Io e la mia V11 Scura.
Si una Moto Guzzi, di quelle d’annata.
Decisione presa ad inizio anno. A dir la verità dovevo andarci con Impe, che poi ha dovuto dare “liscio”. Dopo una breve discussione con mia moglie: semaforo verde.
Preparazione minima, solo itinerario Michelin, d’altronde, non mi serviva altro.
Programma: andata via Norvegia e ritorno via Finlandia e Svezia, per passare dall’Europa continentale alla Scandinavia avrei fatto due ponti in Danimarca, quello tra l’isola di Fyn e Sjelland e quello sull’Oresund (Danimarca-Svezia) che, fino a sette anni fa era il più lungo d’Europa.
Lunedì 6 Giugno
Partenza ore 6.20 Bresso, appena finito un temporale. Brogeda, S. Bernadino, Breganza e poi tutta autostrada, fino in Danimarca. Arrivo ad Odensa alle 22.30.cena frugale e a letto.
Totale: km 1.462; ore di guida: 16,10 di cui 12 sotto forte pioggia.
Martedì 7 giugno
Partenza alle 8.25 da Odensa,
Tempo terso ma vento a circa 40 nodi, al traverso, ci sarà da divertirsi sui due ponti…
Primo ponte e lascio l’Europa continentale.
Secondo ponte… In effetti la moto è inclinata costantemente e devo farmi proteggere dal vento da un fuoristrada
Svezia, Malmoe, Goteborg e poi Norvegia. Oslo, il tempo tiene, si prosegue verso nord. Poche foto, guidare è una libidine e poi oggi vorrei fermarmi solo per i rifornimenti. Non sono i paesaggi il motivo per cui sono qui.
Dopo Oslo cominciano le montagne. Non sono come le nostre ma hanno il loro fascino. Sono antiche, le cime sono molto arrotondate dal tempo. Lungo i fiordi la strada è un misto velocissimo, da sballare. Faccio fatica a non fermarmi ad ogni chilometro, il paesaggio dei fiordi è stupendo con questo tempo.
Arrivo a Lillehammer che il sole comincia a calare, faccio un paio di passi di montagno (600 m), traffico scarso, proseguo per Oppdal, dormirò lì stanotte.
Totale km. 1.215; ore di guida 14.
Mercoledì 8 Giugno
partenza alle 9.55: ho fatto fatica ad alzarmi…
Inizia a piovere, niente di speciale, sono poco più che spruzzi, anche se freddi (5 gradi circa). Mentre proseguo la pioggia aumenta, fa freddo, per strada incrocio qualche camion e camper Tedesco od Olandese. Faccio quattro passi di montagna, sono abbastanza agitato, non c’è praticamente nessuno! Neve tutto intorno, nuvole basse e piove… praticamente ghiaccio! La strada fuma (si, fuma veramente, qui le riscaldano sui passi montani più freddi, con resistenze annegate nell’asfalto, almeno credo). Mi rendo conto che il mio abbigliamento non è proprio dei migliori: maglietta di cotone pesante, maglione zip di cotone (Guzzi of course…), giubbotto di pelle e cerata; sotto, Levis 501 e antipioggia senza imbottitura (zioporc… che freddo!!). Mani fradicie perché i copriguanti tengono le prime due-tre ore, poi si allagano e si inzuppano anche i guanti di pelle…Bravo, proprio ben attrezzato! Mi vengono in mente i tre tedeschi che ho incrociato in Germania: quello sì che era un abbigliamento adatto, bravi loro, stupido io, avanti lo stesso.
Finalmente un punto di riferimento per il mio viaggio: il circolo polare. Nel piazzale ci sono tre camper Tedeschi e due macchine di ragazzi locali che si fanno una birra; se ne vanno appena arrivo. Neanche un cristiano per farmi fare la foto, vabbè, no problem, faccio io.
Continua a piovere che dio la manda, sono stanco, finalmente arrivo a Moi-rana e vedo un albergo con tutti i crismi. Sono le 9.30 di sera, guido da quasi 12 ore sotto un’acqua d’inferno ed ovviamente mi pregustavo già la doccia calda ma: “I’m sorry, it’s fully booked” (Spiacenti, l’albergo è al completo).
Mi indica un albergo a 70 km che è l’unico ad avere stanze libere. Piove così forte che è da non credere. Alternative zero; un’altra ora e mezzo di guida in montagna con una serie infinita di tunnel stretti e bui, freddi come un congelatore e con parecchie buche. Arrivo a destinazione alle 22.45. Totale km 672 ore di guida: 13.
Una media devastante, sono distrutto, infreddolito e bagnato fino al midollo, il tempo sarà così anche domani, dicono i Norvegesi. Tra l’altro mi sono perso per strada i due bulloni che tengono il silenziatore destro. Ho dovuto fissarlo col fil di ferro che devo curare praticamente ad ogni buca (e sono tante!); sembra un viaggio all’inferno…basta: rinuncio!
Mando un sms a pochi intimi per l’annuncio funesto. Devo comunque arrivare ad Alta.
Giovedì 9 Giugno
Partenza h. 8.25
Continua a piovere, i Norvegesi avevano ragione, ok, tanto ho già rinunciato.
Traghetto, tempo di attesa mezz’ora, si può fare qualche foto, e bere un caffè caldo.
Il paesaggio cambia, la vegetazione diventa più rada e cominciano a vedersi le renne. Per fortuna si tengono lontane dalla carreggiata.
La pioggia cala, ogni tanto il sole si fa vedere. Mi fermo per qualche scatto.
Avanti, manca ancora un pezzo ad Alta.
Lungo la strada il tempo migliora, ancora qualche scatto, tanto adesso ho tempo.
Arrivo al Alta alle 7 di sera, albergo, mangiata con tutti i crismi e senza guardare il conto: da queste parti è facile spendere 100 Euro per una cena normalissima. Mi concedo della carne di balena, squisita. Sono triste, se non fosse stato per il tempo – ho pensato – ce l’avrei senz’altro fatta.
Qualche foto del fiordo di Alta
Totale km 747 ore di guida 9,35.
Credo sia stato in quel momento che ho deciso di proseguire. Era ancora presto quando sono andato in camera, rifocillato e asciugato ed ho deciso di proseguire.
Avrei dovuto svegliarmi presto, programmo per le 4.00 la partenza. Al Plateau di Capo Nord sono circa 260 km. Il sole, come si vede, è già in alto.
Venerdì 10 Giugno 2005 ore 3.54
Mi butto per strada a tutta manetta, trovo un tempo strano; nuvole bassissime che contornano una valle in mezzo alla quale corre la strada dritta come un righello. Fa un freddo cane e a 200 all’ora ancora di più.
Arrivo ad Hammerfest alle 6.00 ed il benzinaio è chiuso, proseguo per Honnisvag ed alle 6.30, mi scrive che apre alle 7.00. Una corsa per nulla. Non ho più benzina.
La prendo con calma e mi faccio una sigaretta con in vista l’aereoporto. A proposito, chi è capace di atterrare qui deve avere un gran manico, i piloti capiranno il perché guardando la foto. Tenete presente che, di solito, qui la visibilità è di 50 m e tira pure vento; ma oggi il tempo è discreto, a me sembra bellissimo.
Faccio rifornimento e riparto per la destinazione finale, sono 40 km, ci sono quasi!
La strada è bella, purtroppo un gabbiamo decide di fare una virata troppo vicino alle mie forcelle e… ci si stampa contro. È stupendo, bianco, con le ali grigie. Devo fermarmi per toglierlo ed adagiarlo sul ciglio della strada.
Dicono che a Capo Nord il tempo sia sempre pessimo. Quattro anni fa, in camper, con mia moglie, Irma e Silvio avevamo trovato nebbia fitta per due giorni e chi ci è stato può confermare.
Invece, man mano che proseguivo, il tempo migliorava. In vista del Plateau faccio una foto, è quel promontorio in fondo al fiordo, la meta è in vista.
Arrivo alle 7.30, le biglietterie sono chiuse, molti camper nel piazzale ma in giro due o tre persone.
Faccio qualche foto; riesco anche a trovare un Inglese che mi fa lo scatto di rito, vicino al monumento.
Vento gelido, mi riparo all’interno del edificio (bruttino, non c’è che dire) e qui, la cerniera del mio giubbotto di pelle si incastra. Non c’è verso ci perdo quasi mezz’ora ma non faccio che peggiorare la situazione; pazienza.
Sono pronto a ripartire quando sento il rumore inconfondibile di moto. Una Harley e – udite udite! – una California II!!
Ho parecchia strada da fare ed oggi è Venerdì, sono le 8 di mattina, devo arrivare almeno fino a Tornio se voglio essere a casa per Domenica prima delle 10 di sera. Sono 3.800 km.
Manetta spalancata. Praticamente tutta d’un fiato fino a Kautokenio (Lapponia); pieno, caffè e vediamo come va la gomma dietro… caz.. ! sono sulle tele, si vedono già tre strisce di tessuto!
Chiedo al service di fianco al distributore e mi dice che in “città” c’è solo una moto e nemmeno immatricolata; deve fare arrivare la gomma da Alta, sempre che ce l’abbiano.
Da Alta sono 300 km e non è detto che abbiano la gomma. Decido di continuare a 70/80 all’ora.
Telefono all’importatore Moto Guzzi di Turku che mi dice che posso proseguire fino alla “città” successiva (100 km circa) così lui mi fa avere la gomma via posta espressa. Devo solo trovare il meccanico attrezzato per montarla. Il problema è che, bene che vada, la gomma arriva Sabato, forse in tarda mattinata. In alternativa, proseguire fino a Rovaniemi, dove lui conosce un gommista attrezzato e con la gomma in magazzino – probabilmente; comunque sono 250 km a 80 all’ora.
Decido di fermarmi a Pellio; arrivo in hotel alle 20.15. Non sono stanco; incazzato, quello sì. Potevo controllare prima, potevano darmi una gomma a mescola più dura (già, ma poi sul bagnato, a 180 non sarei mica riuscito ad andare…).
Totale km 795 ore di guida 16,15
Sabato 11 Giugno
partenza ore 7.25 locali (1 in più per noi)
Arrivo a Rovaniemi. Il gommista è ancora chiuso alle 8.30 ma sembra un posto serio
Hanno la gomma che mi serve, stessa marca e modello: ma vieniiiii!!!
Cambio gomma in un ‘ora e riparto alle 10.00.
Allora: è sabato, sono le 10.00 ed ho… 3.400 km da fare. In totale ho a disposizione 36 ore per arrivare a Milano; devo assolutamente tenere presente che, il lunedì mattina ho l’aereo per Dusseldorf che parte da Malpensa alle 7.30, riunione in giornata e ritorno a casa…
Kari (l’importatore di Turku) mi consiglia di lasciare la moto a Rovaniemi, me l’avrebbe spedita a casa lui ed io avrei preso l’aereo.
Non mi andava. Non so perché, ma proprio di lasciare la Scura, dopo che siamo stati insieme sei giorni con tutto quello che era successo, non mi andava.
Decido di farla tutta d’un botto. Bisogna considerare che, anche in Svezia, ci sono i controlli di polizia e qui non scherzano niente.
Già mi è andata bene in Norvegia martedì: mi hanno fermato (andavo a 87 col limite a 60) e me la sono cavata con una ramanzina (sarebbero stati 1.000 euro, per la cronaca), non volevo perdere tempo per un’altra ramanzina o peggio.
Quindi il problema più grosso era riuscire a tenere la velocità sui 170 senza farsi beccare. Ovvio che, nei centri bisogna rallentare, ma poi, i centri non sono così tanti da queste parti.
Fino a Sundsvall tempo ok. Da lì in poi, acqua, tanta, tantissima.
Arrivo a Stoccolma alle 10 di sera, mi faccio un “big mac” (non c’era proprio altro a quell’ora) e mi preparo a passare la notte alla guida.
Arrivo a Jonkoepping alla 1 di notte circa, smette di piovere, meno male, e invece no, comincia la nebbia. Accidenti qui siamo anche più a sud ed è quindi, normalmente, buio. La nebbia è gelida, entra nelle ossa (col giubbotto senza cerniera poi…) e non si vede una mazza; di sonno neanche l’ombra, per ora.
Si fanno le sei quando divento matto, dalle parti di Malmo, per trovare un distributore con la carta di credito automatica. Arrivo al pelo. Alle 4.51 di mattina passo finalmente il ponte sull’Oresund. Il tempo è finalmente bello anche se ventoso.
Via così fino alla Germania, sonno ok.
Fino alle 11.00 non ho avuto problemi poi, un paio di colpi di sonno mi hanno obbligato ad una sosta che non fosse solo per il pieno.
Un paio di telefonate per informare la dolce mogliettina ed un panino. Incontro un motociclista tedesco. Quando gli dico da dove vengo mi guarda strano e non pare crederci molto. Francamente, non ci credo neanch’io.
Sono le 13.30 e sono a Kassel, in piena Germania. Traffico tanto, pioggia violenta a tratti e sono stanco, parecchio.
Dopo la fermata a Kassel decido di smanettare un po’. D’altronde, se non lo fai in Germania…
Soddisfazione maxima passare la polizia a più di 200. Curvoni da paura, veramente divertente.
Fino a Breganza, guidare è un piacere.
A Breganza, in prossimità delle montagne, temporale stile diluvio universale. Dura poco ma è violentissimo. Per fortuna mi premia con un incredibile arcobaleno tridimensionale che non mi ricordo di aver mai visto prima!
Sul S. Bernardino freddo ma niente di speciale. Dopo il passo l’ultimo rifornimento e poi, via fino a casa dove arrivo alle 21.30.
Tutto qui, niente di più e niente di meno.
Esperienza grandiosa, posti favolosi, peccato per il tempo, peggio di così non poteva essere; moto grandiosa (chi mi tocca la V11 lo sego in quattro!), grande Kari, senza il suo aiuto, sarei ancora in Lapponia.
Mia moglie, poi, è stata semplicemente grande: sopportare un marito che, a 40 suonati, ha ancora la sindrome di Peter Pan, non deve essere facile, mentre per lei sembra sempre una gioia. Anche se mi è mancata, è meglio che non sia venuta: troppo freddo, troppa acqua, troppe ore in moto; troppo di tutto, se non ti piace guidare.
Non voglio fare un libro e quindi mi fermo qui anche se di cose da raccontare ne avrei un vagone.
Questo pensiero continua ad affacciarsi nella mia mente mentre preparo le cose per la partenza.
Sono le 6.30, la citta’ e’ ancora silenziosa e visto che e’ sabato mattina, nemmeno il traffico degli uffici e’ gia’ cominciato.
Nel silenzio, anche per non svegliare i figli e la moglie, mi metto alla ricerca dei guanti pesanti, delle scarpe impermeabili e della tuta antipioggia.
Ma dove cazz…qui no. Qui nemmeno. Tiro giu’ le borse nello sgabuzzino, le apro. Niente. Ah, che scemo, le avro’ messe nell’armadio!
Dopo mezz’ora che mi aggiro come un ladro per casa, alla fine, trovo tutto… meno i guanti.
Ok, vuol dire che andro’ con quelli estivi. Ma si, quelli da fighetto, di pelle nera coi buchini per far passare l’aria sul dorso. Quelli di pelle nera e lo “strèp” sul polso…
Però siamo a dicembre e andando in montagna con la moto, forse, un pò freschetto farà!
Vabbè, visto che diluvia, pure, metterò sotto dei guanti di lattice. Si, quelli monouso che si vedono anche alle mani dei dottori mentre operano…
Grande! Così la mia guida precisa, pulita e “chirurgica” ne verrà esaltata…
Ma perchè mi dico ‘ste cazzate alle 7.00 che non ho preso nemmeno il caffè?
Inizia la vestizione. Tuta intera di micropile. Sembro la brutta copia di diabolik…però tiene un caldo…
Poi i jeans. La tuta pesante non la metto, che con l’imbottitura che ha, giusto all’Elefantentreffen andava bene…
Camicia felpata alla boscaiolo e poi il giubotto di goretex con l’imbottitura (il pezzo sopra dei calzoni che dicevo prima, per intenderci).
Niente maglione. Però il pile me lo porto e lo tengo nella borsa che non si sà mai…
Poi è il turno dei calzoni impermeabili. Sante cose nuove… si infilano con tutti i scarponi e in un attimo sono belli che infilati, con le cerniere chiuse e belli stretti sulle caviglie.
Per ultimo il giubotto impermeabile (abbinato ai calzoni) lo indosso sopra al giaccone che con gli anni il goretex non tiene più e mi entra l’acqua…
Ok. Sono pronto. Sudato come ad agosto, ma pronto per uscire.
Scendo e arriva Fabio col V11. Cinque minuti, e anche Attilio si unisce a noi. Chiudere lampo. Indossare casco. Guanti. Mettere in moto.
Si parte! Il caffè lo prenderemo all’appuntamento con gli altri…
La pioggia continua iperterrita, un pò di traffico c’è e dopo mezz’ora siamo al distributore, luogo dell’appuntamento.
Andrea è già lì. Ci accoglie con un sorriso e una battuta delle sue “Ahò! Mortacci vostra e del Tagliacòzzentreffen! Ma proprio oggi ‘o dovevamo fà?!”
Gli rispondo a tono “Ci sono momenti in cui un uomo deve andare. Quel momento è…mò!”.
Scoppiamo a ridere e ci avviamo verso il bar per un caffè.
Fuori, mentre…indovinate?…piove!, arrivano gli altri.
Il Comandante col Cazzillo, Ettore e Nello con l’SP dal serbatoio ancora sbafato dalla benzina persa in Atlantide…ormai un’icona.
Siamo in sette. Dovevamo essere in 16 ma…
L’amico del Comandante col Bmw non viene perchè piove (sic!), Fange ha detto che viene, ma in auto (poveri noi!), Alme non s’è fatto nemmeno sentire, le mogli (visto che piove…) e il Berghella come le mogli…
L’unico è Massimo che mi ha già telefonato dandomi appuntamento direttamente a Tagliacozzo.
Ok. Allora, “benzina ragazzi! Chi deve, faccia il pieno così partiamo!”. Dieci minuti dopo usciamo dal distributore in fila indiana. Il Comandante in testa che fa l’andatura col Cazzillo e noi a seguire.
Intanto piove che “Dio la manna…”
Le mani sono zuppe ma addosso sono asciutto. Gongolo al tepore che il pile rilascia mentre guido in autostrada a 100 all’ora. Non ho freddo e il cappuccio dell’antipioggia l’ho indossato sotto al casco. Nemmeno un pò d’umido dietro al collo. Sapete, quel simpatico ritorno, quei schizzetti, quell’aria molto umida che in velocità riporta delle miiiiinuscole goccioline d’acqua…proprio tra casco e colletto della tuta, sulla nuca?
L’unico inconveniente è la visiera che s’appanna. La alzo e torna la visibilità…ma anche gli schizzi d’acqua che la velocità mi porta direttamente in faccia…
O asciutto e col nebiùn o limpido ma bagnato. Non c’è scampo.
I cento all’ora del Cazzillo diventano centoventi nei falsopiani in discesa, il Comandante non si fa pregare ad aprire il gas, ma il povero V35 fa quello che può soprattutto col quintale più che abbondante del Comandante in sella.
La colonna di moto, inondata da Giove Pluvio senza sosta, arriva al casello di Vicovaro. Si esce dall’autostrada e si prosegue sulla Tiburtina.
Finalmente, dopo anni, anche le moto possono usare il Telepass. Ok è un pò da frocetti. Volete mettere, specie se piove, tirar fuori con le mani vizze, appena tolte da quella paccottiglia di guanti, quel biglietto umidiccio e spiegazzato e passarlo al casellante con un sorriso alla “ti piace èh? Vorrei vedere te dopo duecento chilometri in moto sotto st’acqua!”.
Ma, almeno per me, è un toccasana. Non solo non devo aprile la lampo della tasca, cercare il biglietto tra le chiavi di casa, il coltellino svizzero e gli spiccioli ma nemmeno aprire il giaccone e tirare fuori il portafoglio, cercare la banconota e aspettare il resto…cercando di rimettere tutto a posto con una mano sola e completamente bagnato…
Quindi, dicevo, al casello di Vicovaro un brivido di compiacimento, ma anche di profonda comprensione, mi assale mentre guardo, immobile sotto la pioggia scrosciante, i miei fratelli fermi ad armeggiare con biglietti, portafogli e resti davanti alla barra chiusa del pedaggio.
La Tiburtina. Finalmente qualche curva. Non è esattamente il clima migliore per guidare una moto, ma la passione, la voglia e la compagnia istigano il pilota che è in me. L’asfalto bagnato richiede una guida pulita e solo spostando il corpo all’interno della curva si riesce a percorrerla a velocità “decente”.
Seguo sempre il Comandante. Mi diverto un mondo vederlo da dietro a spostare il suo culone sulla sella ad ogni curva. Gli altri li perdiamo subito negli specchi. Solo Attilio, per un pò rimane in scia. Piuttosto, ma Andrea, prima di salire in moto, si ingoia una scopa? Capisco che piove e non ci si muove volentieri, ma la rigidezza (da non confondere con la compostezza) mal si sposa con la guida sul bagnato. Vabbè, pure Ettore e il Reverendo non osano nulla e le medie orarie crollano. Solo Nello, confondendomi da dietro con Ettore (ma sono così grasso? :)))))) rimane in coda peplesso dall’andatura, per come mi conosce, insolitamente pacata…
Da Arsoli inizia un bel pezzo di misto che ci porta verso Carsoli. La guida è brillante e anche potendo superare agevolmente il Comandante (lui sul V35 io sul LeSPans 1000 twin spark, OSS, ecc, ecc, ecc,…) resto dietro a godermi la guida tonda e pulita da “bagnato”.
Passiamo Carsoli e poi verso Tagliacozzo. Questo pezzo di Tiburtina è, o meglio sarebbe, velocissimo. Curvoni in salita e gas spalancato fino a che la pompa regge…ma non è il caso.
In salita il Cazzillo ulrla la sua fatica e a 90 all’ora “fissi” arranca col Comandante che ripetutamente si muove avanti e indietro a mò di spinta. Non c’è niente da fare. Povero V35 più di così non ce la fa. Complice la velocità ridotta la fila rimane compatta. e negli specchi imperlati di gocce e semiappannati dall’umidità vedi i fari degli altri. Ma la montagna, di solito, ha due versanti, così se da una parte si sale dall’altra?…si scende! E allora ecco che la media passa ai centoventi e anche più…col Cazzillo che ruggisce come un leone e il culone del Comandante che pendola di qua e di la… I fari negli specchi sono spariti, piove ancora parecchio ma l’asfalto è ben drenato e in curva, nonostante gli angoli di piega limitati, teniamo le stesse velocità del rettilineo. Niente male.
Arriviamo a Tagliacozzo. Ci aspettiamo ma Ettore e Fabio non ci sono. Aspettiamo un pò e poi ci avviamo verso il bar “istituzionale” per l’aperitivo.
Ettore ci raggiunge il Reverendo, completamente zuppo, con l’acqua negli stival, nei guanti e perfino nel giaccone tira dritto fino al ristorante per asciugarsi un pò.
Diurno giorno. Bar. Bancone, cassa, caramelle e schedine del superenalotto. Vecchietti seduti che parlottano guardandoci. Entriamo così gocciolando nell’esercizio pubblico deputato all’erogazione alcoolica precedente al pasto. L’aperitivo appunto. Ci spogliamo di qualche “strato” e faccio il giro per gli ordini…nessuno vuole il prosecco, nè il Campari…propongo, quindi, l’aperitivo dell’alpino infreddolito che già feci conoscere a Filippo e a Gianni er Clavicola Cesaroni. La China Martini calda. Una bomba di alcool, zucchero e china calissaia che riporta l’estate dentro di voi. Sigaretta, sorso di china, chiacchiera. Altra sigaretta, altro sorso…riprendiamo un colorito umano sul volto e qualche sorrisetto, all’inizio, forzato lascia il posto a qualche sana, sguaiata, sincera risata. Aspettiamo che il mix faccia effetto e ripartiamo alla volta del ristorante. Ci rimettiamo l’antipioggia, i guanti zuppi d’acqua e via in direzione Colli di Montebove!
Mancano ancora 7 chilometri ma ci avviciniamo ad uno dei pezzi di curve che solo in Atlantide ce n’è. Al bivio aspetto l’ultimo (Andrea!!!!!) e poi vado…
I colori della pioggia non cambiano questa strada. Mi sento quasi euforico. La conosco curva dopo curva. Vado. Sorpasso Andrea (ci vuole poco, no?:)))) e aumento la velocità. Il LeSPans, dopo la cura ricostituente, non richiede grandi cambi di marcia per salire rapido. La terza è perfetta, abbastanza lunga da tenere velocità giuste e sufficientemente corta da non “strappare” in uscita.
