ghiaccio dalle olivete e dai vigneti si trasferisce sulla strada, IGIAKAL scivola ma non cade… devo fare attenzione e recito il rosario per non pensare al gelo… ma nonostante il freddo, l’Immacolata e la statua della Madonnina sul mio fanale provo ancora lo stupore a guidare la mia moto perfettamente funzionante… non riesco ad abituarmi.
Curva gelata dopo curva gelata scendo nella Val d’Arno dove mi aspetta la nebbia, aumentando la velocita’ aumenta il freddo … maledico i miei cinquant’anni e la mia scarsa forma fisica ma resisto. Lorenzo arriva carico di borse e doni per i Bambini della Casa famiglia che il Toy Run ci porta a trovare… abbiamo freddo ma loro stanno peggio di noi e Nonnoenio era stato chiaro ” … al di la’ di quello che portiamo ai bambini piace stare con noi e guardare le nostre moto… ” l’anno scorso Nonnoenio ci era andato in moto sotto l’acqua… le moto erano poche e forse i bambini un po’ delusi… abbiamo freddo io e Lorenzo ma NIENTE MACCHINA costi quel che costi…
Ora c’e’ il sole ma le previsioni danno il cambiamento del tempo per il pomeriggio: pioggia e neve su apennino emiliano e Toscana… Lorenzo forse per pieta’ mi caccia la balla che su Sky ha visto il sole tutto il giorno mentre prendiamo un caffe’ nel bar dove lavora Leo presidente del Guzzi Fiorenza Club… Leo non c’e’ e le signorine (molto carine) ci porgono il caffe’ con una domanda ” … ma siete grulli? dove andate con sto freddo?..”
Lorenzo ride e rilancia “… ma e’ ovvio facciamo il Muraglione!…” Si passa Rufina e si comincia a salire la nebbia avvolge il paesaggio indefinito e spettrale di faggi e pini … ad un certa altezza sbuchiamo al disopra della nebbia ed il panorama si fa maestoso ed invernale… cazzo Lorenzo e’ proprio Natale e siamo in moto… ma siamo gia’ a San Godenzo e dobbiamo prendere una decisione: salire per il piu’ alto Muraglione o fare il piu’ basso passo dei Tre Faggi… Lorenzo scruta la cartina sul serbatoio e decide per i Tre Faggi… ci facciamo piu’ di 20 chilometri su una lastra
di ghiaccio a passo d’uomo le poche persone che incontriamo scuotono la testa ma la strada franata in piu’ punti alla fine ci sputa sani e salvi a Premilcuore… Lorenzo che non ha il parabrezza come il mio preso da Vincenzo Crea ha molto freddo soprattutto alle mani … decidiamo quindi di fermarci per un caffe’ (corretto) per scaldarci ma anche per stemperare la tensione accumulata nel fare il passo sul ghiaccio, regalo a Lorenzo due scaldamani che mi aveva regalato GIGINEVADA e cerco di guardare come sta’ … lo sorprendo che guarda il posteriore di una bella valligiana che va a Messa… scoperto e imbarazzato dice “…si vede che con il freddo si mantengono bene…” OK Lorenzo sta benissimo ed eccoci adesso guardare il mare Adriatico … sembra una cartolina tipo ” SALUTI DA RIMINI” facciamo
l’ultimo salto verso Nonnoennio ed il Toy Run, passata Predappio c’e’ il sole e la temperatura e’ gradevole sembra proprio una ricompensa divina per tutto il freddo mangiato. Lorenzo volteggia come un angelo sulla sua Special
bianca tra le curve mentre io arranco e faccio fatica.
Eccoci a Meldola ci presentiamo puntuali alle undici sulla bellissima piazza principale e… E NON C’E’ NESSUNO!
Giusto il tempo di disperarci… Nonnoenio non risponde al telefonino … Pietro nemmemo… ma ecco il rombo amico che annuncia l’arrivo di un California a carburatori lucido come un altare, aerografato e radiomunito:
NONNOENIO!
Con Nonnoenio andiamo ad aspettare il gruppo piu’ avanti sulla statale ed intanto cominciamo a fare amicizia “NON VIRTUALE” … Nonnoenio mantiene le promesse del Web e’ davvero un grande personaggio. Quando arriva il gruppo
mi sono emozionato … ho stimato circa 60 maestose moto tra Harley e Guzzi e qualche Giap (molto pochi ma buonissimi).. c’era un rombo un suono nell’aria che mi piacerebbe farvelo sentire… vederli cosi’ sembrava che
andassero a mettere a ferro e fuoco un tranquillo paese come nel film IL SELVAGGIO con Marlon Brando ed invece andavano a portare speranza e qualche regalo ai bambini di una suora.
Gia’ questo meritava il viaggio.
Io credevo di essere venuto da lontano… c’era gente che veniva da Roma e da Venezia!!!
All’aperitivo facciamo conoscenza e comunella con gli altri Guzzisti dove su tutti svetta Lino “il Duca” … ci presentiamo compatti alla casa Famiglia di Galeata. Le moto che ci stanno vengono parcheggiate direttamente nel cortile della casa a portata dei bambini.
Con Lorenzo entriamo nel cortile carichi delle cose che abbiamo portato ed il cuore mi si e’ fermato… anzi …non fermato …peggio a cominciato ad andare indietro.
Lei era bella ed in piedi nella sua tunica bianca con tre bambini attaccati alle sottane… era come l’avevo lasciata otto anni prima… Suor Lucia mi vede e la commozione si fa forte… scende il silenzio sul popolo dei bikers che adesso fa cerchio attorno a noi.. ” MA SAPETE CHI E’ QUESTO SIGNORE? ” esclama suor Lucia “…Rinaz ma cosa e’ successo cosa fai qui?..” mi volto di spalle e gli mostro la grande toppa sulla mia schiena MOTO GUZZI. Otto anni prima Lucia faceva l’angelo in un paese della ricca provincia tra Milano e Bergamo, terra dura di tossicodipendenze e guai, lei era forte come l’ho vista forte oggi… ma Lucia non aveva paura di niente ne’ della fatica ne’ della violenza. Per loro dipinsi una crocifissione che potete ancora oggi vedere nella chiesa dell’Oratorio di Ciserano Bergamasco e per lei per
i suoi orfani dipinsi una Madonna con Gesu’ e San Giovannino… inoltre andai diverse volte a far dipingere quei ragazzi e la mia anima si fuse con la loro e con quella di Suor Lucia e Don Angelo Riva ma anche di Nazzarena che vidi morire di AIDS in un letto che la suo fianco vedeva solo Suor Lucia e Don Angelo. Andate affanculo voi che avete costruito questa moto che oggi mi ha portato in un posto che non so reggere dal dolore. Andate affanculo voi che credete che nei nostri cuori non c’e’ nient’altro che rabbia, gas e strada.
Lorenzo e Suor Lucia portano i doni in qualche posto mentre Lino il Duca si e’ messo un cappellino da Babbo Natale ed un paio di occhiali con gli occhi finti per far ridere i bambini… va bene asciughiamoci gli occhi ed andiamo
a mangiare che siamo pur sempre Guzzisti.
Il pranzo e’ sobrio e non alcolico offerto e servito dalla casa famiglia nel suo refettorio.
Ancora piu’ sobrie le poche parole che Nonnoenio dice al popolo dei Bikers ringrazia tutti anche la recalcitrante Gemma l’Harleysta che ha sognato e costruito il Toy Run… una bella bikers apparentemente durissima che e’
stata capace di radunare un centinaio di persone attorno a questi bambini…
Nonnoenio dice solo “… grazie che per un giorno non conta quello che c’e’ scritto sul serbatoio…” ma non vi confondete Enio e’ una persona che sa parlare ed infatti tra una pennetta al ragu’ e l’altra riusciamo a parlare di etica e di morale, fede e passione.
Ora Nonnoenio gira con un bottiglione da cinque litri tristemente addobbato con carta stagnola a raccogliere offerte per la casa famiglia (unico costo del Toy Run… ci tenevo a scriverlo) mentre Lucia mi raggiunge.. “… sei
diverso Rinaz…” ” … sono invecchiato Lucia ma sono sempre innamorato del Signore” “… come stanno i bambini?…” “..Bene Lucia sono cresciuti Caterina fa gia’ l’universita’… e i tuoi bambini? e tu come stai qui Lucia come ti trovi?…” Lorenzo silenzioso ascolta anche la sua California Special gli ha tirato un brutto scherzo “… lassu’ erano orfani, potevi
tentare di consolare questa mancanza … questa nostalgia che avevano dentro… qui e’ piu’ difficile … per legge sono solo undici ma me li manda il giudice e sono tutti bambini con delle storie spaventose di abusi alle spalle… a volte non so neanche da che parte cominciare..” “…Lucia ora che la mia Guzzi mi ha riportato a te non ti abbandonero’ piu’…” ” …verrai a dipingere per i miei bambini?” “.. certo!.. guarda ho gia’ un assistente!” ed indico Lorenzo che commosso e confuso non sa dire di no… TORNEREMO LUCIA TE LO GIURIAMO. Il tempo di abbracciare Nonnoenio e Gemma il Duca e tutti gli altri Guzzisti riminesi e siamo sull’autostrada il cielo e’ sempre piu’ minaccioso ed infatti comincia a piovere… merda quanta acqua che ho preso.
Lorenzo mi accompagna fino a Firenze Certosa dove ci abbracciamo e ci lasciamo sapendo che qualcosa e’ cambiato per sempre nei nostri cuori grazie a Nonnoenio, Gemma e le nostre Guzzi.

