Quella che segue e’ la cronaca di un incontro che difficilmente io e Mauro dimenticheremo. Siamo andati ad incontrare Luciano Marabese, uno dei piu’ grandi designer di moto dei nostri tempi.
Dalla Marabese Design sono uscite, tra le altre, le Gilera KZ e KK, la Moto Guzzi Centauro, la V11 Sport, l’Aprilia Pegaso, il Gilera DNA, e infine, di nuovo per Guzzi, la Breva e la Griso.
L’emozione e’ stata grandissima. Cercate di capirci e perdonateci se abbiamo parlato forse troppo della V11, ma e’ stato piu’ forte di noi…
Circospetti e anche un po’ emozionati arriviamo con ben dieci minuti d’anticipo all’interno della Marabese Design.
Mentre parcheggiamo le moto, seguendo le indicazioni di una gentilissima signorina, ecco che, in fondo al capannone, vedo una porta che si chiude in tutta fretta. Ma… Ma? Era una Griso quella che ho visto per un nanosecondo, o inizio con le allucinazioni mistiche ancor prima di cominciare l’intervista?? Lo scopriremo…
La segretaria ci fa accomodare in una bella sala dotata di ampia vetrata sul cortile e noi ci prepariamo all’incontro.
Arriva il Commendator Marabese, che ci saluta cordialmente. Il sorriso gli si allarga quando, ancor prima di noi, scorge le nostre due V11 che fanno bella mostra di se’ oltre le finestre; quasi un involontario omaggio al loro creatore.
Anche la nostra tenuta non lascia adito a dubbi: Mauro indossa la maglietta Anima Guzzista d’ordinanza, sulla mia e’ disegnato il profilo della V11 Sport.
Marabese: Qualcosa mi dice che siamo qui per parlare di Guzzi…
M. Benissimo! Sempre disponibile a parlare di Guzzi. Sa, anche se disegno per Aprilia, Laverda e altri, e nella mia vita ho avuto una trentina di moto diverse, ecco: la Guzzi e’ l’unica che ho ancora nel cuore. Mi diverto ancora oggi con il mio 850 Le Mans.
G. La prima Guzzi che lei ha disegnato e’ stata il Centauro, giusto?
M: Eh si’! Quando e’ stato fatto il Centauro sapesse quante ne sono successe! Il Centauro in realta’ era nato in un altro modo; io dovevo disegnare una moto nuova, completamente nuova. Mi erano state date delle specifiche particolari; doveva avere un serbatoio da 26 litri, si immagini. Impostai una linea piuttosto massiccia… doveva essere un po’ un toro, con quel motore a 4 valvole… poi, ti succede che il capo-progetto arriva e ti dice che devi andare a coprire un telaietto fatto cosi’, con tutto quello che c’e’ sotto e quindi, ale’! Si cambia un poco la linea della macchina.
G. Diversi possessori di Centauro frequentano Anima Guzzista. A suo tempo la moto fu decisamente incompresa. A me, lo confesso, non piacque affatto. Oggi invece sembra rivivere una seconda giovinezza. E’ richiestissima, le quotazioni sono relativamente elevate e chi la possiede non la vende…
M. Io ne ho una favolosa… (ride) forcella Paioli da 51… (ride di nuovo) e non la vendo. Comunque si’, all’inizio non ha avuto successo’ ma il successo dipende da diversi fattori; per esempio: se il motore non e’ a posto e ci sono delle cose che non funzionano, e queste cose vengono fuori, beh e’ logico che la moto non e’ recepita come dovrebbe.
G. E’ innegabile che fu presentata molto male: a Milano si era creata un’aspettativa incredibile; tutti li’ per vedere la moto del futuro, la Guzzi del rilancio! E invece? Che delusione vedere ciclistica e motore della Daytona!
E poi in seguito ebbe una campagna pubblicitaria pressoche’ inesistente…
M. Non c’erano possibilita’ in Guzzi in quel momento. Io stesso l’ho disegnata con quello che avevo, gestendo di fatto un serbatoio e un codone che poi non e’ nemmeno venuto fuori come lo volevo io…
Lo sguardo del designer si sposta ancora verso la finestra dove ci sono i V11 e l’argomento diventa un altro.
M. Ma anche li’ (indica i due V11) il codone originale era monoposto, eh! Era molto piu’ bella la prima macchina. Ma loro non ci credevano, non ci hanno mai, mai creduto in questa macchina; poi, dopo, eh eh, eccola qui. Certo anche in quel caso’ si disegnava con quel che c’era a disposizione; ora invece stiamo disegnando nuove Guzzi anche con nuovi telai! Io d’estrazione sono anche un telaista ed in fondo l’engineering mi e’ sempre piaciuto; stiamo preparando parecchie cose… (sorriso di compiacimento).
G. Lei piu’ di chiunque altro puo’ dirci esattamente cosa e’ cambiato con il passaggio alla nuova gestione…
M. Ma sa come andavano le cose all’epoca? Arrivavano con un lay-out ben preciso: ‘allora, questa moto deve costare 8.230.000 lire, dicci quali sono i mezzi per poterla fare’ ‘Vuoi ridisegnare il faro posteriore? No. Ti possiamo dare questo faro, per cui ti pigli il faro e via cosi’, per tutte le specifiche della moto…’ Io cosa ho potuto fare? Trovare una linea. Un parafango, un serbatoio e un codone.Tutto qui. E nonostante tutto, questa moto, quando la vedo mi lascia ancora… (sorriso) Sapete non e’ normale, eh? Io faccio moto di mestiere e sono abituato, e’ quasi una routine’ eppure questa moto ha qualcosa.
Arrivano le fotografie del primo prototipo del V11 e del Centauro e la conversazione, tra battute sui trattori e risa si perde tra triangolazioni telaistiche, travi ascendenti, impostazioni, flussi e turbolenze.
Entra Riccardo Marabese, anch’egli designer; dopo le presentazioni di rito subito Riccardo guarda fuori incuriosito dalle nostre moto e chiede spiegazioni su scarichi e possibili elaborazioni Guzzi: ora e’ Mauro a raccontare! Poi torniamo a parlare di design motociclistico e della difficolta’ di azzecare linee e tempi.
Riccardo: Consideriamo la F4 MV: per me, la piu’ bella moto del mondo, ma quando e’ nata aveva gia’ perso in partenza: presentata a suo tempo come prototipo per la futura Ducati e’ rimasta vittima degli eventi e infine uscita con un altro marchio e con un motore per cui non era stata pensata… Raffinatissima, ma alla fine non ha convinto al 100%.
M. Ne sto disegnando una che e’ un concentrato d’innovazioni a livello aerodinamico, di ciclistica: motore bicilindrico 1.000 cc. con 140 cv…
G. Stiamo parlando del nuovo motore Guzzi?
M. (sorride) Eh, diciamo che e’ di un’azienda che fa parte del gruppo, va bene? Ma sara’ una macchina molto ma molto tecnologica. Guzzi si merita una macchina che vada veramente forte e questa lo fara’. Come sapete, Guzzi ha gia’ usato tutte le architetture motoristiche possibili! Moto Guzzi puo’ quindi permettersi di sperimentare, di montare ogni combinazione; un marchio cosi’, uno dei primi 100 marchi piu’ conosciuti al mondo, che viene anche prima della Harley, e’ giusto che vada avanti… Moto Guzzi e’ un marchio incredibile, incredibile. Ora poi che e’ arrivato Beggio…
G. Ecco, torniamo alla domanda di prima: cosa e’ cambiato?
M. Tutto. E’ cambiato tutto. Guardi, Beggio e’ anche un amico; so cosa ci sta mettendo dentro, ogni giorno. Credo che nel giro di poco, vedra’: 3 o 4 anni, e la Moto Guzzi ritornera’ a fasti di un tempo.
G. Quello che ci sta dicendo ci riempie di ottimismo; effettivamente guardando il Griso si vede che non ci sono particolari presi, che so io, dalla V11 o da altre moto della gamma.
M. La Griso e’ nuova! Nuova, nuova (sospiro di soddisfazione)’ Questa sara’ la svolta della Moto Guzzi e poi abbiamo in serbo altre cosine da farvi mancare il fiato (sorride di nuovo) e quando sara’ il momento vedrete. Ora non e’ piu’ come quando abbiamo disegnato la Centauro, ora ci stanno dando spazio. Ma ragazzi, tenete presente di cosa stiamo parlando qui: gestire una moto nuova comporta mediamente 3 anni di tempo ed un motore nuovo costa anche 50 miliardi, eh’ non e’ uno scherzo. E poi l’affidabilita’! Gli standard devono essere quelli di un’Aprilia: tutto il gruppo e’ ormai coinvolto; i collaudi e i nuovi motori si studiano a Noale con sale prove da miliardi. Invece la gente si sa, ha sempre fretta! Non dimentichiamoci che quando Beggio ha rilevato la Guzzi ha trovato uno scatolone vuoto con dentro un sacco di debiti.
G. Ebbi un colloquio con Carlo Talamo un anno prima dell’acquisizione e lui mi disse testualmente: ‘Peccato che la Guzzi ormai sia morta; e’ fallita… solo un pazzo potrebbe pensare di comprarla. Ducati e altri aspetteranno che chiuda definitivamente per rilevarne il marchio’. Oggi dunque si e’ capito che Beggio per la Guzzi ha fatto un gesto piu’ da appassionato che da uomo d’affari.
M. In effetti! Spendere 130 miliardi per un marchio e basta e’ stato un gesto da innamorato… Pero’ io sono convinto che rinascera’ alla grande. E’ solo una questione di tempo. Il pubblico non sempre capisce che dietro alla presentazione di un nuovo modello ci sono mesi e mesi di lavoro.
Mauro: Ho incontrato recentemente diverse persone che all’uscita della nuova Ducati 999 hanno risposto acquistando con assoluta certezza la 998; quindi le chiedo come si puo’ immaginare il futuro delle forme di una moto, come si puo’ capire se un disegno sara’ gradito, se sara’ o meno un successo.
M. Ci sono diversi disegnatori e quindi diversi stili; faccio alcuni esempi: Tamburini: lui non e’ un disegnatore tradizionale, riesce con tutti i suoi collaboratori a mettere insieme il meglio. Mescola l’equilibrio, la leggerezza, le forme… Mentre – magari senza fare nomi – ma un Terblanche questo non lo sa fare: e’ senz’altro riconoscibile, ha stile; ma ragiona in modo diverso da Tamburini. Tamburini crea la moto come deve essere, cioe’ capibile; e’ un maniaco delle forme e dei particolari’ Badate che un prototipo di Tamburini vuol dire 4 anni di lavoro e costa 3 miliardi, mentre il secondo pensa alla moto che piace a lui e che rispecchia in pieno il suo stile ma magari poi piace solo a lui! Ma la moto non deve piacere solo a te, ripeto, deve essere capibile.
G. A proposito di design: e’ interessante il fatto che anche lei, come Carcano, riscuota successo anche nella nautica.
M. Si’, e’ successo per caso: un amico aveva preso la casa al lago; mi dice ‘prendi una barca: vedrai e’ divertente’. Mah, in verita’ io non so nemmeno nuotare; per farla breve presi un cabinato di 8 metri, una cosa fuori misura e cosi’ – forse e’ vero che sono un po’ un creativo – ho disegnato questo scafo di 4 metri e mezzo e mio figlio Riccardo ha gareggiato nella ‘Pavia-Venezia’ ed e’ arrivato terzo. Da li’ e’ nato l’interesse per la nautica.