2000 giri entro in curva e mi sporgo all’interno. Azz! Mi stò piegando quasi come sull’asciutto!…e tiene! Apro il gas e mi allargo per impostare la prossima. 3500 giri. 4000. 5000. Chiudo. Il rombo sordo degli scarichi si sovrappone al rumore della pioggia sul casco. Favoloso! Curva a destra, rettilineo e curva a sinistra. Il fanalino rosso degli altri mi appare poche curve più avanti. Mantengo il mio ritmo e in poco li raggiungo. Li supero in un lampo alla prima curva e mi accodo al Comandante. Gli altri erano stati facili da sorpassare ma Stefano col Cazzillo in salita sparisce dagli specchi in un attimo. Non pensavo di poter guidare così con tutta quest’acqua…ehi! Ma chi c’è lì davanti?…Apro il gas a velocità warp sul rettilineo e mi avvicino ad una sagoma inconfondibile. E’ Nello! Anche lui sembra aver mangiato una scopa ma a differenza di Andrea riesco a stargi dietro solo con molta concentrazione e pulizia di guida. St’infame dell’Aniello sembra che vada a passeggio mentre attorno alla strada appare la neve. Prima qualche chiazza e poi, nel giro di pochissimo, veri e propri mucchi lasciati lì dalla pulizia della strada. La velocità non diminuisce ed è strano guidare tra il grigio della strada, il bianco della neve e il cielo piovoso e plumbeo. Vista dal casco sembra di essere in un cinema d’essai. La cornice della visiera racchiude le immagini di un film in bianco e nero. Se non fosse per la moto che mi precede potrebbe essere un film russo.
Ecco il ristorante. Parcheggiamo le moto mentre Fabio e Massimo, che già erano lì, si affacciano sorridendo.
Entriamo sgocciolando dappertutto e la scena che segue resterà negli annali del “pietoso”. Scatta la caccia al termosifone acceso nel ristorante vuoto. Gente che si spoglia di qua e gente mezza nuda di là. Ettore si toglie perfino la camicia e la maglietta davanti al camino…’ bagnato e tremante. Gli presto il mio pile. Dopo cinque minuti il locale pubblico sembra un bivacco di rifugiati. Guanti, giacce e maglioni occupano tutti i caloriferi. Gente scalza lascia impronte bagnate in giro e accanto al nostro tavolo in un laghetto creato dallo sgocciolio delle tute nuotano i salmoni.
A turni ci avviciniamo al fuoco del camino per scaldarci un pò. Finalmente Attilio tira fuori la bottiglia di grappa e (rigorosamente a digiuno) ci facciamo un sorso ciascuno.
Finalmente ci sediamo a tavola. Ehi! Ma Fange? Almerico? Che fine hanno fatto?
Immediatamente scatta la telefonata dal cellulare. Di Alme nessuna
traccia…bho’? Fange, invece, e’ passato a prendere Claudio. Si, Claudio Petrassi in arte CP Racing.
I tre (c’e’ anche un amico di Claudio) stanno per arrivare in…Mondeo! Che figuraccia Fabri’!
Noi bagnati, con le mani vizze e i piedi a mollo nelle scarpe ormai “fraciche” e tu in macchina…
Vabbe’ ‘sta storia te la porterai dietro per un po’…e lo sfotto’ avra’ un altro elemento da sfruttare.
Arrivano gli antipasti. Per un attimo cala il silenzio. Solo rumore di ganasse e di vino versato nei bicchieri.
Le finestre appannate mostrano la montagna (il ristorante e’ a quota 1200 metri) con i boschi e i prati imbiancati di neve nonostante la pioggia a catinelle che viene giu’.
Affettati. Mozzarelline. Fagioli con le cotiche. Peperoni. Carciofi. Impossibile resistere a qualche fetta di pane per accompagnare il saporitissimo antipasto. Le bicchierate di vino rosso vanno giu’ come l’acqua. Burp!
Ed ecco il primo. Uno “scifo’ a testa… Cos’e’ uno scifo? Ve lo faccio spiegare dal poeta Remo Fagiolo (un nome un arte!) in dialetto Segnino (Segni paese vicino a Colleferro la cui strada e’ famosa per le corse in salita…azz! Che cultura eh?)
I cazzacci
Farina de rano setacciata
‘n cima alla spianatora a ffuntanella;
coll’acqua chiara i ppoàcuteco salata
ammassa fice’gravenno a ppantan’egravella.(1)
Quanno la pasta è bbe’gravene lavorata,
pe ffa’ i cazzacci è pronta i ppreparata.
Stacca la pasta a fforma de n’oacuteci
i cce’graverca d’allongà comme ‘no spido;(2)
‘ntanto jo suco se finisci còci.
Stira jo cazzaccio non tanto fino;
ma ta remanì ruzzo i ggrossolano
da sentiglio struppià’ sotto la mano.
Quanno de cazzacci ne si ffatti tanti
i ll’acqua coménza a ffa’ la tarantella,
e’gravettaj trénto, non tené’ rimpianti
i dde scifa (3) capa la ppiu bbella.
Venuti ggalla, scòacutelaj per bene:
si repacata la fatica e ppéne.
Suco i ccaso come se ppiovésse;
rapi la a’cutecca i smòacutevi le canasse.
(1) fice’gravenno a pantane’gravella= mescolare la farina con l’acqua alla
stesa maniera del ragazzino che gioca scavando piccole fosse nel terreno,
le riempie d’acqua e poi continua impastando terra e acqua.
(2) spido= spiedo
(3) i dde scifa= recipiente di legno più o meno profondo e lungo. Qui il
poeta usa un termine “scifa” o “scifo”, che normalmente serve a contenere
il cibo per i maiali; il trògolo.
Insomma un piccolo trògolo ciascuno con sopra: Polenta e sugo con spuntatura, tonnarelli ai funghi porcini, raviolone con ricotta e gnocchi al sugo (almeno mi pare, che con la fame che c’avevo…la bocca e’ stata piu’ rapida dell’occhio!). La fame, quella vorace che t’assale quando ti siedi a tavola dopo un bel giretto in moto e’ passata. restiamo in attesa del secondo quando…ecco materializzarsi una Mondeo! Sono loro. Fange, Claudio e il suo amico (aho’! non mi ricordo il nome…sara’ l’eta’?).
Entrano nella saletta che il gestore (previdente) ci aveva riservato e dopo aver attraversato il laghetto, scansato i salmoni ma soprattutto evitato gli orsi appostati sulla riva, si siedono al tavolo. (con voce alla Fantozzi che racconta) E subito una rafficona di battutacce da osteria
accolse i tre poveracci giunti in auto…
Tra gente che sfotteva o si alzava per andare davanti al camino a controllare il maglione fradicio sul termosifone o il guanto poggiato accanto alla brace…e ancora bagnato! Passa il tempo che ci porta al secondo. Scamorzina, salciccia, braciola di maiale e abbacchio e al centro tavola un bel piattone di patate al forno.
Altro giro di bottiglie di vino. Risate. Vetri appannati e fuori tanta pioggia. Arriva il caffe’. L’amaro. Il conto. Inizia il rito della rivestizione. Sorrisi a denti stretti rimettendo il maglione ancora umido, smorfie da tortura chiudendo i calzoni col cavallo bagnato, mugolii (di piacere?) nell’infilare i guanti zuppi…e le moto, imperterrite, ferme e stoiche da piu’ di due ore sotto la pioggia battente.
Paghiamo il conto e Fabio ci delizia con la scoperta di aver lasciato il portafoglio nella tasca chiusa male. Uno strano oggetto di pelle marrone che lascia dietro un “pisciarello” d’acqua e’ quello che resta del denaro e i documenti del Reverendo. Non vi dico la faccia del gestore quando con “noscìalàns” li buon Fabio gli ammolla 50 Euro gocciolanti dicendo: Mi scusi ha da cambiare?
Asciutti o bagnati, cinquanta euro, sò sempre buoni, quindi il resto (in banconote asciutte) fu reintrodotto nel portafogli assorbendo l’acqua che era restata dentro…quando si dice che il portafogli del Reverendo è pieno di liquidi!
Inizia l’accensione delle moto di fronte agli “autodotati” che da sotto la pensilina guardano con…invidia? Commiserazione?…’stardi!
Partono tutte meno la mia. Claudio sorride (è già un evento!). Fange guarda interdetto. Alla fine un solo cilindro si avvia. Gli altri, intanto partono, solo Ettore e Massimo mi aspettano.
Ancora a uno. Porcoqquà e porcollà!!!!
Già lo sapevo. E’ l’acqua nei carburatori. Mi è già successo. Quando piove il carburatore dx si riempe di pura, chiara, incombustibile (?) H2O. Spengo la moto. Apro la sella e prendo la chiave Guzzi (quella 22/24 con i due occhi tondi che serve per smontare le ruote, i dadi dell’olio,…bellissima! Oddio…simpatica! Ecco.).
I carburatori da 36, che monto sul leSPans, hanno il dado da 22 per togliere la vaschetta.
Sotto una pioggia battente, col vento che trasporta le gocce sul viso nonostante il casco con la visiera semichiusa, smonto la vaschetta.
Impetositi, a quel punto (‘stardi e asciutti!) si avvicinano i tre automobilastri alla moto. Fange, subito, dice “lascia faccio io”…Grazie! la vaschetta l’avevo già levata e il guantino da fighetto s’era già riempito di benza per benino…comunque, meglio tardi…
Appena rimontata la vaschetta la moto parte a due… finalmente vado! Ettore e Massimo (con l’Honda Africatwin…bella moto, peccato i colori! :)))))) mi seguono.
Seguono un corno! Abbiamo deciso di passare da Colli di Montebove, cioè per la montagna, accorciando di una decina di km. Il percorso, sotto tutta quell’acqua non perde il suo fascino. Un susseguirsi di curve da lasciare senza fiato! Ma dopo le prime tre… negli specchi “quei due” sono già spariti!
La legge della fratellanza motociclistica impone pazienza. Loro hanno aspettato me, io aspetto loro. Non c’è cazzi.
Un pò allungo, un pò aspetto.
La strada è spesso tagliata da fiumi d’acqua che trasportano terra e fogliame. Più che misto di curve sembra un misto di entro-fuoristrada.
Però la conosco a menadito. Curva a sinistra, questa non chiude, il motore singhiozza un pò…però và. Allora dai de’ gas! 3000, 4000 giri, chiudi e imposta. Piega. Pelo il gas e mi sporgo fuori. ‘Ste cacchio di gomme tengono!…Vaiiiiiiiii!!!! 4000, 5000…singhiozzo, 5500, brat! Sput!
Curva. Piega. Rallento e aspetto. Vedo i fari che si avvicinano. Riapro. Aprire visiera.
Passare dito su visiera e togliere le gocce. Ok, s’è spannato. Vado. Curva. 3000 giri. Mi sposto. Piega. Carsoli. Con Ettore e Massimo percorriamo gli ultimi chilometri fino al casello assieme.
Faccio un cenno di saluto e allungo.
Oh, non piove più! L’asfalto a tratti inizia ad asciugarsi. I due binari lasciati dalle impronte delle auto diventano la traiettoria ideale mentre il motore sale di giri. 4000. 5000. 6000. 120. 145. 180. Sorpasso tutte le auto che incontro. Ma due fari mi appaiono dallo specchietto. Azz! E’ Fange con Claudio!
Apro deciso il gas. Sput! Brat! Porc… ma cazz… la moto singhiozza. C’è ancora acqua nei carburatori.
Tengo spalancato. I fari della Mondeo mi seguono a poca distanza. Sento le loro voci. Guarda ‘stò matto quanto cammina (Ah, se potessi farlo davvero!). Le battute di Fange e i silenzi eloquenti di Claudio.
Non stò eccedendo. La moto vola a velocità ben oltre il codice ma allunga soltanto. Ad ogni apertura del gas il motore singhiozza e riprende a fatica.
La spinta brutale del LeSPans agli alti regimi si stempera con la miscela acqua/benzina che gli arriva.
Tunnel. In uscita la sagoma di un motociclista è sulla corsia di sorpasso.
E’ Fabio col V11. Gli piombo alle spalle a velocità warp e mentre lui accenna a spostarsi…zac! lo brucio passandolo a destra. Lo so che Fabio non s’arrabbia per queste cose, ci conosciamo da troppi anni. E’ solo il mio modo di salutarlo.
Inizia una serie di curvoni in discesa. Li conosco bene. Mi allargo e negli specchi vedo la Mondeo che si fa sotto. Ma quanto cazzo cammina ‘sta macchina?
Il mio contachilometri segna 170. Entro in curva e apro il gas quel tanto che serve a far accucciare la moto sulle sospensioni. Ma…orc…brat!
Sput!…niente da fare il motore non spinge e sono costretto ad allargare… la Mondeo passa. Rettilineo. Scalo in quarta. 170. Quinta. 190. Sorpasso l’auto di Fabrizio (avrà alleggerito sul pedale?) il motore allunga di più. Forse un pò d’acqua è stata aspirata via dai carburatori.
Allungo. Vedo i 7000 giri. Il contachilometri segna 200. 210.
Certo è un pò ottimistico. Filo come il vento ma non a 210! Ma che figurone!
Vabbè ecco il tunnel prima di Tivoli. Discesona e curva sulla destra e poi il rettilineo in falsopiano in discesa. Non ho mai allungato tutto il LeSPans col nuovo motore. Vediamo un pò se il vecchio guzzone bastona ‘sta cacchio de Mondeo quà dietro come Fange fece col Comandante (il rettilineo è lo stesso).
Allungo in discesa. 6500. 7000. Brat! Splut!…Azz! Tengo aperto. Faccio il curvone a 190 indicati. Sorrisetto beffardo. Inizia il rettilineo e la discesa…210…220…7500 giri (mi sembra…non è che a 210 mi metto a guardare per bene il contagiri eh?). La velocità, anche a “pelle” è notevole. Le auto spariscono dietro in un attimo. Roma apare in fondo al rettilineo. Siamo a casa.
Passo il casello col Telepass e non vedo nessuno (poi ho saputo che il Comandante e Andrea ci hanno aspettato…forse stavano facendo “roba” dietro una siepe!).
Il traffico di Roma è una pacchia senza pioggia e dopo aver parcheggiato sotto casa…mi sono ricordato di quello che mi aspettava. La doccia calda. Ahhhhhhhhh! Libidineeeeee…..
L’ho preannunciato, la prossima volta…alle terme!
Tenetevi pronti!
La rognaccia nera… ecco che abbiamo noi.
L’unico appuntamento invernale che ci facciamo da tre anni, e stavolta la veggo davvero buia.
Bojano, montagne molisane, sede di un bel motoclub (www.motoclubbiferno.com). I ragazzi sono molto attivi, e x l’ultima domenica dell’anno mettono su un piccolissimo appuntamento x chi non ha paura dei pinguini: il Terremoto d’Inverno. La trovata simpatica che lo distingue è il motogiro fino alle piste da sci di Campitello Matese.
Piove a dirotto da giorni su tutto il centro, ma soprattutto c’è un ventaccio infame.
Passo la serata a casa di amici ,mangiando un’orribile pizza fredda, pregando che qualcuno non metta su la partita e masticando silenziosamente sentenze a nastro e maledizioni varie contro tutti gli anticicloni delle azzorre, la pioggia, la tramontana, il garbino, gli Tsunami, il grande fratello, Pippo, Pluto, Paperino e Qui Quo Qua. Ogni tanto arriva un SMS con le condimeteo da un amico in zona: catastrofi in corso.
A Campitello nevica (e va bè..). Tempesta di acqua e vento su tutta la zona sottostante… mi sa che ci becchiamo un osso… L’acqua passi, per il freddo non c’è problema, ma il vento me le fa girare… sorrido a tutti ma a momenti mi stacco da terra x quanto girano. Meno male che non conosco i riti Vodoo.
E invece…
19/12/04 DOMENICA
E’ piovuto fino alle 3 di notte, alle 07.00 guardo fuori, bestemmione in canna pronto contro Giove Pluvio… il cielo è perfetto! Vento quasi a zero… Giornata perfetta dopo una settimana sotto l’acqua… Zyc 1 !!
Per scaramanzia lascio anche i coprimanopole montati all’andata: non sembra vero. Convinto che si partiva sott’acqua. Su tutto il percorso sole + strada per un buon tratto …asciutta! Ci saranno intorno ai 5-7°C… di lusso.
All’arrivo a Bojano la solita buona accoglienza, con vin brule’ a caduta libera… (anche self service). Non fai neanche in tempo a toglierti il casco che ti ritrovi con il bicchiere bollente in mano! Sai… fa freddino…
I ragazzi del club sono tutti simpatici e cordialissimi. Nei 10 euro d’iscrizione ci sono la colazione, il rinfresco in quota, biglietto lotteria del club e lo scaldacollo/cappellino in Pile. Non male davvero. Con l’aumentare della popolazione nella piazza del paese, Terremoto in persona/speaker fa notare una nutrita presenza di …Moto Guzzi ? Però, 13 cancelli… decisamente bene per questa zona.
…….???…….
E quello chi è? Fange???
Mentre faccio la conta un rumore familiare ma un po’ soffocato richiama la nostra attenzione e Lei fa la sua apparizione… una Le Mans rossa 1976 con corpulento pilota, targata Roma ! Ma no, la LM di Fange è targata Pescara, ha le Lafranconi e poi a questa manca un certo tubo verde …
C’è anche ELVIS!! (noto e simpatico casinaro della zona)
E’ messa maluccio, ma è lei. Mi piazzo in mezzo al parcheggio mentre tutti i guzzisti presenti convergono, lo chiamo e lo faccio parcheggiare tra le altre Guzzi. Gli scarichi Stucchi… ecco xchè suonava strano. Il simpatico signore di Roma ha qualche moto (18!) e dopo una brutta avventura insieme, ha ripreso proprio il LM x farsi un giretto.
“Si, ma ora la porto al restauro…”. Ecco bravo, che se lo merita.
Conosci Guzzisti.it? E dai,vienici a trovare. Chiacchiere varie, qualcuno sbircia la toppa di Anima Guzzista sul mio copriserbatoio, io sbavo vicino ad un trio di RSV1000 tra cui una R, un altro paio di mestolate dal pentolone di Amelia la strega per tutti… meno male che ho fatto colazione nordica.
Partiamo x il giretto fino alle piste di Campitello Matese. Ma cos’è, fa caldo adesso? Capitiamo davanti, proprio vicino alle staffette che aprono la strada, e ci godiamo la salita a velocità zero contemplando il panorama e i contrasti tra i colori lasciati dall’autunno e le spruzzate di neve, sorpassando allegramente astronavi stradali che ci superano sui rettilinei e che si inchiodano in mezzo (ma proprio in mezzo…) ai tornanti che scolano acqua. Dopo un po’ non superano più….
Mi riguardo due tipi “very bikers” che guidano appesi a degli apehanger da paura.
(vedi: Mani in alto, questa e’ una rapina!).
Che ci avranno capito su quei tornanti? Forse si sono divertiti più di me. Ha ragione Andrea il Tatuato: la vita è varia e molteplice!
Ormai è tutto bianco, mentre mi godo i colori del monte di fronte con cresta alla panna, capito dietro ad un soggettone con una Valkirie 1500. Bella, quel sei cilindri è l’unico jap che digerisco. Però… tra lui, moto e signora peseranno quasi sei quintali… se incontriamo del ghiaccio l’amico sarà l’unico ad arrivare alle piste.
Ghiaccio? …Cavolo! Eccolo! Il motopeschereccio mi si inchioda su un po’ di neve pestata proprio davanti! Ma no, dai vai ! E’ neve!
No, non va.
Intorno e’ ancora più sporco, qualcuno si spaventa, qualcun altro rischia… Tappo!
Io e Jerry (ex compare di uscite in campagna, ora su Madame Bonneville) schiviamo e filiamo via dietro alla staffetta che essendo prima della fila s’era scelta il passaggio migliore. Il California ronfa tranquillo in seconda e trita quel po’ di ghiaccio che non riesco ad evitare. Ringrazio il Grande Capo che mi ha fatto nascere zompafossi e mi ha messo anche sul cancello. Vai che è più pulita ora, stiamo arrivando alle piste e guardo dietro…
Quasi nessuno?! La staffetta che ha il suo da fare x tenere su il Fazer davanti noi, Jerry che sogghigna sotto il casco, un Varadero molto indietro e in mezzo… il Le Mans del romano!!! Con quei mezzi manubri li ha fregati tutti !!! Che ridere ragazzi!
Arriviamo su solo in cinque. Appena parcheggiato arrivano anche gli altri. Marcello con il T5 polstrada, Gennaro con l’X11… il Cali 2 di Luca… la Stone… la mukka di Tony Royal. Noi ci siamo tutti. Qualcuno se la ride per gli show visti lungo la salita, qualcun altro sacramenta sui “piloti di traverso”. Penso a quei due con gli stendi panni… ci sono anche loro!! Grande! Alla faccia di chi le definisce “beach-to-bar bikes”.
Foto di rito, un paio di tuffi sulla neve, doppia tirata dalle fiaschette e decidiamo di dribblare il rinfresco: se guadagnamo tempo possiamo prendercela comoda a pranzo e sciacquare le moto una volta a casa (con tutto sto’ sale a terra non si scherza…).
I ragazzi del M.C. Biferno si sanno divertire e sicuramente la tireranno x le lunghe. Saluti!! Maiala che caldo!
Giù per la discesa qualcuno memore del suo passato decide di provare Bonnie sulla neve.
Tirato fuori lo scienziato, fatte le foto da perculeggiamento, scopriamo dove era il resto della truppa. Fermi a metà strada su un curvone, intorno ad un bel boccione di grappa fatta in casa si stanno godendo il panorama. Eh… quando si dice organizzazione… Diamo anche noi il cicchetto al carburatore, due risate, complimenti e ripartiamo. Eh sì, fa proprio caldo… non ci sono più gli inverni di una volta.
20/12/04 LUNEDI mattina
Aripiove di nuovo… di brutto…
Ore 08:20 SMS di Gennaro: “Lassù qualcuno ci ama…”
Una sera d’inverno
A casa, una sera d’inverno, Simona fa esplodere una macchia iridescente nel mezzo di una sbiadita chiacchierata a tavola su cose quotidiane: “Perché quest’estate non andiamo a Nord Kapp in moto?”
Studio il suo sguardo per cogliere eventuali segni di coscienza alterata, ma lei mi fissa seria e lucida.
Io ho sempre desiderato raggiungere Capo Nord in moto, lei ha sempre desiderato visitare l’Europa del Nord. “Affare fatto”.
Da quella sera iniziamo a costruire, mattoncino su mattoncino, il nostro viaggio. Istituiamo il “Fondo Norvegia” (rivelatosi provvidenziale…) nel salvadanaio a forma di coccodrillo, approntiamo la fida Moto Guzzi, prenotiamo i traghetti ma… sorpresa: non c’è posto sul traghetto Helsinki- Rostock, che ci avrebbe riportato sull’ultima tappa di ritorno. Decidiamo così di prenotare il tratto Helsinki-Tallinn, e chiedere un ulteriore sforzo al Guzzone per attraversare Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Germania e Svizzera. La cosa si fa ancora più interessante.
24 Luglio: Milano-Hannover (960 Km)
La sveglia suona alle 6.30 del 24 luglio, le borse sono pronte, la moto ha il pieno. Il tempo è incerto. Ci accorgiamo che il peso dei bagagli eccessivo manda a raso terra il Guzzone. Lasciamo a casa qualche maglione e finalmente partiamo. Sulla Milano-Laghi veniamo colti da una serie di secchiate d’acqua dal cielo, che ci costringono a rallentare e sostare per indossare le tute. La pioggia è talmente fitta e battente che mi sale la preoccupazione per le infiltrazioni d’acqua nei conetti di aspirazione. Ma la moto avanza ostinata e ignorante come un mezzo anfibio. In Svizzera ci fermiamo a mangiare un Hamburger di plastica spendendo 30€. Era meglio la fame.
Il maltempo ci accompagna attraverso la Svizzera e parte della Germania. Abbiamo anche problemi di itinerario: sbagliamo più volte strada e accumuliamo ritardo. Decido di spronare il Guzzone: carico alla morte, sulle salite chilometriche dell’autostrada tedesca, a 150 all’ora, sento attraverso le ghigliottine spalancate dei Dell’Orto i pistoni che ringhiano.
Raggiungiamo a fatica l’albergo di Hannover alle 11.00 di sera.
25 Luglio: Hannover-Kiel (250 Km)
La stanchezza della sera prima si attenua dopo una notte di sonno e una splendida colazione al mattino. L’albergo, il cui personale è gentile e l’atmosfera accogliente, ci offre un buffet comprendente vari tipi di affettati, formaggi, frutta, marmellate e yogurt, tutto di ottima qualità. Partiamo sereni e raggiungiamo Kiel senza particolari problemi, salvo, per nostra inesperienza, la ricerca del terminale per il Check-In. All’imbarco leghiamo la moto di fianco ad una meravigliosa Harley aerografata di un Ancient Trooper norvegese, il quale ci ha pure salutato cordialmente (…proprio non era italiano…). Sul traghetto ceniamo nel lussuoso ristorante, serviti da un cameriere che parla perfettamente italiano. Filetto alle verdure ottimo, accompagnato da altrettanto eccellente vino rosso. Ci voleva, visto che, per le poltrone scomode, decidiamo di dormire sdraiati per terra.
