di Alberto Sala
Arte del riciclo, nel vero senso della parola. Sono tempi duri, e i tempi duri ti costringono ad aguzzare l’ingegno. Una moto invenduta a volte può rinascere con vita nuova, soprattutto se sei bravo a darle una nuova personalità… e un bel nome.
Un vecchio protagonista di alcune delle prime pagine di Anima Guzzista ha preso per le mani una nuova V65 TT, nuova nel senso di invenduta, e in considerazione della bontà della base, si è posto la domanda e si è trovato la risposta, per dirla alla Marzullo. Ma la domanda non era solo il semplice “come posso rinfrescare questa moto e renderla attraente a un nuovo acquirente?”, punto di partenza che potrebbe aprire (quasi) infinite possibilità, ma come fanno gli artisti scegliendo la materia, si è dato un confine preciso. “la moto deve poter essere totalmente reversibile e a norma di circolazione”. Azz… ecco che le infinite possibilità si riducono drasticamente. Non posso più farne un dragster, per esempio. O una bagster. O una hipst… ehm ok.
Più la guardo e più penso alla parola “semplicità”. Credo che il risultato sia molto vicino all’estrema sintesi che quella parola evoca. Con pochi intelligenti interventi questa endurina tipicamente anni ’80 ha fatto un salto in avanti di 30 anni, diventando una freschissima scrambler, obiettivo scelto non tanto perché di moda adesso, ma perché semplicemente logico, partendo da un TT.
Il tutto, senza – ripeto – un solo punto di saldatura, o modifica ad alcun attacco o altro.
Si potrebbe dire anche che il grosso del lavoro in pratica non si vede, se non in alcune delle foto che riprendono alcuni dettagli dietro le quinte.
Quello che è servito è una sfilatina di forcella, per lenire l’effetto impennata e mettere in bolla la meccanica; un bel serbatoio dello Stornello 125 scelto appositamente, non solo perché – tanto per complicarsi ancora la vita – si era messo l’altro piccolo confine di usare il più possibile elementi originali Guzzi, ma anche per la sua leggerezza e il suo tocco anni ’70, rafforzato dal traliccio inferiore di raccordo; un paio di fiancate prese da una V7 riverniciate, alcuni dettagli come le frecce originali dell’epoca T3, piazzate sempre sotto al faro e non allineato ad esso (come facevano i giapponesi), un piccolo parafango preso da un cinquantino dell’epoca dei pantaloni a zampa, una sella Ducati Scrambler modificata e rivestita (unico trapianto selvaggio), più tutta una serie di piccoli dettagli, come la raffinata grata a proteggere il faro (faro di provenienza Nevada) ispirata a quello della Lodola Regolarità, fatta sul perimetro interno del faro per snellirlo.
Infine, il nome. Sarà che mi sta particolarmente simpatico, ma credo che raramente nome sia così appropriato come in questo caso. Scout la definisce perfettamente come moto da esplorazione, come moto leggera, solare, essenziale, pratica. Ma anche gran bella!!