G. Senta, ma la Griso come va in strada? Quella presentata a Monaco era una maquette, ma quella funzionante?
M. Ora ve la faccio vedere io la Griso funzionante…
Riccardo si adopera per azionare un video-tape.
G. Se questo sara’ il motore, significa che non si e’ fermata la produzione del 4 valvole?
M. Sara’ ripresa, risistemata e migliorata. Questa moto e’ bella solo in questo modo, abbiamo provato a montarci sotto un 4 cilindri e altre cose, ma non funziona: e’ bella solo cosi’. E che non mi dicano che e’ un custom!
Intanto scorre il video dove una Griso viene animata dal rombo di una moto fuori campo che poi appare e svela l’inganno. E’ simpatico vedere che il ‘doppiaggio’ del motore e’ ad opera di un bellissimo esemplare di Le Mans 850. Si ride un po` parlando dell’amico Fange e delle sue teorie sul Le Mans, moto perfetta.
M. Ma guardate che razza di moto e’ questa (la Griso), questa e’ una moto e basta. Non e’ copiata da nessuno; ha una forza assoluta, poi e’ bassa, e’ fatta con passione: qui bisogna dire che Rodolfo Frascoli si e’ veramente superato, a parte che e’ con me da 20 anni, ma si e’ proprio superato.
G. Quel telaio quindi e’ una realta’?
M. Si’, eccome!
G. Ha visto la moto realizzata in collaborazione con Ghezzi e Brian: la MGS 01?
M. Molto interessante, e’ un bell’esercizio di stile; per ora e` una provocazione. Il Griso comunque si fara’ anche perche’ ha avuto un successo strepitoso a Monaco.
G. E’ la moto che piace ai proprietari del Centauro!
M. Eh! La Centauro… ero partito a disegnarla dal Dondolino! La V11 dal Gambalunghino. In ogni Guzzi ci deve essere un filo conduttore… quello spirito… A proposito, noi sono tre anni che qui a Cerro Maggiore facciamo una gara di Gruppo 3. Una cosina che richiama 25.000 persone, eh: la prima in Italia: voi sarete invitati, dovete esserci.
G. Garantito. Di recente su Anima Guzzista abbiamo pubblicato un report da Montlery dove ho incontrato Sebastiano Marcellino. Sa, quell’eccezionale meccanico piemontese che ha ricostruito dai soli disegni la otto cilindri… Che emozione vederla girare…
M. Noi avremmo disegnato anche la nuova otto cilindri, se e’ per quello…
Goffredo e Mauro: COSA COSA COSA????
M. (sorride) Abbiamo fatto un sacco di belle cosine; Guzzi ha fatto tutto e percio’…
G. Esiste uno zoccolo duro di appassionati che per ragioni anagrafiche e’ convinto che Guzzi sia sinonimo di bicilindrico trasversale.
M. Scherziamo? Se proprio vogliamo essere precisi, il bicilindrico famoso della Guzzi, quello che ha vinto piu’ gare di tutti e’ quello longitudinale e infatti io ho disegnato la nuova Guzzi con il motore longitudinale e sara’ una cosa… anche a livello aerodinamico’ Stiamo facendo degli studi di aerodinamica molto complessi; avra’ una carrozzeria che’ non e’ piu’ una moto ma una Formula Uno (sorride).
Mauro: E a quando tutto questo???
M. Ci stiamo lavorando; per ora esiste solo una mezza maquette in poliuretano. Ma ora basta, basta! Non vi dico altro: se vi dico tutto, poi voi non ritornate a trovarci. Torniamo a parlare delle moto di adesso.
G. D’accordo: Sacha Lakic, il designer della Voxan Roadster ha di recente compilato una sua personale classifica delle moto piu belle. Il V11 e’, secondo Lakic, con Monster e 916 tra le prime tre moto piu’ belle al mondo e suo il commento e’ che il design della V11 “…e’ talmente puro che ti viene semplicemente voglia di salire e andarci via”.
M. Bello! Grazie. C’e’ del vero, forse. Le moto per me sono sensazioni e nella V11 si coniuga una certa libido per delle forme con un’impressione di fondo di moto maschia, essenziale.
Mauro: Che soddisfazione da’ disegnare una bella Guzzi oggi?
M. Da’ grandissime soddisfazioni. E poi oggi non possiamo piu’ sbagliare: e’ una vera sfida. Ma io vi dico: la Moto Guzzi sara’ la moto del futuro: abbiamo girato il mondo e la Moto Guzzi e’ dappertutto… certo che in passato abbiamo dovuto combattere con l’organizzazione! Veda, il designer e’ come un poeta, insomma per chi lo vuole fare il poeta, per chi ci crede. Io mi sveglio di notte e vado a disegnare, per seguire un’ispirazione. Con l’avvento di Beggio, lui ha detto: ‘Fate voi. Disegnatemi la nuova Guzzi’. Beggio sa come nascono le Motociclette.
G. La Breva?
M. Si’, l’abbiamo fatta noi anche quella. E’ un bel segnale di cambiamento, no? Sa, qui noi viviamo di moto; si parla di moto tutto il giorno; la si sente, la si ama. In modelleria entra un’idea, una linea e esce una moto finita’.
Sopratutto la moto la devi amare, altrimenti non puoi fare questo mestiere. La moto non e’ un’automobile.
G. Una moto che una discreta porzione di guzzisti attende e’ una turistica; un’erede della SP che possa rivaleggiare con le BMW…
M. (sorride) Riccardo, chiama Rodolfo… cosi’ ve lo presento e vi faccio vedere qualcosa. Pero’, il registratore e la macchina fotografica restano qui, mi spiace. Rodolfo e’ con noi da 20 anni e ha una passione immensa per le moto e per le Moto Guzzi. Lui disegna cosi’ di getto, poi insieme ritocchiamo, sistemiamo e tiriamo fuori la moto. Adesso andiamo di sotto da Rodolfo, vi faccio vedere quello che abbiamo pronto e quello che stiamo disegnando per la Guzzi.
E qui purtroppo termina l’intervista. L’incontro con Rodolfo Frascoli (Gilera DNA, Aprilia Pegaso, Breva, Griso…) e’ stato illuminante. Estasiati di fronte al suo monitor, di cose ne abbiamo ancora viste e sentite ‘ eccome! ‘ ma una promessa e’ una promessa. Possiamo solo dirvi che se soltanto un decimo della bellezza e della passione che sprigionano gli studi della Marabese Design per Guzzi si dovesse tramutare in realta’, allora la Guzzi fra un paio d’anni avra’ la gamma di Moto piu’ bella e completa che si possa immaginare. Ce n’e’ abbastanza per ridimensionare sia le tourer BMW che le sportive Jap.
Per quanto riguarda lo studio della Supersportiva… beh, anche se non fossimo vincolati al silenzio, non troveremmo le parole. Vi garantiamo comunque che abbiamo preso in parola l’invito del Commendator Marabese di tornare a trovarlo fra qualche mese quando potra’ -forse- rivelarci altre novita’.
Un piccolo scambio di battute pero’ ve lo vogliamo raccontare: di fronte ad un bozzetto per una stradale molto ma molto pepata, ci incuriosisce l’assenza di frecce e una striscia a pennarello arancione sul lato del faro.
Azzardiamo: – E queste pennellate arancioni? Sta studiando delle frecce integrate al faro anteriore?
– No, no – Risponde Rodolfo Frascoli – Le frecce non le ho ancora disegnate. Quella e’ un’idea per una verniciatura tipo fluo, per il cupolino, sai, in omaggio alla Le Mans.
Ecco, questi dettagli ti dicono tutto. Questi sono gli indizi di una passione che, quando e’ vera, si traduce quasi automaticamente in competenza, in rispetto per la storia, nella consapevolezza di essere chiamati a creare qualcosa di unico nel mondo della motocicletta. Chi pensa che stiamo esagerando, chi pensa che sia lecito tirare fuori un nome astruso come V11 Le Mans Rosso Corsa o ispirarsi agli scooter per le colorazioni di una California, vada a vedere come dovrebbero nascere le Guzzi del domani. Nello stesso identico modo in cui sono nate tutte le grandi Guzzi del passato, quelle di Carlo Guzzi, di Carcano, di Tonti: dalla mente di un’artista.
Questa consapevolezza del proprio ruolo e’ cio’ che si richiede a chi oggi affronta il compito sublime di dover disegnare (ma anche soltanto lanciare sul mercato) una nuova Moto Guzzi. E’ stato davvero entusiasmante l’aver visto che questi requisiti sono di casa da sempre alla Marabese Design.
Beh, il resoconto della visita termina qui. Dopo aver richiesto la firma dei V11 da parte del loro papa’, lasciamo la Marabese Design quasi in trance, ancora ignari del turbinio di emozioni che il successivo weekend a Mandello ci regalera’. Lo stesso Rodolfo Frascoli passera’ a trovarci allo stand a Mandello per ricevere i complimenti e i ringraziamenti di tantissimi Guzzisti, gia’ innamorati di Griso e Breva. La nostra speranza di tifosi incurabili dell’Aquila di Mandello e’ di vedere quanto prima in strada quelle moto meravigliose che abbiamo avuto la fortuna di ammirare su carta o su un monitor, in un indimenticabile pomeriggio di settembre a Cerro Maggiore.
PRIMO GIORNO – Niedernhausen – Deutsche Weinstraße – Vogesen.
Cielo azzurro senza una nuvola la mattina di sabato, 22 marzo 2003 in quel di Niedernhausen, Assia.
Alle 9 e 30 esatte, il mio “fatto italiano che il Mondo invidia” si mette in moto dopo una resistenza solo simbolica…; per questo viaggio francese ho 2 obiettivi: il primo è fare non solo mototurismo, ma anche turismo, e il secondo è di non fare nemmno un km d’autostrada! Alternativo e di indole romantica come, si sa, ogni Guzzista, voglio viaggiare come si faceva una volta, osservando paesaggi, clima e architetture cambiare lentamente, accompagnati dal suono del mio bicilindrico.
Per cui evito la vicina entrata autostradale e passando per il Reno sfioro Magonza, poi giù per un breve tratto lungo il Meno splendido sotto il sole, ad Oppenheim mi inoltro nell’entroterra, la cosiddetta Assia Renana, in direzione Palatinato e più precisamente Deutsche Weinstrasse, la Strada Tedesca del Vino. Questo angolo di Germania, fortunatamente poco noto al grande flusso turistico, è una delle cose più sottilmente affascinanti che la Germania possa offrire al mototurista: temperature sempre molto miti, vigneti quanti ne vuoi, è l’unico posto in Germania dove crescono piante di limone e di kiwi. Anche in questa fredda mattina di marzo centinaia di Ciliegi (o sono Peschi? Le mie conoscenze botaniche in materia si fermano a “fiori rosa, fiori di Pesco”, per cui decido che, essndo bianchi, sono Ciliegi..) già in fiore (“c’erii tuuuuuu….”) mi invitano a tornare più in là, quando i vigneti offriranno la consueta distesa verde che oggi manca. Per il Guzzista interessato: a) aprire una carta decente della Germania; b) cercare Worms (a sinistra, in basso, Renania- Palatinato); c) identificare con sforzo sovrumano un micropaesino di nome Bockenheim. Lì comincia la Dt. Weinstrasse, che attraverso Grünstadt, Bad Dürkheim, Neustadt, Bad Bergzabern e altri simpatici nomi del genere porta al confine francese, Wissembourg, Alsazia, Dipartimento del Basso Reno. Tira un vento della miseria. Qui cominciano quelli che il tedesco chiama Vogesen, catena montuosa “sorella” della Foresta Nera (basta guardare la cartina per bene): come si chiami in Italiano non lo so, comunque l’avete trovata e questo solo conta….