Alle 3.00 del mattino vengo svegliato dal molestissimo rollio della nave. Penso subito al cavalletto centrale della SP, notoriamente instabile, e immagino la moto che cade rovinosamente sulla meravigliosa Harley a fianco. Passo il resto della notte ad escogitare varie ipotesi su come si dovrebbe affrontare un energumeno norvegese inferocito che alza di peso la tua Moto Guzzi intento a scagliartela addosso.
26 e 27 Luglio: Oslo
Ci svegliamo alle 7.00 e, giusto il tempo che occorreva al traghetto per raggiungere il porto di Oslo, facciamo colazione nel bar di bordo. Incontriamo 4 ragazzi di Bergamo, di “Mucche” dotati, diretti verso Capo Nord. Mi ricorderò sempre lo sguardo allucinato di Simona quando ha sentito parlare di manopole riscaldate e parabrezza regolabili, per non parlare del fatto che uno di loro ha lasciato a casa la fidanzata per fare spazio alle provviste di pasta e pesto alla genovese!
Allo sbarco trovo la moto ancora al suo posto, e il grizzly norvegese ci sorride ignaro del pericolo che ha corso il suo destriero.
Sbarchiamo ad Oslo, e subito riceviamo l’impressione di una città splendida e vitale.
Facciamo fatica a trovare un albergo con una stanza disponibile. Fra l’altro, sui passaggi di porfido e piccole asperità delle strade cittadine, avvertiamo i primi preoccupanti “fondo corsa” del retro treno. Finalmente troviamo un buon albergo.
Il personale dell’hotel ci permette gentilmente di parcheggiare la moto all’interno del cortile di servizio.
Incominciamo ad esplorare Oslo, e mentre Simona si lustra gli occhi con il passaggio di locali vichingoni biondi e fieri, io rimango un po’ deluso dalla fauna femminile: a parte i visi molto piacevoli, le ragazze hanno per lo più il fisico dell’orso Yoghi.
Dopo la cena ad un Burger King, torniamo in albergo per svenire sul letto.
Alla mattina ci ammicca un bellissimo buffet a base di uova, pancetta, polpettine, formaggio, aringhe in salsa dolce e marmellate.
Andiamo a visitare la zona di Bygdøy, dove si trova il Folk Museum e il Museo Navale Vichingo. In quest’ultimo rimaniamo colpiti dal buono stato di conservazione delle due navi vichinghe e ne subiamo davvero il fascino. Solo quei pezzi di legno erano in grado di trasmettere il senso di fierezza ed il coraggio (o incoscienza?) degli esploratori del Nord.
Ci spingiamo poi fino al Vigeland Park, molto ben tenuto e suggestivo: costellato di statue di granito antropomorfe , dallo stile tondeggiante, realizzate dallo scultore norvegese Gustav Vigeland, rappresentano gli innumerevoli sentimenti umani nelle relazioni di amicizia e di eros fra le persone. Rimaniamo perplessi per ò sul gusto dell’opera.
A pranzo ritorniamo in centro città, al Johnas Gate, dove troviamo una tavola calda all’aperto dove servono ottimi spuntini a base di gamberetti, salsa rosa e aneto. Ne conservo un bel ricordo, forse perché associato all’idea di aver fatto colpo sulla cameriera (niente male…)…eh eh, il fascino del terùn incomincia a seminare disordine…
Occhio al prezzo della birra però: una pinta costa il corrispettivo di 8 (OTTO!) euro!!!
28 Luglio: Oslo-Trondheim (516 Km)
Al check-out dell’albergo, mentre stavo radunando le valigie, la coda dell’occhio viene interessata da una figura che passa fuori dall’albergo: una meravigliosa creatura di sesso femminile, altezza approssimativa di 1.80m, dalle forme che neanche il più dotato designer mondiale potrebbe replicare, mi induce ad una reazione poco ortodossa, trasformandomi in una bestia delirante, non cosciente degli apprezzamenti dal dubbio gusto che devo aver pronunciato con la schiuma alla bocca in presenza delle receptionist e dei clienti presenti in quel momento. Ma vengo subito richiamato ai ranghi da Simona perchè era ora di partire.
Il viaggio è faticoso, anche perché all’arrivo, all’ora di cena, facciamo ancora più fatica che a Oslo a trovare un albergo. Grazie ad una botta di chiappe veniamo rincorsi da una receptionist che ci aveva appena rimbalzati per dirci che in un hotel vicino è stata cancellata la prenotazione di una stanza. Che gentile!
Salendo di latitudine diventa più evidente la tarda luce. Ne approfittiamo per fare un giro per la città, molto piacevole, ma un po’ deserta. Carina la cattedrale. Rinuncio all’idea di bere una birra insieme ad uno dei miei gruppi preferiti, i Motorpsycho, originari di Trondheim, visto che in quei giorni sono a Rimini…
E’ stata una tappa un po’ ardua, e ci viene il dubbio se non sia il caso di arrivare fino a Tromso per poi stoccare a Est verso la Finlandia. Capo Nord? Troppo male alle chiappe.
29 Luglio: Trondheim- Mosjøen (390 Km)
Continuiamo il viaggio verso nord fino a Mosjøen, un piccolo e tranquillo paese situato alla fine di un fiordo. C’è pochissima gente, e troviamo un piccolo ristorante in una costruzione in legno, vicino all’acqua, in cui abbiamo assaggiato un eccezionale filetto di renna. Sappiano che mettiamo in atto una discriminazione: nel menu era presente anche la bistecca di balena. Non ce la siamo sentita. Forse perché di renne ce n’è a bizzeffe. Di balene no.
La pace in quel paesino è commovente.
30 Luglio: Mosjøen- Narvik (473 Km)
Lungo la tappa attraversiamo paesaggi magnifici, dove il verde intenso dei boschi e il viola vivace dei fiori abbraccia laghi e fiordi che attingono dal cielo un colore blu intenso. La Moto Guzzi, anche se appesantita, pennella le curve con dolcezza e armonia, quasi come se conoscesse la strada, e Simona accompagna le pieghe con maestria, alleggerendomi non di poco la guida.
Verso metà del tragitto, i boschi iniziano a diradarsi, il verde diventa più chiaro e l’orizzonte si espande. In pochi chilometri gli alberi e i fiordi lasciano il posto alla Tundra e alle dolci colline ancora innevate. Il clima è splendido, e il vento leggero e piacevole fa da sfondo ad una sensazione di nulla, ma nulla pieno (frase ad hoc di mio suocero che ho riciclato…). E’ la linea di confine col Circolo Polare Artico.
Proseguiamo il viaggio sulla E6 verso Narvik, che troviamo un po’ vacua, così decidiamo di andare poco oltre e fermarci in un campeggio dove troviamo un bungalow. Qui decidiamo che a Capo Nord ci andremo eccome. Dormiamo discretamente.
31 Luglio: Narvik- Alta (513 Km)
Prima di iniziare il viaggio, facciamo un salto allo Zoo Polare. Dopo aver avvicinato le renne, la lince, il bue muschiato, rimaniamo affascinati dall’orso bruno, possente, bellissimo, anche se sembrava un po’ accaldato (c’erano 27 gradi).
Ripartiamo verso nord e non ci stanchiamo di ammirare la danza di linee e colori vividi fra acqua e terra. Senza difficoltà arriviamo ad Alta, una cittadina tranquilla e ben tenuta, dove troviamo un confortevolissimo albergo dal personale squisito. C’era anche a disposizione gratuitamente un internet point da dove abbiamo segnalato ad Anima Guzzista la nostra posizione: 240 km a Capo Nord.
1 Agosto: Alta – Nordkapp (240 Km)
Prima di metterci in viaggio visitiamo il museo antropologico di Alta. All’aperto, attraverso un sentiero pieno di vegetazione, vicino al fiordo, sono visibili le rocce dove, circa 6000 anni avanti Cristo, gli abitanti incidevano scene di vita quotidiana, caccia e pesca. Nell’edificio del museo erano esposti, invece, tanti reperti e varie ricostruzioni dai modelli di vita norvegesi, dalla costruzione di capanne primitive, agli strumenti di esplorazione, e all’armamento dell’esercito fino al secolo scorso. Molto suggestivo.
Risaliamo sul Guzzone e riprendiamo il viaggio. Dopo aver raggiunto il casello per accedere al tunnel che porta a Magerøya (dove stiamo per ipotecare casa e parenti), raggiungiamo Honningsvåg, un paese caratteristico, abitato per lo più da pescatori e poco altro. Pochissima gente in giro, mentre i gabbiani sono i protagonisti. Molliamo i pesanti bauli in albergo e risaliamo in moto. E qui il momento è catartico: se già il circolo polare artico era spettacolare tanto minimale, la strada di 30 Km che porta a Capo Nord si snoda lungo un paesaggio che sembra appartenere ad un pianeta di galassie sconosciute al genere umano, dove il verde chiaro, maculato dal color argento dei laghetti, veniva tagliato solo dal nastro grigio dell’asfalto, che si perdeva in un orizzonte in continua trasformazione. A parte la fase poco poetica del biglietto di accesso all’ultimo tratto (altro che ipoteca…), la magia si ripresenta quando parcheggiamo la moto e arriviamo a piedi fino al famoso globo di metallo, costellato di adesivi e testimonianze di persone che hanno seguito la stessa meta. Alcune di queste testimonianze sono davvero commoventi, accompagnate da dediche di amici a persone che non sono potute venire, o persone che non potranno mai, ma guardano dal cielo.
Siamo contenti di essere arrivati al …secondo punto più a nord d’Europa (il primo è poche centinaia di metri più a ovest, ma non è raggiungibile con mezzi di ogni sorta). Tuttavia il bello deve ancora arrivare, perché dopo le foto di rito sotto quella costruzione, volgiamo lo sguardo ancora verso nord, e veniamo rapiti dalla spietata e brutale immensità, dalla meravigliosa desolazione del Mare Artico. Rimaniamo per diversi quarti d’ora a contemplare in silenzio il dio blu.
2 Agosto: Honningsvåg- Inari (351 Km)
Riprendiamo il viaggio verso Karasjok e quindi verso la Finlandia. Superato il confine ci troviamo in Lapponia a percorrere una strada piena di lavori in corso. Abbiamo dovuto affrontare qualche tratto sterrato non divertendoci, visto che la Guzzi stracarica storce il naso. Per manifestare in segno di protesta, ha pensato bene di mandare al creatore il cavo del contagiri che, allo smontaggio, è sembrato malconcio già da tempo.
Ci fermiamo ad Inari, presso una sorta di Motel curioso: le stanze, quasi perennemente soleggiate, sono piuttosto calde. Per questo i clienti, quasi tutti finlandesi, tengono la porta aperta. L’aspetto generale era una specie di caserma, ma dal clima vacanziero….
Inari è una specie di non-luogo, dove non ci sono praticamente abitazioni, ma solo qualche supermercato, due o tre alberghi, e una strada che lo attraversa. E’ un posto di solo passaggio, che in fin dei conti ha il suo fascino.
Ceniamo a base di spezzatino di renna e birra nazionale Lapin Kulta. Ci accorgiamo subito che i prezzi sono molto più contenuti.
3 Agosto: Inari- Rovaniemi (327 Km)
Scendiamo sotto il circolo polare, facendo una breve sosta al villaggio di Santa Klaus. Speravo sinceramente di trovare qualcosa di più prettamente storico-antropologico-folkloristico… invece è un’americanata pazzesca, cioè un villaggio artificiale di legno costellato di immagini di Babbo Natale coi colori della Coca Cola. Va beh, rimane lo stesso un posto interessante.
Arriviamo a Rovaniemi, dove ceniamo nel ristorante dell’albergo, con un ottimo buffet. La città non è niente di particolare.
4 Agosto: Rovaniemi-Oulu (225 Km)
Ci svegliamo con la pioggia. Aspettiamo che migliori per compiere il breve tragitto fino a Oulu, patria dei gruppi preferiti da Simona: i Sentenced ed i Poisonblack (per la cronaca: non ne abbiamo trovato traccia, col disappunto di Simona…)
L’Hotel ci offre una stanza a prezzo mooooolto conveniente, anche perché è dotata di sauna! Al momento di sperimentare il congegno, consistente in un box di legno situato nel bagno e provvisto di contenitore per l’acqua e scaldatore elettrico dentro una scatola metallica piena di pietre, rimango timoroso di fronte all’eventualità di versare l’acqua sulle pietre stesse (e sulla resistenza che le scalda) e mandare in corto l’intero stabile, rimanendo entrambi folgorati, nudi biotti, dentro un box di legno. Decido di scaldare le pietre fino a farle diventare roventi e poi spegnere l’impianto per versarci l’acqua. Funziona: ci facciamo una sudata pazzesca e poi una bella doccia fredda. Vi assicuro, è un’autentica goduria.
Dopo la sauna facciamo un giro per la città che è davvero carina, a misura d’uomo. Ci fermiamo al Kauppatori, il mercato all’aperto, a bere una birra, e poi esploriamo il Kauppahalli, cioè il mercato coperto, dove assaggiamo degli ottimi bocconi di salmone impanati. Trovandosi a dover fare un po’ di economia, il nostro consiglio è proprio quello di cenare a base di questi assaggi del mercato coperto, gustosi, abbondanti ed economici (un po’ di braccino corto non fa mai male….)
All’ora di cena ci dirigiamo verso un ristorante turco. Il centro della città è davvero carino, ma è sconvolgente come già nel tardo pomeriggio si trovino per strada persone completamente ubriache di birra o acquavite. Fa davvero tristezza vedere questa gente che, forse depressa dai lunghi e rigidi inverni poveri di luce, si annulli completamente, come se volesse “affittare” dall’alcol una giornata di non-esistenza o, se vogliamo, di rateo suicidio.
Al ristorante, locale arredato con gusto e dal personale cordialmente professionale, mangiamo a testa un antipasto, un secondo abbondantissimo a base di kebab molto sofisticato, accompagnati da un buonissimo vino turco rosso. Il tutto a 60€. Poco, considerato lo stile del ristorante e le porzioni abbondanti.
5 Agosto: Oulu- Kuopio (289 Km)
La destinazione è Kuopio, la città delle fragole. Troviamo un albergo un po’ demodé ma piacevole sulla piazza del kauppatori. Posiamo le nostre zavorre nella stanza e usciamo nuovamente per fare una passeggiata fino al lago, trovando un porto di traghetti pieno di locali e chioschi. Allontanandoci dal porto, andiamo a mangiare nel più antico ristorante di kuopio, che ha aperto i battenti 70 anni fa. L’ambiente è davvero bello, di quel fuori moda piacevolmente nostalgico. Si respira l’aria di un locale storico. Il padrone è di una gentilezza e discrezione disarmante, e ci ha messi a nostro agio immediatamente. Il menu è tutto a base di Muikku (Coregone: pesce di lago), davvero squisito.
6 e 7 Agosto: Kuopio- Savonlinna (160 Km)
Lo spostamento è breve. Qui c’è il Festival dell’Opera, e troviamo alberghi al completo e persone incravattate. Riusciamo a trovare una stanza di confort nella media, ma il prezzo, proprio in occasione dell’evento, è assurdamente imposto a 150€! Un furto. Decidiamo comunque di rimanere due giorni.
Visitiamo la Castello medievale di Olavinlinna, ultimato nel 1472 dai finlandesi, ma nel posto sbagliato: il Lago Saimaa a quell’epoca, era in territorio russo, a 5 km dal confine. Per questo il castello è stato spesso causa di conflitti e rivendicazioni fra i due popoli confinanti. Questa fortezza, arricchita e rinforzata nei secoli, risulta la costruzione medievale meglio conservata dell’Europa del Nord.
La città è molto bella e rilassante. Girando per il Kauppatori, Simona si ferma ad una bancarella che vende camicie e bigiotteria Made in Nepal. Compra una camicia ricamata perché cede alle lusinghe del bellissimo mercante finlandese “molto uomo”. Io, stizzito, vado a comprare i francobolli in un bar e pareggio con la ragazza al bancone.
8 Agosto: Savonlinna- Helsinki (325 Km)
Diciamo “ciao ciao” ai 300 euro di conto dell’albergo e ripartiamo in direzione Helsinki.
Arrivati a destinazione e trovata una camera piuttosto confortevole, esploriamo la città, ma non da turisti. Forse per la stanchezza, o perché è la città stessa a suggerircelo, la giriamo in lungo ed in largo senza cercare musei né monumenti, ma ci limitiamo a svaccarci nel marco Esplanade in mezzo ai finlandesi, ciondoliamo per il kauppatori a mangiare squisitezze e diamo un’occhiata ai grandi magazzini Stockmann. Si dice che non c’è abitante di Helsinki che non abbia mai comprato qualcosa in questo mega store. Camminando sulla strada incrociamo un tizio in bicicletta vestito di nero, col cappellino nero e il viso familiare. Azz! Era il cantante dei Rasmus!
10 Agosto: Helsinki- Riga (323 Km)
Prendendo il Super Sea Cat da Helsinki a Tallinn, passiamo tangenti al centro di quest’ultima. Una fiaba. Torneremo a visitarla, promesso.
La strada per Riga è piuttosto accidentata. Gli ammortizzatori dell’SP, già di per loro scadenti, vanno subito in crisi e le nostre colonne vertebrali collassano. Entriamo in Riga che siamo a pezzi. Girando la città abbiamo percepito la sua bellezza. Ma è priva di segnalazioni adeguate ed il traffico è peggio rispetto a quello di Milano in corso Venezia alle 17.00. Bestemmiamo nel cercare l’albergo che avevamo prenotato da casa: è situato nel centro, in una zona più o meno pedonale (non era chiaro). Con la magnanimità di un vigile locale, passiamo per la via interdetta e troviamo finalmente l’hotel… CHIUSO!
Momento di panico. Cerchiamo di chiedere spiegazioni ma nessuno parla inglese. L’unico che sembra spiccicare qualche parola ha il cervello imbevuto d’alcol, ed è riuscito solo ad alzare i pollici in alto e a biascicare: “Italy?… Super!”
Infine qualcuno ci fa capire che il proprietario era semplicemente andato… a mangiare un boccone.
Dopo un’ora di attesa lo vediamo arrivare: un signore anzianotto, che parla un inglese improvvisato. Simpatico e gentile. Solo al ritorno avremmo scoperto che non ci aspettava perché la pensione non aveva ricevuto la nostra conferma della prenotazione.
Fantastica una sua espressione: lui ci spiega che le luci del corridoio si accendono premendo un interruttore situato all’inizio. Io gli chiedo come devo poi spegnerle. Lui riflette un po’, poi gli si illuminano gli occhi e aprendo le mani alzate al soffitto dice testualmente “Automatic… PIC!”. In quel momento capisco che l’onomatopeico “PIC” è più internazionale di qualsiasi parola nelle lingue diverse.
11 Agosto: Riga- Varsavia (663 Km)
La strada è qualcosa di paradossale. Maledico quegli ammortizzatori, che andando a pacco tiravano botte violente al telaio e alle nostre schiene. Già immaginavo di rimanere in panne per una foratura o, peggio, la rottura del cerchio posteriore. Ma la Guzzi resiste.
La Polonia ci trasmette una strana sensazione. Dal punto di vista paesaggistico è davvero piacevole. Ma la gente ha qualcosa di amaro nello sguardo, anche quando sorride. Le strade e le città sono un continuo cantiere. Forse, dopo anni di regime comunista, ora i polacchi si sentono come appena svegliati da un lungo letargo, e si sono accorti che il mondo è andato avanti. Questo è il motivo per cui, a nostro parere, i numerosi lavori in corso sulle strade, le città in ristrutturazione, gli sforzi per recuperare terreno, sono affrontati in maniera quasi caotica e affannosa. Evidentemente non hanno un solido background di piani regolatori e viabilità. Tuttavia è ammirevole la loro determinazione, e le persone che abbiamo incontrato sono di genuina curiosità e gentilezza. Tifiamo con tutto il cuore per la Polonia.
Arrivati a Varsavia, un po’ più ricca di segnali e nomi delle vie, troviamo a due isolati prima di raggiungere l’hotel, un semaforo rosso. Nell’attesa, accorrono quattro bambini a guardare la moto e cercare di capire da dove venissimo. Mentre tenevo d’occhio uno di loro che giocava con l’acceleratore, sento un improvviso aumento di peso verso destra. Mi volto e vedo uno di loro accovacciato sulla borse laterale. Infine il semaforo ha dato il verde, e loro sono scesi per farci proseguire. E’ nostro dispiacere non aver avuto il tempo di scattare una foto tutti insieme.
Ceniamo nel ristorante dell’albergo, dove gustiamo un ottimo gulasch a bagno di un sugo di carne e contenuto in una forma di pane che fungeva da zuppiera.
12 e 13 Agosto: Varsavia- Praga (615 Km)
Usciamo dalla Polonia soffrendo ancora per le strade disastrate. Passato il confine con la Repubblica Ceca, la musica cambia: riapro la manetta e faccio galoppare un po’ la Guzzi. Malgrado questo, ci sciroppiamo otto ore di viaggio.
Arrivati alle otto di sera sfiniti, facciamo gli ultimi 30 metri spingendo la moto a motore spento, visto che l’albergo si trova in una via del centro che, da dove veniamo, risulta contro mano.
Malgrado la stanchezza, veniamo colti dalla ricchezza di palazzi e monumenti splendidi. La mattina dopo, infatti, dedichiamo la giornata intera a visitare la città.
Non basterebbero mille pagine per descrivere le sensazioni che trasmette ogni singola prospettiva di Praga. Tuttavia, basti sapere che malgrado il carnaio di gente, le visite guidate e i locali pieni, la città riesce lo stesso ad avere la meglio,lasciandoci senza fiato, ed essere commovente da ovunque la si guardi.
La sera prima di ripartire troviamo un ristorante dall’ambiente molto piacevole, dove, dopo un ottimo gulasch, assaggiamo… (On. Fini tappati le orecchie o ti viene una crisi epilettica per lo scempio da noi commesso)… l’Assenzio!!
Questa terribile droga dall’effetto micidiale, che avrebbe dovuto portarci in una dimensione paradossale e ci avrebbe dovuto far compiere atti inconsulti, altro non è che un liquorino alle erbe, a base di assenzio appunto, piuttosto forte (70 gradi), dalle qualità digestive meravigliose. Nulla a che vedere quindi con la storica bevanda, effettivamente tossica e dannosa, che bevevano artisti maledetti, come Loutrec, Baudelaire, Verlaine, Van Gogh e Rimbaud. Sarebbe bello che anche in Italia questo liquore venisse ammesso nella legalità. Ma l’intelligenza nel mondo è distribuita a macchie.
14 Agosto: Il ritorno a Casa (790 Km)
Qui non c’è molto da raccontare, se non il fatto che, come siamo partiti con la pioggia, torniamo allo stesso modo. Soprattutto in Germania sembra di essere fra le spazzole di un autolavaggio, ed il clima è maledettamente freddo. Solo dopo il traforo le Alpi bloccano le nuvole, ed il cielo ci offre nuovamente il suo azzurro. Stringendo i denti, maciniamo i chilometri, chiedendo alla miracolosa SP un’ultima corsa a ritmo sostenuto e lei, per convincerci una volta per tutte che non le importa un fico secco della velocità, manda in congedo anche il cavo del tachimetro. Giri al minuto “0”, chilometri all’ora “0”. E così, ascoltando il suo rumore quasi esoterico, abbiamo la sensazione che ci avesse voluto dire: non importa a quanto, ma dove stai andando.
Considerazioni:
– Non esistono “zainetti”, ma solo persone poco coinvolte nel viaggio.
– La Moto Guzzi, continuo a ripetere, pesa 21 grammi in più rispetto alla somma delle sue parti.
– L’Italia si vanta della sua cultura e civiltà. Sotto certi aspetti, rispetto a molti paesi da noi snobbati, siamo nel Medioevo.
– La gente del nord è molto più calda e passionale di quanto si pensi.
– Viaggiando in un certo modo, si incontrano dei veri amici, anche se per pochi istanti.
Io, vi confesso, ricevuta la notizia dello “stop” al progetto VA10, mi si è aperta una ferita davvero dolorosa. Da allora mi sono chiesto spesso se il “padre” di questo motore ne sapesse il vero motivo, se potesse dirci a che punto fosse lo sviluppo, e cosa ci si potesse aspettare se fosse stato prodotto in serie e montato sulle Moto Guzzi del XXI secolo.
Flashback: 19/05/2004
Lavorando a Cernusco S/N (MI), vengo a sapere che nella stessa zona del paese ha sede la Mojoli Engineering. Così, timidamente e senza pretese, mando una e-mail all’indirizzo che ho trovato sul loro sito proponendo una breve intervista e fornendo i miei dati per contattarmi, dando per improbabile una risposta (dicasi: sindrome di Calimero).
Il giorno dopo ricevo una telefonata sul mio cellulare, non riconosco il numero sul display ma decido di rispondere.