Rinaz

AnimaGuzzista Racconti Rinaz

Una V7 a testa o croce

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Di Martino

 

Chissà perchè le storie delle Guzzi sono sempre “speciali” Quella che vi racconto è la storia di una Guzzi molto speciale, una 850 GT california del 74. Tutto è iniziato da un regalo di compleanno. Allora avevo una california III (la roccia) e conoscendo la mia passione per le Guzzi mi è stato regalato un modellino da montare (scala 1:6 x770 pezzi della Protar) della mitica 850 gt california. Errore fatale, non si fanno di questi regali a un guzzista dichiarato. Non vi dico il tempo che ho impiegato per montarla, anche perchè è un modello realistico al massimo, comunque questa cosa mi ha fatto nascere la voglia di possederne una reale. Così comincio a scandagliare gli annunci dei vari mercatini. Era passato oltre un anno e non avevo trovato niente, ossia niente che potessi permettermi visto le quotazioni. Quando ormai non ci speravo più, eccola lì: V7 anno 74, ferma da quattro anni, cedo al migliore offerente, quotazioni a partire da 1500 euro. Dopo varie peripezie e contrattempi (sembrava quasi che fossi destinato a perdere questa occasione) finalmente ho la possibilità di vederla. Stava lì in un angolo del giardino di una villetta a due passi dal mare, appoggiata sul cavalletto laterale e coperta da un telo impermeabile. non era una V7 qualsiasi, ma Lei, l’antesignana delle Califiornia. Di metterla in moto, neanche a parlarne, gomme a terra, tutte le fusioni “infiorate”, cromature opache e rugginose e un’ incredibile “cosa” attaccata al retrotreno (una specie di paraurti alto 15 cm. che avvolgeva tutto il posteriore, cosparso di fanalini rossi e gialli) aggiungiamoci borse laterali, un baule da 50 lt. parabrezza, due enormi antinebbia gialli e delle strane serpentine avvolte sui collettori di scarico e otterrete un “bisonte” mostruoso. Il venditore mi aveva dato appuntamento Insieme a un’altro “pretendente”, unici sopravvissuti alle peripezie accennate. Il tipo aveva l’aria di un professionista, era arrivato a bordo di una citroen DS a dir poco fantastica. Ho pensato subito che non l’avrei spuntata, ma ero deciso a giocarmela fino al massimo delle mie possibilità. Partiamo con le quotazioni, il tizio si rende conto che non mollerò e mi fà una proposta che mi lascia perplesso, per evitare di farci eccessivamente male, perchè non ce la giochiamo a testa o croce? Non ricordo cosa scelsi, fatto stà che mi andò bene, e ora la “bestia” sonnecchia nel mio garage. Tutto questo accadeva tre anni fà e sono convinto che un’occasione del genere non mi capiterà mai più. Sono quelle cose che non si spiegano, che ti fanno sospettare che “doveva andare così”. Ne è seguito un faticoso (e costoso) restauro che mi ha impegnato per circa un anno, poi finalmente il battesimo della strada. Guidare una moto d’epoca è un’esperienza che definirei “rivelatrice”, se poi è una Guzzi dei tuoi sogni…

Gli stessi itinerari che conosci a memoria per averli percorsi innumerevoli volte assumono un sapore diverso. La guida è necessariamente più tranquilla, ad ogni cambiata devi aspettare che il motore, con il volanone, cali di giri. La potenza disponibile non è quella a cui sei abituato, e anche i freni……sono d’annata, ma l’insieme dell’erogazione e del tipo di guida sono una cosa goduriosa. A dire il vero c’è un’altro sogno (che credo proprio resterà tale) rimasto nel cassetto. Diciassettenne, per andare a scuola prendevo il tram sulla Casilina, e all’altezza di Torpignattara c’era il negozio, perchè più di tanto non era, di Napoleoni. Era appunto un negozietto buio con le moto ammassate a destra e sinistra di un corridoietto che dava sul bancone di vendita, il materiale attaccato dappertutto, perfino appeso al soffitto. All’improvviso in quel buco è apparsa una…

una V7 sport. era splendida, verde metallizzato e telaio rosso. Ricordo che siccome non aveva posto, ogni mattina la sistemava a metà trà la saracinesca e il marciapiede, che era piuttosto largo. Era un evento, e trovavi spesso la ressa intorno a quella magnificenza. Al ritorno da scuola scendevo dal tram e passavo non sò quanto tempo a divorarla con gli occhi. Comprai il n. di motociclismo che la riguardava, e non sò quante notti agitate mi fece passare, oltre a quelle che mi procuravano le amiche della cugina o le studentesse di ragioneria dell’istituto di fronte al mio. Fino ad allora vedevo la Guzzi solo come fornitrice della polizia, ma quella moto fù una rivoluzione, una cosa dirompente, che voltava completamente pagina con il passato (almeno per me, all’oscuro allora dei passati sportivi e delle vittorie della Guzzi). Come fosse arrivata a Napoleoni è per me un mistero, dopo una ventina di giorni qualcuno se la portò via (trà la costernazione del sottoscritto) e non se ne videro più.