Qui nei freddi Vogesen i vigneti diventano scarsi, però ci sono belle colline e foreste niente male; traffico scarsissimo, asfalto ruvido ma senza catrame, un vero spasso! Tra l’altro, il paesaggio sia del Palatinato sia dell’Alsazia mi convince ogni volta di più: pittoresco sempre, inserito in uno scenario naturale stupendo, non è mai “finto” come spesso accade nella Foresta Nera; è sempre un pò, direi, “trasandato” ma per questo più autentico. Qui non è mai tutto in ordine fino all’ultimo geranio, le vecchie per strada non sono necessariamente vestite da festa tutti i santi giorni e alle volte sorridono persino, le case sono a volte fresche di restauro ma altre volte decisamente bisognose di restauro (provate nella Foresta Nera! Ah! È più facile trovare un orologio a cucù non fatto in Cina!), si vedono vecchie stalle mezze rotte col trattore arrugginito, ma probabilmente ancora funzionante & Co. Insomma, c’è quel senso di vita vera, di bellezza non incipriata che tanto piace al Guzzista (animo delicato e profondo, alieno dalle sofisticazioni del tuttobellotuttopulitotuttoperfetto, altrimenti avrebbe, chessò, una Honda).
Trovo alloggio in un albergo “Logis de France” di un paesino “strategico” che già conoscevo, dal tipico assurdo nome misto “Morsbronn les Bains” (un nome tipo “Bad Porretta” o “Porretta les Bains”), non lontano da Haguenau, e lì mi lancio in un percorso che già conoscevo e che mi era rimasto nel cuore guzzista. Prendere nota: Morsbronn – Woerth – Reichshoffen – Niederbronn – Oberbronn – Zinswiller – Offwiller – Ingwiller – Lichtenberg (bel castello) e ritorno. Durante il ritorno succedono due cose: a) un cerbiatto quasi obeso, una specie di bambi adolescente con un debole per McBambi, mi attraversa la strada venti-trenta metri davanti: poco grave, già successo altre volte; e improvvisamente, con un botto mi si stacca la visiera del casco da un lato: mai successo, e grave! Mi fermo semiterrorizzato pensando a dove si trovano, in Alsazia, viti e/o ricambi per visiere di marca Uvex, ovviamente è sabato pomeriggio.
Breve preghiera, vigorosa grattata, attento esame e cessato allarme: l’attacco è senza viti e si era staccato, immagino per qualche urto o botta strana in precedenza, ma è intatto.
Sospirone, mi rimetto in moto, torno in albergo (fa freddo) e chiudo la giornata con due Tartes Flambées gratinate che non ce l’avrebbe fatta nemmeno il McBambi.
Idillio Campagnolo
SECONDO GIORNO – Strasburgo
Cielo stupendo e in programma soprattutto Strasburgo. Siccome non mi va di fare di fare la strada pianeggiante per Haguenau, con furbissima manovra di aggiramento scendo lungo la cresta montuosa in direzione sud ovest e entro trionfalmente in città da ovest; stupore di Hondisti, gendarmi in BMW si inginocchiano piangendo, Suzukisti buttano la loro moto nel fiume, poi mi sveglio….
Per i miei amici cartomani, la brillante direzione seguita è sulla direttrice Reichshoffen-Niederbronn-Oberbronn-Ingwiller-Boxwiller-Saverne e da lì verso la valle. Gli spiriti più acuti hanno già notato che in parte è il percorso di ieri, il che testimonia se mi à piaciuto o no….
Strasburgo è, voglio essere originale, bellissima. Una cattedrale mozzafiato, un centro storico sostanzialmente intatto (peccato per certi “sbavi” moderni pseudostoricizzanti) e “molto pittoresco”, la cosiddetta “petite France” è sì petite, ma anche molto jolie, come Angelina, anzi quasi. Sarà che oggi il clima è stupendo e questo, si sa, aiuta…
Durante gli anni seguenti alla Rivoluzione Francese, a Strasburgo un giovane ufficiale dell’Armata del Reno di nome Rouget de Lisle o de l’île scrisse una canzone di guerra. Alcuni scrivono racconti di viaggio, altri canzoni di guerra. Truppe provenienti da Marsiglia e di stanza a Strasburgo vennero poco dopo comandate a Parigi. Per tutto il tragitto entrarono in ogni paese e città cantando a squarciagola la canzone, che piacque assai e dopo il trionfale ingresso a Parigi prese il nome di “Marsigliese”.
Mi becco anche una sfilata di Carnevale, in piena Quaresima (non c’è più religione..), una cosa con gruppi internazionali, c’è di tutto dal Samba a Eminem: la sfilata passa a due metri da Ombromanto, che io avevo parcheggiato la mattina ignaro del pericolo; Egli, valoroso, supera la prova indenne.
Visitatela, Strasburgo, quando potete. Anzi, se ci andate a vivere ho l’impressione che non sbagliate di sicuro.
Dopo paurosi ingorghi, il solito perdermi in mezzo ai blocchi stradali per via del carnevale e molto aiutato dal mio senso dell’orientamento, dopo circa tre quarti di eternità arrivo al vicino quartiere degli edifici EU, dove mi impressiona particolarmente il bellissimo e nuovissimo edificio del Parlamento Europeo. Da dietro sembra la versione “paìna” del Gasometro noto ai Romani, ma da davanti è, semplicemente, stupendo.
Folgorato da tanta bellezza, pieno di sentimenti europei, canticchiando l’Inno alla Gioia mi rimetto in marcia verso Morsbronn mentre turisti giapponesi, sentendo il suono del mio motore, fanno dimostrativamente karakiri davanti a me filmandosi a vicenda. Dando prova di grande originalità, ritorno verso casa seguendo esattamente la stessa rotta del mattino.
Sono molto soddisfatto di Ombromanto, di Strasburgo, di me e del mondo in generale: finora tempo impeccabile, turismo notevole, 600 km in due giorni senza autostrada.
TERZO GIORNO – Besancon
Ormai le belle mattinate sono quasi noiose. Mi metto in moto deciso ad arrivare presto a Besancon (si scrive con la “cedille”, come Falcao). Fiducioso nella mia capacità di perdermi in mezzo a una città senza saperne più uscire, evito accuratamente la strada per Strasburgo e punto di nuovo, per la strada ormai nota, verso Saverne: di lì, mi becco una statale assai noiosa verso Nancy, ma il tratto successivo, in direzione sud, è anche peggio: doppia carreggiata, camion come se piovesse. Incontro anche tre convogli militari e una pattuglia della gendarmerie con mitra spianati e giubbotti antiproiettili, che però non mi sparano. Sollevato, noto che il clima diventa più caldo, ho infatti lasciato l’Alsazia per entrare nella Francia “storica”. Oggi però è Lunedì, tre albergi su tre “Logis de France” (la mia catena preferita) sono chiusi. Mi trovo un moderno, ben situato ma gelido albergo d’affari alla periferia di Besancon (camere in puro stile anni ’70, luci esclusivamente al neon: un posto accogliente per suicidarsi, I suppose….).
Appena uscito dalla doccia mi telefonano dalla Reception: può venire un attimo. Mah, veramente, comunque…
Un tizio ha appena tolto la MIA moto dal garage e ci ha messo la SUA macchina, una BMW Serie 7 penultimo modello con ruote da fuoristrada militare americano. Mi dice che vuole avvisarmi che ho dimenticato di mettere l’antifurto, “c’est pas normal!”. Perchè, che lui mi sposta la moto è “normal”? Ah, e il mio garage, mi dice “en passant”, è quello per le moto che sta dietro all’edificio. Chi conosce il cavalletto laterale delle Guzzi – col quale la moto resta quasi perfettamente perpendicolare e la sola forza del pensiero basta a farla cadere – può capire il sospiro di sollievo che ho tirato a vedere Ombromanto parcheggiato di fuori, maltrattato da infedeli mani biemwuiste, ma salvo.
Amante della normalità, metto l’antifurto; il tizio è, si capisce, il gestore e/o proprietario dell’Albergo. Guardo di nuovo le gomme e capisco le luci al neon.
Dopo un pò, mi dedico alla visita di Besancon. Altra piacevolissima sorpresa, che ha superato di molto le mie aspettative per questa tappa interlocutoria verso la Borgogna: vivace cittá universitaria, ha un Centro Storico molto bello e impeccabilmente curato e conservato, con molti edifici con facciata in pietra chiara, la bellissima cattedrale di St. Jean indimenticabile con le sue vetrate policrome al tramonto e il tipico tetto di Borgogna di mattonelle lucide e anche loro policrome luccicanti al sole; poi una città alta fortificata (“Citadelle”) che era troppo tardi per visitare (ma ci torno! In Guzzi, ci torno!); ma soprattutto, Besancon ha quell’aria di provincia colta e grassa dove si vive veramente bene, tipo Ferrara o Parma del Nord. Mi lascio cullare dalla bellissima atmosfera pomeridiana fino a che il crepuscolo e la chiusura dei negozi non mettono fine all’incanto, mi rimetto in sella e dopo essermi dovuto umiliare una sola volta a dover chiedere la strada per tornare in un albergo distante si e no due km sono di nuovo nel mio paradiso al neon.
A cena uno dei piatti a scelta del mio menù è la “Entrecôte”. Chiedo al tipo della BMW, che è venuto a prendere l’ordinazione, cos’è una “entrecôte”. Con originalità sconcertante mi dice “una entrecôte è una entrecôte!”. Chiedo timidamente: “steak?”. Non capisce o non udisce, scuote la testa. Vabbè che siamo in provincia, ma questo gestisce un albergo e non sa come si dice “entrecôte” non dico in Basco o in Serbo, ma in Inglese. C’est pas normal! Biemwuisti……
Quando finalmente arriva, capisco cos’è una entrecôte. Tutto sommato non era così difficile….
QUARTO GIORNO – Beaune-Autun
Non so descrivere cosa mi prende quando il cielo è azzurro, la mattinata è stupenda e il mio destriero Ombromanto parte al primo colpo e dopo pochi secondi tiene il minimo senza alcuna esitazione, fregandosene altamente di accensioni e iniezioni elettroniche. Immagino che sia l’Euforia da Accensione Mattutina, una forma meno nota del Morbo di Carlo. Dicono sia incurabile, soprattutto per la forte resistenza dei pazienti a farsi curare.
Il mio destriero ed io ci mettiamo dunque in moto verso la meta centrale del viaggio, la Borgogna. Stavolta le cose vanno meglio di ieri, sulla strada per Beaune pochissima superstrada, per la maggior parte del tratto una bella statale che serpeggia su e giù per colline attraversando altri villaggi “veri” (in contrapposizione a quelli “finti” troppo puliti, troppo perfetti ma senza anima che sembrano moto giapponesi), gli scarsi camion facile preda del mio cardanico, anzi “carcanico” destriero. Già molto soddisfatto della piega che hanno preso le cose arrivo a Beaune da est: finora niente vigneti, ma tempo notevole. Beaune l’avevo già visitata brevemente l’anno scorso (cfr. “Douce France”), ma esaminata a fondo si dimostra molto più carina di come la ricordavo. Dopo un’accurata esplorazione dell’invitante centro storico, visito l'”Hotel Dieu”, un ospizio e ospedale magnifico esempio di edilizia “sociale” del XV secolo. Tra le molte cose interessanti, il tipico tetto della Borgogna e il magnifico, magnifico “Giudizio Universale” del Maestro fiammingo Roger van der Weyden, che si sospetta essere una passata incarnazione di Massimo Tamburini.