R: Pronto?
DM: Sì, sono Danilo Mojoli (Oddio, lui in persona… mi si gela il sangue: e mo’ che gli dico?) ho ricevuto una vostra e-mail per un’intervista…
WG: Eh sì… sa, è per Anima Guzzista: ormai comprende una comunità piuttosto vasta di appassionati… (volevo andare avanti a spiegare l’argomento dell’intervista, ma lui mi interrompe educatamente e con voce più vivace)
DM: Sì sì, vado spesso in quel sito. Eh, io devo confessare, la mia origine non è Guzzista, prima ho lavorato per Gilera… però sono molto affezionato alla Moto Guzzi, e ho lavorato su molti progetti di motori e componenti… non so se ha visto su Internet i nostri lavori, fra cui, ad esempio, un motore bicilindrico a V raffreddato a liquido…
Inizia una piacevolissima chiacchierata per telefono, in cui già si giunge nel vivo dell’argomento “motori per Guzzi”, così, cercando di tamponare il magnifico entusiasmo di Danilo Mojoli, senza apparire brusco, propongo di proseguire a quattro occhi. Così ci diamo appuntamento per Martedì 25 maggio.
Il colloquio che segue non sarà accompagnato da fotografie o effetti speciali. Ma vi assicuro che sarà piuttosto improntato sulla tecnica: Danilo Mojoli ha voluto descrivere il comportamento, i numeri, i calcoli fatti sul motore che abbiamo sognato per qualche mese: il VA10.
Ma non tutti hanno sentito parlare di un motore che avrebbe potuto fare ancora meglio per la casa di Mandello. Leggete un po’…
25/05/2004
Raggiungo lo studio di Danilo Mojoli, che mi accoglie gentilmente. All’ingresso noto una bacheca di vetro contenente vari componenti e organi meccanici, fra cui una biella che sembrava di un camion. Ma non faccio in tempo a chiedere nulla, perché l’ing. Mojoli mi fa accomodare sulla poltrona di fronte alla sua scrivania. Probabilmente ha voglia di riprendere il discorso iniziato durante la prima telefonata, e infatti riattacca esattamente dove l’avevamo interrotto.
DM: …volevo farti vedere come avrebbe dovuto essere il VA10…
(da una cartella estrae un foglio con uno schizzo di un motore bicilindrico a V, dalle linee pulite e dalle dimensioni evidentemente compatte… )
DM: …questo sarebbe uno schizzo a mano, doveva essere un bicilindrico a V, ad acqua, ma anziché essere di 90 gradi come i motori tradizionali Guzzi, questo è un V a 75 gradi, con il blocco motore ruotato di 10 gradi in avanti, in modo da allontanare le teste dalle ginocchia.
WG: Certo…
DM: e poi la trasmissione finale è a catena perché per una moto sportiva pensavo di non usare il cardano….
WG: Come veniva girata la trasmissione da longitudinale a trasversale?
DM: con una coppia conica all’interno del motore.
WG: Guardando solo il primo disegno penso che questa (indicando lo schizzo) sarebbe dovuta essere la nuova filosofia Moto Guzzi, in linea con le concorrenti.
DM: Sì, doveva essere un po’ la novità, il rilancio perché… il discorso è stato che nel ’96 io sono entrato in Guzzi, in quell’epoca c’era il dottor Sacchi come Amministratore delegato, Ferrari all’ufficio tecnico; l’obbiettivo era quello di costruire una moto iper-sportiva per un uso “Sport Production”, poi stradale chiaramente, e un occhio alla SuperBike.
(Spalanco gli occhi. Mi rendo conto del potenziale economico e creativo ancora presenti in quegli anni, pur difficili)
DM: …ed è nato poi questo progetto…
(estrae un altro schizzo di una moto sportiva carenata, dalle linee piuttosto filanti ed aggressive, il monobraccio, e modeste aperture ai lati della carena che lasciano intravedere le teste del VA10…)
DM: …adesso questo era fatto a suo tempo in cui c’era il monobraccio, in realtà poi la moto doveva venire con il forcellone doppio, da questa parte c’era una capriata (a sinistra).
(altro schizzo riguardante il VA10 applicato sulle linee del telaio a lui dedicato, con relative proiezioni su avancorsa, escursione ruote e geometrie variabili)
DM: …questo è lo schizzo del motore… vedi, 10 gradi girato in avanti, in modo che le teste non possano interferire con le ginocchia, il cambio ad ingranaggi sovrapposti, in modo da ridurre la lunghezza del motore; si è cercato insomma di compattarlo il più possibile.
WG: da questo progetto cosa è stato realizzato infine? Fin dove si è arrivati?
DM: Il motore esiste come prototipo, funzionante naturalmente, è stato provato al banco. Il telaio invece non è stato realizzato perché lo stop è arrivato prima che riuscissimo fare la moto completa.
(Rimango composto, ma mi mordo la lingua dalla rabbia)
DM: Però il motore ha girato circa 70 ore al banco, per vedere diverse cose, come la curva di potenza, ed era partito bene, perché l’obbiettivo era di farne tre versioni: la SuperBike, la SP (Sport Production) e infine una versione più tranquilla, turistica. I tre step di potenza dovevano essere di 110 Cv per la versione più tranquilla, 130 per l’SP e poi l’obbiettivo era di 168 per la Super Bike. Con l’SP, al primo avviamento, siamo arrivati a 134 cavalli e mezzo.
WG: (Sento la mia lingua a brandelli) figuriamoci con un’adeguata messa a punto! (ora si soffre davvero).
DM: Eh, sì. Tant’è vero che la Weber Marelli, quando siamo arrivati a quella prestazione, ci ha comunicato che dovevamo cambiare gli iniettori perché quelli montati non erano più in grado di alimentare il motore per quelle potenze. Poi ci hanno fornito degli iniettori tipo quelli per le Ducati SuperBike per far andare avanti quello sviluppo, e invece ci hanno bloccato in quella fase. Non abbiamo neanche potuto provare quegli iniettori, che sicuramente sarebbero andati oltre.
(Segue un breve silenzio, per evitare che mi mettessi a piangere, rivolgo nuovamente lo sguardo sullo schizzo del VA10)
WG: …anche il percorso degli scarichi è diverso rispetto ai tradizionali Guzzi, è laterale.
DM: Sì, sono laterali, girati di 90 gradi, escono lateralmente. Comunque questi erano gli scarichi utilizzati per il banco, quindi non erano disegnati per stare in un telaio da moto. Questo motore era stato voluto appunto da Sacchi, l’Amministratore delegato, poi, via lui, arrivò Cecchinato, e anche lui spinse per fare questo motore, tant’è vero che l’abbiamo presentato poi… (riflette) nel giugno del novanta… novantanove. L’abbiamo presentato alla stampa a Mandello.
WG: Mi ricordo l’evento. Su Anima Guzzista ho visto le immagini e ho sentito la registrazione… (la sua espressione si fa perplessa: non dovevo forse parlare della registrazione del motore sul banco?)… eh, non mi ricordo in che occasione…
DM: (sorride) beh, in effetti, anch’io ogni tanto vado su Anima Guzzista, e mi ricordo che era uscita la registrazione di quel motore, ed era una delle registrazioni che avevamo fatto durante quella prova… non so da dove…
WG: (sorrido anch’io) dovevo tacere eh?
DM: No, anzi. Però c’ero rimasto, perché era una cosa che si era svolta tra noi quel giorno…
WG: forse l’entusiasmo era tanto anche tra i Guzzisti da volerlo sentire a tutti i costi.
DM: In effetti in Guzzi era molto sentito questo progetto, e c’era molta gente appassionata.
WG: Ma quindi cosa o chi ha decretato le stop al progetto? Motivi economici?
DM: No, beh, lo stop del VA10 è stato dato da Scandellari, nuovo Amministratore delegato, perché secondo lui quest’impostazione non era l’ideale per andare alle competizioni. Ora, siccome il marketing… siccome nel ’96 c’è stata una ricerca di mercato in 4 stati, ed era venuto fuori che la moto sportiva di Guzzi doveva avere quest’impostazione di due cilindri tipo tradizionale, insomma, allora abbiamo cercato di fare questo motore, restringendo la V a 75 gradi per ridurre gli ingombri laterali, raffreddato a liquido per la ricerca delle prestazioni… insomma, un motore moderno. Invece Scandellari riteneva che su una moto sportiva fosse da fare un motore con un’impostazione tipo Honda VTR o Ducati, così siamo passati a progettare il DM10…
(estrae uno schizzo a mano di un motore a V 90 gradi longitudinale, anche questo molto sobrio. Io non resisto alla tentazione e gli chiedo l’impossibile)
WG: C’è qualcosa tra questi schizzi che potrei eventualmente… fotografare?
DM: (in imbarazzo) eh, sarebbe roba riservata…
WG: Capisco, ci mancherebbe… (sigh). Solo un’altra cosa sul VA10: ho sentito molti appassionati sostenere che l’impostazione trasversale dei cilindri non è l’ideale per le competizioni non solo per un discorso di ingombri, ma anche per l’aspetto giroscopico che il volano comporta, non favorevole per leggi fisiche…
DM: (mi guarda con espressione tipo “cxxxo dici?”) Ora ti faccio risentire come girava questo motore… (dal PC apre l’mp3 con il suono del VA10 sul banco. Il motore tuona, aprendo una danza vertiginosa di giri al minuto).
WG: praticamente è come se non ci fosse un volano?
DM: …e calcola che questa era la versione SP, con il volano più pesante diciamo…
WG: non sento neanche un’esitazione…
DM: infatti, e pensa che non era neanche carburato. Erano i primi avviamenti.
WG: comunque ha girato in tutto 70 ore? E dopo?
DM: …e dopo sarebbe seguito il test di durata, di, diciamo, 250 o 300 ore, dove si fanno tutti i cicli per vedere se c’è qualche organo sottodimensionato… tieni presente che nelle 70 ore abbiamo distrutto tre volte l’albero del freno del banco! Il motore era talmente rapido a prendere i giri che l’inerzia del sistema del freno, siccome il banco era per 160 cavalli ed aveva una grossa inerzia, si era rotto tre volte. Quindi l’effetto giroscopico era davvero basso, perché il momento d’inerzia era davvero basso. Fra l’altro, per il fenomeno della coppia di rovesciamento, avevamo fatto un’altra cosa: l’ingranaggio che porta il moto alla distribuzione, aggiungendo massa, creava un effetto opposto per riequilibrare l’eventuale effetto giroscopico del motore.
WG: …una sorta di contralbero…
DM: esatto, anche se la massa non era pari, ma essendo contro-rotante, attenuava l’effetto giroscopico. Poi la frizione, che nei motori tradizionali svolge l’effetto “volano”, qui è laterale a dischi multipli, quindi non influisce sull’albero motore. Quindi su quel discorso lì son solo voci.
WG: Dunque, dopo 70 ore di lavoro com’erano le condizione del motore?
DM: I punti critici potevano essere l’albero motore perché aveva le manovelle disassate per equilibrare le forze di primo ordine. In effetti non si sono verificati problemi, malgrado il motore avesse rotto l’albero del banco e avesse quindi preso delle botte all’albero motore, perché nel momento che viene a mancare il freno del banco i giri del motore partivano alle stelle, quindi nel tempo di reazione per spegnere il banco si son sentiti dei bei fuorigiri. Ma non ha mai avuto problemi né di bielle né di altro. L’unico problema è stato per un errore nostro: un meccanico si era dimenticato di montare un sieger sullo spinotto del pistone, durante uno smontaggio di verifica, e non è successo niente di grave perché lo spinotto è venuto fuori lateralmente, il pistone aveva delle rondelle all’interno e una di queste rondelle si era staccata ed era andata in giro per il motore e si era infilata nella pompa di recupero dell’olio. Ce ne siamo accorti perché l’olio non ritornava più indietro nel serbatoio. Così abbiamo spento il motore e abbiamo controllato. Ma non ci sono stati danni nonostante il motore abbia girato con la biella che si era portata da una parte del pistone. Persino il tendicatena della distribuzione, che era un pezzo prototipale ricavato dal pieno, quindi di qualità abbastanza scarsa, non aveva dato il minimo problema. Insomma, era partito davvero col piede giusto.
WG: I cavalli erano arrivati a 134, 5. A quanti giri?
DM: Noi avevamo dei break-point di mappatura. Con quella configurazione il break-point era fissato a 9700 giri. I 134,5 cavalli erano a 9700 giri. Purtroppo però c’era il problema di portata degli iniettori, per cui il motore girava tranquillamente fino agli 11.000 giri, ma la potenza era limitata in quell’arco di giri. Invece aumentando la potenza… il problema era che non potevamo aumentarla noi perché eravamo già ad un tempo di iniezione piuttosto lungo, che sono 15 millisecondi. Era necessario quindi aumentare la portata degli iniettori e ridurre il tempo di iniezione: di solito si sta dagli 8 e gli 11 millisecondi. Alla fine non abbiamo avuto il tempo per provare i nuovi iniettori, se no eravamo oltre i 140 CV di potenza tranquillamente.
WG: Prima abbiamo accennato al…
DM: …al DM10, sì…
WG: Del DM10 se n’è parlato molto meno, è un motore ancora più misterioso…
DM: (sorride) …sì, era più misterioso perché il DM10 è questo… (mi propone uno schizzo del motore a disposizione longitudinale completato da un bellissimo telaio a tubi nella zona canotto e serbatoio, e a piastre in quella delle pedane, bello e originale )… questo doveva essere un motore a V longitudinale, un po’ del tipo “VTR”, con gli alberi sovrapposti così da compattare il più possibile le dimensioni, e qui la soluzione del telaio doveva essere un po’ questa, mista tubi in acciaio e piastre d’alluminio, infatti volevamo mantenere l’originalità della soluzione.
WG: anche se questa soluzione era destinata ad una moto carenata?
DM: Era prevista anche una versione naked… (mi mostra uno schizzo di una delle naked più belle che avessi mai visto. Non c’era Brutale né TNT che tenessero. Linee affilate e pulite, telaio in vista a tubi e un bellissimo bicilindrico V90 ad acqua; da ciascun cilindro usciva lateralmente un doppio condotto di scarico che si univa per poi proseguire pulito fino al silenziatore) così dava un senso di corposità, poi le pompe dell’olio esterne, il filtro dell’olio frontale, comodissimo da smontare, cioè con tutta la parte tecnologica in vista, con questi due scarichi che andavano in uno, poteva essere una cosa molto grintosa.
(segue qualche secondo di contemplazione…)
WG: Sono senza parole. Sarebbe stata una Guzzi modernissima, mantenendo però certi elementi suoi. Cosa dicevano le indagini di mercato?
DM: Nelle indagini di marketing sono state coinvolte Germania, Inghilterra, Francia e Italia. Due volevano la versione più sportiva, e altre due volevano una moto di questo livello, per questo è stata pensata anche la versione nuda che, per dire, alla Monster avrebbe fatto senz’altro una bella concorrenza.
(…)
WG: Stavamo dicendo che, dopo lo stop al VA10…
DM: Scandellari aveva voluto questo motore. Però la cosa poteva essere una buona idea, anche per una questione di costi: col DM10 poteva essere anche questa moto (altro schizzo con lo stesso motore ma girato trasversalmente). Utilizzando gli stessi contenuti, l’albero motore, le teste, le bielle, si poteva fare un bicilindrico trasversale a V di 90 gradi, con trasmissione a cardano, che concettualmente ricorda la Honda CX con la frizione anteriore, ma più moderna.
WG: Mettendo la frizione sulla parte anteriore si poteva guadagnare spazio per attaccare un forcellone in una posizione ottimale, e si poteva avere così un interasse accettabile.
DM: Sì, l’interasse infatti doveva essere…(ci pensa un attimo) 1409 millimetri, oltretutto con un bel forcellone lungo, in modo che si può creare una buona sospensione per rendere più confortevole il veicolo. Infatti qui il forcellone veniva tipo 600 mm di lunghezza, una cosa che Guzzi…
WG: …non conosce…
DM: (sorridiamo entrambi)… il motore veniva bello compatto, anche se l’ingombro delle teste laterali c’era, ma trattandosi di una moto turistica… che però (estrae un altro schizzo con lo studio dinamico della moto) poteva piegare fino a 45 gradi con le sospensioni schiacciate a 2/3, che non è male!
WG: Senza aver fatto prove sul banco, perché questo motore è rimasto solo in fase di progetto, a grandi linee come si sarebbe comportato?
DM: Come prestazioni? Non si sarebbe discostato di molto rispetto al VA10. L’unica differenza sostanziale poteva essere che sul DM10 si sarebbe usata una biella più corta, per ridurre gli ingombri. Sul VA10 si montava una biella da 130 mm, sul DM10 era mi pare 124. Una biella più corta aumentava leggermente le forze di secondo ordine, però su un V a 90 non erano poi così elevate. Comunque 124 mm non sono poi pochi: se andiamo a vedere nelle moto da cross giapponesi a 4 tempi, hanno dei rapporti corsa/biella che fanno spavento.
WG: Adesso, in effetti, vi siete concentrati sui motori da cross a 4 tempi…
(Si apre una parentesi sul mondo fuoristradistico, in cui io ho parlato delle mie effimere esperienze nei campetti di periferia con la Gilera NE250, il cui motore era stato progettato in Gilera nell’83 o ‘84, su cui aveva lavorato anche Danilo Mojoli. Era davvero piacevole aver rispolverato un periodo bellissimo, su una delle mie moto più amate, parlando con la persona che ha contribuito nella sua creazione. E lo stesso Danilo Mojoli sarebbe andato avanti a raccontare i suoi anni ’80 in moto, ma ho dovuto riportare il discorso sulle nostre amate Guzzi.)
DM: dicevamo, questo motore l’avevamo anche denominato V-front, perché era appunto disposto in posizione frontale, e come dicevo, tutta la parte ferrosa era la stessa del DM10, ma sostituendo solo le parti in alluminio si potevano ottenere due motori al prezzo di uno e un quarto.
Infatti questa proposta era nata perché Scandellari avrebbe voluto un motore sportivo e uno turistico, ma non c’erano abbastanza capitali da investire.
WG: Sembra incredibile che anche per queste soluzioni sia stato dato lo Stop.
DM: (sospira)… eh, poi è arrivata Aprilia, Scandellari è andato via, e anche questa attività si è fermata per un cambio di strategia.
WG: Oltre a questi progetti, la Mojoli Engineering ha contribuito per la Moto Guzzi anche nella realizzazione delle punterie idrauliche.
DM: Mah, lo studio delle punterie idrauliche era stato fatto da una società esterna, perché con l’avvento di Aprila, si era incominciato a lavorare parecchio con società esterne. Noi abbiamo in seguito lavorato in Guzzi per l’affinamento perché c’erano un po’ di problemini di realizzazione. Alla fine ne è uscito il miglior compromesso. C’è da dire che in fase prototipale i test non avevano più dato problemi. Però ho sentito in seguito che alcuni California avevano dato qualche noia…
WG: In effetti, non si sa se sia un problema di progettazione o di realizzazione, ma in alcuni esemplari rimane facilmente inciso o usurato prematuramente l’albero a camme…
DM: …pressione specifica troppo elevata… però i prototipi avevano superati i test di durata, che simulavano in pratica il ciclo vitale di un motore. Non saprei dare un motivo dei problemi registrati negli esemplari di serie, anche perché dopo il passaggio alla produzione non abbiamo più seguito questa attività.
WG: Se dovesse esserci una nuova apertura e nuove richieste da parte di Moto Guzzi, voi ci sareste?
DM: Volentieri! Se Guzzi decidesse di portare avanti nuove iniziative e rilanciare… noi non avremmo alcun problema insomma.
WG: Riprendereste eventualmente lo sviluppo dei motori che abbiamo visto oggi?
DM: Andrebbero aggiornati. Quando è nato il VA10 aveva un alesaggio e corsa che era un 100×63,6, che poi è stato utilizzato anche dalla Honda VTR, successivamente è arrivata anche Ducati col 100×63,5 e adesso sono arrivati al 104 di alesaggio, quindi sono andati più avanti. I parametri del VA10 erano molto avanti nel ’96, ma parlando del 2004, anzi del 2005, bisognerebbe ritoccare alcune cosettine. Speriamo che chi entrerà in Moto Guzzi rilanci un po’ quest’aspetto.
WG: A proposito, qual è il parere dell’Ing. Mojoli sul futuro prossimo della Moto Guzzi?
DM: Mah, nel ’96 era stato fatto questo ragionamento: la Moto Guzzi ha delle moto tipo California, stava per nascere la V11, ma mancava un veicolo trainante come immagine, mentre Ducati aveva il 916. Quindi il VA10 doveva essere un veicolo dalle alte prestazioni, un motore con tecnologia moderna, da mettere su una moto molto sportiva. Poi da questo veicolo si poteva fare una serie di veicoli più tranquilli, come una naked, e poi continuare con i vari California, che il classico motore Guzzi è un po’ l’ideale per quel genere di moto, magari rivisto in chiave un po’ più moderna, perché ormai sente gli anni del progetto.
WG: Li sente anche parlando del California?
DM: Secondo me sì. Comunque l’importante era realizzare del veicoli un po’ più sportivi e trainanti come immagine, ecco.
WG: La MGS è stato un tentativo.
DM: La MGS è stato un buon “esercizio”, però c’era il grosso limite del motore, che non consente uno “sportivo moderno”. E’ paragonabile ad uno sportivo BMW, ma non ai modelli sportivi che ci sono adesso in giro. Credo che sia necessario che esca un veicolo che faccia concorrenza alla Honda SP2, alla Ducati 999 e cose del genere, per rilanciare l’immagine di Guzzi, che viene ricordata anche nelle competizioni. Il motore tradizionale Guzzi ha dei grossi limiti strutturali, non si può pensare di aumentare più di tanto i giri con un “aste e bilanceri raffreddato ad aria”.
WG: Neanche con la soluzione a camme rialzato?
DM: Quello era il motore Daytona del dottor John, ma ora ci sono in gioco le emissioni inquinanti, i consumi… quel motore ha dei limiti. Pensando al “camme rialzato” anche noi avevamo fatto un studio…
(io spalanco gli occhi per dire “ma quanta roba avete fatto??”, Danilo Mojoli sorride e prende un ennesimo schizzo)
DM: Pensavamo ad un veicolo chiaramente non ad alte prestazioni… perché in quegli anni, nel ’96 o giù di lì, avevamo lavorato veramente tanto. Dopo il VA10, il DM10 e il V-front, avevamo ideato il V12 a due valvole, in cui avevamo pensato alla distribuzione non più a catena, ma ad ingranaggi, svincolando però il comando delle pompe con un’altra coppia di ingranaggi, insomma… Poi abbiamo fatto anche il 4 valvole su questa impostazione.
Avevamo lavorato davvero tanto. Fra le altre cose avevamo pensato anche ad uno studio per una coppa dell’olio con filtro esterno e per una disposizione migliore per l’alternatore.
WG: avevate pensato a qualcosa anche per la serie piccola?
DM: No, per la serie piccola non avevamo fatto niente, anche perché già per quella grossa c’era parecchia carne sul fuoco. Fra l’altro anche le piccole cilindrate avevano parecchi limiti.
WG: Ma se dovesse ideare qualche soluzione al fine di concorrere con classi del tipo Hornet o SV650, a cosa penserebbe?
DM: Eh, a questo punto bisognerebbe arrivare ad un motore raffreddato a liquido, cosa a cui stanno arrivando un po’ tutti, come BMW. Bisogna fare un motore nuovo dopo aver capito cosa il mercato vuole.
WG: Tornando alla serie grossa, la Grezzi & Brian ha sviluppato modelli molto validi come ciclistica e rapporto peso/potenza. Questo grazie all’essenzialità del telaio rispetto al motore, sfruttando quest’ultimo come elemento stressato…
DM: Mah, c’è da fare molta attenzione a fare cose del genere. Io sono sempre stato un po’ contrario a rendere il motore un elemento stressato, nel senso che se il motore nasce con una certa struttura e una certa rigidezza può diventare al massimo semi-portante, ma un motore normale, dove, tanto per fare un esempio, tra gli interassi degli alberi del cambio si dà una tolleranza di più o meno 3 centesimi, se lo facciamo diventare portante vuol dire che tutto il carico che vede la moto viene trasferito, passa attraverso il motore. Allora capisci che una fusione in cui tu imposti una tolleranza di 3 centesimi per avere il cambio che lavora perfettamente, vai a sollecitarla con dei carichi dell’ordine di 400 chili, quei 3 centesimi lì… rischiamo di far lavorare male gli organi meccanici del motore. Quando noi progettiamo gli ingranaggi, cerchiamo di fare tutti i calcoli possibili per avere il maggior scorrimento, per avere una pressione specifica per dente molto bassa e così via; montiamo il cambio calcolando una tolleranza fra gli interassi, se poi ci applichiamo un carico di centinaia di chili si va a vanificare tutti gli studi fatti in precedenza.
WG: Ia ringrazio davvero tanto per il tempo…
DM: No no, per me è stato un piacere fare questa chiacchierata perché abbiamo dato un po’ sfogo ad anni di lavoro intenso.