Belgio

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Di Simone Marchetti

 

Cosa facciamo nel ponte? Andiamo a fare un giro in Belgio!
Giretto di Simone, Tamara, Franco e Assunta…

Così abbiam deciso due giorni prima io ed il mio amico Jeans (Francuzzo) mio amico d’infanzia ma nuovo del mototurismo…
I nostri zainetti Tamara e Assunta ci odiano a morte ma ormai son abituati a show di questo tipo…
Partenza Mercoledì sera con breve tappa fino a Seppiana (vicino Villadossola).
Come al solito arrivo tardissimo all’appuntamento, praticamente finisco di lavorare alle 20,00 e alle 20,45 avevo già preparato la borsa, la moto, doccetta e viaaaaaaaa!!!
Il contachilometri segna 97273 km., dai vecchietta ce la puoi fare anche questa volta…
Arrivati a Seppiana pensiamo bene di farci due spaghi con peperoncino, bottiglietta di vino, bottiglietta di birra e subito a nanna.
Neanche il tempo di…. E il caro Jeans si mette a russare come una motosega con marmitta preparata, cazzo mi giro e mi rigiro nel letto per due ore fino a quando scappo giù e mi metto a dormire su una panca di legno…
Noooo lo sento anche qui!!!
Scendo a piano terra con un cuscino ed una coperta e mi metto a dormire per terra.
Gran dormita di due ore sul pavimento e DRIIIIINNNNN suona la sveglia puntata alle 5,30 , miiii cominciamo bene!!!
Con un sonno orripilante mi alzo e bevo un litro di caffè, sento già che sarà una giornata di merda!!!
Carichiamo le moto, il contachilometri segna 97378 km., partiamo verso il Sempione, in frontiera prendiamo l’adesivo dell’autostrada Svizzera, circa 26,00 euro.
Saliamo sul SimplonPass (2005 mt.) e fa bello freschetto, ci dirigiamo verso il FurkaPass (2436 mt.) e fa ancora più freschetto!!!
Nel salire incontriamo solo due marmotte intente a prendere il sole, la giornata è stranamente splendida.
Ci dirigiamo velocemente verso Wassen dove prendiamo l’autostrada verso Lucerna e Basilea…
La strada scorreva veloce, il sole ci coccolava, la brezza ci accarezzava…
Il lavoro fatto da me e dal mitico Uberto nella messa a punto della “belva” si fa sentire, consumi più bassi di quando l’ho comprata, coppia esagerata, rumore rotondo e piacevole, GRANDE UBERTOOOOO!!!
Passiamo in un baleno Basilea e siamo subito in Germania, passiamo di qua saltando per ora la Francia per non pagare l’autostrada e per tenere un passo allegro grazie alla mancanza di limite autostradale…
Passiamo Friburg, intorno alle 13,00 arriviamo a 10 km. da Strasburgo e……
Il mio amigu Jeans si ferma sulla corsia di emergenza dicendomi “Sai, sento un rumore strano sulla ruota, come un tum, tum, tum…”, ed io “che cazzo Jeans avrai dormito male! Vabbo fammi vedere…”…
Incredulo vedo una parte bianca sul copertone, ma cazzooooo!!!
La gomma del suo Varadero (cimitero per gli amici) si è sfogliata, è rimasta solo la tela, me lo sentivo che doveva succedere qualcosa!!!
Vaaaaaaaaaaaaaaa Male!!!
Cerchiamo un gommista in Germania, giriamo Offenborg invani per più di un’ora, nessuno sa niente ma alla fine troviamo un gommista, evvaiiiii…
Andiamo subito a supplicare il tizio ma ovviamente non ha quei copertoni e dice che ci sono solo a Friburg!!!
Decido che sarebbe stato meglio andare a Strasburgo in Francia, città grossa non si sa mai…
Arriviamo e ci fiondiamo subito a chiedere dentro un ufficio turistico, gentilissimi ci danno una mappa della città e ci segnano un percorso per arrivare ad un meccanico.
Dopo varie peripezzie dentro la città, lavori in corso, deviazioni etc un tizio al semaforo scende dalla macchina e ci indica il posto, grazie amigu!
Arriviamo, è un conce Yamaha, speruma ben!
Entriamo ed ovviamente il tizio dopo aver guardato le misure della gomma ci dice che la Yamaha monta fino i 140 e il Varadero ha la 150….
Chiamo mio padre, gli chiedo di dare un occhio su internet per trovare un conce Honda, il più vicino è a Parigi!!!
Che palle, Jeans è visibilmente distrutto, meno male che io ci sono abituato alle rogne…
Chiediamo al mecca se conosce qualcuno nella zona che possa risolvere il problema, gentilmente ci indica un tizio che ripara e vende Honda a pochi chilometri imboscato in un uscita dell’autostrada…
Miracolo, lo troviamo!!!
Entro dentro e Jeans gli fa “io italiano, Varadero, italia, ok?” Jeans ok un cazzo heheheheh!!!
Mi era venuta la voglia di dire in inglese al tizio “questo mio amico è un ricchioncello mi puoi indicare un locale per lui???”.
Gli spiego il problema, esce fuori e ci dice “no problem, one hour, good price!”, mi son detto “questo ce lo spara lungo un metro, hehehe good price!!!”.
Cogliamo l’occasione per mangiare qualche panino e fare una partita a carte sul ciglio della strada…
Bhe, alla fine dopo un’oretta cambia tutte e due le gomme (quella davanti era quasi morta pure lei), ingrassa la catena, gli lava il parabrezza eeeee, incredibile niente inculata, 264,00 euro per tutto, direi che è andata di lusso!!!
Alle 17,30 suonate ripartiamo ma ormai la tappa era saltata, ci intoppiamo verso Saarbrucken (Germania) in una deviazione “consigliata”.
Proseguiamo verso Luxemburgo, alla fine desistiamo e rientriamo in Francia per parcheggiarci a Thionville dentro un Formula1 (catena economica dormi e fuggi).
Siamo a pezzi, andiamo a magnare in un BuffaloGrill li vicino, la tizia ci chiede cosa vogliamo bere, io gli chiedo quattro bottiglie di birra, stupita me le porta…
Mezzo assonnato e limato dalle quattro birre arrivo al Formula1 a passo del leopardo, dormiamo come sassi che domani sarà un’altra giornataccia!
La mattina sveglia presto, il contachilometro segna 98115 km., passiamo veloci Luxemburgo e ci dirigiamo verso Bruxelles, il tempo è ottimo.
Sosta benza, nella piazzola Jeans tira fuori caffettiera e fornelletto, ci spariamo subito un bel caffè doppio!!!
Decidiamo di visitare Bruxelles al ritorno, cerco la deviazione per Bruges ma la salto e finiamo dentro la città, lavori in corso e solito delirio, torniamo indietro e cerchiamo sta cazzo di deviazione!!!
Finalmente la trovo, a palla facciamo il pezzo che manca, solo una breve sosta per gustare le prelibate focaccie fatte da jeans prima della partenza accompagnate da delle scatolette di tonno e fagioli…