Già, il Ducato di Borgogna. Cosa mi ricorda? La II Liceo, il mio caro Professore di Storia e Filosofia oggi morto, gli dedico un commosso pensiero e lo nomino Guzzista Onorario.
Vediamoli brevemente più da vicino, questi Duchi di Borgogna: erano valenti organizzatori e ottimi diplomatici e riuscirono a creare uno Stato plurinazionale che nel periodo della sua massima estensione arrivava dal Belgio al Mediterraneo, tagliando in due l’Europa centrale tra il Reich a est il Regno di Francia a Ovest. I molti monumenti dei secoli dal XIII al XV testimoniano del paio di secoli d’oro che hanno lasciato e della forte influenza che le allora ricche Fiandre, le province settentrionali del Ducato, ebbero sull’arte dei restanti territori (ed ecco anche spiegato van der Weyden). Specialmente gli ultimi 4 Duchi di Borgogna (Filippo il Coraggioso, Giovanni Senza Paura, Filippo il Buono e Carlo il Coraggioso) fecero della Borgogna una Potenza europea. Il Ducato di Borgogna non venne mai nè distrutto nè sconfitto, ma confluì nel Reich per via dinastica all’estinguersi della linea maschile; successivamente la Borgogna e la Franca Contea passarono alla Francia, dove “rimasero” fino ad oggi.
Il potente “Primo Ministro” del penultimo Duca di Borgogna Filippo il Buono, Nicolas Rolin, è appunto il munifico ispiratore e donatore dell’Hotel Dieu.
Ma.. ma… SVEGLIA!!!!
Bene, ehem, dicevo.. Beaune è una città molto carina, ma dopo averla ben visitata e non avendo voglia di visitare il (si dice) fittissimo intrico di cantine, lancio il mio fido destriero alla volta di Autun. E finalmente arrivano, i dolci vigneti di Francia! Non sono ancora verdi, ma il paesaggio è ugualmente bellissimo, io ho sempre trovato i vigneti molto belli e Ombromanto è stato comprato proprio pensando alle “passeggiate per vigneti”, quindi siamo tutti e due nel nostro elemento. In un paesaggio impeccabile e non disturbato da elementi estranei tipo moto giapponesi (solo qualche mucca della Gendarmerie che si inserisce bene nel paesaggio) vedo i vigneti farsi più radi e piano piano sparire lasciando il posto a foreste e pascoli (il che spiega le moto della Gendarmerie), ed eccomi ad Autun, bel centro tardomedievale che fece la sua fortuna col “Business” dei pellegrinaggi verso Santiago di Compostella, che era a ben vedere il “turismo” di allora. Ci riuscirono grazie alle reliquie di S. Lazzaro e relativa Cattedrale. Che si rivelerà molto bella e spettacolare nella luce del tramonto, ma ai miei occhi soccombe davanti a St. Jean a Besancon vista ieri.
Ma non anticipiamo gli eventi: prima di farmi un giro per Autun chiedo alla proprietaria del mio solito albergo “Logis de France” dove mi può consigliare di andare per una cavalcatina di, non so, un’orettà et demì. Mi risponde senza esitazione “Morvan” e mi dá le indicazioni.
Amico Guzzista, seguace di Carlo, prendi la carta, trova Autun (sta una sessantina di km a ovest di Beaune, Beaune sta a una quarantina di km a sud di Digione, Digione, cribbio, te la trovi da solo..) e poi guarda verso Nord Ovest. C’è un’intera regione chiamata all’incirca “parco regionale naturale del Morvan” ed è – per il motociclista – uno dei posti migliori dove sia mai stato (e sono stato varie volte sulle Dolomiti): un enorme parco sostanzialmente disabitato e la sera anche abbastanza inquietante (e se mi si rompe un’altra volta la centralina elettrica in mezzo a un bosco? Ma, non ce l’ho, la centralina elettrica! Ha!! Nippon, trema!! Ha!), un paesaggio tolkeniano da Terra di Mezzo quale raramente avevo visto, curve e controcurve tra ruscelli, boschi, valli spettacolari, il tutto con traffico quasi inesistente.
Sembra una Foresta Nera senza traffico, cioè una contraddizione in termini…peccato solamente per il fastidioso brecciolino, a volte veramente insidioso e che non invita, come del resto tutto il paesaggio, a “tirare”.
Al termine di questa bellissima giornata, parcheggio la moto e mi visito Autun finchè è giorno (molto bella, non troppo grande, simpatica per fare tappa ma, va detto, nè Beaune nè Besancon).
Chiudo con un breve consiglio per gli acquisti: per fare mototurismo al meglio non c’è bisogno nè di iniezione elettronica, né di accensione elettronica, nè di ABS, nè di carenature spaziali, nè di 120 CV. C’è bisogno di un bicilindrico Guzzi ad aste e bilancieri raffreddato ad aria che ti porta a spasso per vigneti e boschi. Chi proverà, saprà….
Arte Italiana in Alsazia
Beaune. Hotel Dieu
Quel che resta di Cluny
Foto Ricordo a Tournus
QUINTO GIORNO – Cluny-Macon-Tournus
Una delle più potenti organizzazioni statali mai esistite, una vera Multinazionale ante litteram. Più di mille Abbazie sotto diretto controllo dal
Portogallo alla Polonia, “libere da ogni potere di Re, Vescovi e Conti”, sottomessi solo al Papa, cioè a nessuno perchè il Papa era lontano. Un’influenza su tutto il Mondo Cristiano quale mai un’altra organizzazione simile aveva avuto e superiore, si dice e diceva, a quella dello stesso Papa.
Un grande amore per i canti, per i riti religiosi e le cerimonie in generale, per la “pompa” e l’ostentazione – severa ma per questo ancor più inequivocabile – della potenza e ricchezza raggiunte. Il più grande datore di lavoro non statale e la più grande organizzazione benefica d’Europa. Questo era l’Ordine dei Cluniacensi. Una successione di Abati estremamente abili – tutti eletti giovani per dar loro modo di restare in carica per decenni – carismatici ma allo stesso tempo ottimi diplomatici, li portò al vertice della Cristianità e ve li tenne per due secoli; la loro terza Chiesa Abbaziale, detta “Cluny III”, fu non per una o due generazioni, ma per 500 (cinquecento) anni la Chiesa più grande della Cristianità. Per 500 anni! Fanno 5 volte e mezzo la storia della Guzzi!
Cluny, la città dove nacquero, fu al suo massimo splendore il vero centro della Cristianità, la “capitale segreta”, “Roma secunda”.
Poi venne il declino; lento dapprima, accelerato e irreversibile quando nel XVI Secolo l’Ordine passò sotto la “protezione” del Re di Francia. Miserrima la fine dopo la Rivoluzione Francese: l’Ordine sciolto nel 1790, la magnifica Chiesa usata a partire dal 1793 come gigantesca cava di pietra, legno e materiali di lusso, le decorazioni sacre svendute a collezionisti. Lo scempio, abbastanza unico per caratteristiche nella Storia moderna, andò incredibilmente avanti per trent’anni, perfino dopo la Restaurazione! Quando,nel 1823, si decise di por fine al massacro
quel che restava di Cluny III erano i poveri resti che ho visitato oggi assieme agli edifici accessori; un giorno triste questo, seppure la grandezza dia, in qualche modo, anche alla tristezza una sua dignità e anche al declino una grandiosa bellezza; intollerabile il solo pensiero che una cosa del genere possa accadere, chessò, a San Pietro o Santa Maria Maggiore o San Giovanni.
Più per rispetto e come “tributo” alla grandezza passata che per la convinzione dell’effettiva utilità di una cosa del genere mi “sparo” la visita guidata ai monumenti di Cluny, in Francese rigorosamente molto veloce; mi immagino il chirurgo che descrive agli studenti di medicina il cadavere che ha appena finito di sezionare e del quale alla fine resta pochissimo, ma si può ancora immaginare come doveva essere sano e forte, quel corpo. Inoltre, invece della guida carina che accompagna un altro gruppo mi tocca l’altra, quella, diciamo, ben piantata e che racconta pure palesemente tutto a memoria: decisamente non è la mia giornata…
Bello depresso (tornando a Ombromanto, grandezza e lento declino mi ricordano inevitabilmente la Moto Guzzi, ma lei almeno vive e scalpita..) mi metto in marcia per vedere la prossima tappa, Macon. Macon è carina ma non certo indimenticabile e “soffre” il confronto con Cluny; poi ha una zona pedonale frammmentata e un centro storico di una bellezza non particolarmente impressionante, direi carino e basta. Mentre libero la moto dal bloccaruota per andarmene (ero parcheggiato sul bel lungofiume) due tizi sui 40-45 anni, vestiti identici, esclamano “ah, Moto Gucci!”. Cominciamo a parlare, sono due motociclisti danesi, si informano su prestazioni, prezzo dei lavori fatti, se sono soddisfatto. Il più anziano è in trattative per una Breva, ma in Danimarca le tasse sono notoriamente feroci, lui spera di riuscire ad averla per 15.000, diconsi quindicimila, Euro. E comprarne una usata? “Forget it”, dice ridendo e facendo un gesto di rassegnazione con la mano. Poveraccio….
Mentre gli dico quanto ho speso sulla mia sento il mio malumore sparire rapidamente, l’orgoglio di essere Italiano e il piacere di vivere in Germania assumono un sapore tutto nuovo e molto piacevole. Eh sì, c’è del marcio in Danimarca….
Dopo un cinque minuti di intensa propaganda Guzzista (tanto i soldi sono i suoi…), lascio i due alle loro visite e mi metto in moto verso Tournus, altra cittadina medievale sita nelle vicinanze. Per essere stata visitata lo stesso giorno di Cluny Tournus si difende benissimo, poi calcolo che Gwaihir mi sarebbe costato sui 23.000 Euro e sento l’euforia crescere…..
Turnus ha, prima di tutto, una Abbazia romanica notevole. Poi ha un simpatico borgo medievale ed è piacevole passeggiarci un’oretta facendo una pausa birra perchè fa caldo. Il senso di tragedia, di stupro efferato e irrimediabile, che mi aveva accompagnato tutta la mattina se ne è andato, spazzato via da un problema non mio. Si sa, il Guzzista è una persona emotiva, altrimenti non avrebbe una Guzzi, ma una Kawasaki o magari una Singer…..
Il percorso per tornare in albergo è geniale: D 14 fino a Courmatin, di lì D 981, che mi riporta in direzione Beaune, in “zona vigneti” fin quasi a Chagny, paesaggio assolutamente incantevole; da Chagny fino alla vicina Meursault, dove ero stato l’anno scorso. Meursault è bellissima in quella che io sono solito chiamare l’ “ora magica” del tardo pomeriggio; da Meursault e tanto per non sbagliare rifaccio la stessa strada fatta il giorno prima venendo da Beaune e arrivo ad Autun, dove finisce questa giornata molto particolare.
SESTO GIORNO – Avalon-Auxonne-Vezelay
Un’altra giornata da incorniciare, però con qualche nuvola (le prime dall’inizio del viaggio!).