WG: Già, solo che non riesco a capire se ora sto meglio o peggio, visto tutto quello che potrebbe aver avuto di buono Moto Guzzi, ma ha “goffamente” evitato.
DM: …immagina le persone che ci hanno lavorato. Io ho una persona con cui sono molto legato in Guzzi, che è Panizzo dell’attrezzeria: lui è il capo dell’attrezzeria. Ed è una persona speciale, oltre a Bruno ed Umberto Scola, con cui abbiamo condiviso il progetto e il montaggio del motore, e l’attrezzeria cercava di allineare i vari pezzi, perché i componenti principali venivano realizzati da società esterne specializzate, ma altri accessori venivano realizzati in Guzzi. E dovevi vedere il sig. Panizzo e gli altri che ci mettevano l’anima a realizzare quel motore. C’era una partecipazione eccezionale. E al primo avviamento erano accorsi tutti ed era stata stappata una bottiglia insieme a tutti gli altri che lavoravano in Guzzi, perché da anni non si sentiva girare un motore nuovo.
Andiamo ancora un po’ avanti a parlare della “maledizione” che continua a colpire la nostra Amata. Ma ormai è quasi ora di cena, e ad un certo punto dobbiamo proprio finire la chiacchierata. Esco dal suo ufficio con molta soddisfazione, anche se, a causa della mia inesperienza in campo giornalistico, non sono riuscito a convincerlo a farsi derubare di qualche immagine interessante. Ma è giusto così, Danilo Mojoli ama le sue creature, e ne è giustamente geloso.
Ma al di là della soddisfazione per l’intervista, che ha sicuramente prodotto cose interessanti, mi rimane una strana sensazione di malinconia, sapendo di quante cose buone poteva godere il marchio dell’aquila, e per ragioni ridicole non ne ha avuto modo. Penso a come la gente potesse guardare la sportiva Guzzi con un motore bicilindrico ad acqua, aggressiva, accattivante… prendersi la rivincita su tutti questi anni di illusioni e delusioni. Sicuramente Danilo Mojoli e le persone che hanno lavorato con lui ci credevano veramente, e quei motori sembravano essere ideati davvero bene.
Nei giorni in cui ho travasato a computer questa intervista, la MGS-01 Corsa, nata dalla passione di Grezzi & Brian, allevata da altri personaggi storici del marchio, e voluta anche dalla enigmatica volontà di Ivano Beggio, ha tirato fuori gli artigli nella 12 ore di Albacete. E senza gli esuberanti 160 cavalli del VA10, ma spinta dal buon vecchio ma rivisto 8 valvole del dott. John.
Allora la questione si riapre: se non venisse a mancare la passione, se si attuasse un sano, schietto, lungimirante e neanche fantasmagorico piano di marketing (e devo dire che da De Tomaso in poi è successo di tutto per far affossare il marchio) sarebbe così impossibile vedere la Moto Guzzi tornare a combattere?
Sapete a cosa apparteneva quella biella nella bacheca dello studio di Danilo Mojoli? Era la biella del VA10. Bellissima, pulita, perfetta. Mi piange il cuore sapere che quella biella non sfiderà mai la tortura inflitta dalla manetta delle prossime Moto Guzzi.
Siamo negli anni intorno al 1830, l’Europa di allora vive fermenti delle nazioni che la compongono e le grandi monarchie fanno il bello e cattivo tempo sulle spalle della gente comune che deve mettere assieme il pranzo con la cena (come in tutti i tempi d’altronde, fin da Adamo ed Eva…).
Al di là dell’Oceano esiste un altra frontiera che promette ideali di successo e di benessere, un nuovo regno del Bengodi: i fratelli Arnoux decidono così di abbandonare il loro paesello natio a ridosso delle Alpi Francesi e di prendere il mare alla volta del Nuovo Mondo.
Il loro sogno li porterà in Messico dove inizierà per loro una nuova vita, ma mai avrebbero pensato, con la loro impresa, di cambiare il destino di altre migliaia di persone.
Difatti ritorneranno al paese d’origine fortemente arricchiti ed il loro percorso verrà imitato da altri abitanti della zona: una popolazione di 11.000 abitanti assisterà alla partenza di circa 5.000 di loro alla volta del Messico nell’ottica di dar vita laggiù a fiorenti industrie tessili portando il dinamismo e la tenacia tipica delle popolazioni alpine.
Questa in sintesi la storia di Barcellonnette, ridente cittadina a circa una cinquantina di chilometri dal più noto centro di Gap, nella zona bagnata dall’Ubaye, una quarantina di chilometri dopo il Colle della Larche (per i francofoni) o Colle della Maddalena per i piemontesi.
Geronimo racconta che vent’anni fa (la prima volta che si fermò con il suo V35 C) si respirava di primo acchito l’aria “mexicana” (ristoranti con menù a base di guacamole e fajitas, negozi con chincaglieria turchese ed abiti multicolore), mentre oggi di tutto ciò rimane ben poco, soffocato dalla “grande distribuzione” dei Carrefour e degli Ipermarchè.
Ebbene, come non portare un po’ di colore italico e di sano e robusto appetito motociclistico a questa località soggiornandovi dopo un itinerario di sogno fatto di curvoni veloci, pieghe e contropieghe di vario tipo e natura ??
Ed è così che gli “amichetti” di Aste & Bilancieri (una “brigata” di dodici persone tra maschietti e femminucce a bordo di otto rombanti Guzzi) sabato 12 giugno 2004, partono dalla periferia sud di Torino. Ci troviamo alla Loggia (già il nome:-)) … stranamente siamo in orario (beh… inizialmente… poi riusciamo a fare tardi con una colazione veloce all’autogrill). Al ritrovo le facce sono tutte sorridenti e desiderose di iniziare il viaggio… le moto scalpitano, questa cosa mi colpirà sempre: è l’entusiasmo del sapere che stai per vedere cose nuove e di farlo in compagnia di persone con cui stai bene e ti diverti. L’itinerario prevede km prima fino a Cuneo, abbandonando la troppo trafficata SS 20, per dedicarsi a più sane stradine alternative (non ce n’è uno di loro che rinuncerebbe ad una statale per un misero tratto di autostrada) e poi alla volta di Vinadio.
Qui ci fermiamo per il pranzo in una bellissima area attrezzata. Vinadio è conosciuta per le terme e per l’acqua minerale e le mura che la circondano sono stupende…
L’ing. stranamente non ha i panini con sè questa volta 🙂 in compenso c’è da stupirsi dell’organizzazione di questa che, a vedersi, sembrerebbe una banda di sciammannati all’avventura… LuPirata ha un kit da “rancho” a cui mancano probabilmente solo le bacchette cinesi e da buon amante di cibo e vino prepara manicheratti pronti a condividere con tutti… Ube e Frida hanno addirittura fette di pane differenziate “lui e lei”… Luca e Simona hanno addirittura la borraccia!!
Diventa molto difficile condensare in poche righe l’atmosfera goliardica che ormai è nata e cresciuta tra di noi: via via che i chilometri percorsi dalle nostre amate moto aumentano, emergono sempre di più i nostri caratteri, ci si intende al volo da uno sguardo degli occhi o da una battuta, segno che la moto è molto di più di un semplice mezzo di locomozione, è un “transfert” di emozioni e sensazioni.
Se andare ad un “raduno” significa semplicemente cercare altri “malati” come noi e “stazionare” in una località per un certo numero di ore, un week-end come questo è molto di più: il percorso è stato concepito per “gratificare” il mototurista godendo di curve e panorami magnifici (il lago di Serre Poncon con le sue “madamoiselle” di pietra sono ASSOLUTAMENTE da vedere, così come il Parco Naturale del Queyras), ma sono le varie tappe, le varie esigenze di ciascuno di noi lungo il viaggio che ci fanno CONOSCERE veramente.
Un tempo estivo bello caldo con un cielo azzurro da favola ci accompagnerà all’andata e ci dovrà (ahimè) scaldare per ambedue i giorni visto le temperature “polari” che dovremo subire il giorno successivo.
Dopo un sabato sera passato a gustare le “delizie” francesi e messicane in un ristorante sulla piazzetta di Barcellonnette, con la compagnia del cuoco (naturalmente l’immancabile napoletano emigrato), la stanchezza si fa sentire e si cerca il meritato riposo, chi in tenda e chi in un bed & breakfast fuori dal centro. Che non si sia proprio in pianura lo si capirà di notte… le nostre tende e sacchi a pelo pur confortevoli nulla possono contro il freddo polare e l’umidità del vicino fiume: mi sono messo addosso tutto il “mettibile”, ma il freddo non passava… al mattino sembravo uno dei “poverelli” di “Miracolo a Milano” che si riscalda cercando il “raggio di sole” tra i pini…
Ma è solo l’inizio: il cielo si rannuvola, il vento ci fa presagire che sarà un ritorno sofferto anche se le nostre moto saranno più veloci e si lasceranno il brutto tempo a Barcellonnette per godere del percorso che circumnaviga il bacino artificiale di Serre-Poncon dove il polso destro, inevitabilmente, si lascia andare… (bella sparata dove i bicilindrici danno il meglio di se’…
Ripartiamo con meta Briancon, ma durante il tragitto la “sfortuna Guzzi” colpisce come sempre (eheheh, verrò punita per questa battuta, ma è pur sempre una piccola rivincita per il mio povero TU)…
La “vittima” questa volta è Christian, con la sua Guzzi supermodificata che perde il bulloncino del rinvio del cambio (personalmente ora so che esiste!) e rimane bloccata sui tornanti in terza…
Mentre lo stesso Christian inizia un tentativo di riparazione sotto l’attenta consulenza di MotoUbe, arriva il “mitico” Davide detto ormai “lingeniere” (sì, scritto così… per celia…) che, visto il danno, afferma: “…e che problema c’è, basta cambiare il bulloncino !” – “sì, bisognerebbe averlo” dice Geronimo… “appunto”… e “lingeniere” materializza dalla tasca di Eta Beta del suo Nevada 350 il bulloncino apposito, un rinvio del cambio, apposita chiave a tubo, etc… etc… insomma un’officina ambulante perfettamente attrezzata…
Ecco, Aste & Bilancieri vuol dire anche questo… la serena flemma di Davide, la capacità di tour leader di Luca, la voglia di fare chilometri di Christian ed Ermanno, la sana goliarda e generosità di Lupirata, la simpatia e l’affidabilità di Superbiondina, il savoir faire del mitico Geronimo… e tutte quelle caratteristiche personali di tutti che si “impastano” in quello che è l’obiettivo comune: la voglia di divertirsi andando in moto…
Dopo Briancon e le meritate crepes ben innaffiate di sidro (sia brut con la crepe saleè, vuoi doux con la crepe sucreè… come vuole l’etichetta) ci attende il ritorno in Italia e quindi… la pioggia, il freddo, insomma un ritorno all’autunno… quasi a voler mettere il suggello umido a questo week-end che ha visto di tutto e di più… ci lasceremo a Susa, ognuno per fare ritorno alle proprie casette… ciao amichetti…
E le uova sode cosa c’entrano ?? C’entrano, c’entrano… ma questa è un’altra storia e ve la racconteremo SOLO se uscirete con gli “amichetti di Aste & Bilancieri”…
“Grazie ancora a Geronimo per la disponibilità e per il suo splendido modo di raccontarci…”
La tentazione era troppo forte. “Fange, che dici se, gia’ che siamo li’, ci facciamo due giri in pista?”
“Ma c’e’ posto? Ma quanto costa? Ma non so se ho le gomme adatte… ho il gomito che mi fa contatto col ginocchio… OK, d’accordo, ci sta pure il Tatuato”.
Prenotare dei giri in pista, soprattutto su una pista ‘adulta’ come il Mugello da’ una strana sensazione. Man mano che si avvicina il giorno fatidico si passa in tre nanosecondi dall’euforia alla strizza, dal sogno di vedere per primo la bandiera a scacchi (anche se non e’ una gara) al pensiero che forse la passione per le farfalle turkmene sarebbe piu’ salutare alla nostra eta’ (intendiamoci: siamo categoricamente giovanissimi: e’ l’anagrafe che ci rema contro), e cosi’ via. D’altra parte, avendo programmato il nostro meeting dello staff al mitico Villino la Quiete (sede del nostro grande incontro di primavera) gia’ avevamo ‘allargato’ a qualche eccezionale ospite, per cui tant’e’, facciamoci del male e andiamo pure a farci umiliare dai missili terra-aria giapponesi. Ci avrebbero nel caso sorretto moralmente Claudio e Peppe di CPRacing, presenti casualmente pure loro con i loro 1100 Sport coi famigerati telai accorciati.
La mattina del fattaccio ci presentiamo clamorosamente in ritardo al primo turno, quello delle 9,20, cosi’, con la trachea ustionata dal cappuccino ingoiato a razzo e con le bricioline di brioche sui baffi eccoci al cancello di partenza, dove abbiamo pure la faccia tosta di appiccicarci l’adesivo numerato per essere immortalati dal fotografo del circuito. Siamo giunti talmente di fretta che la gente non ha fatto in tempo a sbigottirsi della pattuglia Guzzi (Fange/Le Mans, Alberto/Centauro, Andrea Tatuato/SP2 abilmente cammuffato e Mauro Iosca/V11 Sport) che gia’ entravamo in bagarre. Le condizioni meteo e la pista erano splendide, ma dopo poco due missili si cocciano alla Materassi lasciando una simpatica strisciata d’olio, per cui bandiera rossa. Attendiamo di nuovo il via, e mi sorprendo molto tranquillo. E’ proprio vero che la tensione pre-turno e’ spesso esagerata, perche’ di fatto girare in pista e’ molto meno pericoloso che su strada. Vedo pero’ Mauro stranito: “non mi trovo, mi mancano punti di riferimento”. “Ma ci sono i cartelli prima di ogni curva” gli replico. “Si, ma mi mancano le case, il guard-rail, o che so, le auto, eppoi perche’ si procede a senso unico?” Sono costernato. Realisticamente pensavo di fare il turno dietro Mauro Iosca ‘copiandolo’, vista la sua determinazione su strada… Bandiera verde: si riparte! Mi accorgo che il turno e’ tranquillo: non solo sono pochissimi quelli che ci doppiano, ma perdippiu’ io e Fange ci ritroviamo tra il cardano alcuni piu’ chiodi di noi. Mauro lo raggiungo tra la prima e la seconda Arrabbiata dove lo supero agevolmente, non per merito mio ma perche’ sbaglia clamorosamente traiettoria. Andrea poi e’ uno sciagurato: nonostante gli avessi spiegato insistentemente che non deve mai guardare gli specchietti ma deve preoccuparsi solo di fare le sue traiettorie, che sara’ cura di chi sopraggiunge a pensare a come superarlo, lo peschiamo intento a lasciarci passare rallentando vistosamente e allargando. Manca solo che ci stenda il tappeto rosso. Sara’ cazziato pure dal visagista che manco correva, essendo appiedato.
Insomma: restiamo io e Fange.
Il quale, alla facciazza dei dubbi sulle gomme sta molando come un fabbro, seminando frattaglie di pedane e cavalletti. Quel bastardo se ne fotte (giustamente, mica come me) che e’ il primo turno, quello per prendere le misure della pista e ‘scaldarsi’: mi infila impietosamente in staccata, e se non fosse per i miei scalpitanti equini (una doverosa parentesi: a meta’ rettilineo d’arrivo il contagiri mi sorprende con 9500 giri e un clamoroso fondoscala al tachimetro, stando a trequarti di gas!) e per quelle rarissime curve dove sono piu’ rapido (Arrabbiata 2) lo vedrei col binocolo.
All’ultimo giro l’epilogo: mi ritrovo avanti a meta’ giro, sempre alle prese con un hondato 600 lento come la mia nonna in curva ma ovviamente razzo in rettilineo, cosi’ mi rallenta di continuo, e in piu’ all’ultima curva trovo pure un ducatozzo spaventosamente potente e alleggerito ma condotto da un vero chiodo. Io, manco fossimo su strada, rispetto il divieto di sorpasso in curva (temo sempre che il chiodo, vedendosi sorpassare all’esterno dia brutalmente gas a meta’ curva finendo a farfallle col sottoscritto), mentre Fange se ne fotte, e si esibisce in uno spettacolare sorpasso esterno al sottoscritto, alla Honda 600 e al 998, e sia pure per un pelo di martora giunge primo sotto la bandiera a scacchi. Beh, che dire? Lottare contro un Mistero Gaudioso non e’ mica facile, eppoi mi restava il turno del pomeriggio per attuare la mia vendetta.
Ma ecco che la sfiga ricorda a tutti che ci vede da Dio, e esattamente alle 17,34:17 (sei minuti prima del nostro turno) comincia a piovere. Entriamo in pista con la speranza che smetta, e in effetti succede: per la precisione tre minuti dopo il nostro turno. Io e Fange incazzati come sei bisce eravamo gia’ fuori da meta’ turno. Andrea invece tiene duro (d’altra parte non e’ che la sua condotta sia molto rischiosa) e si fa tutto il turno. Il suo commento finale: “avevo pagato tutto il turno, ecchecazzo”. “Joey” Iosca, mutilato al primo turno alla freccia anteriore sinistra per via di un’escursione nella sabbia (“non c’era la riga di mezzeria”) sentenziava che si trova molto meglio su strada. Un’altro Dunlop.
Malefica pioggia. Fange potra’ vantarsi di avermi battuto in pista, Andrea mi sfotte per essermi ritirato a meta’ del secondo turno, “Joey” Iosca non pervenuto, e in piu’ Goffredo e la fotografia dimostrano di essere fratelli di sangue come La Russa e Yossour’n’Dour (cosi’ le uniche foto ‘dinamiche’ sono quelle a Claudio e Peppe :-(( ). Pazienza, in fondo ci siamo divertiti come bambini (che peraltro siamo, si fotta l’anagrafe) sia in pista che al paddock con la presenza di Claudio e dei suoi amici, che oltre alle smodate chiacchiere ci hanno offerto la provvidenziale ombra del loro tendone, per non dire poi del resto della compagnia sopraggiunto al pomeriggio (Stefano Indaco con due graziose fanciulle, Sandra e Federica, ognuna con la sua moto. Eppoi abbiamo aggiunto un po’ di ‘colore’ al solito paddock fatto sempre da erreuni, cibierre, prefissi telefonici bolognesi e erreessevi. Oddio, a dire la verita’ c’erano anche due bavaresi kittate, con borse e baul… ok, scherzavo :-p
E’ bella la pista. Chissa’ che questa esperienza non possa avere un seguito, magari con tutti gli amici di Anima Guzzista…
POST SCRIPTUM
Innanzitutto grazie alla splendida compagnia, con menzione speciale per le simpatiche Sandra e Federica, che si sono adattate alla sporco gruppo guzzista magnificamente. Due sante.
Poi e’ da ricordare la strada tra Sasso Marconi e Pianoro, fatta di strane curve a raggio variabile e in piu’ in saliscendi, che mi sono gustato particolarmente al ritorno (eeh si, quanto conta l’allenamento), oltre alla Raticosa e Futa fatte da Bologna (nell’altro senso l’asfalto e’ terribile).
Ma non solo: qualsiasi strada sull’appennino tra Emilia e Toscana sembra il paradiso. Ce ne sono da perdersi. Lo dico col rimpianto di un lombardo costretto a vivere nella regione piu’ intasata e sciagurata. Vale la pena spararsi anche sessanta km di autostrada pur di raggiungere un po’ di pace sull’appennino.
Da ricordare pure la casuale scoperta di un ristorante che, come dicono gli inglesi, ‘fa esattamente al caso nostro’. Non so se rende l’idea la foto della fiorentina di brontosauro. Un ristorante di classe ma non classista: ci hanno servito e riverito anche se al passaggio lasciavamo la consueta scia di olio. Approposito (un minuto di silenzio, per favore):
non ci crederete, ma il Centauro di Indaco ne ha combinata un’altra. Meno male che e’ stata risolta abilmente. Io ci scriverei un libro. Da urlo invece l’accrocchio di Fange al suo Le Mans per risolvere la totale perdita del lubrificante dal circuito di sfiato: un bel tubo d’irrigazione verde che sfogava in una bottiglietta in prezioso PET del the’ con tappo arancione, piazzata a lato del semimanubrio destro. Hanno riso anche in Afghanistan alla domanda dell’esperto motociclista sul Giogo alla vista dell’accrocchio: “E’ il raffreddamento a liquido, vero?”
C'è un minchia che sta dalla parte sbagliata con la macchina fotografica.
6° TROFEO DECCLA CARTAGENA, gennaio 2004
Testo di Goffredo. Foto di Luca Innocenti e Maurizio Pesenti. Filmati: Luca Innocenti
Bar Ristorante del Circuito di Cartagena, Venerdì 23 gennaio 2004.
Mauro è appena sceso dal suo turno di prove libere del pomeriggio, finalmente la forcella va bene ma non c’è tempo per gioire che la causa del ‘rumorino che non mi piace’ lamentato da Mauro, è presto scoperta: collettore di scarico destro crepato.
Mauro “Abba” è rassicurante: “tranquilli, appena si fredda la saldiamo”. Approfitto del momento di pausa per prendere il laptop di Alberto ed eccomi seduto al bar del circuito (sì, ovvio, all’aperto: ci saranno 25 gradi oggi…) a scrivere queste note.
Possibile che ieri pomeriggio in quel di Malpensa fossimo a –2? Mah! Come diceva Hemingway “Non sono nato in Spagna ma non è stata colpa mia…” Guardando il cielo azzurro, cercando di non far sbriciolare il bocadillo quèso y hamòn sulla tastiera, mi trovo molto ma molto d’accordo col grande Ernest…
Ma procediamo con ordine, per quanto possibile. La cronaca dettagliata del viaggio di avvicinamento del Minchion Team a Cartagena ve la risparmio, uniche note degne di menzione il “uh, Madonnina Santa dell’Addolorata”, uscito con un filo di voce dalle labbra di Tiziano, più a suo agio su un Daytona che impenna piuttosto che su un Airbus al decollo ed un paio di espressioni in caratese-apriliese inintellegibili all’orecchio umano (qualcosa tipo: anved-ustialavà-chezinn-chelà) risultato dei commenti incrociati di vari brianzoli e del Tatuato sulle modelle delle pagine della rivista Moto Extreme…
Va invece segnalata la velocità di crociera, stimata intorno ai mach3, dei due poderosi vans (dire furgoni non fa fico…) affittati a Valencia dal Minchion Team. Sì, ben due vans e non una semplice macchina a nolo, visto che a forza di “quasi quasi vado anch’io a fare il tifo per quei minchioni” ci si ritrova in 14 a Malpensa!
Saltiamo tutto questo, l’arrivo in notturna al Manolo Hotel, i nuovi record di russata stabiliti, le docce del mattino che durano 5 giorni o 5 minuti a seconda del lato della porta in cui ci si trova ed andiamo senza indugi a bordo pista.
Sono in questo preciso istante le 17,46 e tiriamo i primi positivissimi bilanci:
la moto va molto bene e le varie sessioni nelle quali si sono succeduti Roberto, Mauro ed Alberto sono state messe a frutto in maniera impeccabile: ad ogni turno, Tiziano e Bruno ascoltavano i vari commenti ed intervenivano apportando le dovute correzioni. Non succede nulla di trascendentale se non un problema di assetto dovuto alla forcella che non ne voleva sapere di fare il proprio dovere. Alla fine, una volta smontata, ecco che viene individuata la responsabile: una ranella di diametro insufficiente che, anziché tenere a bada la molla al suo posto dentro lo stelo si divertiva a tuffarcisi dentro. Sono cose che le ranelle a posto non fanno. Una veloce visita al box a fianco e la ranella del diametro giusto è recuperata. Aggiungiamoci anche un rabbocco miscropico con un olio leggermente più denso (classico caso di effetto-placebo in pista) ed ecco che la riparazione è fatta: i tempi spuntati dal nostro trio nei turni successivi dimostreranno la bontà dell’intervento: dal 2,08 spuntato da Roberto al mattino si passa all’ottimo 2,04 inanellato da Alberto nel pomeriggio. Ma ecco che ripiombiamo in medias res con Alberto che non solo mi porge una bibita (grazie) ma mi confida scuotendo la testa che non c’è solo uno scarico da saldare ma anche un alternatore da recuperare visto che quello della moto è in briciole.
Può il vostro cronista continuare impassibile di fronte ad una così ferale notizia? Riusciranno i nostri prodi a sistemare la moto per domani?
Staremo a vedere. Per adesso, godetevi la prima carrellata di immagini mentre io torno al box per saperne di più.
Alberto in prova, inseguito dalle splendide e velocissime Guzzi del Team Segarra.
Ci si scambiano le prime impressioni.
Lo scaldasella ufficiale del team, venuto apposta da Parigi, testa la moto…
Bruno Scola impone le mani…
Alberto vive col suo tempo, la performance e rientra ai Box.
…stanco ma felice. E siamo solo a venerdì…
Aeroporto di Valencia, Domenica 25 gennaio, ore 23,25.