Arriviamo a Bruges (a una ventina di km. dal mare), giornata stupenda, troviamo un B&B onesto e subito fuori a visitare la città.
Il centro è veramente bello, bellissimi palazzi, viuzze medievali con caratteristiche casette basse con il tetto a punta, strade di ciottoli.
Arriviamo nella piazza principale e il cielo si scurisce, vabbò andranno via subito ste nuvolacce.
Prendiamo un battellino che fa il giro nei canali della città in mezzo a palazzi antichi e cigni, molto suggestivo maaaa….
Non facciamo tempo a scendere che il cielo diventa nero e comincia a tempestare, cazzo lo sapevo, lo sapevo aaaaaaaa!!!
Dopo una lavata immane ci rifugiamo dentro un Pub, birretta, salamini e formaggini, poi incuriosito dai portaceneri nel locale Assunta chiede alla sciura “ma si può fumare?” questa stupita ci guarda e ci dice “Signori qui siamo in Belgio, certo che si può fumare!”, Sirchia di MERDA!
Premesso che probabilmente il senso civile è quello di farsi una paglia e non mille tantè che il locale aveva l’aria più pulita che fuori…
Una volta facendo un discorso con un mio amico lui mi dice “democrazia e civiltà è difendere i non fumatori”, io gli risposi “democrazia e civiltà è difendere fumatori e non in egual misura”…
Usciamo dal Pub e ci dirigiamo nel B&B dove ci spariamo una santa doccia, smette di piovere ma il tempo è molto incerto, saremmo voluti andare sul mare a mangiare ma…
Ma un cazzo andiamo lo stesso ehhehe!!!
Pigliamo le motorette e via, passando in mezzo ad un sacco di eoliche finiamo a Knokke-Heist a 4/5 km. dall’Olanda.
Cerchiamo un posto in riva al mare per mangiare, la città è deserta…
Guardiamo i prezzi abbastanza proibitivi ma alla fine entriamo da uno che solo dopo averlo guardato mi ha fatto pensare “che faccia da cazzo che ha questo…”.
Infatti appena ci vede entrare con i caschi ci guarda da barboni, ci fa sedere e ci rifila le liste, poi viene ad ordinare gli chiedo il menù turistico più alto (da 40,00 euro!) per non fare il pezzente e mi risponde che il menù turistico si può ordinare fino alle 21,00 ed erano già le 21,10…
Quanto mi sta sulle palle questo…
Un po stizzito ci chiede se desideriamo nel frattempo un aperitivo, gli rispondo sorridente in italiano “sai dove te lo metto l’aperitivo?”, prende e se ne va, secondo me era un ItaloBelga ma non voleva farsi scorpire…
Alla fine, visto che era stato così simpatico mi alzo in piedi e dico agli alti di alzarsi, arriviamo alla porta ed il tizio aveva già i caschi in mano, ma pensa…
Muori te e il tuo ristorante!
Andiamo in un altro posto un po più isolato, magia, due ragazzi semplici e sorridenti ci accolgono alla porta, questo è buon segno, qui se magnaaaaa!!!
Ordiniamo l’impossibile, cozze cotte nel latte con un intruglio di cipolla, sedano e prezzemolo, DIVINE!!!
Poi passiamo ai piatti di pesce sperando di aver ordinato qualcosa di sensato…
INCREDIBILE, piattazzi pazzeschi, squisiti e belli da vedere, vinello bianco da sballo, panza mia fatti capanna!!!
Il ragazzo che ci serviva era splendidamente simpatico, ad ogni cosa che portava aggiungeva al suo sorriso un bel “eeeee voiiiillllaaa” (con la stessa cadenza di vaaaaaaa bene di Ranzani Marco made by Cantù), ho dovuto slacciare completamente i pantaloni, a momenti ci lasciamo le cotenne da quanto abbiamo mangiato!!!
Prima di uscire lo salutiamo e gli diamo anche una mancia, alla faccia di quel lebbroso di prima, ciao amigu!!!
Appena usciti sale un vento fortissimo, facciamo fatica ad arrivare alle moto, pork!
Con la mia fida California inclinata di 45 gradi un secondo a destra, un secondo a sinistra, con uno sforzo immane arriviamo al B&B, cazzarola che vento, speriamo che domattina smetta, buona notte, tutti secchi come sassi dopo pochi secondi.
La mattina una bella colazione con del burro talmente giallo che appena lo mettevi in bocca ti usciva da sotto il tavolo il dottore per dirti che il colesterolo era alle stelle, ma sti cazz!
Il contachilometri segna… bho mi son dimenticato, sarà stata colpa della panza che mi scoppiava ancora da ieri sera ehheh… :¬)
Ripartiamo verso Bruxelles, una lotta contro il vento e l’acqua, non poteva andare “sempre” bene!
Una volta arrivati parcheggiamo di sgamo dietro il Teatre Royale de la Monnaie a due passi dal centro.
Scrocchiamo impunemente delle Sprite regalate davanti un negozio.
Il tempo non ci da tregua, continua a piovere, poi smette, poi vento, poi piove e così via…
Arriviamo nella stupenda Piazza Grande che in alcuni periodi dell’anno viene decorata completamente con dei fiori, bellissima…
Appena ci metto piede una strana sensazione mi assale, faccio un tuffo in dietro con la memoria, a circa 12 anni fa…
Avevo 18 anni, dopo aver preso in “prestito” la Guzzi V35 di mio padre e dopo aver convinto un mio amico con una Honda 350 partivamo per la Francia senza nessuna destinazione, era il periodo che si arrivava ad un incrocio e tiravamo una monetina per andare a destra o sinistra…
Mi ricordo come se fosse ieri, il mio amico non era un gran viaggiatore, da Marsiglia a Parigi decido di fare una tirata dicendogli che ci saremmo fermati per strada a dormire su qualche panchina…
Le moto stracariche all’inverosimile con zaino sulla sella e cuscino di casa a fare da schienale con pentole attaccate fuori con dei lacci, senza orologi, senza cellulari, senza mappe stradali, ma con tanta, tanta spensieratezza, ma chi ci fermava…
Viaggiammo tutta notte dopo la notte prima a ubriacarci e tentare di sedurre delle francesi, non abbiamo neanche dormito un’ora…
Dopo tutto il giorno in viaggio arriva la notte, lui continuava a chiedermi “ma quando ci fermiamo??” ed io “tranquillo tra un po…”, poi esce il sole e lui stizzito mi richiede “ma è l’alba quando vuoi fermarti??”, ehhehe io prestigiatore gli ho fatto credere che “da queste parti il sole sorge di notte, è ancora presto per fermarci…” muhuhauhahaaaa!!!
Ci fermiamo a Parigi stanchi morti, montiamo la tenda, mangiamo e diciamo “facciamo un pisolino poi visita alla città…”, non ci crederete ma ci siamo svegliati che era buoi ed abbiam detto “vabbo la visitiamo domani…” ed invece abbiamo dormito la notte, tutto il giorno e ci siamo svegliati il giorno dopo ancora!!! ehhehehe!!!!