Ieri ero andato verso sud, oggi mi dirigo verso Ovest. Parto presto e arrivo ad Avallon prima delle 10. Avallon è un altro posto pittoresco costruito sopra un enorme massiccio di granito ed è nota per la (bellissima) chiesa di S. Lazzaro, con cui gli avallonesi (?) cercarono di portar via ad Autun il “business” del turismo verso Santiago di Compostella, che aveva appunto nella locale cattedrale di S.Lazzaro una delle sue “tappe fisse”. Sia che le reliquie di Avalon non fossero buone come quelle di Autun, sia per altre ragioni (olio santo di viscosità inadeguata, candele di gradazione sbagliata, raffreddamento ad aria invece che ad acqua santa, chissá…), la cosa non funzionò. Mia opinione: non ha funzionato perchè era una cagivata. Come i Cagivisti, gli Avalonesi dovettero constatare che la tradizione o ce l’hai o non ce l’hai e non la puoi creare copiando un altro….
Comunque Avallon ha anche un Centro Storico molto bello seppur piccolo e la sua piccola parte di storia moderna (c’e ancora l’albergo dove Napoleone pernottò sulla via di Parigi dopo essere fuggito dall’Isola d’Elba) e consiglio fortemente un giro di quel che è rimasto delle mura, da dove si può ammirare la valle a strapiombo.
Ad Avallon ero arrivato con la D980 (molto bella) e la N6 (molto meno bella). Continuando ora sulla N6 arrivo ad Auxerre. Auxerre, molto semplicemente, incanta. La cattedrale, di un Gotico slanciatissimo e con bellissime vetrate policrome, è molto suggestiva specialmente col forte sole che nel frattempo era uscito e vale da sola una giornata di viaggio solo per vederla. La città antica è anche molto simpatica, sebbene non all’altezza di una Beaune, ma ha un’atmosfera così “francese” coi suoi tavolini e la gente che gira ovunque con le baguette che anch’io mi fermo qui per la mia pausa pranzo, birra ottima ma con lo sconosciuto “croque monsieur” che mi delude rivelandosi un volgare toast al prosciutto e formaggio che perde 3 a 0 al confronto con un buon panino. Vivamente sconsigliato.
Lascio Auxerre per la vicina Vezelay (Avalon, Auxerre e Vezelay formano una specie di triangolo e si prestano ad essere visitate assieme). Vezelay, che come Avallon sorge a picco su una roccia, è più caratteristica e meglio conservata di quest’ultima. La Chiesa romanica sarebbe stupenda se non avessi visto Auxerre poco prima e fu, per l’epoca, rivoluzionaria: volutamente priva di ornamenti di qualsiasi tipo e persino di vetrate policrome, è tutta giocata sull’architettura e sul sapientissimo gioco di luci tra protiro (molto luminoso), navata centrale (cupa, solenne, imponente) e abside (luminosissimo, slanciatissimo, venendo dalla navata lascia quasi senza fiato). Se l’intera Chiesa è bellissima, l’abside è al suo interno il “pezzo forte”: da non perdere.
Vezelay è anche legata a due Crociate: da qui Bernardo di Clairvaux (cistercense, l’Ordine “rivale” dei Cluniacensi) il giorno di Pasqua del 1146 infiammando la platea “lanciò” la Seconda Crociata. Bernardo doveva portare sfica perchè la Crociata finì malissimo. Sempre Vezelay fu un importante punto di raccolta per la Terza Crociata, la ben più nota “Crociata dei Re”.
Lascio Vezelay con le sue casette in pietra forse un pò troppo ben tenute e comincio la parte “guidata” della giornata. Quasi 4 ore di guida ininterrotta nel famoso parco naturale del Morvan, che ieri come oggi non mi delude. Torno in albergo alle 7 e un quarto, più ricco di 410 km e ancora un’altra volta estremamente soddisfatto di Ombromanto, del modo francese di fare le cattedrali, di quello italiano di fare le moto e del mondo in generale.
Auxerre. La Cattedrale
Mersault
SETTIMO GIORNO – Chalon-Beaune-Nuit St. George
Il settimo giorno rannuvolò di brutto. Comincio la giornata “perdendomi” (di regola ci riesco benissimo anche non volendo, ma stavolta era voluto…) per stradine in mezzo ai vigneti: ci sono vari percorsi “turistici” molto ben indicati e comodi da seguire; il paesaggio è molto bello nonostante i vigneti ancora spogli, il vento invece fastidioso e la mattinata abbastanza uggiosa. Arrivato “perdendomi” dalle parti di Le Creusot mi metto sulla Nazionale per arrivare a Chalon; la scelta è pessima, buona parte del tratto è a carreggiate separate e pieno di camion. Se andate da quelle parti, consiglio di perdervi per vigneti direttamente dalle parti di Chalon che è meglio. Arrivo a Chalon alle 11 e 30: fa freddo, scendono alcune gocce. Forse anche per questo la città non mi impressiona granchè, non mi sento di suggerirne la visita, giro nemmeno una mezz’ora, poi mi metto in un accogliente bistrot e alla fine me ne rivado. Quando esco da Chalon (la cosa mi riesce eccezionalmente bene, senza perdermi nemmeno una volta…), è uscito di nuovo il sole e il clima è più mite, per cui mi “riperdo” per vigneti, stando stavolta attento a perdermi in direzione di Meursault, che voglio rivedere. Da lì ripasso per Beaune e poi punto a nord fino a Nuits St. George, un simpatico villaggio che come Meursault e Beaune è un “nodo” del commercio vinicolo locale. Prenoto in un albergo Logis De France vicino Beaune, che però ha posto solo per una notte invece delle due che volevo. Il resto del pomeriggio lo passo ancora per vigneti, bellissimi nella luce del pomeriggio. Un velo di tristezza mi accompagna, mentre viaggio per vigneti a velocità minima, il motore che fa le le fuse tranquillo, pensando a quanta gente, in questo momento, va in giro su una Honda o Kawasaki o Suzuki piena di valvole e sigle strane, e non saprà mai…..
Alla sera mi faccio un altro giro a Beaune, anche lei mai tempo perso. La giornata si fa ricordare anche per una mia genialissima manovra di parcheggio su brecciolino non ben livellato, che finisce come avete già intuito… la figura di merda è dolorosa, ma breve, un simpatico locale si ferma immediatamente e rialziamo subito la moto. Sicuramente si è chiesto come si fa a cercare di parcheggiare in un posto del genere. Ma come si dice (in senso figurato!): laissons tomber….
OTTAVO GIORNO – Citeaux-Digione-Nuits St. George
I Cistercensi erano in molte cose in aperta polemica coi Cluniacensi: ascetici quanto quelli erano “mondani”, fautori del lavoro manuale anche duro e anche durissimo quanto quelli erano seguaci del canto, sobri e poco appariscenti (arrivavano a non volere campanili) quanto quelli erano amanti di architetture sontuose; insomma, i Cistercensi erano gli “alternativi” dell’epoca. Il loro più famoso esponente fu quel Bernardo, Abate della “filiale” cistercense di Clairvaux, che abbiamo incontrato a Vezelay dare il via alla Seconda Crociata. La crociata, come sappiamo, finì in un massacro; Bernardo, che godeva all’epoca di un prestigio analogo a quello del Papa, divenne santo.
L’Abbazia madre, a Citeaux, è poco distante da Beaune e l’ho visitata questa mattina. Nulla resta degli edifici di un tempo, il tutto è piuttosto insignificante, inspiegabilmente il portone delle visite è chiuso in orario di visite! Mi faccio una passeggiata intorno, poi lascio da parte Citeaux senza rimpianti e mi dirigo verso la tappa principale di oggi, Digione. Digione va assolutamente visitata: un centro cittadino piacevolissimo e quasi sempre ben conservato, tre chiese di valore estetico e artistico assoluto (la più bella, secondo me, St. Michel), un Palazzo Ducale ammirevole anche se un “falso storico” (ai tempi della facciata dierna, XVII Secolo, il “Ducato” come entità autonoma non esisteva già più), ma soprattutto quell’atmosfera rilassata e da città ancora a misura d’Uomo che avevo già ammirato a Besancon o Auxerre, con bistrot a ogni angolo e gente che seduta ai tavolini a godersi il sole. A Digione passo buona parte del pomeriggio tra l’altro mangiando e bevendo molto bene, dopo un’ulteriore passeggiata mi rimetto in moto e dopo un’ ennesima cavalcata per vigneti visito Auxonne (da non confondere con Auxerre!). Auxonne ha la solita Chiesa molto bella (Notre Dame, gotica) e una simpatica cittadina con resti di mura del XVII secolo; Napoleone vi soggiornò come giovane ufficiale e anche io e Ombromanto (“Ombromanto è stato qui!”) ci facciamo immortalare davanti al Municipio. Da Auxonne ritorno a Nuits St. George, dove ho preso l’albergo per la “notte” mancante. Nuit St. George è anche lei una cittadina piccola ma simpaticissima, come Meursault in mezzo ai vigneti e quasi altrettanto bella.
Mangio in un bistrot il cui simpatico e assai loquace gestore, che dispone di una quantità immane di muscoli facciali e con vivacità chiacchierona mi dice che lui ha avuto 4 incidenti in moto prima di smettere (negato ma di buona volontà, penso…), viene da me informato che la Moto Guzzi, ebbene sì, esiste ancora! È stupito… Ormai ha messo su anni e chili, adesso colleziona bottiglie di vino e sembra soddisfatto così. La più pregiata che ha vale, dice lui, 3000 euro, racconta però di collezionisti ricchi, bottiglie da 30.000 o 50.000 euro, pazzie di una sera per magnati decadenti. Dio mio, quante Guzzi del ’59 si comprano con 50.000 Euro? E loro restano, anche dopo che le hai messe in moto una volta! E ancora: due bottiglie delle sue mi comprano un bell’Airone Sport finemente restaurato, ne avanza anche per un bell’olio pregiato, preferibilmente non del ’59! Bè, mondi differenti… tornando a casa comincio a favoleggiare, visto che costa così poco, di regalare a Ombromanto una sorellina o meglio una sorella maggiore…..
È bello, in una tiepida sera in Borgogna, i vigneti invisibili nel buio e tuttavia presenti nell’aria e nella dolcve atmosfera di una sera che promette l’estate, immaginarsi sopra un Falcone o Airone Sport. È un piacevole congedo da questo bell’angolo d’Europa che domani lascerò.
Auxonne. Municipio
Colmar
Digione
NONO GIORNO – Colmar
Alle 8 del mattino esco dalla mia stanza di ottimo umore e bello come il sole, per avere dal proprietario le chiavi del garage dove ho lasciato la moto per la notte. Scopro due cose: 1) non sono le otto, sono le nove, l’ora legale mi ha fregato ancora; 2) del gestore dell’albergo, (che tiene in ostaggio il mio purosangue!), nessuna traccia nonostante siano, appunto, le nove. Finalmente dopo circa mezz’ora il vicino tabaccaio informa me e la donna di servizio che aspetta di entrare che il tipo ha toppato clamorosamente con la sveglia (versione ufficiale che io non commento) e arriverà presto.