Mmm… Vediamo… E adesso da dove proseguo? Sono qui mezzo stravolto che attendo l’aereo e so – uh se lo so – che il Minchion Team ha vinto, ma che cronista sarei a cominciare dalla fine? Fortunatamente non sono un giornalista, quindi proseguiamo come ci pare. La marmitta viene riparata nella notte, l’alternatore viene sostituito e sabato mattina il Minchion Team si trova una moto perfetta per le prove e le qualificazioni. La sessione è bella pimpante e il Minchion Team spunta un buon tempo che gli vale il 13° posto in griglia su 45 partenti. L’onore della partenza, in puro stile Le Mans, col pilota che deve fare una corsa verso la moto sapientemente tenuta accesa dal meccanico tocca a Mauro. Il Dottor Iosc parte benissimo passando almeno tre partenti di slancio. Il rombo di quaranta moto diventa musica, sigla, sipario: si comincia!
-Come? Chiamano già il nostro volo? Ah, va bene, allora il report lo continuerò da casa. Eccovi intanto le foto della partenza e dei primi giri.
Ci siamo. Tiziano ultima la messa a punto prima delle qualificazioni di sabato.
Partenza (Dio non farmi inciampare, ti prego…)
VIAAA!
LARGGOOOO!!!
Però!
Comincia il torcicollo al muretto
Il primo cambio del Minchion Team!
Alberto già che c’è tosa i cespugli a bordo pista
Abbia pazienza, ma d’altronde noi valiamo…!
Sembra un’immagine d’altri tempi. Invece è tutto vero!
Tocca a Robi darci dentro…
…eccome se ci dà dentro…
E’ permesso?
Bella eh? Però è cotta!
Parigi, Martedì 27 Gennaio
Mi sforzo di non pensare alla neve che ho trovato a Milano e a Parigi e ritorniamo al sole di Cartagena.
La gara è iniziata ed il Minchion Team veleggia tranquillo tra il 16 ed il 14 posto.
Su tempi inferiori anche di 10 secondi a giro (!!) i piloti dei Team GuzziMoto Box e Classic Co portano avanti la loro battaglia personale per la vittoria: vederli sfrecciare in sella a potentissime e bellissime Guzzi è una grande emozione.
I piloti si alternano alla guida secondo i ritmi suggeriti da Tiziano. Visto che siamo qui per divertirci, più o meno questo era lo spirito iniziale, facciamo tanti cambi così vi divertite senza stressarvi e in più teniamo in carica la batteria. Che spettacolo vedere Stefano e Sergio procedere al rifornimento mentre Tiziano con dei cavetti metteva in carica la batteria. Il tutto ovviamente mentre un pilota scendeva ed uno saliva! Ma in una gara di Endurance tutto può succedere, anche che la dea bendata decida di prendersi cura di un Team in maniera speciale. Che Omobono stesse intercedendo per noi, iniziamo a pensarlo al sessantesimo giro quando Roberto, trovatosi in staccata impegnato in un sorpasso molto ostico nei confronti di un avversario che a chiudere il gas non ci ha pensato proprio, si è trovato costretto a pinzare troppo tardi e completamente fuori traiettoria. Il più classico dei classici dritti a fondo rettilineo risultava inevitabile. Ma tranquilli, non solo Roberto non cade ma riesce anche a non far spegnere la moto e terminate le sue sabbiature rientra in corsa.
Ma che dico rientra? Risfonda! Ignora il cartello BOX e in tre giri infila una progressione della quale noi parleremo un giorno ai nostri nipotini: 2:04; 2:02; 2:00!!! Il giro in due minuti netti gli varrà il titolo di Fastest Minchion on Earth per questa edizione. Sull’onda dell’entusiasmo gli altri due Minchion Riders spingono come forsennati. I tempi dello scorso settembre sono un pallido ricordo ma persino i tempi dell’ultima sessione di prove libere ormai vengono stracciati sistematicamente.
Quando ogni tanto ci scappa un 2:05 per il quale ieri sarebbe partita la ola, adesso a bordo pista si commenta: “mah, avrà trovato dei doppiati…”
Omobono, non pago di autare il Minchion Team, ci mette del suo nel visitare gli altri box… Una dopo l’altra le due moto del Classic Co si ritirano, fermate da problemi meccanici. Altre scuderie non si ritirano ma sono costrette a lunghe soste ai box per ovviare ai problemi più diversi: c’è chi è caduto e non può ripartire perché la moto va ma mancano le pedane (!) c’è chi ha qualcosa che non va nel cambio e sarebbe pure una cavolata ripararlo ma bisogna aspettare che si freddi e così via. Stremata da cadute e sbuffi d’olio si arrende anche la velocissima Guzzi del Team Valentini di Roma.
In questo scenario, le operazioni al Box del Minchion Team appaiono perfette e sincronizzate come un’orologio svizzero oliato al Motul.
Intanto il cronomentro ci conferma che le terribili Ducati NCR e Honda Bol d’Or, rivali dirette di categoria Open continuano a rimanere inesorabilmente dietro…
Porque nosotros valemos!
Dalla Torre dei Box si domina quasi tutto il circuito.
Va bene così, Maurizio?
Sfiga cosmica: la splendida Guzzi di Mauro “Abba” costretta al ritiro quando era in corsa per la vittoria!
Vabbeh, la prossima volta guardo l’obiettivo!
Però, i Minchions sono proprio minchia!
AHO’! T’ho detto per di qua!!
Neppure l’alternatore regge al nostro ritmo.
(Toh, mi serviva giusto un faro…)
Tra pilota e moto davanti e quelli dietro la differenza in peso è di 341 chili.
Slalom gigante.
Impeccabile.
Ad un certo punto si ritirano anche le pompatissime Guzzi del Team Segarra!!! O cacchio ma allora…
Ci casca l’occhio sul monitor: primi di categoria e terzi assoluti. In un momento di lucido realismo chiamo Andrea per fargli filmare il monitor: “hai visto mai, dovesse andar male, potremmo sempre dire che, per un attimo siamo stati primi…”
Ma non servirà il filmato… la moto continua a viaggiare che è una bellezza. Bruno l’ascolta passare e commenta: “canta ancora bene”. Tiziano impone una nuova strategia con cambi meno frequenti. Alberto e Roberto tentano di opporsi alla foga del Team RD (non mi ricordo il numero) bloccato per molti minuti ai box e che ora corre verso il podio con due moto indiavolate da 1:55 a giro: è una lotta impari ma che contribuisce a mantenere dei ritmi serrati. Alberto vola tranquillissimo su medie impensabili solo ieri e Roberto si giustifica di un 2:03: “scusate se ho rallentato ma avevo perso una lente!!!”.
A Mauro invece tocca l’ultimo turno. Non riusciamo ad approfittare del cambio ai box in contempranea con la RD che occupa la quarta posizione per passarle davanti, quindi per Mauro adesso si tratta “solamente” di mantenere la posizione, non farsi passare e soprattutto portare la moto oltre la bandiera a scacchi. Ai box siamo ormai dei camaleonti con un occhio alla pista ed uno al monitor. Siamo sempre primi di categoria, quinti assoluti; attaccare la Yamaha per il quarto posto assoluto è follia, difendere il primo posto di categoria un’ordine! Mancano tre minuti, due, uno, ci siamo, Mauro è sempre lì, eccolo eccolo!!!
VICTORIA!!
E adesso, che cominci la fiesta, la premiazione, i balli e poi i saluti e l’arrivederci a settembre sotto il segno del bellissimo motto del Classic Co:
In velocitate gaudium!
Vittoria!!
Perché loro valgono…
Ma anche loro valgono…
Ma un po’ tutti valiamo, dai…
C’è un minchia che sta dalla parte sbagliata con la macchina fotografica.
Un giornalista tedesco ci scambia per piloti veri e ci intervista.
Mavà, Bruno, è stata una passeggiata!
Scusate, rifiamo che mancava Tiziano
Gasaminchios.
E poi tutti a cena! E arrivederci a settembre!
Ringraziamenti vari:
ho vissuto una splendida esperienza ad un prezzo inferiore di una vacanza tutto compreso a Cesenatico. Ma non sarebbe certo andata così senza:
Mauro Abbadini.
Un mito. Chi ha provato ad organizzare eventi sa quanto sia difficile essere sempre disponibili ed attenti alle esigenze di tutti. Sono orgoglioso, e so di scriverlo a nome di tutti, di vedere il nome Anima Guzzista su una sua moto.
A lui, a Miguel Angel, ad Alberto ‘Teto’ ed a tutto lo staff Deccla di nuovo mille grazie e complimenti.
Bruno Scola e Tiziano Di Castri.
Senza farla troppo lunga: vederli all’opera su delle moto da corsa è un privilegio. Se poi solo si capisse quello che si dicono…
Corinna e Stefano.
Rispettivamente Cronometrista e Addetto al Rifornimento ufficiali del Minchion Team. Corinna non ha sgarrato di un millesimo in cinque ore di rilevamenti e Stefano ha quasi sempre tolto il tappo prima di versare la benzina.
Andrea Kubrick Tatuato.
Lost in Minchiation, il suo documentario-musical sull’evento sarà probabilmente selezionato per gli Oscar 2004. Da non perdere la “Ducati Dance” e “I consigli di Andrea a Tiziano su come vincere una gara”.
A breve in edicola.
Albi “e poi, e poi, e poi” Arnoldi.
Il filosofo del box. Gran conversatore fino a che non vi si addormenta in grembo nei pub di Cartagena. Aspettiamo con ansia il suo report.
Maurizio du Madagascar, Sergio e Remo.
Fornitori ufficiali di arance ed altre delizie ai Box. Senza quei biscotti alla fragola(!?!) probabilmente la gara sarebbe andata diversamente.
Maurizio è stato inoltre il fotografo ufficiale del Minchion Team e Remo il sommelier del box, visto che lui la benzina non la versa, la decanta. Pare sia stato visto anche assaggiarla…
Luca.
Come fotografo e cineasta non delude le aspettive. Quando tocca a lui fare la doccia e dice:“fra cinque minuti esco” delude le aspettative.
Alberto – Business as Usual – Sala Mauro – Perché io testo – Iosca Roberto- due zero zero – Masperi Perché loro valgono.
G.
PS: Miguel Angel, por favor, para settembre basta con las favas. Gracias.
(per i filmati occorre Quicktime) GALLERY
RASSEGNA STAMPA SoloMoto
Ode ai trionfatori di Cartagena di AleCafè
Pistoni, circuiti, curve e motori
Io canto di color ch’in terra Ispana
Con gesta che qui ognun di fare brama
Andaron, e tornaron vincitori
Non pugna, nè un Gano traditore,
non mori da buttare dritti in mare
Ma curve con il cuore da affrontare
Per risultare infine vincitore!
Eroi Guzzisti, cuore puro e forte
Si gettan nella mischia della pugna
Vassi chi corre, alcuno mugugna:
Tal’è somma armonia in quella corte.
I prodi sono tre come si suole
Dai nomi altisonanti e nobiliari,
Ma i visi sono a tutti familiari
Qual fossero compagni delle scuole
Alberto dai baffetti assai pungenti
Si tuffa a destra e a manca senza pena
Affronta curve in quinta e in sesta piena
Sa infliggere sconforto e patimenti
Ser Iosca col suo fare assai preciso
Gareggia come in punta di fioretto
Lo stile suo s’è fatto più perfetto
Il suo proceder sempre più deciso
Ser Masperi non ci ha certo sorpresi
Il cranio suo viril è chiaro segno
Di gran capacità e duro impegno
Per per l’avversari render sempre lesi
Che dire poi di quei che di scudieri
Han preso posto, e fanno buona vece
Che tra un “porcone” ed una santa prece
Motori e cambi rendon sempre fieri?
Parrebber relegati a sorte oscura,
Ma torto gli faremmo e pure grosso
Se ai tre dessimo carne, e a lor sol’l’osso
Per l’esito della grande avventura!
Orsù citiamo i nomi e facciam festa
Diciamo di Ser Scola e di Tiziano
Si canti il nome loro in modo piano
Si renda la lor opra manifesta!
E poi come scordar tutt’i restanti
Citarli mi sarebbe un poco ostile
E non perchè io voglia sembrar vile
Ma invero non conosco tutti quanti!
Dirò soltanto chi m’è manifesto,
E spero che nessuno si risenta
Se in seguito qualcun mi si presenta
D’aggiungerlo alla lista sarò lesto
E allora che si parli di Goffredo
Che in terra di Lutezia vive ed opra
La gloria sua tutta la Francia copra
E pure Italia tutta se ben credo.
Il prode Andrea dal cuore puro e forte
Da sè si dice scarso di pisello:
Tatuossi sulla schiena l’uccello
Di Guzzi, che ci porta buona sorte.
Nomar m’è d’uopo di Ser Abbadini
Ch’un di conobbi in terra Ambrosiana
Persona mi sembrò ben saggia e piana
Di gusti signorili e sopraffini
Ma il tempo sopraggiunge della pugna!
Deh cavalieri dai ferrei cavalli
Le nobil terga coperte dai calli
Copritevi! Che già la moto rugna!
Gli scarichi, a guisa d’Olifante,
Già sparan fuoco e fiamme con gran possa
La moto colorata nera e rossa
Ha l’aria d’averne viste già tante.
Coraggio, vi si chiede di lottare
La Nike, donna, assai è capricciosa
Un giorno di quà, di là poi si posa
Sta a voi cercarla per poi ben trionfare!
Le ore scorron leste e coinvolgenti
La zuffa si ripete senza posa
A turno uno combatte e due riposa
La sorte arride ai tre nei loro intenti!
Han vinto! Sia giubilo e tripudio!
Si suonino le squille senza sosta
I tre brandiscon fieri la gran posta
E relegano gli altri al gran ripudio!
Chi ha perso con le pive dentro al sacco
S’en torni da dov’era mal venuto;
I tre con far più o meno astuto
Han dato a tutti quanti il matto scacco!
Ritornano gli eroi d’Andalusia
Han vinto con le moto di Mandello
Il premio del metallo ch’è più bello!
Di casa ormai riprendono la via.
Ritornano in Italia vincitori
E narrano le gesta a chi è rimasto
Ci narreranno di quel fiero pasto
Che si son fatti d’altri corridori
Li accolgano le squille a perdifiato
E forse anche una salva di cannoni
E se saranno veramente buoni
Il vino gli offrirò freddo e stappato.
I calici leviamo fino al cielo
Beviamo lesti il nettare di Bacco
E poi ridiamo insieme dello smacco
Ch’agli avversari ha ben bruciato il pelo!
Il nickname FunBoy non vi dice nulla? Ma lo abbiamo visto firmare tanti post sul nostro Forum! E se ci fate caso le iniziali “F.B.” sono le stesse di un certo Filippo Barbacane che realizza da alcuni anni nella sua officina a Pescara delle eccezionali special su base Guzzi. Ancora niente? Nomi come Kimera,Ciclope, Bellerofonte o FSG004 non vi aiutano? Ma allora siete proprio dei casi disperati!
Eppure sono sicuro che questa foto vi rinfrescherà la memoria… no Alessandra, non l’ho scattata io, magari… no, ehm, dicevo “magari” così per dire… no Alessandra, metti giù il ferro da stiro, no… ARGH!
A parte gli scherzi, era da tempo che volevo andare a trovare Filippo nel suo “atelier”, per parlargli di una special su base California (la MIA California, ovviamente…) e per fargli un’intervista a nome di Anima Guzzista.
GianJackal: Breve storia del Firestarter Garage…
FunBoy: La cosa è iniziata 10 anni fa, più o meno. Il nome deriva dal fatto che il firestarter – il pulsante d’accensione – è il punto da dove inizia tutto e il garage perché i primi lavori li facevo proprio sotto il garage di casa mia. Prima di aprire il Firestarter Garage facevo un altro lavoro e la moto era solo una passione. Poi una mattina mi sono svegliato, m’ha preso male e mi sono messo subito a cercare un locale, ho trovato questo, il giorno dopo l’ho affittato e ho incominciato a lavorarci dentro. È stata proprio una cosa di getto… prima mettevo le mani sulle moto solo per me o per gli amici e la cosa finiva lì.
GJ: che lavoro facevi prima?
FB: Niente di particolare, sono sempre stato con mio padre, ha un negozio qui a Pescara di tutt’altro genere. Ma io quel lavoro non lo volevo fare, preferivo avviare un’attività che riguardasse una delle mie due passioni: la moto o le arti marziali, che pratico ed insegno da una vita. Quindi dovevo scegliere tra aprire una palestra o un’officina: sapete bene come è andata a finire!
GJ: Da chi hai preso la passione e le nozioni necessarie per mettere le mani sulle moto?
FB: Da nessuno, per quanto riguarda la moto, assolutamente da nessuno. Ho imparato tutto sfogliando quelle poche riviste che esistevano dieci anni fa, in pratica quasi inesistenti. Prendevo il seghetto a mano, vedevo le altre moto che erano corte, tagliavo il telaio e poi pian piano cominciavo a realizzare cose belle. Poi magari l’amico che faceva il fabbro ti diceva “guarda, che così non si taglia, fallo così…”, un altro amico che ti dava un’altra dritta e così via. Comunque io ho sempre avuto il brutto vizio che qualsiasi cosa vedevo fatta da qualcun altro, dovevo dimostrare a me stesso che ero capace di farlo anch’io. Mi succedeva anche spesso e volentieri di aprire un catalogo, vedere un pezzo che costava 100.000 lire e non lo potevo comperare. Allora mi dicevo: due sono le ipotesi, o mi invento qualcosa per procurarmi i soldi o il pezzo me lo faccio da solo!
GJ: Le tue prime realizzazioni come erano?
FB: Erano molto grezze, ma sempre “strane”. Le prime realizzazioni non se le ricorda quasi più nessuno, perché sono passati tanti anni. Comunque qualche moto l’avevo già portata al Bike Expo Show di Padova, erano su base giapponese ma comunque già molto particolari come forma. Mi è sempre piaciuto realizzare delle moto “strane”, particolari, perché tanto a fare le moto come tutti gli altri non ci vuole niente.
GJ: chi ti aiuta nel tuo lavoro?
FB: Nessuno. Tante volte mi hanno detto “ma prenditi qualcuno!”. Non esiste, io devo vedere la moto a modo mio dall’ inizio alla fine, nessuno ci deve mettere mano, un consiglio sì ma ci devo lavorare solo io. Ci sono poi degli amici che mi fanno compagnia, di solito siamo sei o sette qua dentro. Alla fine questa è la casa di tutti, diventa un punto di riferimento, per fare casino o semplicemente per stare insieme.
GJ: Perché di recente hai deciso di dedicarti alla Moto Guzzi?
FB: Ma guarda, ho le fotografie di quando avevo dieci anni e stavo sopra alle Guzzi, già da piccolo mi affascinavano, anche se – ad essere sincero – la Guzzi agli inizi degli anni ’90 faceva delle moto che non mi piacevano tantissimo. Sono sempre stato attratto dalle moto sportive, ma il pensiero di modificare delle Guzzi non c’era per il semplice fatto che non si vedevano in giro Guzzi modificate. Adesso il discorso è diverso; è facile vedere negozi o attività che realizzano moto su base Guzzi. Quando ho iniziato io non c’era niente sulle Guzzi e quindi vedere su un giornale un Cafe Racer Guzzi che ti potesse “stuzzicare” era praticamente impossibile. E fino a cinque anni fa a meno di andare in Germania la situazione era sempre la stessa. Quando poi si diceva che usciva il V11 l’andai a ordinare ancora prima che fosse disponibile. Poi nonostante il pericolo che la Guzzi fallisse, io lo volevo lo stesso, tanto che non so se sono stato uno dei primi in Italia ad averlo. In pratica l’ho comprato e basta, senza mai vederlo dal vivo. Poteva anche essere una schifezza di moto ma lo volevo comunque. Da allora ho visto che la Guzzi faceva delle moto più abbordabili, ci si poteva avvicinare con la modifica, a differenza dei vecchi California che non ti ci potevi neanche avvicinare, anche perché non esisteva alcun accessorio. Appena salito sul mio V11 ho capito che “quella è una moto”, intesa proprio come vibrazione, sensazione. Poi partendo dalla mia moto ho realizzato la special “Ciclope”, anche se adesso è tornata allo stato originale, avendo sotto mano la Furia. Ho iniziato a lavorare sulla Guzzi anche perché non ci lavorava nessuno. Pensa alle Harley: uno sfoglia un catalogo, prendi un pezzo qua e un pezzo là, lo avviti, fai l’assemblatore! Invece su un Guzzi no, ogni particolare lo devi realizzare tu. Poi con un motore che esce fuori così ti costringe a fare delle estetiche che se non sono azzeccate sono una schifezza. Ogni moto è una sfida, proprio per il motore che esce fuori in quel modo, è enorme e non puoi neanche abbassarlo a terra. E questo mi piace! Il fatto che poi ti fa “strano” è che la gente che ti incontra per strada quando sei in sella ad una Guzzi ti dice sempre “mio nonno ce l’aveva, mio zio ce l’aveva”, qualcuno ce l’ha sempre avuto! Mio padre mi raccontava anche delle Guzzi che andavano in giro durante la II Guerra Mondiale. È inutile, è una casa motociclistica con fascino e cuore, cosa che forse solo l’Harley può vantare, e ovviamente solo in America. Per me esistono infatti solo due moto, la Guzzi e l’Harley, con un eccezione forse per la BMW. Infatti l’Harley in America viene vista come la Guzzi in Italia, una moto nazionale che ha dietro di sé una storia importante. Non dimentichiamo che la Guzzi è la seconda ditta che ha vinto più titoli nella storia del motociclismo ed è la ditta che ha fatto il maggior numero di brevetti al mondo e soprattutto ha costruito tutti i tipi di motore: mono, bi, tricilindrico, quattro cilindri e addirittura otto cilindri! Ha fatto il bicilindrico a L, il bicilindrico frontemarcia… ha fatto tutto!
GJ: A proposito di “spirito patriottico”, cosa ne pensi del fatto che la nostra Polizia giri su moto BMW, nonostante ditte italiane come Aprilia e Ducati costruiscano delle ottime turistiche come la Futura o la ST2/4?
FB: Evidentemente è una questione di offerte. Arriva la BMW e dice: noi vi diamo la moto a 15. La Guzzi invece dà le moto a 18 e i Carabinieri o la Polizia se ne fregano che è una Guzzi. È brutto ma succede anche con le automobili. Da noi si vendono in giro le Subaru, prese con le “svendite”. Certo è brutta, ma ha un motore che spinge tantissimo. Poi la Subaru avrà venduto a 8.000 una macchina che costa 20.000. Io mi immagino invece un V11 fatta con i colori della Polizia e le borse dietro, o magari una Breva 1100. Ma ho visto anche a Bologna poliziotti in giro con il Monster 600. Certo il motore non è il massimo, ma è una moto leggera, puoi farci un inseguimento. Con un California invece appena fai uno scalino spacchi il telaio a metà.
GJ: Ma è così delicato il telaio del California?
FB: No, no (risate), nel senso che dovrebbe essere una moto che ti permette di “saltare”.
GJ: Io comunque con il California qualche amico ce l’ho lasciato “male”. Si crea l’effetto “vabbé, hai un California…”, poi ti sta dietro e dice “ma allora pieghi!”
FB: Quella è una cosa che dicono tutti. Tutti quelli che salgono su un California prima pensano “ma tanto è un custom”, poi quando vanno sull’autostrada a 200 fisso…
GJ: No quello no, è sulle strade di montagna che “gusta”. Che se stai attento ad impostare bene la curva riesci a fare una bella piega. Se invece la imposti male devi fare i conti con l’interasse lunghissimo…
FB: Beh, pure quello. La Guzzi potrebbe fare un custom accorciando l’interasse, abbassando il tutto e rendendola quindi più cattiva. Poi sarebbe quello che ha fatto con la Griso, anche se con una linea più esasperata. Devi infatti trovare a chi piace la Griso: il cinquantenne o sessantenne magari non se la compra perché non la sfrutta. Immaginati invece un California con la forcella rovesciata, i cerchi da 17″, ammortizzatori buoni, alleggerita un po’ di peso, una bella moto! Quando sono stato in Guzzi per una cosa che abbiamo fatto per loro, ho visto delle moto che avevano dentro. Io gli avevo proposto di fare una cosa del genere e loro mi hanno detto “ti facciamo vedere una cosa”. Avevano fatto un California proprio con forcella rovesciata e cerchi da 17″: purtroppo non ha mai visto la luce! Una bella moto, davvero. Da qualche parte dovrei avere delle foto di “straforo” di quella moto…
GJ: Secondo te quali sono i più grandi pregi e difetti delle Moto Guzzi?