Il V35 aveva avuto dei problemi che dopo Parigi si accentuarono, andammo a Calais convinti di attraversare la manica per andare a trovare un tizio che conosceva il mio amico ma arrivati li ci siam guardati nel portafoglio e abbiam deciso di fare rientro a casa perchè i fondi erano quasi finiti…
Ripartiamo e vediamo un cartello strano con scritto “Bruxelles”, mmmm, mi chiede “ma dove cazzo sta Bruxelles??” ed io “Boh, credo in Belgio, andiamo??”, e lui “ok, anduma a ved sto Bruxelles!!!”
Una volta arrivati giriamo per due ore per cercare un campeggio, mi fermo disperato sul ciglio della strada e come per magia si ferma una macchina belga…
Il tizio tira giù il finestrino e in italiano ci dice “avete bisogno di aiuto??”, minchia la manna!!!
Alla fine il tizio ci porta in uno spiazzo dove l’indomani ci sarebbe stato un motoraduno internazionale, alla sera ci porta a magnare ed offre lui, che culo raga!
Il giorno dopo viene a prenderci e ci fa da guida dentro la città, ci offre da bere e verso sera ci riporta allo spiazzo…
C’erano i classici motociclisti budrillissimi con barba e vestiti di pelle, quelli che farebbero paura a chiunque, venivano dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra…
Io ero il più giovane, con la moto più piccola e quello che veniva da più lontano…
Mi prendevano uno per parte, mi sollevavano e mi obbligavano a bere a loro spese, una piomba memorabile, gente stupenda!
Mi hanno premiato, ci hanno fatto spalmare nutella e panna su qualche donna e poi a nanna…
Che giornate memorabili e che gran CULO! Ciao amicici :¬)
Indimenticabile, quanto pagherei per rifare le cagate che ho fatto allora senza dover pensare a nulla…
Vabbo, ritorniamo a noi…
Visitiamo la piazza e ci dirigiamo alla cosa meno bella ma più famosa della città, il Manneken Piss, una statuetta raffigurante un bambino che piscia in una fontana, c’è un casino strano….
La statua è coperta da una bandiera e ci son degli ubriachi che vuotano delle bottiglie di sidro in una bacinella, ma che cazzè?
Uno di fianco a me dice in spagnolo qualcosa del tipo “siamo dell’Asturia e siamo qua per festeggiare…”, ma che cazzo è sta Asturia, togliete sta bandiera dalle palle che devo fotografare!
Si mette a piovere, io e Jeans troviamo riparo sotto l’ombrello a scrocco di dei Japponesi (stanno ovunque), arrivano delle cornamuse, una folla pazzesca con delle bandiere svolazzanti…
Para, paraparaparaaaaa….. Tolgono la badiera dai maroni e scoprono il bambino a cui avevano collegato la bacinella di sidro, noooo…
Lo fanno pisciare sidro e ci riempiono i bicchieri per festeggiare!!!
Finita la festa gabbato lu santo diceva un proverbio, dopo aver visto codesta festa spagnola in quel di Bruxelles vaghiamo per le viuzze della città e ci accampiamo in una Brasserie per deliziare la nostra ventrazza…
E così sia, altra ottima magnata e bevuta delle migliori birre belghe, spettacolo.
Altro giretto per la città e poi alle moto “dai piccola non fare l’offesa ti ho lasciato da sola per poco, adesso andiamo a farci un bel giro è…?”, il mio cancello ha sempre bisogno di qualche coccola…
E intanto piove (caz!)…
Tagliamo la città per andare a vedere l’Europarlamento e andare a mostrare le natiche a quei burocrati fannulloni dei miei maroni…
Viva la Francia e l’Olanda, viva sopratutto perchè la democrazia gli fa scegliere non come noi che i Signori Prodi e Berlusconi ci hanno fatto digerire l’annessione prima e la costituzione dopo senza averlo chiesto al popolo, aaaaaaa lasciamo stare va!
Per fortuna loro un incidente nel mezzo della città ci fa deviare e per non ritardare ulteriormente ci dirigiamo verso l’autostrada direzione Luxemburgo…
Procediamo a passo d’uomo per colpa del solito vento maligno accompagnato da un’abbondante pioggia che non poteva mancare!
Faticosamente superiamo Luxemburgo e finiamo per cercare riparo in un paesino in Germania.
Nel primo albergo i nostri zainetti incaricati di chiedere i prezzi (chissà perchè le donne hanno sempre le braccine ehhe), si trovano un tizio ubriaco con la patta giù che guardando uno schedario delle presenze completamente bianco continuava a dirgli “double room, mmmm, double room, niet!”, ma vai immona!
Cerchiamo ancora ed alla fine raggiunti nuovamente dalla pioggia troviamo un bel posticino vicino a Saarbrucken con ristorante annesso…
Ci sfondiamo per l’ennesima volta, patate al forno, patate fritte, insalate con dentro il mondo, wurstel, zuppe di asparagi e formaggio, carne di maiale con funghi e sughetto libidinoso e vaiiiii con un bel paio di medie di buona birra tedesca, marò la panza che mi supplica pietà heheh…
Andiamo a dormire secchi e ci alziamo relativamente tardi per farci una bella colazione “dimagrante” tipica tedesca!!!
Il contachilometri segna 98991 km., si riparte direzione casa…
Il tempo è incerto e il vento ci tortura…
In tempi abbastanza umani superiamo Strasburgo e rientriamo in Germania, noto nuovamente il cartello con i limiti dello stato, autostrada velocità CONSIGLIATA 130, la civiltà la si nota anche da questo, la gente non esagera, sorpassa e si mette sulla destra, nessuno che ti arriva a culo e nessuno che ti lampeggia da dietro come un cojone…
E’ chiaro, qui se fai il pirla ti segano le gambe ma poi la maggior parte della gente che fa le cose con civiltà e coscenza non deve subire le regole imposte per pochi, bisognerebbe rifletterci un po…
Ci fermiamo a magnare in Svizzera, poi decidiamo invece di fare ritorno per il Gottardo e Milano di rifare la strada dell’andata per farci l’ultima sfogata di moto su per le montagne.
Questa volta Facciamo il SustenPass (2259 mt.) e il GrimselPass (2165 mt.), fa un freddo cane e con il vento fa ancora più freddo, i bordi delle strade son piene di neve e i nostri zainetti inveiscono contro di noi!
Passiamo nuovamente il Sempione e rientriamo in Italia, neanche a dirlo subito una marea di idioti che lampeggiano e ci arrivano a mezzo metro dalle moto a 130 km/h, siamo proprio in Italia…
Ci fermiamo a Villadossola per una pizza e ritono a casa…
Il contachilometri segna 99745 km., dopo 2472 km. facciamo ritorno a casa, stanchi morti ma molto più pieni (anche di panza)!!!