Il tipo arriva (non tanto presto); gentile e apparentemente sobrio, sicuramente riposato, si scusa educatamente e rilascia l’ostaggio, da me accolto con gioia di madre apprensiva. In sella al mio eroe mandelliano comincio, ormai alle 10, il mio viaggio di ritorno. Scelgo una via in parte analoga, in parte più a sud di quella percorsa all’andata. Un pò la rotta più a sud e a valle, un pò che in questi dieci giorni ha fatto molto caldo per la stagione, il paesaggio è diverso da quello dell’andata: alberi già con completo corredo di foglie, cespugli coloratissimi, molti giallo-“Delta Integrale”, peschi e ciliegi quanti ne volete, l’atmosfera è già più che primaverile e sarebbe perfetta con le distese verdi delle vigne (ma in quel caso farebbe troppo caldo). Lascio dunque la Borgogna e attraverso la Franca Contea (Besancon e Belfort) entro in Alsazia appunto dalla parte sud di Mulhouse, credo la culla delle Bugatti. È, tanto per cambiare, un’altra giornata scandalosamente bella. Lascio la statale e mi infilo una serie di stupendi villaggi in mezzo ai vigneti seguendo uno dei tanti percorsi turistico-commerciali (in realtà vogliono, è ovvio, che compri il vino) molto meglio indicati della Deutsche Weinstrasse. Nel frattempo le case di pietra – o intonaco – francesi hanno lasciato il posto alle per me ormai consuete case a traliccio, mostrando l’avvenuto attraversamento della “frontiera culturale”. Particolarmente impressionante e assolutamente d’obbligo è la “strada dei 5 castelli”, che dai vigneti ti porta nei folti monti ( o colline, ma belle toste) vicini appunto collegando 5 pittoreschi castelli. Dopo questa ennesima razione di bosco e vigneto punto dritto verso Colmar, graziosissima cittadina alsaziana e scrivo queste righe seduto all’aperto (ma fa un pò fresco…) in una piazza consistente interamente di case a traliccio il cui difetto è, semmai, l’immacolata perfezione della bellezza troppo tirata a lucido. Sia per euforia (ho anche trovato un buon albergo vicinissimo alla zona pedonale, Ombromanto è giá parcheggiato per la notte) sia per la voglia di farmi del male mi sparo ben due tartes flambées al formaggio. Chi conosce, sa….
Che dire di Colmar? Colmar è parte del vecchio territorio degli Alemanni, come Friburgo, Strasburgo e Basilea, una cultura tra le culture ma dove ti stupisci pur sempre di leggere e sentir parlare francese. Trovarsi in Alsazia e non visitare Colmar è come trovarsi a Lecco e non visitare Mandello. Non solo non sta bene; semplicemente, non si fa.
Le chiese sono chiuse, la batteria (giapponese!) della macchina fotografica mi ha appena lasciato, per cui niente foto…
Caro lettore Guzzista, se leggerai fin qui (e non credo, quindi è lo stesso…) consentimi un toccante dettaglio guzzistico. Il giorno in cui con Manfred entrai in Borgogna (vedi sempre “Douce France”) festeggiai i 10.000 km con Ombromanto, il mio purosangue di Mandello. Oggi, quasi esattamente dieci mesi dopo e il giorno in cui invece esco dalla Borgogna, festeggio i 20.000. Puntine platinate e spinterogeno, vecchi carburatori Dell’Orto, frizione rigorosamente non idraulica, 4 valvole ma per 2 cilindri… e una gioia a guidarla, quale prima di conoscere la Moto Guzzi non credevo nessuna moto potesse dare. Il mio purosangue rosso come la passione e come molte cose belle del mio Paese compie il prossimo 1. luglio 17 anni e ha tutta la voglia di vivere di un adolescente. Penso che gli farò un bel regalo, magari ruote a raggi o sospensioni di lusso, eventualmente rimandando la “sorella maggiore” di ieri. Vedremo.
Come l’anno scorso, consentitemi di chiudere così: grazie, Ombromanto!.
DECIMO GIORNO Riquewihr-Kaysersberg-ritorno
Altra mattinata nuvolosa, minaccia pioggia ma oramai me ne importa poco. Invece anche oggi, dopo due gocce due, un forte vento spazza via le nuvole. Quando arrivo a Riquewihr è una bellissima giornata, ma ventosa e un tantinello fredda. Riquewihr viene detta la “Rothenburg d’Alsazia” e, diciamolo subito, non vale l’originale ma si vede che si sforza; è, per dir così, la Raptor di Rothenburg. Molte case a traliccio, molte in via di restauro, una panetteria dove compro due croissant enormi e leggendari, un bel posto per passarci un’oretta.
Di lì mi reco nella vicina Kaysersberg, nota per avere dato i natali ad Albert Schweyzer, teologo, musicista e soprattutto missionario e benefattore. Kayserberg è molto idillica, nettamente più grande di Riquewihr ma senza mura e in piano, con un vecchio castello che domina il paese ricco di belle case a traliccio. Dopo imposizione delle mani (manipolazione metti-togli), la mia batteria resuscita, probabilmente era solo un contatto. Ne prendo spunto per tornare a Colmar, scttare alcune foto di più o meno orripilante banalità (tra cui l’immancabile foto dell’altrettanto immancabile “piccola Venezia”, tre canali in croce da queste parti sono sempre una “piccola Venezia”….), mangiare l’ultima tarte flambée accompagnata dall’ultima birra locale e mettermi in viaggio verso casa.
Stavolta risalgo l’Alsazia costeggiando il Reno: il paesaggio è piatto, direi tra il pontino e il maremmano per come li ricordo io e offre solo a tratti squarci di fiume, ma notevoli. Va tutto bene fino a Strasburgo dove al solito mi perdo, alla fine mi rimetto in rotta, raggiungo Wissembourg e alla fine sono di nuovo nella cara vecchia Germania “ufficiale”. Di qui provo senza successo a risalire lungo la famosa “Deutsche Weinstraße”, mi perdo un’altra volta; decido di fare una “sciatina fuoripista” e prendo una strada su per le vicine montagne che diventa sempre più bella e sempre più solitaria, finchè la strada finisce in un sentiero con davanti un cartello “divieto di accesso eccetto guardie forestali”. Torno indietro per 24 (ventiquattro) km e ritrovo l’imboccatura di questo incredibile binario morto, col cartello di avviso bello piantato che mi urla “cretino”. Non importa, è una bellissima strada che porta gli escursionisti nel cuore del Parco Naturale del Palatinato, ho imparato una cosa in più e me ne ricorderò la prossima volta. Ormai sono le 6 del pomeriggio, casa è lontana, comincia a fare fresco. Sempre deciso a evitare l’autostrada, vado per le spicce e mi scelgo le statali che, a occhio e orientandomi col sole, portano verso nord. Anche loro offrono uno stupendo panorama di vigneti e peschi e ciliegi in fiore. Però c’è un problema. In Germania, dove le autostrade sono tantissime e gratis, nessuno si preoccupa di mettere sulle statali segnalazioni che vadano oltre il prossimo villaggio. Risultato: a ogni incrocio puoi scegliere tra il paese Pinco e il villaggio Pallo, quindi o guardi a ogni incrocio la cartina o vai a naso. Decido di andare a naso, fallendo gloriosamente.
Finisce che alle 8 di sera imbrunisce già parecchio, fa abbastanza freddo, sono ancora ad Alzey e quelli a cui chiedono mi indicano…l’autostrada! Sì, vabbé, allora mi compravo una Suzuki…
Brancolando nel (quasi) buio, trovo un’indicazione per Oppenheim, sul Meno. Non so quanto è lontano ma mi ci ficco, da lì la strada la faccio a occhi chiusi. Che dire: era lontano….. Arrivo a casa a buio inoltrato, sono le 9 di sera esatte. Messa la moto sul cavalletto, nonostante il freddo resto lì ad ammirare Ombromanto. Capisco che è appena finita la più impeccabile vacanza in moto che abbia mai fatto, un ottimo mix tra mototurismo e turismoturismo, tempo bellissimo ma mai troppo caldo, Ombromanto impeccabile, problemi tecnici zero. Mentre do una pacca o due sul serbatoio del mio purosangue come faccio al termine di ogni viaggio (io le faccio queste cose, le faccio veramente! Io lo so, che lui capisce e apprezza!) lo ammiro alla luce della lanterna. E lì mi accorgo di avere, sul serio, freddo e fame.
Grazie, Ombromanto, perchè me li fai dimenticare….
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Appendice utile
Ho fatto circa 3700 km, consumo circa 16-17 km/litro.
La benzina in Francia può essere un problema, se non avete la carta benzina apposita. Le oscillazioni di prezzo sono enormi, anche 13-14 centesimi al litro per benzinai distanti poche centinaia di metri! Ottimi i prezzi dei benzinai dei supermercati, quando non sono chiusi, pagamento (per chi non ha la carta) sempre in contanti, dimenticate carte Bancomat straniere e carte di credito.
Dormire: quando possibile e utile, consiglio gli alberghi della catena “logis de France”: sempre buono o ottimo rapporto
prezzo/qualità, gente gentile. Molti di loro hanno anche il ristorante, che può essere di qualità variabile da semplice a molto raffinato.
Consultare www.logis-de-france.fr, inoltre c’è anche la catena “Logis d’ Italia” che ho già sperimentato con successo sulle Dolomiti.
Mangiare: in Alsazia ovunque cucina di stampo tedesco-mitteleuropeo. Tipici tra l’altro il formaggio Munster (bello tosto, per alcuni è ottimo, per altri puzza di piedi, a me piace…) e ovviamente la mitica Tarte Flambée, in più ci sono altre cose tipiche dal nome impronunciabile… In Borgogna la cucina si fa più raffinata e ovviamente più cara, i ristoranti offrono oltre alla “carta” (prezzi inavvicinabili) menù a prezzo fisso per importi variabili dai 12-14 ai 40 euro a persona bevande escluse (calcolate minimo altri 10 euro per vino, acqua, caffè). Chi non ha appena rapinato una banca può rivolgersi, specie di giorno, ai molti bistrot che hanno anche ottima birra alla spina.
Sempre per chi alloggia negli alberghi “Logis de France”, chiedere se si può avere la “soirée Etape”, pernottamento con cena e prima colazione ” a un prezzo sempre conveniente”.
Strade: pochissimo catrame, di regola strade ben tenute, asfalto di grana grossa, non molto confortevole ma adatto ai climi freddi. Fare attenzione al pietrisco sempre in agguato. Benzinai abbastanza scarsi. Potendo, cercare di usare le strade dipartimentali (D); le strade statali (N) possono essere di tutto dalla bella strada tutta curve al mostro rettilineo a due carreggiate.
Situazione agguati: il tutore dell’ordine nelle sue varie manifestazioni è molto presente (molti motociclisti della Gendarmerie), ma mai pericoloso (“vogliono solo giocare…”). Il gendarme o poliziotto locale risponde sempre al saluto e dà l’impressione di essere molto tollerante….
Criminalità: in Alsazia direi circa come in Germania, anche in Borgogna non mi sono mai preoccupato. In Provenza consiglio di non lasciare la moto fuori la notte. Non chiudere la moto viene considerato “pas normal”.
Clima: ho avuto molta fortuna, ma la temperatura è mediamente più alta che in Germania, io sono stato sui 20 o più in Borgogna tutto il tempo. Direi che aprile è forse il mese ideale, dopo diventa per i miei gusti giá troppo caldo.
Roberto Patrignani, motociclista, giornalista ma soprattutto Guzzista D.O.C.
a cura di Goffredo Puccetti e Aldo Locatelli
Ottobre 2002 E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…
Partendo da Roma di sabato mattina per un matrimonio in Maremma, e avendo fissato un appuntamento di lavoro a Milano per il lunedì successivo, voi come vi organizzereste per il lunedì mattina?