FB: Oddio, da “non Guzzista” da vent’anni, forse non potrei dirlo. Per quelle moto che ho avuto io direi che i difetti sono quasi niente. Nel senso che quelli che gli altri chiamano difetti io li considero caratteristiche. Il pregio più grande è che fai caso che c’è ancora gente che a ottant’anni gira su un Guzzi e non succede con nessun’altra marca. Chi si prende un Honda, dopo un paio di anni esce il nuovo modello che va meglio e quindi la cambia subito. Il Guzzista sale su una Guzzi e muore sulla Guzzi…
GJ: Detto così uno “si gratta”…
FB: (risate). Comunque la moto può anche essere “quadrata” e non gliene frega niente a nessuno. La Guzzi ha fatto delle moto brutte, però erano delle Guzzi e si vendevano lo stesso. Era il motore che faceva tutto. Se invece esce una giapponese brutta non se la compra nessuno. Prendi ad esempio il Centauro. A me piace, ma molta gente sostiene che è brutto. Però nonostante quello se lo sono comprati in tanti. È il “cuore” che ha il motore, che dà valore al tutto. Quando hai sotto un motore così non ti importa se la moto è quadrata, gialla o rossa.
GJ: Della MGS01 cosa ne pensi?
FB: Bella. L’ho vista quando era ancora un prototipo sotto un telo da Ghezzi&Brian, un sacco di tempo fa. Bella. Molto bella. L’unico dubbio è se la faranno o meno. La moto mi piace da morire. I particolari sono notevoli. Guarda l’airbox, ad esempio, che è completamente al di fuori degli “schemi” Guzzi. Anche se Giuseppe l’aveva già sviluppato per la Furia. E questo mi preoccupa. Una volta “esaurita” la MGS01 che cosa fanno? Quella moto è uscita dalla Ghezzi&Brian, alla fin fine. La Guzzi non può aspettare 10 anni che qualcuno all’esterno si inventi qualcosa di innovativo da costruire intorno al motore Guzzi.
GJ: Della Griso cosa mi dici?
FB: È il genere di moto che piace a me! Come le moto che realizzo io è tozza e bassa. Anche in questo caso però, se non si sbrigano a farla uscire rischiano di farlo diventare un progetto vecchio. È come quando hanno presentato il V11. C’è da dire che per l’Aprilia a costruire una moto non ci vuole niente. Ho visto come lavorano, e se una moto la vogliono fare davvero, non è così difficile. La Guzzi ha bisogno di avere moto nuove. Ci sono persone che non ce la fanno più e dicono “se non esce la Guzzi che dico io entro un tot, mi compro una moto di un’altra marca”. Se consideriamo la potenza dell’Aprilia e prendi la moto senza considerare la forcella, i cerchi e la carrozzeria in genere, che sono parti che io realizzo in dieci giorni. Il problema è solo il telaio, neanche il motore che in Guzzi hanno già pronto. Secondo me è più una paura che la moto non vada. Perché se sbaglia una moto l’Honda, chi se ne frega, ne fa un’altra dopo dieci giorni, ma se sbaglia la Guzzi sono guai.
GJ: Invece con la Breva 750 e 1100 hanno fatto centro?
FB: Ne hanno vendute un casino di 750. Quella grande, se esce, io me la prendo sicuramente!
GJ: Ma la lasci così com’è o ci metti le mani sopra?
FB: Ah, quello sì, mi piacerebbe metterci le mani. Anche se la vorrei prendere solo per farci turismo. Mi piacerebbe fare turismo a lungo raggio senza stare sul quel ferro duro e scomodo.
GJ: E quale sarebbe il “ferro”?
FB: (risate) la mia Furia!
GJ: Ma se dovessi disegnare tu una Moto Guzzi come la faresti?
FB: Io l’ho sempre detto. E l’ho detto pure in Guzzi. Ma si è fatta fregare dalla Ducati. Gli dissi che l’unico modo di fare una Guzzi che veramente si venda, ma anche una moto che è giusto che la Guzzi costruisca, è ispirarsi a quanto fanno i preparatori tedeschi da vent’anni: Cafe Racers! Ma la Ducati ne ha già fatti tre, ed ora chi vuole un Cafe Racer si compra un Ducati. Sarebbe bastato prendere il telaio di un California, mettere un cerchio in alluminio da 17″ a raggi avanti, mettere due semimanubri ed hai fatto il Cafe Racer. Non ci voleva la scienza a farne uno. Io farei un Cafe Racer. Perché la Guzzi è una moto retrò, il motore è vecchio ed è inutile cercare di costruire moto ultra moderne su un motore datato. Quindi la Guzzi dovrebbe sfruttare quanto ha già pronto semplicemente mettendogli intorno dei bei pezzi, magari di alluminio lucidato, aggiungendo pure un monobraccio ma mantenendo le ruote a raggi. Se riesci ad ottenere un Cafe Racer di una certa qualità, non artigianale o da trasformazione, e lo metti in commercio sono sicuro che la maggior parte della gente “sbroccherebbe” completamente! Secondo me se uscisse una Guzzi Cafe Racer il 90% dei Guzzisti che amano le moto sportive la preferirebbero ad un V11.
GJ: Qual è – a tuo giudizio – la più bella special che hai realizzato sinora?
FB: Sai che non lo so. Sembrerà strano, ma tra la Chimera e la Ciclope non saprei proprio. La Bellerofonte la considero una delle cose più folli che abbia fatto… una pazzia realizzata in venti giorni, che se non mi davano una mano i miei amici non ce l’avrei mai fatta.Certo la moto non ha la forcella funzionante, non ha un impianto frenante. Era una moto che non aveva bisogno di queste cose e quindi mi sono detto che ce la potevo fare. Se avessi dovuto costruire una moto funzionante non ce l’avrei mai fatta. Comunque penso che la più bella special che ho realizzato sia la Ciclope su base V11: è esattamente la rappresentazione della moto come piace a me. Corta e tozza, per l’appunto.
GJ: Qual è stata la più brutta cosa che hanno detto delle tue moto?
FB: Ti dico la verità, senza falsa modestia, non mi è mai capitato che qualcuno mi dicesse “questa moto fa veramente schifo”! Forse l’unica cosa che mi ha dato fastidio è che molti criticavano il fatto che la Bellerofonte non fosse funzionante. Ma non tutti sanno che al Bike Expo il 90% delle moto non sono funzionanti. Sono moto da 150 milioni realizzate in una anno ma che dentro il motore Harley non ci sono neppure i pistoni. Io ho fatto una cosa che si vede che è un esercizio di stile e che con poco lavoro potrebbe camminare. Non l’ho fatta camminare io perché non servirebbe a nulla. Mi fa rabbia che quando sono gli altri a fare delle maquette…
GJ: Se non sbaglio anche la Griso!
FB: Esatto. Non so se l’hai vista bene, ma se metti una mano sotto senti che il serbatoio è fatto di legno, così come la sella!
GJ: Ed invece qual è stata la cosa più bella che ti hanno detto?
FB: Mah, la cosa più bella è stato proprio l’apprezzamento da parte di Anima Guzzista. Ogni volta che sul sito di Anima Guzzista si parla delle mie moto c’è sempre un’aura particolare. Poi è eccezionale la Redazione di Cafe Racer. Molto di quello che sono lo devo a loro, che hanno fatto fare alle mie moto il giro di mezzo mondo. Loro hanno creduto in ogni cosa che gli ho mandato. Ogni volta che preparo una moto per Padova loro mi dicono subito di portargliela per farci un servizio, tanto sono sicuri che qualsiasi cosa abbia realizzato vada bene. Dovrei fare un ringraziamento particolare a uno dei redattori di Cafe Racer, che ora si occupa di custom, Paolo Sormani, che ha avuto grande fiducia nei miei confronti. Comunque mi hanno fatto sempre piacere le email che arrivano da ogni parte del mondo. Una volta mi è addirittura capitato che mi telefonasse un gelataio tedesco. Non mi ha neanche detto “pronto”, ha subito iniziato a dirmi “grazie a persone come te, l’Italia può vantarsi di realizzare cose diverse dagli altri”. Questa persona è impazzita per quanto stavo facendo!
GJ: Una domanda “filosofica”: secondo te, perché alla gente piace tanto l’alluminio?
FB: Guarda, a me l’alluminio piace tantissimo come non mi piace assolutamente il carbonio. Per me il carbonio è uno dei materiali più stupidi che esistano, perché non è bello. L’hanno fatto piacere. Non mi piacciono neppure le cromature: sono un artificio per coprire qualcosa che altrimenti si rovinerebbe. Mentre l’alluminio è un “metallo prezioso”, è indistruttibile, è eterno. Anche l’acciaio è un “metallo prezioso”, ma è pesante. L’alluminio invece è leggero e si lavora con facilità. Poi se l’alluminio si opacizza prendi uno straccio e un po’ di pasta abrasiva e torna come nuovo. Se una cromatura si spella devi smontare il pezzo e portarlo a ricromare di nuovo! Certo che poi la Guzzi, come tante altre case, utilizzano l’alluminio stampato, che secondo me è brutto. Certi pezzi come le piastre della forcella o il supporto posteriore dell’asta di rinvio del cardano non si possono proprio guardare: si vede la granulosità dell’alluminio. È un dettaglio troppo grezzo per una moto che costa 20 milioni! Comunque se tutto va bene spero di risolvere io questi “inconvenienti” e lo vedrete presto!Tornando al discorso dei difetti della Guzzi uno è proprio questo: la scarsa attenzione ai particolari. Io mi sono trovato con il prigioniero dello scarico sul cilindro spezzato, mi sono perso il contachilometri e il clacson. Sono errori che la Guzzi dovrebbe evitare! Anche la Ghezzi&Brian ha i suoi difetti, ma quando montano una moto mettono il frenafiletti su ogni singola vite. È vero che costa più di una Guzzi, ma se pago 11.000 € per un V11 non è ammissibile trovare una qualità così bassa!
GJ: In pure stile Iene fatti una domanda da solo!
FB: Uhm, mi chiederei “dove voglio arrivare”. Se Dio vuole come passa il tempo mi vorrei dedicare alla Guzzi e basta. E magari riuscire un giorno a creare qualcosa di mio fuori dall’Italia. Il mio sogno è di aprire un’attività di “Made in Italy” all’estero, magari in Giappone, un paese che mi appassiona. Oppure negli Stati Uniti, dove ti dedichi solo alle moto italiane e dove prendi moto d’epoca e le metti a posto. Potrei aprire un negozio con una bandiera tricolore di venti metri quadri davanti, e dove vendi moto e abbigliamento esclusivamente “Made in Italy”. Lo farei all’estero anche perché fa rabbia vedere che l’unico catalogo per pezzi Guzzi lo pubblica la Stein-Dinse che è tedesca! Gli italiani spesso si spaventano a comprare una manopola da 40 Euro quando ne hanno spesi 10.000 per la moto! Non possono pensare di modificare la moto spendendo quattro soldi e poi essere invidiosi delle Harley dove ci sono montati migliaia di Euro di pezzi! Non condivido nemmeno quando prendono una Guzzi e la trasformano in un’astronave, appesantendola con borse, borsoni rigidi, porta lattina, quattro fari e dodici clacson! Come ho già detto su un post scherzoso su Anima Guzzista ognuno è libero di farsi la moto come vuole, ma mettergli tremila cose attaccate sforma la moto. Un ragazzo non si avvicinerà mai ad una moto che sembra uno scatolone: non dà l’idea di una cosa giovane, dinamica e divertente. Vede una moto fatta per una persona di una certa età con quattromila cose sopra e pensa “è un treno che va solo dritto”. E mentre molte persone con custom giapponesi mi chiedono di modificargliela per farlo andare di più, chi ha una Guzzi – che è la custom con più cavalli sul mercato e con un’eccellente ciclistica – la ricopre di accessori che la stravolgono e compromettono le naturali doti dinamiche.
TUTTO E’ COMINCIATO CREDENDOCI E PER UNA VOLTA PROVANDO A FAR FINTA DI ESSERE NEL “FILM”.
Mi chiama Roby: è telegrafico, mi avvisa che mi sta “girando un’ e-mail che gli è arrivata dalla Spagna, leggila” mi dice “e poi dimmi cosa ne pensi. Ciao ciao”.
Capisco immediatamente che chi gli ha scritto è Mauro Abbadini, ma ancora non riesco a immaginare cosa sta per succedere.
Mauro è un vero appassionato, un entusiasta dei peggiori, di quelli che ti contagiano, che ti fanno sorridere, che ti raccontano e ti fanno sognare; sì, Mauro è uno con cui non bisogna scherzare se pensi che le “cose” siano complicate, perché stai sicuro che lui non le vede così.
Rientro e corro ad accendere la “scatola” per leggere le ultime notizie dalla Spagna: il messaggio è breve ma efficace e dice: “ciao Roby …bla bla bla… facciamo questa gara di endurance a Settembre: “la sei ore di Cartagena”: perché non venite tu con Mauro (che sarei io) e magari con Alberto… sai ho visto i tempi che ha fatto a Monza durante le giornate Guzzi, quello lì è un bel manico, dai fate uno sforzo: la moto ve la do io, voi vi portate Bruno come meccanico e il gioco è fatto”.
http://www.classicco.biz/
Mentre sto già per archiviare il messaggio mi volto a sinistra e vedo la mia faccia riflessa nel vetro della vecchia cartina Michelin dell’Europa e comincio a pensare… uhm, Cartagena, La Manga, il Mar Menor… ci sono stato da ragazzo, sì nel ’87 dopo il diploma, senza una lira, mi ricordo mangiammo pane e pesche quella volta per giorni e giorni… La Manga è lì; ma sì ma certo, Cabo de Palos, è dove partì quello spagnolo, quello famoso che ha scoperto l’America, Cristobal Colon.
Ehi, un momento: ma nel 1987 io mica avevo questa faccia da “impiegato del catasto”!
Prendo il telefono e chiamo la Classic.Co (www.classicco.biz), il quartier generale di Mauro Abbadini: “Hola buenas tardes, soy Mauro de la Italia …Mauro Abbadini estas?” “Oh ciao Mauro que tal?” “Bene bene grazie… hei -dico io- ho letto l’e-mail che hai mandato a Roby: ma dico stavi scherzando?” “Scherzando?!? No no Mauro, siete voi che scherzate: qui in Spagna si fa sul serio… sta a voi di decidere; per me è tutto pronto: se volete la moto c’è”. “Mi regali un sogno, lo sai Mauro? Devo ancora parlare con gli altri, ma per me io sono già lì”. “Fatemi sapere, vi aspetto, hasta pronto!”
Stavolta si fa !!! Devo convincerli, questa non scappa, solo un “minchia” non approfitta di un’occasione così. Chiamo Roby ma è sicuramente al lavoro, non posso chiamarlo in banca: sarà impegnato… me ne infischio della banca! “Tut-tuut! Sì buongiorno, è la Deutsche Bank? Saalve, sono il cardinal Tettamanzi, vorrei conferire con il signor Masperi…” “un momento glielo passo subito glielo … he chi ? .. Mauro ?… Si ma non posso parlare molto… si come dobbiamo farlo?… Sì a tutti i costi, dobbiamo andare a fare la gara sisi d’accordo poi ti chiamo ciao ciiiaaooo!”
Roberto ci sta, sono sicuro che ci sta; controllerà i giorni di ferie che gli rimangono e poi lui per girare in pista di certo non si tira indietro.
Devo chiamare Alberto, lo devo convincere: poi domani vado in officina e parlo con Bruno.
Con Alberto devo fare in un altro modo, meglio andare da lui a casa tranquilli e esporre i fatti con calma; lui è un precisino: se lo chiamo ora eccitato come sono va a finire che non mi spiego bene e lui sicuramente mi manda a quel paese: meglio stasera. La sera stessa passo da casa di Alberto, ci sono anche Rosella (sempre sorridente, beata lei) e Lorenzo (amore grande, come lo chiamano mamma e papà): mi siedo a prendere il caffè, ora sono molto più calmo ed espongo “la novella” ad Alberto, lui mi ascolta placido e silenzioso, riesco a cogliere ogni minimo impercettibile movimento dei suoi muscoli facciali è come se stessi leggendo il suo recondito percorso emozionale e riconosco quel mezzo sorriso e l’occhietto lucido, so già che non mi dirà subito “va bene ci sto”, ma so che sarà “SI”; ne parleranno, lui e Rosella, Rosella si preoccuperà ma senza darlo troppo a vedere e non gli dirà di no; ne sono certo (è il premio that’s amore 2003!).
Il sabato è il giorno del caos in officina per parlare con lo “zio” (Bruno): meglio andare in mattinata, gli dico serio che devo parlargli di una cosa importante e che deve tenersi libero per pranzo; sennò il farfallone non m’ascolta con attenzione e chissà quanto ci metto a convincerlo. Mi fa segno di sì con la testa e continua la sua opera di convincimento di un avventore a cui sta spiegando che con il suo albero a camme non volano solo gli asini ma anche i Nevada.
Andiamo a mangiare al Disco Volante e io sto viaggiando su una nuvola; gli dico “Bruno dai, raccontami di quella volta del Bol D’Or… dai zio… che tempi eh, zio? Che forza quelle moto?… Ma senti un pò… ma cosa ne dici se ci fosse la possibilità di fare una gara così? Eh zio, come la vedi? no perché sai in Spagna… Mauro…”
Lui sorride, anzi ride, anzi fa quella specie di pernacchia o insomma ognuno ride come vuole; accampa qualche scusa poi ritorna serio e dice: “io lo farei ma deve venire anche Tiziano” Ah, sarebbe fantastico, un vero team al completo, ma non sarà facile convincerlo; per convincere Tiziano bisogna fare in modo che tutto sia a posto, tutti d’accordo a chiedere a gran voce che ci sia. Intanto lasciamo decantare qualche giorno, poi mercoledì sera c’è la riunione del Moto Club e lì tiriamo le somme.
E’ mercoledì sera e l’aria è calda, tutti sono seduti fuori dalla porta dell’officina con le sedie disposte in circolo. Sarà per le mamme che rincorrono i bambini o per la cinquecento del Renato tirata a lucido, come appena uscita dalla Fiat o per le paste mangiate così sotto le stelle, ma stasera sembra di essere davvero negli anni settanta o forse sono solo le seppie ripiene di mamma, che mi fanno vivere sempre nuove allucinazioni.
Arriva il momento a fine riunione in cui gli sguardi si trovano e i complici si spostano nell’ufficio del Bruno. “Ehi Tiziano, puoi venire qui un momento?” Arriva scrutandoci con sospetto, poi si siede e ascolta. Mentre gli spieghiamo le intenzioni fa come per trovare la solita sequela di obiezioni che in realtà non esistono, tutti sono lucidi e tutti lo guardano con amichevole severità: “se tu non vieni non si può fare!” Lui… abbassa la testa, prova a brontolare, ma non ce la fa e ride.
“ Cavolo ragazzi bisogna organizzarsi bene! Mica possiamo andare a fare figuracce!” Tutti ridono e con fare birichino, abbracci e pacche sulla spalla usciamo dall’ufficio con l’accordo raggiunto, SI VA!
E’ cosa fatta. Bisogna avvisare Mauro, prenotare volo e albergo, capire cosa come e quando, ma il più è fatto, niente dubbi nè incertezze, stavolta si fa!
E’ tempo di vacanze, di relax e spensieratezza e l’idea che Settembre presto arriva, per quest’anno non m’angoscia. So che una piccola riserva di immenso piacere, prima che l’inverno come sempre ci divori, mi sta aspettando e che sarà un sogno che s’avvera, fosse anche per una volta sola. [Mauro]
GIOVEDÌ
Si parte! Dopo un breve volo atterriamo a Valencia, dove noleggeremo un auto per scendere fino a Cartagena. Appena scesi ci accoglie il magnifico clima spagnolo: qui è ancora estate, e soprattutto ci invade quello ‘spirito’ leggero, divertente e allegro che sembra regnare in ogni abitante di questo solare paese. Il viaggio contribuisce anche a rafforzare il nostro spirito di gruppo; non che ce ne fosse bisogno, ma vuoi la Spagna, vuoi il viaggio, vuoi il fatto che stavamo procedendo verso il nostro sogno… beh, era un ‘gasamento’ continuo a vicenda.
In attesa dell’imbarco i consigli di Bruno
Gasati in viaggio per Cartagena
Prima di arrivare al nostro Hotel ci fermiamo nei pressi di Murcia, dove incontriamo Mauro Abbadini, che dopo i rituali abbracci ci conduce da Miguel Angel, suo compagno nell’organizzazione della gara, e soprattutto malato perso di moto italiane. Le loro simpatiche e gentilissime consorti ci rifocillano in abbondanza, ma il ‘pieno’ lo facciamo quando Miguel Angel ci apre le porte del suo garage, che sarebbe più appropriato definire ‘atelier’. Alla vista del contenuto si sentono cinque ‘TOK!’. Sono le nostre mascelle cadute a terra dallo stupore e meraviglia nel vedere (e odorare) Ducati, Laverda e Moto Morini della nostra epoca motociclistica preferita (i mitici anni ’70). Spettacolari. Peccato che manchino Moto Guzzi, ma Miguel Angel non apprezza il cardano…
Il box delle meraviglie…
La Laverda quasi pronta
Raggiungiamo dopo esserci congedati l’Hotel, dove ci addormentiamo pervasi dall’atmosfera bellissima appena vissuta, e pregustandoci (senza però immaginare davvero quanto) le giornate seguenti. [Alberto]
VENERDÌ
Stranamente il venerdi appena alzati non si registrava una tensione apparente: tutti erano calmi e rilassati. Uno dei momenti più belli è stato quando siamo arrivati al paddock del circuito. Era deserto, ma l’atmosfera che si respirava una volta entrati ed avvicinatici ai box era di quelle mai provate!!
Effettivamente si stava realizzando per noi un qualcosa che mai e poi mai ci saremmo immaginati di vivere in prima persona. La nostra voglia di cominciare era così alta che siamo arrivati almeno due ore prima di tutti gli altri partecipanti!!!
Allora ci siamo rilassati sia preparando le nostre tute da gara che chiaccherando tra di noi: Bruno ha aperto il libro dei ricordi e… ci sembrava di essere fuori dal tempo in un altra vita meravigliosa, in cui potevamo fare finalmente una delle cose da noi preferite: guidare una moto in pista.
Abbiamo vissuto quattro giorni in uno spazio temporale separato dalla nostra vita quotidiana!!!
Man mano che i vari partecipanti alla competizione cominciavano ad arrivare l’adrenalina in corpo saliva sempre più fino all’arrivo di Mauro con il suo prezioso carico: ben quattro moto, di cui una tutta per noi.
Ci siamo svegliati dal nostro sogno ma… era tutto vero!!! E c’era anche da lavorare: scaricare le moto, allestire il box, fare le iscrizioni etc. etc.
Per noi era tutto nuovo ma molto stimolante, un pò meno nuovo ma comunque stimolante per Bruno e Tiziano che si sono ritrovati per le mani una moto fantastica ma con qualche acciacco dovuto ad una precedente caduta.
La mattina è volata in un attimo aiutando sia Bruno che Tiziano nei loro lavori… [Roberto]
Appena arrivati al circuito, con Mauro Abbadini (sant’uomo, perchè a dare in mano a ‘sti tre una moto, beh…)
Le moto dei favoriti Javier e Alberto
Bruno comincia ad armeggiare sulla nostra moto
Le moto dei favoriti Javier e Questa Honda è semplicemente da urlo!
Oops la candela… 🙁
Impegnati nella messa a punto…
Le Guzzi preparate sono tutte più o meno con le stesse basi: telaio tipo Le Mans con la culla inferiore segata, qualcuna con il canotto di sterzo risaldato più chiuso, motori pompati assai, teste a doppia candela, valvole maggiorate e così via di questo passo, con Bruno che inizia a fiutare suoi componenti e gli vedi gli occhi che brillano, mentre noi ci limitiamo ad ammirarle da un punto di vista estetico. Il fascino di queste moto è semplicemente irresistibile. Sono le moto da gara più belle che abbiamo mai visto, e ognuna di queste meriterebbe la copertina di Cafè Racer, tanto sono curate e spigliate, leggere nella linea ed essenziali nella loro destinazione d’uso. Che meraviglia…!
Mentre Bruno e Tiziano, come due chirurghi di fama mondiale cominciano ad armeggiare con gli attrezzi per la messa a punto, Mauro Iosca mi invita a fare un giro di pista a piedi, tanto per dare una prima occhiata, e così, a torso nudo per gustarci il caldo sole spagnolo percorriamo la pista, che subito si rivela bellissima e difficile, con una dozzina di curve (!), alcune in saliscendi e almeno due staccate in piega difficili da capire appieno, come poi constateremo in sella al bolide. Il gasamento sale sempre di più…
Rientriamo ai box mentre i nostri ‘dottori’ cominciano a sistemare la nostra moto, la Guzzi numero 5, dalla bellissima livrea bicolore rossonera divisa a metà da una fascia bianca, che a seconda del lato in cui la osservi dà l’impressione di vedere due moto diverse. Mauro Abbadini ci spiega che è appena caduto con questa moto, e che quindi ha bisogno di un po’ di cure. Poco male. Ci poteva portare anche un catafalco devastato che non avremmo battuto ciglio, pur di poterlo pilotare lungo quelle curve là dietro le gobbe del terreno. Nel frattempo il paddock si riempie di moto… di moto… di motociclette bellissime, sempre di più, e riempendosi assume le fattezze d’autentico paradiso motociclistico. Guzzi sempre più affascinanti, una Honda CB750 gialla di una bellezza mozzafiato, due Laverda meravigliose, soprattutto quella di Miguel Angel che pare una bomboniera, Norton a profusione, Ossa e Bultaco che non farei quasi uscire dal box per paura di danneggiarle… Invece qui le moto le usano, e meno male, e la passione e semplicità di tutti ci mette talmente a nostro agio che inevitabilmente ci chiediamo perché da noi (inteso come Italia) riscontriamo spesso tanto fighettismo inutile. Mah. Qui è meraviglioso, si sta tanto bene, sembrano tutti amici. E lo sono.