Capita a volte

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Di Stefano Bellotti

 
Capita, a volte purtroppo, che non si riesca ad usare la propria amata motocicletta per lunghi periodi. Al sottoscritto per esempio è successo di aver messo il Cali sotto il telo al rientro dal gmg2005 e di non averlo piu’ messo in moto fino all’altro ieri. Momenti di tristezza, dovuti ad intenso lavoro e a un turbinare di impegni di ogni genere, che tuttavia sono ben conscio avranno un’ alba. Ma nel frattempo sabato mattina sono riuscito a togliere quel maledetto telo, spinto anche dalla necessità di un mezzo di trasporto per andare in ufficio dovuto al fatto che la macchina l’avevo lasciata dal meccanico il venerdi sera. Ecco allora ripetersi per l’ennesima volta quell’emozione che mi prende ogni qualvolta schiaccio il pulsantino della messa in moto dopo tanto tempo. Emozione mai uguale. Nonostante i mesi di fermo, il periodo di freddo, le 7.30 del mattino, i 4 gradi e tutto il contorno, il Cali 2 al secondo tentativo prende vita, e si presenta all’appuntamento preciso e puntuale. Come se l’avessi spenta il giorno prima. Fatta scaldare un pochetto, risalgo la rampa del box e sono in strada, con un traffico scarso e assonnato, tipico del sabato mattino nell’hinterland milanese. Il Cali nel frattempo entra in temperatura e mi mostra una regolarità al minimo stupefacente: 1000 giri perfetti che, per una vecchia moto a carburatori, non sono proprio semplicissimi. Una progressione entusiasmante, prima seconda e terza, cambiando a 2000 giri e sentendo un gran bel tiro che mi porta rapidamente all’ imbocco della tangenziale. E qui inizia il momento orgasmico. 3500 giri in quinta a 110 km l’ora con il freddo pungente che mi accarezza la faccia, filtrato dall’ottimo parabrezza e il motorone possente che mi rincuora con il suo borbottìo sornione. Le curve della tangenziale ovest da rho verso cusago vengono pennellate con una naturalezza senza eguali, con il sole freddo che si rispecchia nelle cromaturee il traffico che corre veloce sulle corsie di sorpasso, ma io mi tengo bel tranquillo sulla destra, a godermi questo scorcio breve ma intenso che sono riuscito a ritagliarmi, e che la mia California mi sta regalando. Sono in anticipo sulla tabella di marcia, così me ne esco dalla tangenziale decidendo di raggiungere Rozzano per le campagne. Qui si seguono le indicazioni per Abbiategrasso, quindi Gaggiano e, lasciato il Naviglio sulla mia sinistra proseguo per Binasco. Spingo il Cali fino a 3000 giri prima di cambiare marcia: seconda, terza, quarta e quinta…. Musica per le mie orecchie!!! Arrivare fino all’imbocco della curva, scalare di marcia e WHAAAMMMM, via che il Cali si tuffa nella curva, rialzarsi guardando il rettilineo che si protende e giu’ il gas adocchiando l’ago del tachimetro che supera i 160…. Che goduria, ragazzi!!! Al cartello che mi ricorda di dare la precedenza prima di inserirmi nella rotonda, scalo tutte le marce per seguire la strada con una traiettoria mooolto precisa, mentre vedo la pedana sinistra avvicinarsi rapidamente all’asfalto, con la moto che mi trasmette una meravigliosa sensazione di sicurezza… Arrivo velocemente al Naviglio Pavese, e da lì, rimettendo il Biclindrico a 3000 giri per 90 all’ora, raggiungo Rozzano, dove il magazzino mi aspetta per un’intensa mattinata di lavoro. Entro nel recinto, mentre il cancello si richiude alle mie spalle, posteggio la Moto vicino all’ingresso e giro la chiavetta. Entro in azienda, guardando il Cali sulla stampella laterale che si raffredda, placida e imponente come poche sanno essere. Sarà una buona giornata, qualunque cosa accada.

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Un pomeriggio infrasettimanale a Casa Moto Guzzi

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… dopo il primo editoriale dell’anno da una storia dispersa nel web
di Paolo Gambarelli

 

Interpreti:

La Follia è la Moto Guzzi.

La Curiosità, la Tristezza, la Fretta, la Sapienza, la Pigrizia, la Gioia, la Timidezza, la Modestia, la Paura, l’Imprecisione, la Popolarità, la Bellezza, l’Operosità, l’Indecisione, la Seduzione, l’Appropriatezza, l’Ingordigia, la Disperazione, la Competizione, Il Dolore, l’Invidia, la Saggezza, il Dubbio, la Forma, l’Ingegno, la Stanzialità, l’Accordo, la Minchioneria, l’Inquietudine, l’Ossessione, la Pazienza, l’Arrendevolezza, la Memoria, la Corruzione, la Spensieratezza, la Felicità, il Trionfo, la Superficialità, la Precisione, l’Agilità, la Lungimiranza e l’Orgoglio, i suoi amici e dipendenti.

L’Amore, le sue Anime Guzziste.