Se avete risposto: faccio una puntatina a Mandello, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Da quando avevo incontrato Roberto Patrignani alle GMG a fine settembre cercavo un pretesto per poter tornare a fare un salto a Mandello ad incontrarlo, e adesso ce l’avevo. Domenica sera arrivo da Aldo e Terry, ormai una sorta di istituzione per tutte le Anime Guzziste peregrine a Mandello, e l’indomani mattina appuntamento fissato con Roberto Patrignani, davanti ai cancelli di via Parodi, ovviamente.
Io e Aldo arriviamo puntuali e troviamo Patrignani che ci attende; strette di mano e si sale in macchina: la chiacchierata si svolgerà a casa sua.
– Ah, però vi devo chiedere una cortesia. Mi ha chiamato l’amico Perrone… per un articolo su Motociclismo d’Epoca e gli servono le date di nascita e morte del pilota Guido Mentasti, ve lo ricordate? Quello del Gran premio delle Nazioni del 1924 a Monza, con la 500 quattro valvole…
– ehm, veramente…
– Beh, le date gliele ho dette a memoria ma giusto per essere sicuri visto che è sepolto qui a Mandello… Vi spiace se ci fermiamo un attimo al cimitero che controllo?
La sosta fuori programma già ci fa capire che tipo sia Patrignani: motociclista, globe trotter, giornalista e scrittore, una vera enciclopedia della moto vivente!
Arriviamo a casa sua e subito ci sferra un colpo da knock-out:
Passiamo dal garage così vi faccio vedere delle belle moto…
Il Parco moto è notevole: una bellissima Ducati e una Morini da competizione, un Airone Sport perfettamente restaurato e la leggendaria Vespa del raid Milano-Tokio del ’64.
– La mia preferita. Non la venderò mai – ci dice accarezzandola con lo sguardo. Ci accomodiamo nella bella mansarda… Ai piedi del letto, su una mensola della libreria una splendida monocilindrica bialbero completa di carena. No, non un modellino: proprio una vera Moto Guzzi 350 da Gran Premio!
Allora, intanto chiamo Perrone e gli dico le date di Mentasti sennò poi mi dimentico… Dunque noi ci siamo visti al Museo e lei voleva fare quattro chiacchiere ma non ricordo più se siete una rivista, un moto club o…
Anima Guzzista è un sito internet…
Ahi, su internet vado male, eh… Mio figlio mi ha anche detto che mi ha installato la posta elettronica… l’email… Mah, io col computer francamente…
Beh, faccia conto che siamo una piccola rivista dedicata alle Moto Guzzi. Lei ne ha parecchie di storie da raccontare sulle Guzzi. Cominciamo dal Bol d’Or del 1971. Siamo a Le Mans… e sotto la tuta di Mandracci… c’è Mandracci o Patrignani??
Mandracci, Guido Mandracci! Guardi, lo scrissi anche pubblicamente, anni fa, credo su Motosprint. Mandracci finì a terra, di notte e riuscì a riportare la moto ai box. Mentre Brambilla girava…insomma, non è che ci piacesse l’idea di fermare una gara… Oh eravamo stati in testa dieci ore… E insomma ad un certo punto, e non mi ricordo neppure chi ebbe l’idea per primo, mi dicono: <<Patrignani, se Guido non si riprende, ti metti la tuta e vai te, eh… >> Io ero il responsabile della Squadra Guzzi, venivo dai Record di Monza, ero arrivato a Le Mans in moto, per dire, ed ecco che mi ritrovo gli sguardi di tutto il box adosso…
E invece?
E invece Mandracci risalì in moto e si fece tutto il suo turno. Finimmo terzi! Che gara! Che emozione…
Finimmo?
Finirono, finirono! Ho scritto che quel ricordo lo sento ancora ‘inquinato’ dal fatto che io ero lì pronto col casco in mano a fare quello che la squadra mi chiedeva, ma la tuta di Mandracci non la indossai. Lo avrei fatto, ah si’! Avrei barato sul regolamento pur di non fermare quella gara! Ma non fu necessario.
Ha accennato alla sessione dei Record di Monza del ’69…
Gran bella impresa, quella! Le confido una cosa: ci fu un momento, durante quella sessione che pensai: ci siamo, Roberto, ti han fatto lo scherzo della vita e ci sei cascato…
Cioè?
Quando arriva il mio turno, chiedo a Brambilla suggerimenti sulle traiettorie, specie l’ingresso in parabolica. Insomma eravamo lì per fare dei record, eh mica per altro… E lui tutto tranquillo mi fa: “Vai tranquillo Roberto, entra alto e tieni aperto”…
E lei?
E io l’ho fatto! Solo che quando mi resi conto della velocità con la quale stavo entrando in curva, dissi fra me e me: è la fine, adesso volo di fuori. E invece per effetto dello schiacciamento, della parabolica insomma, il motore perde un po’ di giri; quanto basta per tenerti dentro quella curva, ma proprio appena appena, eh! Pensi che ci fu Venturi, credo, che provò anche lui la V7 lì e dopo una sessione se ne stava tutto perplesso a rimuginare: – ma che cacchio di uccelli avete da queste parti? A duecento all’ora mi vedevo volare questi passerotti scuri sopra il casco… Erano pezzi di pneumatico, altro che passerotti!
Quell’impresa fu un bel colpo promozionale per la Guzzi e aprì le porte all’interpretazione in chiave sportiva del V7 di Carcano.
Sicuramente fu importantissima per la Guzzi. Mi ricordo un festone al Circolo della Stampa di Milano, per celebrare l’impresa. E i compensi che ci diede la Guzzi. Da capogiro! Cinquecentomila lire, se non ricordo male. Comunque una somma esorbitante. E comunque senz’altro quell’impresa, insieme ai vari test che seguirono in Usa e in Francia, a Monthlery, convinse la Guzzi a sviluppare il V7 Sport.
Lino Tonti: che tipo era?
Eh, un genio. Un appassionato. C’erano gli scioperi? I picchetti? Le parlo degli anni Settanta, eh, anni molto difficili. Insomma c’erano dei giorni che se entravi in fabbrica rischiavi di prenderle… E lui si assemblava il telaio in cantina, a casa sua! Per testare i prototipi, se trovava i piloti bene, altrimenti prendeva e usciva lui. Si spaccò anche il femore così, durante uno di questi suoi test a casa sua. Se non sbaglio dalle parti di Cattolica.
Lei oltre che tester è stato anche impiegato e dirigente in Guzzi…
Sì sì, all’Ufficio Relazioni Esterne. Ecco, guardi, le dico una cosa. Aspetti che trovo la lettera originale perchè c’è una cosa di cui sono molto orgoglioso… Ha visto come sta tornando bello il Museo Guzzi?
Sì, perché?
Perché quel museo, in parte, ho contribuito a farlo nascere… Ecco la lettera, vede?
Patrignani ci mostra una lettera indirizzata alla Dirigenza Guzzi nella quale segnalava lo stato disastroso dei modelli storici Guzzi che si trovavano sparsi, più o meno abbandonati, in dei grossi capannoni tra Mandello e Abbadia Lariana, e propone degli interventi per il loro recupero e restauro in vista della creazione di un Museo Guzzi.
Ecco, vede? E qui mi risponde: “bene, Patrignani, lei cosa ci consiglia, etc etc…” Le assicuro che l’interesse verso le moto d’epoca è cosa abbastanza recente. Fino agli anni sessanta ma anche un Dondolino o dei Gambalunga si trovavano a marcire nei capannoni… Con la vernice che faceva il fiore, uno spettacolo che non le dico… In Guzzi non ci si rendeva conto del patrimonio che si stava lasciando andare in malora. Poi, dopo, c’è anche chi se ne è approfittato…
Cioè?
Beh, in tutta franchezza… Arrivavano ogni tot mesi questi nuovi dirigenti che di Guzzi non ci capivano niente; però tutti ben disposti a mettere in piedi il Museo, pieni di buone intenzioni ma… Insomma se gli arrivava il tale x o y che gli proponeva, dico per dire, un’Airone bello bello tutto restaurato e luccicante e in cambio si offriva ‘generosamente’ di vuotargli un box da tutti qui rottami ammuffiti, che magari erano dei Gambalunghino… capisce?
Interessante. Mi ricordo una visita al Museo sotto la sapiente guida di Vanni Bettega che di fronte ad alcuni modelli rimuginava: “mah, questo è tutto rifatto…”
Esatto! Guardi, io voglio essere onesto al 100%. Io ho dato tanto e ho lavorato tanto per questa idea del Museo e, francamente, non posso dire di non essere stato ricompensato. Vede alle mie spalle? (alle sue spalle c’è la 350 Bialbero) Non è proprio una cosina da niente… Un’altra così è al Museo, appunto… Però ci sono state di quelle cose… Uff, lasciamo perdere che quando ci penso…
Comunque: ecco, questo, forse per vanità, mi piacerebbe che si sapesse: che ho dato un piccolo contributo alla nascita del Museo Guzzi.
A proposito, nostalgia del suo Gambalunga?
Eh, eh. No, perchè se non lo avessi venduto non avrei mai avuto la possibilità di tornare al TT…
‘Ti porterò a Bray Hill’. Uno dei libri di moto più emozionanti e sinceri che abbia mai letto.
La ringrazio, ma quando si parla di Tourist Trophy viene facile…
E parliamo di Tourist Trophy, allora.
Ah, io starei tutta la giornata a parlarne. Invece ho degli amici che non ne vogliono proprio sapere. L’amico Perrone, per esempio. Uh, che litigate. Lui è molto severo sul TT: tira fuori l’elenco dei morti e chiude le orecchie. Anche quando ci sono ritornato ancora nel 1996, altra litigata (sorride). Rispetto la sua opinione, per carità. Ho vissuto in prima persona momenti di tragedia al TT. Ho cercato di scrivere tutto e di essere onesto su tutto del TT. Ma c’è poco da fare… il TT lo devi vivere. Se penso a persone come Joey Dunlop che ho avuto l’onore, e dico l’onore di poter frequentare. È un mondo eccezionale. Ed è difficile per me esprimere un giudizio netto, drastico sul TT. Prendete Agostini, che pure fu alla testa dei piloti che chiesero il boicottaggio del TT per ragioni di sicurezza. Ecco, chiedetegli qual’è il circuito più bello del mondo e vi sentirete rispondere: Ah, il Mountain… Anche in Guzzi mi fecero uno scherzetto, alla rievocazione del 1996 o 1997, al Lap of Honour, dovetti cedere il numero 1 ad Alfio Micheli. Il TT di qui e il TT di là… poi all’ultimo: Patrignani non le dispiacerebbe cedere il numero 1? Ma certo che mi dispiace! Mah, insomma, per fortuna ero in ottimi rapporti con i manager di allora. Mi regalarono anche un bell’orologio, una serie limitata fatta per la Guzzi, per farmi stare buono (risate). Ma l’ho scritto poi, eh! Il mio fu un gesto di “forzata cavalleria”… Son finito pure nelle balle di paglia col Gambalunga, proprio a Bray Hill pur di non dargliela vinta, eh! Il Lap of Honour è una gara come le altre, altro che parata (risate).
La Guzzi di oggi e di domani. Lei è ottimista o pessimista al riguardo?