Mauro racconta a Miguel Angel quanto vive la sua performance
Intanto un minchia dà istruzioni tecniche ai meccanici…
Ma noi, quanto valiamo?
Bellezze in posa
Bellezze in posa
Ennesima bellezza
Purtroppo la messa a punto dura parecchio, anche per via di una candela col filetto spanato, e Tiziano è costretto a piazzarci un bullone per tappare il buco (si tratta della seconda candela, per cui giriamo in pratica con tre candele, un nuovo trend, dopotutto noi valiamo :-)), e inoltre uno degli attacchi del collettore di scarico alla testa cede, ma l’altro regge a sufficienza. Alla fine, quando manca solo un’ora e mezza alla fine delle prove libere del venerdì incominciamo a girare, con la moto che dimostra immediatamente di avere tonnellate di coppia e stabilità notevole, ma anche di essere piuttosto ‘maschia’ nei cambi di direzione, e spara certe rivoltellate in rilascio che parecchia gente alza le mani istintivamente! Giusto il tempo di assaggiare la pista, di capire che è bellissima e a tratti veramente difficile, con pochi punti di riferimento (è talmente secco che mancano anche i sassi, mannaggia), curve a raggio alquanto variabile e almeno un paio di staccate in piega, le più difficili. Però si gode di brutto, si sta ginocchio a terra per la maggior parte del tempo (se non erro le curve sono dodici) con un unico rettilineo degno di tal nome.
Insomma: a fine prove, pur col dispiacere di non essere riusciti a girare molto (mentre Bruno e Tiziano hanno lavorato senza sosta) siamo comunque assai soddisfatti, e prima di lasciare il circuito giriamo tra i box con la luce ormai al tramonto per gustare l’atmosfera della vigilia, con diversi team impegnati nelle ultime operazioni di messa a punto e con improvvisati accampamenti di sedie dove le donne passano il tempo chiacchierando allegramente… insomma, se avessimo lì da mangiare e qualche branda probabilmente non ci saremmo manco mossi di lì.
Invece facciamo in tempo, nonostante la grande stanchezza, ad assaporare una fetta della festa di Cartagena, con chilometriche sfilate di centurioni, donne in costume romanico e barbaro e così via, assai suggestive come sempre in terra spagnola, e a meritarci una cena deliziosa in un ristorante del centro. Prima di crollare a letto, in attesa del grande giorno.[Alberto]
Impazienti.
Molto bella questa teutonica
Altra meraviglia.
Apparente disordine
La Laverda di Miguel Angel in grande spolvero.
Davvero meravigliosa. E fila come un treno!
Giuoia, ma guavda come mi calza…!
Ogni Guzzi presente è semplicemente irresistibile.
Mica siamo i soli coi problemi… (complimenti alla Montesa)
Non mancano le Norton all’appello.
Peccato, qualche problema anche per loro
Ehm… direi *molti* problemi…
Bella l’atmosfera la sera nei box
Anche in città, però!
Gli spagnoli (e le spagnole) non scherzano…
TEMPI DI VENERDÌ (MOTO 1)
SABATO
Il grande giorno ci sorprende da una parte ansiosi del momento della verità, e dall’altra un po’ intimoriti, anche per i pochi giri percorsi nella giornata precedente. Chi certo non è stato con le mani in mano sono Bruno e Tiziano. Arriviamo al circuito, già animato, e Mauro Abbadini, dispiaciuto per i problemi tecnici della moto, addirittura ci mette a disposizione una delle sue moto di riserva, che non dovrebbe avere i problemi riscontrati nella ‘bicolore’. Si meriterebbe un monumento lì seduta stante: noi sulle prime non accettiamo, ci sembra troppo, ma il suo dispiacere è sincero e quello che desidera è vederci liberi e felici di far correre la sua moto. Si merita un monumento. Dobbiamo ricordarci appena tornati in Italia: comprare marmi, cemento e bronzi.
La ‘seconda’ numero cinque è ovviamente un gioiello come la prima, con alcune differenze: se da una parte è meno generosa di motore (che però gira come un orologio), ha una ciclistica ben più svelta, visto che dispone di un cannotto di sterzo più chiuso con in più il cuscinetto Ghezzi, tant’è che sul coperchio dell’alternatore sono ben visibili residui gommosi di grattate in staccata. Ciliegina sulla torta, una pompa del freno anteriore più efficace (altro problema della moto di ieri) e, complice una impostazione in sella più alta, si rivela assai maneggevole (perlomeno nei limiti di una Guzzi, s’intende), cosa assai positiva su questo tracciato che ti massacra di curve. Unico difetto: la forcella scarica di idraulica, ma lo vedremo più avanti. Certo che per noialtri ‘piloti’ c’era da riimparare tutto daccapo… ma chissenefrega: una volta saliti in sella senza più forzate soste ai box, si viaggia a meraviglia e pian piano tutti miglioriamo i tempi di ieri. [Alberto]
Devo dire che la notte tra venerdi e sabato non è stata delle più tranquille, forse era la stanchezza o forse era la…
Comunque di primo mattino ci siamo presentati in autodromo dove ci aspettava un vero tour de force: prove libere, prove ufficiali e infine la gara!
Per fortuna ci aspettava anche una buona notizia: la nostra moto che tanto ci aveva fatto tribolare il giorno prima, su intercessione di san Mauro da Madrid, era stata sostituita con un’altra che serviva di scorta ad un altro team del nostro gruppo.
Dunque uno dei nostri primi pensieri che ci aveva fatto passare la notte in bianco si era dissolto. Ora rimanevano tutti gli altri.
La nuova moto era fantastica per noi debuttanti: infatti a fronte di un motore un pò meno potente aveva un comportamento di ciclistica più sincero e facile che permetteva una guida meno stressante e più redditizia.
Infatti, grazie al talento di Alberto, ci siamo ben qualificati potendo dedicarci all’aprendimento di tutte le curve della pista di Cartagena che sono una più difficile dell’altra… [Roberto]
Ecco la moto per la gara.
Una regolatina là…
…cambio numero e via!
QUALIFICA
Finite le prove libere, si incomincia a fare sul serio. Un’ora di tempo, con tutti e tre impegnati a darci dentro per strappare il tempo migliore, che varrà per la griglia di partenza. Ripercorro mentalmente il circuito: rettilineo del traguardo non lunghissimo, si inserisce la quinta solo per pochi metri, poi staccatona buttando giù due marce per la prima bellissima curva sulla destra in salita, senza vederne la fine. Va presa la corda lasciando scorrere la moto in rilascio per la curva successiva senza pausa, sempre a destra ma in discesa; poi appena raddrizzati, dentro la seconda e lieve pinzata per affrontare la seguente a sinistra, la più lenta del circuito. Brevissimo rettilineo e variante non lenta ma insidiosa anche per l’assenza di cordoli e per la fatica nel raddrizzare la moto in uscita per gettarsi in un curvone ampio a destra tutto in accelerazione, aah bello, ma quando hai messo da poco la quarta ti accorgi che là avanti la curva si chiude, e però non c’è modo di raddrizzarsi né di capire dove staccare, visto che i cartelli sono interni e lontani; vabbeh, mi baso sui segni di frenata sull’asfalto: dentro la terza e vvaaaaiii in un bel curvone a destra in appoggio, per poi andare di quarta in una semicurva a sinistra e in fondo staccare sempre un poco inclinato; dentro di nuovo la terza per salire su un semitornante secco a sinistra in salita, uscendo spalancando anche se di là non si vede dove diavolo vada l’asfalto: appena scollinati si vede che piega a sinistra e si tiene la terza su di giri, per staccare appena dopo poiché già si ricurva a destra in discesa, anche questa mozzafiato, e poi giù in breve rettifilo fino ad una curva a sinistra un po’ bastarda dentro, perché veloce ma non sai subito bene quanto puoi osare. Si prosegue tirando un po’ la quarta fino alla staccata per il tornantone bello godurioso super plus in appoggio in salita a destra da fare in progressione in terza, per poi sbattere la quarta di prepot… aaalt che siamo in piega a sinistra e vedo là in fondo i segni di una bella staccata ancora in piega, ma dove boia Faust devo staccare, che sono sempre o in anticipo o in ritardo?!? Questa è bella difficile: si piega secchi a sinistra obbligatoriamente in seconda rasoterra, tirata di terza fino a stracciare l’ultima staccata, quella del tornante di ritorno a destra che immette sul rettifilo. Qui si fanno urlare le saponette fino al bordo esterno, per poi lasciar sopravanzare l’urlo del bicilindrico palpato di bestia per trapanare i tappi alle orecchie (scarico liberoooo!!!) e via sul traguardo. Bello, bello da morire (metaforicamente, of course).
Ora si comincia a fare sul serio e non vedevamo l’ora: parte Roberto, tira i suoi venti minuti e strappa un 2’13″92: rientra e mi cede il ferro caldo, salto su, porca putrella, con una voglia tremenda che ieri mi ha lasciato un po’ d’ansia: la moto comincio a sentirla, so che in quel curvone d’accelerazione devo stare ancora attento che soffre le sollecitazioni dell’asfalto, ma d’altra parte si lascia gettare alla corda come un fuscello, e la pompa davanti mi dà fiducia: via! In cinque-sei giri continui scendo fino a 2’08″5, per poi cedere il testimone a Mauro, che non vedeva l’ora manco lui. Macina i suoi giri scendendo anche lui dai tempi di ieri e di prima mattina fino a 2’14″61. Bene! Siamo affiatati, ci stiamo divertendo, Bruno e Tiziano hanno gli occhi che ridono, ci sentiamo finalmente liberi, dopo mesi a pensare alternativamente se avremmo fatto una cazzata solenne o se saremmo saliti alla gloria (non quella eterna, sticazzi), e siamo a metà classifica nello schieramento! Chi l’avrebbe mai detto, noi che pensavamo che gridassero “SI CHIUDEEE” prima che arrivassimo ai box! [Alberto]
LA GARA
L’inizio della gara è stato uno dei momenti più emozionanti: che bello vedere tutte le moto schierate per la partenza stile Le Mans con i piloti schierati dalla parte opposta della pista pronti allo scatto per raggiungerle!
Il piacere di poter iniziare la gara ci ha fatto passare ogni titubanza o timore: per un giorno eravamo dei veri piloti!!!
[Roberto]
Schierati in griglia.
Pronti…
Il nostro prode parte a razzo
e comincia a macinare giri
Lotta serrata…
Io mi cago sotto. L’ho detto subito, la partenza mi fa paura, non so se ce la faccio a partire io per primo. Roberto, sei un santo, braaaaaaavo che parti tu per primo, mi togli un bel sasso, forse l’unico. Siamo pronti, tutto è pronto: la moto, Bruno al muretto con l’inseparabile cronometro e le sue tabelline; Tiziano di là del muretto con in mano l’acceleratore tiene il motore sveglio, Roberto dall’altra parte della pista in piedi schierato con tutti gli altri piloti a fianco… E’ il momento tanto sognato: tre, due, UNO… VIAAAAAAA!!! In un bordello assordante di sgasate tutti partono a razzo (più o meno), tranne uno: Javier, che tradito dal non sentire la propria moto in mezzo all’urlata globale la spegne, così perde tempo a riaccenderla aiutato da Alberto (cosa che risulterà fatale alla loro classifica). Noi siamo tutti appiccicati come poster al muretto, in attesa delle passate di Roberto davanti al traguardo e tesi al responso cronometrico di Bruno, unico termine di riferimento dato che è impossibile capire a lungo la posizione tenuta.
Bell’atmosfera nel frattempo.
Vai Roby, dacci dentro!
Mauro Abbadini sulla Laverda
Primo cambio: rientra Roberto
Il pieno, grazie!
Tocca a me!
Via !
Allo scadere della mezz’ora (tale è il tempo concordato tra noi per i turni) cambio pilota: Roberto mi cede la moto, ora tocca a me, ma tutta l’apprensione svanisce appena tocco l’acceleratore. Ora sono solo io e la moto: tutti gli altri pensieri svaniscono all’istante. Mi fiondo in pista e comincio a macinare curve, pian piano sempre più sciolto, e mi accorgo che di gente che mi supera ce n’è pochina; peccato che quei pochi siano quasi tutti parecchio più svelti di me, si vede da come entrano veloci in curva che la pista la conoscono bene. Io cerco qualcuno da inseguire, da cui imparare bene le traiettorie, dove staccare, soprattutto in quelle due bastardissime staccate in piega dove perdo tempo. Ecco che mi supera la numero 37, però riesco poco a seguirla, perché Tiziano implacabile, dopo avermi segnalato un bel 2’06” come miglior tempo, mi intima la sosta ai box per il cambio pilota e il pieno di benzina. Non importa. La gara è lunga, ho tutto il tempo. [Alberto]
Siiii…
…avanti il prossimo…
Olè.
Fine della pacchia: tocca a Mauro
VAIII!
Appena prima del misfatto…
La fortuna dei debuttanti ci stava dando una gran mano: viaggiavamo ampiamente a metà classifica facendo la nostra bella figura girando in tempi sempre migliori man mano che imparavamo le strane curve del circuito, finchè la dea bendata, come capita spesso nelle gare di durata, decide di andare a bersi un caffé.
Proprio davanti al nostro box la moto con alla guida Mauro tira una sfollata tremenda seguita da fiammata allo scarico e successiva fumata nera.
Sfortuna vuole che noi dal muretto abbiamo visto tutto e chiaramente, come la natura umana vuole, abbiamo subito pensato al peggio.
La moto poco dopo si fermava in una via di fuga del circuito. Era finito tutto, da ciò che avevamo visto sembrava chiarissima la rottura di una valvola!!
Erano appena trascorse meno di due ore e noi pensavamo che la nostra gara fosse finita: recuperata la moto in effetti il motore sembrava dare sintomi di quella rottura che noi pensavamo di aver sentito durante il transito della moto davanti ai box.
Eravamo tutti un pò delusi, anche se contenti di aver partecipato alla gara in maniera dignitosa.
[Roberto]
“ Non voglio e non posso credere che finisce qui, e poi va bene la sfollata, va bene la fiammata, i draghi il leocorno, ma adesso non esageriamo: non erano i sintomi di una rottura, perché non mi credete? No eh? Non capisco, mi sbaglio… va bene va bene però possiamo cambiare moto, dai, datemi una mano, tiriamo fuori la bicolore”. Che bravi: nessuno vuole accettare la sconfitta e in dieci minuti spostiamo numeri e trasponder sulla prima moto, mentre Bruno e Tiziano (drogati) provano a sistemare la carburazione che, maledizione a lei, ci aveva fatto optare per la seconda moto fin dalla mattina.
Esco dal box con una “belva” inguidabile, scoppiettante con l’aggravante che quando “brucia bene” non ti avvisa; è come essere sul calcinculo alla festa del paese.
Faccio tre giri, forse quattro, con tempi non ridicoli ma che a questo punto e con questa moto non sono accettabili; e dato che il feeling ormai è totale rientro ai box, nel momento in cui gli altri stavano per richiamarmi con la tabella “affinità elettive nell’interpretazione della sfiga”.
[Mauro]
Si lavora alacramente sulle due moto…
Finalmente si riparte!
Tocca a Mauro darci dentro!
Ma Bruno e Tiziano (quelli hanno la mentalità giusta) non si fermano davanti a niente e anche se la gara era finita hanno detto “proviamo a vedere il guasto, tanto siamo qui a far niente!”
E allora smonta la prima testa: niente di rotto. Smonta la seconda: niente; controllano l’accensione ed è tutto ok… allora nelle loro menti diaboliche comincia a serpeggiare qualche dubbio: vuoi vedere che…
Alla fine di tutto si scoprirà che era un filo dell’accensione che faceva un falso contatto: incredibile!!!
Ma ancor più incredibile è stato il fatto che questi due pazzi in meno di due ore hanno rimontato tutto permettendoci così di finire la gara!
[Roberto]
Evvai!
Liberi!
Bruno e Tiziano al muretto
Anche Javier e Alberto hanno noie: un filo del gas rotto prontamente riparato dai nostri meccanici!
Altro cambio e rifornimento
Tranquiiiillo, dai gaaas!
Roberto ‘tira’ il suo ultimo turno
Ma dooove hai impennato in quarta…?!?
Ultimo turno.
La gioia di rivedere la moto funzionante era enorme. Mauro poi, che aveva potuto fare solo pochi giri, e si sentiva addosso la responsabilità del danno (“ecco, lo so cosa pensate, che sono il solito minchione sfasciatutto, ma io non ho fatto niente, bastardi!”) ora è libero di correre, e non se lo fa dire due volte: salta su e finalmente può concludere bene il suo turno. Quando rientra al box per cederla a Roberto gli esce un “va benissimo” liberatorio. Evviva!!!
Terminata la sgroppata di Roberto, rientra per il pieno e il cambio col sottoscritto. Ora vediamo se riesco a limare ancora qualcosa da quel 2’06”, me la sento. Unico dubbio, la tenuta della forcella, che manifesta saltellamenti soprattutto in una curva, che difatti non riesco a fare certo in pieno. Dentro! Stavolta solo due riescono a superarmi in questo turno: la numero 1, che sia Alberto o Javier alla guida non so ma loro sono su un altro pianeta, provo addirittura a tentare di seguirli e devo dire che per una curva ci riesco, ma a quella dopo la numero 1, tesa a recuperare il tempo perduto alla partenza svanisce all’orizzonte. Chissenefrega, farò tutto da solo. Pian piano comincio a forzare il ritmo, ma più entro veloce nelle curve più aumentano i saltellamenti della forcella, e mentalmente mi tengo bene a mente che questa è una gara di durata dove conta arrivare, non fare il tempone, per cui accetto i saltellamenti come limite massimo invalicabile. Comunque Tiziano mi segnala 2’05”, e sono contento come una Pasqua contenta! C’è però la prima curva, quella in fondo al rettilineo, che mi attizza particolarmente, dato che è una bella goduria riuscire a raccordarla con la curva immediatamente seguente, e allora mi diverto a forzare sempre più la staccata, ormai stacco ai 100 metri, entro come una lippa, ben… ooops FORSE TROPPO LIPPA… mi strizzo un po’ e istintivamente raddrizzoooOOOO… niente da fare, non posso più buttarla dentro nella curva dopo, mi tocca finire nella sabbia, speriamo di non fare danniiii…! La moto mi cade nell’ultimo metro di abbrivio, ma aiutato dal commissario la rialzo, cielo dimmi che non ho rotto niente… che culo si riaccende al primo colpo e VIA! Immediatamente penso che sia meglio rientrare ai box, forse mi devo calmare un po’, ma dopo poche curve mi sorprendo a ripensarci. Io il mio turno lo finisco tutto, e anzi rientro ancora veloce in quella curva, so che si può fare senza pericolo. Potere dell’adrenalina…
Ormai viaggiamo con sorrisi larghi trenta centimetri: concludiamo i turni limando sempre più i nostri tempi, sentendoci finalmente leggeri e in sintonia con tutto, che bello! La stanchezza comincia a farsi sentire, ma vuoi anche per la pausa forzata, in realtà vorremmo che le sei ore non finissero mai…
Per via della sosta, l’ultimo turno tocca a Roberto. Lui però prima di salire in sella mi dice: “senti, io ho già fatto la partenza, non è giusto che faccia anche l’arrivo: se vuoi ti cedo l’ultimo quarto d’ora, così ti godi la bandiera a scacchi”. Roberto sei un grande. In quel momento non immaginavo cosa significasse davvero vedere sventolare la bandiera a scacchi, e gli rispondo che sono stanco, mi fa un male cane la mano sinistra per via della frizione, vediamo. Lui riparte, ma dopo il quarto d’ora rientra e mi cede la moto.
Percorro gli ultimi giri di gara senza tirare troppo, pensando a gustarmi le ultime, bellissime curve, col sole ormai basso sull’orizzonte, pensando alla fortuna di aver potuto fare una cosa del genere, fino a che, spuntato dall’ultima piega, percorro il rettilineo d’arrivo con tutte le persone ai box a braccia alzate a sventolare e festeggiare l’avventura, e vedo il direttore di corsa che agita davanti a me la bandiera a scacchi tanto sospirata e mi assale una gioia irresistibile, a tal punto che non riesco a trattenere le lacrime, e piango di gioia come un vitello mentre finisco il giro prima dei box, salutando tutti gli altri piloti, anche loro felici e festanti… e rientro ai box con Bruno, Tiziano, Roberto e Mauro che mi vengono incontro ad abbracciarmi… beh, mi fa venire un brivido enorme anche ora mentre tento di tradurre in ASCII questi ricordi. E’ bellissimo e meraviglioso quant’è bella la vita.
Stanchi ma felici.
Le solite chiacchiere di fine gara…
E’ tempo di foto ricordo: Bruno con Miguel Angel
L’equipaggio della Laverda al completo
Meritato riposo per queste bellissime glorie
Zzzzzzzz…
Hambre, hambre!!
Addirittura premiati.
Perchè noi valiamo! 🙂
Il resto è grandi pacche sulle spalle tra tutti, sorrisi di felicità sulla stanchezza della gara, che è lunga ma da vivere tutta, col sole che cala su questa bella arida Cartagena.
Chiuso il box e caricate le moto sui carrelli ci attende la cena conclusiva, sempre in circuito, dove tutti restano a chiacchierare sulla gara e a gustarsi la premiazione e dove addirittura veniamo tirati in ballo e premiati, compresi Bruno e Tiziano che ricevono un premio speciale.
E’ stata una avventura indimenticabile. Ed è stata bellissima anche perchè siamo stati splendidamente insieme tra noi, con un affiatamento e incoraggiamento continuo. Tutto lo dobbiamo ai componenti della Deccla che si sono inventati questo angolo di paradiso, a Mauro Abbadini che ci ha dato le moto (non ci sono parole per descrivere il suo gran cuore) e a Bruno e Tiziano che hanno lavorato come pazzi consentendoci di divertirci con le moto. GRAZIE.
[Alberto]
Una cosa che mi ha colpito molto è stata la premiazione. Qui sì che la gente ha la giusta mentalità.
Erano le 10 di sera e i partecipanti alla gara, provenienti da tutta la Spagna e quindi anche da molto lontano, erano lì dal primo all’ultimo momento.
Nessuno che se la tirasse; un’atmosfera fantastica. Potevi parlare tranquillamente con i primi arrivati così come con gli organizzatori senza nessun problema.
C’erano premi e ringraziamenti per tutti e nessuno si è permesso di andare via prima della fine della premiazione.
E’ stata la degna conclusione di una giornata fantastica che penso mai dimenticheremo così come non potremo mai ringraziare abbastanza Mauro Abbadini che si è fatto in mille per aiutarci e metterci a nostro agio; mai conosciuta una persona con così tante risorse da mettere a disposizione di chiunque ne avesse bisogno. Un grande.
Penso abbia contagiato tutti con il suo amore smisurato per la Guzzi e le competizioni; forse qualcuno a Mandello dovrebbe prendere esempio da lui.
Per quanto riguarda noi, beh: non vediamo l’ora di ripartire per la Spagna per la prossima gara!!!
[Roberto]
“Mira, mira a los italianos, mira che hambre… se parece son años que no comen!” staranno senz’altro pensando i nostri ospiti. Ebbene sì! Questo è senz’altro il ritratto più vero di noi e di come siamo oggi, tristemente abituati molto più all’apparire che non all’“essere”, istintivamente votati alla bellezza di ardite presentazioni da “nouvelle cuisine”, attratti dalla moda e dalle novità e di esse globali promotori come unico comprensibile stimolo all’esistenza, genti che di moto e corse, ma non solo, han storia e tradizione e che oltre al verbo si sazian con un piatto di zuppa di fave. Sì, le fave, le fave che mia madre da piccola non voleva mangiare e quante botte han preso per le fave, simbolo controverso della miseria di un’Italia degli anni cinquanta e allo stesso tempo pietanza ricca e vigorosa che dava la forza per andare avanti e per arrivare qui, dove ora siamo e dove a volte un piatto di fave con la sua semplicità ci fa provare emozioni che sanno di vero, autentico, genuino piacere.
[Mauro]
Sul nostro sito utilizziamo i cookies per offrirti una migliore navigazione. Se acconsenti continua con la navigazione, oppure scopri maggiori informazioni sui cookies.AccettaPiù info
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.