La Follia, come ogni pomeriggio, decise di invitare i suoi dipendenti e tutti i suoi amici a prendere un caffè da lei.
Dopo il caffè, la Follia propose: “Si gioca a nascondino?”.
“Nascondino? Che cos’è?” – domandò come ogni volta, la Curiosità.
“Nascondino è un gioco. Io conto fino a 1957 e voi vi nascondete. Quando avrò terminato di contare, cercherò e, il primo che troverò, sarà il prossimo a contare”.
Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia.
Anche la Sapienza e la Saggezza, da sempre amiche inseparabili, da tempo dopo il caffè preferivano farsi i loro bellissimi giri lungo il lago con le loro antiche moto.
La Lungimiranza era talmente avanti che a quel gioco giocava sempre il giorno prima, perciò, anche questa volta, come tutti i giorni prima, non poté giocare.
“1, 2, 3.” – la Follia cominciò a contare.
La Fretta si nascose per prima, dove le capitò.
L’Ingegno, dopo poco, disse alterato: “Non rompetemi l’anima che ho altro da fare” e se ne andò.
L’Indecisione, che grazie al suo nome, fin dalla nascita si era posta l’obiettivo di aderire, come un camaleonte ostaggio della sua pelle, alla tendenza del suo tempo, anche quel giorno non era riuscita a scegliere un colore dominante per i suoi abiti. Vestita così come ogni volta dei mille colori dell’arcobaleno, intuì che non sarebbe riuscita a mimetizzarsi come tutti avrebbero voluto.
L’Operosità, con la medesima solerzia di ogni pomeriggio, pretendeva di giocare compilando alacremente nuove regole senza capire che il gioco consisteva semplicemente nello nascondersi.
Precisione e sua sorella gemella Imprecisione erano grandi giocatrici. Non solo in questo divertimento pomeridiano, ma soprattutto in quello serale, dove ogni volta si giocavano d’azzardo quell’-im- di troppo che le contraddistingueva; sera dopo sera, giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Alla Memoria, quella storica, legarono subito un lungo filo al dito per ricordarle almeno dove si sarebbe nascosta.
In questo gioco l’Appropriatezza si applicava finalmente in modo appropriato; tuttavia in molti, tranne lei, avevano intuito che anche il solo giocare con un semplice modellino di una Moto Guzzi e le sue caratteristiche tecniche, richiedeva un’identica anche se speculare appropriatezza dei propri comportamenti. Colei che dunque avrebbe dovuto benevolmente contagiare, contaminava ed infettava, e per questo, forse, era sempre quella che si nascondeva, a suo dire, nel modo più appropriato poiché erano gli altri a nascondersi da lei.
La Superficialità era super come il suo nome. Ma proprio la continua ed ottusa brama di superarsi in ogni cosa, le impedì anche questa volta di intravedere il significato nascosto di quel gioco; si mascherò così, senza nemmeno toccarla, con la superficie del primo oggetto che le capitò sotto gli occhi.
L’Orgoglio non ebbe dubbi e come ogni volta andò a nascondersi al Museo; ma dato che ormai tutti sapevano dove si sarebbe nascosto, lo abbandonarono al proprio destino museografico lasciandogli comunque intendere che avrebbe fatto parte del gioco. Lo avrebbero poi recuperato a fine giornata.
La Corruzione, anche quel pomeriggio aveva uno strano comportamento; è probabile che non avesse ancora ben capito le regole del gioco.
La Seduzione era un mistero un po’ per tutta la compagnia. Da tempo in molti si chiedevano il perché, anche se tutti erano indistintamente attratti dai suoi nascondigli; probabilmente perché non erano mai completamente nascosti, ma semplicemente velati.
Dell’Ossessione, si diceva che in questo gioco era quella più preparata e colei che conosceva il maggior numero di nascondigli; ma quarda caso, utilizzava sempre lo stesso. Anche lei era un mistero un po’ per tutti.
L’Agilità, che ormai aveva la sua indubbia età, si mise a correre come gli altri ma con una scioltezza mai vista. Tutti allora compresero che il suo era un problema squisitamente mentale e non motorio.
Anche la Bellezza, senza proferir parola, iniziò a correre; sembrava non fermarsi più tanto era bella, fino a quando, incontrando una grossa duna di sale vi si nascose dietro e poi dentro. Forse per conservarsi meglio e nulla di più.
Il Dolore, incurante di tutti e di tutto, corse per la prima volta in mezzo al prato e incontrò la Gioia; lì, ora, mentre l’uno inchiodava l’altra riannodava, finchè entrambi finalmente compresero l’inutilità del loro reciproco nascondersi.
L’Arrendevolezza era ormai da tempo diventata l’unica rappresentazione possibile dell’indulgenza che permeava quel luogo ora dedito per convenzione allo svago costruttivo. Il gioco del nascondersi era allora di fatto per molti il teatro di quella rappresentazione.
La Timidezza, timida come sempre, si nascose dietro il suo sguardo.
La Popolarità, era ormai un caso clinico non avendo ancora compreso che il continuo nascondersi l’avrebbe prima o poi portata all’autodistruzione.
Ogni giorno che passava, l’Ingordigia era sempre meno sazia di vittorie; da tempo, anche in questo gioco del nascondersi aveva smesso di correre. Ora, si adagiava sul terreno e su se stessa si rotolava sempre più veloce verso il lago come fosse una palla di neve che rotolando, sempre più s’ingrossa e si sazia del proprio unidirezionale destino.
La Modestia che per sua stessa ammissione non anelava a più di tanto, era amica un po’ di tutti, forse proprio perché non dava e chiedeva più di quello che ciascuno si aspettava. Non era mai sola nello nascondersi; un giorno con uno ed un giorno con l’altro.
Per la Forma, il progetto del nascondersi, era divenuto sempre più una formalità e sempre meno una questione di qualità; purtuttavia, non aveva ancora ben compreso se tutto ciò fosse positivo o negativo. Nel frattempo continuava a nascondersi come meglio poteva.
La Stanzialità, dopo essersi separata dal Nomadismo per probabili incompatibilità logistiche, si stabilì definitivamente in questo luogo chiamato Moto Guzzi. Per realizzare questo sogno vitale aveva avuto bisogno di tutta la sua arguzia ed intelligenza. Ben presto infatti, plagiò di sé tutta la compagnia fino a quando, come un mollusco, iniziò a mangiarsi il cervello poiché non aveva più necessità di usarlo per trovarsi un posto migliore. Inutile dire che in questo elementare gioco del repentino nascondersi trovava ora molta difficoltà.
La Competizione sembrava invece essere quella più a proprio agio; era talmente scaltra e veloce nello spostarsi da un nascondiglio all’altro, che fu subito ovunque e al contempo in nessun luogo.
La Tristezza cominciò a piangere, perchè non trovava un angolo adatto per nascondersi. Sembrava non la finisse più finché, come per incanto, trovò alcuni ridenti salici piangenti.
La Spensieratezza, da sempre abituata ad aleggiare, implacabilmente inciampava in un pensiero altrui, ma anche questa volta, senza pensarci più di tanto, riuscì a nascondersi.
L’Invidia si unì al Trionfo e si nascose accanto a lui dietro ad una grande coppa.
La Felicità che in Casa Moto Guzzi doveva essere, per forza delle cose, il connubio tra lo spirito d’animo e lo spirito di corpo, era sempre più triste ogni volta che vedeva riflessa l’incompletezza del suo volto. Decise allora di rimanere immobile ed invisibile nascondendosi nella sua intimità.
L’Inquietudine ogni pomeriggio era solita venire a giocare in quiete. Questo insolito e contraddittorio atteggiamento causava a coloro i quali trovavano il coraggio di guardarla negli occhi, un tale turbamento che ben presto quasi tutti smisero di cercare di capire, così, lei, sempre più sola e incurante degli altri continuava il suo segreto gioco.
La Minchioneria, era ormai divenuta un’importante e riconosciuta studiosa delle cose guzziste. In molti la cercavano e l’adulavano, tanto che quel gioco pomeridiano era per lei l’unica occasione per emanciparsi dalla notorietà; l’unica allegorica occasione per nascondersi dalla pressante ribalta internazionale. Anche per quel gioco era diventata subito un riferimento assoluto.
La Pazienza, era stata eletta da alcuni giorni capo della banda di Sopportazione, Tolleranza, Obbedienza, Riguardo, Longanimità, Subordinazione, Soggezione, Adattamento, Clemenza, Indulgenza, Diligenza, Assiduità, Sottomissione e Rassegnazione. Tutti intuirono la gravità e la pericolosità immanente della situazione anche se quel pomeriggio, forse l’ultimo, la banda andò comunque a nascondersi.
La Follia continuava a contare mentre tutti si nascondevano.
La Disperazione era disperata vedendo che la Follia era già a 1956.
L’Accordo, ogni volta attendeva le prime sillabe del 1957 per andare a nascondersi dietro la grande statua di Olimpia dea e città del sogno olimpico. In questo luogo dell’antico equilibrio instabile delle due ruote divenuto ora luogo del disequilibrio stabile, Olimpia si mostrava sotto le sembianze di una moto da corsa. Una motocicletta rossa come il fuoco della passione, verde come la speranza, bianca come candida è la purezza, infine azzurra come azzurro è il cielo che tutto contiene e al contempo tutto dipana. Olimpia, monito per il nuovo millennio cui nessuno, tranne l’Accordo, aveva finora osato avvicinarsi.
Per tutti, ogni angolo della mente ed ogni anfratto del corpo erano pervasi dalla presenza di un’assenza: il sogno fatto speranza che ciascuno custodiva come proprio personale segreto. Era il sogno dell’eterno ricongiungimento del passato col futuro; era la speranza in un sogno, ora riposta in colei che sempre tutto ciò rese facile.
“MILLENOVECENTOCINQUANTASETTE! – gridò la Follia – Comincerò ora a cercare.”
La prima ad essere trovata fu la Curiosità, poiché non aveva resistito ad uscire per vedere chi sarebbe stato il primo ad essere scoperto. Guardando da una parte, sopra un recinto di pietra imbrattato con il titolo del primo editoriale dell’anno, la Follia vide il Dubbio che non sapeva ancora da quale lato si sarebbe meglio nascosto. E così di seguito scoprì la Gioia, la Tristezza, la Timidezza e tutti gli altri.
Quando tutti furono riuniti, la Curiosità domandò: “Dov’è l’Amore?”.
Nessuno l’aveva visto.
La Follia cominciò allora a cercarlo.
Cercò in cima alla montagna, nei fiumi, nel lago, sotto le rocce, ed anche dietro gli enormi ammassi rottamati di ferro, alluminio ed altre leghe. Ma non trovò l’Amore.
Cercò per tanto e tanto tempo, ovunque, finché un giorno vide un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò con foga a cercare tra i rami, allorché ad un tratto sentì un grido. Era l’Amore, che gridava perchè una spina gli aveva forato un occhio. La Follia non sapeva che cosa fare. Si scusò, implorò l’Amore per avere il suo perdono e arrivò fino a promettergli di seguirlo per sempre.
L’Amore accettò le scuse.
Oggi, l’Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre.

Ma la Passione, lei, non si è mai saputo dove fosse. Si dice solo che sia un’Anima libera e vagabonda.

dedicato a Cecilia

La sindrome da “Guzzismo”

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(Mentalis Putrescentia Inter Cilindres”) nella storia della scienza: visioni ad uso e consumo dell’ufficio marketing-comunicazione Guzzi

di Davide De Martin

 

Nei secoli passati Cesare Lombroso, famoso italico criminologo, propugnò e ribadì la convinzione che fosse possibile, sulla base di tratti somatici ben distinti, stabilire la propensione a questo o quel crimine dei diversi individui. In pratica chi aveva il naso così era un potenziale pedofilo, chi ce l’aveva cosà un potenziale omicida, e così via. Negli anni seguenti ci fu chi stabilì che nasi adunchi e profili slavi erano degni di frequentare campi di rieducazione di massa sparsi tra la Germania e la Mitteleuropa. Ma questa è (purtroppo) un’altra storia. Quello che pochi sanno è che la teoria di Lombroso non andò in crisi a causa delle teorie evoluzioniste darwiniste o per chissà quale altra pensata, bensì sull’infido concetto di Guzzismo.

La storia ci dice come in occasione di un convegno tenutosi il 14 marzo 1897 presso l’Università di Trieste, tale teoria venne contestata da parte del professor Gucanti, esimio ed illustre ricercatore della libera università di Mandello, sulla base di un semplice assunto: perché non era possibile riconoscere e riportare una chiara devianza come quella del Guzzista all’interno di concetti pur teorici che altrimenti dimostravano di funzionare? Perché la sindrome da “Guzzismo”, nota col nome scientifico di “Mentalis Putrescentia Inter Cilindres” rimaneva al di fuori di questo schema? Lombroso non seppe mai dare risposta a questo quesito, arrivando a suicidarsi gettandosi nel vulcano di Iwata in sella ad un velocipede giapponese viola e verde dall’esoticissimo nome di Minghya, senza avere capito che nella vita esiste sempre una eccezione che conferma la regola. La crisi di tale lombrosiana teoria resta, al pari della sacra sindone e dei templari, un mistero ancora oggi irrisolto, che proveremo qui di seguito a sviscerare.

Partendo dall’assunto che per anni il marchio Guzzi ha fatto la storia, resta innegabile che, dalla fine degli anni ’50 in poi, ha giocato, tra alti (non tanto) e bassi (molto), un ruolo che rispetto ad altre case anche meno blasonate, è sicuramente di secondo piano. Triumph, Laverda, Ducati, e addirittura BMW hanno ottenuto sicuramente risultati maggiori. E allora, dove sta il perché della succitata sindrome? Il premio Nobel 1974 per la medicina, il dottor Torcazzi, formulò la teoria del “Sexual and Vibrational Thrill”. In pratica dimostrò che chi ha chiara la sintesi tra il concetto di vero uomo e quello di pupazzo (termine scientifico atto ad identificare un individuo dalla non stimabile moralità ed attitudine, oppure, secondo la definizione che ne dà il Devoto-Oli “colui che propende al mero e vuoto possesso di moto jappanise”), è più portato alla sindrome da Guzzismo. Simile teoria venne in periodi simili fomentata anche dal Doctor John, ma con il nome di “The Lion and the Sheep Syndrome”. Approfondimenti successivi a questi studi portarono altresì alla scoperta del fattore SVS (Sound & Vibration Syndrome); in pratica, una volta usi ed assuefatti al suono ed alle vibrazioni del lacustre mezzo, poche o nulle risultano le possibilità di salvezza (ciò nonostante una visione avversa del Dottor Yoshimura, i cui argomenti sono stati facilmente confutati a colpi di biella del Trialce). Nella realtà dei fatti negli anni ’80 il professor Hyfra dell’Università di Parigi, mostrò come si stesse assistendo ad uno strano fenomeno, che pareva contraddire gli studi precedenti; tale fenomeno, meglio noto come JVT-AUXALL (“Je vends tout aux allemands”) spinse molti soggetti “Guzzisti” a disfarsi dei loro mezzi per acquistare zappe, frullini, e montagne russe japponesi.

Con l’inizio degli anni ’90 l’allora Papa Giulio Cesare II, nella sua celeberrima enciclica “De infidele motociclo” arrivò addirittura a scomunicare chi negli anni precedenti aveva compiuto l’insana bestemmia di vendere una Guzzi per una jap. L’attuale Papa Bruno XVI, ha deciso, con un atto di clemenza che ci rende non degni di lui, di stabilire che anche i bambini morti prima del battesimo, gli ex-Guzzisti ed i poliziotti motociclisti della Polstrada, possano accedere al Paradiso. Ciò non spiega comunque il tutto, ma concorre ad alleviare le nostre coscienze.

Alle soglie del XXI° secolo infine, il celeberrimo teorico della scienza arabo Ab-Bah-Din, nel riportare dopo 3 decenni una Guzzi alle competizioni internazionali, ha propugnato il ritorno della sindrome sportiva Guzzista, stabilendo e ribadendo vieppiù, che il “(…) il Guzzismo in quanto tale non esiste, è una sana deviazione della mente e dello spirito (…)” e che “(…) solo chi è stato un buon Guzzista potrà alla morte essere accolto da 40 Guzzi(…)”. Sembrerebbe che nelle ultime settimane lo stesso Ab-Bah-Din abbia lanciato una Fatwa contro la dirigenza mandellese per l’uso “(…) indegno ed immorale (…)” che si apprestano a fare delle MGS. A questo riguardo recenti ANSA ci dicono di un vastissimo movimento di opinione e di pellegrini già in viaggio verso il museo Guzzi, al fine di potere ricevere un atto di clemenza e la benedizione, direttamente da quegli iniettori MGS che da Albacete non potranno che finire a fare di sé stessi bella mostra nel museo Guzzi, sotto lo sguardo compiaciuto ed invidioso del Diavolo Nero. Come per la sindone e per i templari, tanto inchiostro è stato versato e tanto lo sarà, ma il mistero del “Guzzismo” resta aperto. Si aprono oggi nuove scuole di pensiero sul come vada affrontato e fomentato: la Casa della Trippa di Verano sostiene la teoria della “competizione duodenale selettiva”, mentre la nuova dirigenza Guzzi quella del “mottecopioabiemvù”. Difficile dire chi abbia ragione, come possano convivere e dove andremo a parare, ma tra tanti punti di domanda vi sono almeno 4 punti fermi, che fanno la storia della Guzzi degli ultimi 40 anni, e che con buona pace di tanti ne rappresentano il futuro:

* il pubblico Guzzista è un malato, da non curarsi
* meglio una Graziella di una moto Jap
* meglio una sportiva Guzzi da 100 cv che la Norge coi vetri elettrici
* se la Guzzi fosse femmina saresse la Bellucci, se fosse Jappa la Lecciso

E’ da questi assunti che possiamo financo asserire che il Guzzismo è una delle pochi sindromi dalle quali non solo non è possibile guarire, ma che addirittura meriterebbe di essere fatta peggiorare. Non sappiamo quali siano le percezioni e le considerazioni di questo fenomeno all’interno della ennesima Guzzista Dirigenza. E’ a lei però che auguriamo di farsi cogliere nella giusta misura da questa sindrome, nella speranza che finalmente tutti i malati possano contare su un(a) Bandiera altamente infetta e dai chiari intendimenti aquileschi.

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