Ottimista, ottimista! Si vede che c’è un nuovo interesse, no. Qui a Mandello è proprio tangibile. Già in passato c’erano stati manager in gamba, eh. Mi ricordo i vari Sacchi, Lanaro, ma nessuno rimaneva a lungo quì! Adesso mi sembra che la nuova proprietà sia bella solida. Speriamo in una politica oculata di investimenti.
Come se lo immagina un nuovo motore Guzzi?
Mah, non saprei… O mi fanno un qualcosa di pazzesco, che so io, un 8 cilindri! Quello sì che mi emozionerebbe! Un bicilindrico longitudinale… non so, ormai ce lo hanno tutti… Insomma facciano loro ma ci mettano un po’, come dire, di ‘sapore’ Guzzi, ecco.
È ormai tempo di congedarsi. Aldo scatta qualche foto. Il fatto è che ogni angolo dello studio di Patrignani offre spunto per nuove chiacchierate e così tiriamo per le lunghe…
Ah, ecco il famoso Dingo Cross del Raid: Città del Capo-Alessandria…
Uh, ecco, le dico un’altra cosa, così mi libero la coscienza: i diecimila chilometri sono una esagerazione… Arrivato a 7000 ebbi un esaurimento nervoso, lasciai il ciclomotore in un box e… scappai! Giuro! Mi vennero a prendere in aeroporto, al Cairo… Uh, mi spavento ancora a raccontarlo (risate). Vedete, io pensai di partire da lontano e di fare il viaggio avvicinandomi verso casa. In genere invece tutti i grandi raid erano da casa verso qualche meta lontana. Ma io dopo aver fatto Milano-Tokio non me la sentivo di ritrovarmi in quelle situazioni nelle quali non solo sei a migliaia di chilometri da casa… ma continui pure ad allontanartici! Solo che non avevo fatto i conti con il bollino del Sudafrica sul passaporto… Sa, eravamo nel 1966. Ad ogni frontiera, ore, giorni di problemi, perquisizioni a non finire, interrogatori… Ecco, arrivato ad Asmara, stremato dai problemi per ottenere il visto in Sudan, crollai e tentai la fuga! 7000 e rotti, non diecimila chilometri quindi…
Beh, in ogni caso 7000 km su un Dingo!…
Ricordo che prima di partire l’Ingegner Carcano mi chiamò: -“Patrignani, ma per questa sua cosa in Africa, ma perchè non si fa adattare uno stornello tipo scrambler?” E non aveva tutti i torti.. Sapeste quante salite ho fatto a piedi, col Dingo che a mala pena arrancava stracarico com’era…
E sulle memorie africane ci congediamo, questa volta davvero. Potremmo continuare all’infinito: quì spunta una targa commemorativa del Coast to Coast – fatto con un ciclomotore Garelli – lì c’è una foto con Joey Dunlop, e così via. Ringraziamo sentitamente Roberto Patrignani per la simpatica chiacchierata e ci dirigiamo verso casa di Aldo, dove Terry ci ha preparato per pranzo un delizioso polletto farcito per concludere questa breve ma bellissima visita a Mandello. Ma non è finita; dopo il caffé, Aldo lascia cadere una proposta: -“Senti, se non devi essere a Milano troppo presto, facciamo in tempo a farci un giretto: ti faccio provare il mio Centauro…”
E così, prima di infilarmi in auto verso il grigiore di Milano, ci godiamo una piccola escursione bicilindrica sul Lungolago: all’andata il Centauro, al ritorno il Le Mans… (Grazie Aldo) È la botta finale, l’overdose di emozioni: una volta giunto a Milano, all’importante riunione di lavoro, non avrei poi capito molto e avrei parlato pochissimo: Varenna era diventata Bray Hill, la Ford Fiesta in tangenziale aveva lasciato il posto ad un V7 sulla parabolica… Sembra addirittura che dopo mi abbiano visto passare al casello con “pazzo abbandono”…
G.
Roberto Patrignani, motociclista, giornalista ma soprattutto Guzzista D.O.C.
Non è un bel mattino quello del 29 maggio 2002, dalle parti di Wiesbaden. Cielo del miglior grigioscuro, le previsioni dicono pioggia in mattinata.
Comunque lieto per la vacanza in moto che sta per incominciare, carico di buon’ora il fido Ombromanto (Guzzi 1000 SP2 “Spada”, in versione personalizzata) con le borse preparate la sera e prima delle 8 sono in partenza per Saarbrücken. I 200 km di noiosa autostrada che ci separano (la strada alternativa, molto bella, non viene in considerazione per ragioni di tempo) sono anch’essi grigi, circa 50 km prima di Saarbrücken arrivano le prime gocce di pioggia. Presto smettono: saranno anche le ultime.
All’arrivo vicino Saarbrücken mi aspetta il mio amico Manfred, felice proprietario di una BMW R85RT del 1990 pressochè nuova (nemmeno 20.000 km) e tenuta con teutonica cura. La mia aquilotta, sporca già all’inizio del viaggio, mostra con eleganza le diversee aree culturali di appartenenza….
Ad attendermi però c’è non Manfred, ma … sua madre, presso la quale il Nostro, che lavora a Monaco, lascia la moto. La BMW ha problemi, Manfred è già dal meccanico, tornerà tra poco.
Dopo una mezz’ora appare il compagno di viaggio: la moto è stata un pò “rispolverata” dopo la lunga inattività: carburatori smontati e ripuliti, nuove candele, ora il motore gira tondo e rassicurante, con quell’aria di sfida al tempo che il boxer BMW trasmette così bene.
Si parte subito in direzione Francia, e qui purtroppo non potrò essere molto d’aiuto al lettore perché io seguivo, ma insomma si viaggia per piacevoli strade statali e provinciali, con pochissima autostrada, in direzione Digione. Dalle parti di quest’ultima il paesaggio cambia, i vigneti si fanno più frequenti, il paesaggio molto “sudeuropeo”, tra l’altro c’è una bella luce pomeridiana che molto dona ai vigneti. A Beaune, il centro vinicolo della Borgogna (perchè è qui che ci troviamo) ci fermiamo per la prima vera pausa dopo il pranzo “al sacco”, ci godiamo davanti a un caffè l’atmosfera rilassata della cittadina piena di turisti (soprattutto tedeschi per via del “ponte” della festività del Frohnleichnam, (che credo sia il Corpus Domini ma forse no), poi ci mettiamo per tempo a cercare un posto per la notte. Manfred ha un altro modo di intendere la vacanza in moto: faticatore e spaccachilometri io, rilassato e vacanziero lui. Questa vacanza abbiamo deciso di prenderla comoda, più vacanza “con la moto” che vacanza “in moto”. La mia vera natura verrà fuori prima della fine del viaggio….
A Meursault, dalle parti di Beaune, troviamo una degna possibilitá di pernottamento e un molto migliore ristorante nella forma dell’Hotel Du Centre, membro di quella meritevole organizzazione chiamata “Logis de France” e che in generale mi sento di consigliare. Della serata mi restano in mente, oltre alla piacevole conversazione con un amico di molti anni che causa trasferimento vedo solo raramente e al pasto impeccabile, la discussione di un gruppo di tedeschi a un tavolo vicino, prima quieti e sereni in stile vacanziero, poi più accesi, poi decisamente agitati, infine più o meno apertamente urlanti. Clima mediterraneo, insomma. Concludo la giornata dicendo che segna i primi 10.000 km da me fatti con la mia aquilotta, A.D. 1986, ritirata il 1. febbraio e usata solo nel tempo libero.
Buonanotte, Ombromanto….
La mattina seguente è bellissima. Dopo una buona ma in stile francese non troppo abbondante colazione ci mettiamo in marcia verso sud. Ai vigneti della prima parte del viaggio, molto belli nella mattina di primavera avanzata (passiamo anche per Cluny, che ci impressiona ma non abbastanza da spingerci a fermarci a lungo) seguono paesaggi via via più aspri, quando da Macon decidiamo di aggirare Lione da ovest e scendere verso sud dalla parte di Clermont Ferrand non senza una breve sosta a Cluny.
Quello che segue è un bellissimo pomeriggio di curve nel territorio chiamato comunemente “Ardèche”, anche se per me lo spasso è cominciato già nel dipartimento Haute Loire ed è proseguito, dopo il dip. Ardèche, in quello di Drome. Ma il tempo passa e abbiamo una camera già prenotata molto più a sud; ci buttiamo sull’autostrada e ne usciamo ad Orange dopo una rapida cavalcata.
Qui il paesaggio è completamente cambiato. Fa più caldo nonostante la sera che inizia, la vegetazione è diversa, più cespugliosa (ma non mancano i vigneti), pochi alberi, in un modo strano mi ricorda la campagna romana ma non rendo l’idea. Mi dice il mio esperto amico che questo paesaggio si chiama “garrigue” ed è tipico del posto, mi ha detto anche da dove viene il termine ma Alzheimer avanza…. Alle otto e mezza circa e dopo circa 640 km arriviamo a destinazione, una incantevole casa colonica ristrutturata ad albergo dalle parti di Alès. L’albergo-ristorante viene gestito da una ex collega di Manfred, che ha lasciato baracca e burattini a Monaco per venire a stare qui col suo uomo. Dopo avere mangiato abbondantemente e chiacchierato fino a ora tarda in un misto di tedesco e francese di qualità variabile (bene lui, male io…) poniamo termine al secondo giorno di viaggio. Fin qui in 2 giorni 1200 km, bei percorsi, bel tempo, bei posti, tutto a posto.
La mattina del terzo giorno essi si riposarono, perchè la mattina era bella, il giorno prima avevamo girato molto e fatto molto tardi, e una chiacchierata di quà, un ricordo dei vecchi tempi di là, quando partiamo sono le 11 e 40 e il sole picchia già duro.
Così tanto che dà alla testa al buon boxer, che all’improvviso regola autonomamente il minimo sui 4500 giri senza apparente motivo. Constatato che il cavo del gas (mia prima diagnosi ahimè frutto dell’esperienza) non è il responsabile, arrivati nel vicino, idillico paesino di *****-la romaine (nota per le rovine romane e per la disastrosa inondazione del settembre 1992, su cui Manfred riferì come inviato della radio tedesca) ci affidiamo ad un meccanico non ufficiale.
Dottore, è grave? No, no, solo un colpo di sole dei carburatori dovuto alla differenza di temperatura con la Germania. Il nostro “medicine man” procede semplicemente a una nuova regolazione e messa a punto, dopodichè ce ne andiamo soddisfatti. Stimato lettore Guzzista, l’episodio ci insegna due cose. Primo: le vecchie moto hanno un grosso vantaggio: ripari tutto in loco e puoi sempre ripartire, invece provate a rompere una moderna centralina elettrica nel sud della francia e mi raccontate. Secondo: se una Guzzi e una BMW, entrambe non più giovanissime, sono in missione e una delle due ha problemi, non è per forza la Guzzi..:-))).
Con le moto a posto si può affrontare il clou della giornata: Mont Ventoux. Lo prendiamo dalla parte opposta a quella del Tour, poche scritte per strada e di ciclisti sconosciuti. La strada è molto bella, non molto impegnativa perchè molto larga ma sempre interessante. Arrivati in cima il panorama è di quelli rari, fino alle Alpi (e si vedono) e al mare (non si vede, leggera foschia).
La discesa dal Mont Ventoux mostra ciò per cui il posto è famoso: il gotha del doping su pedali italiano e internazionale (allez Virenque! Pantani!) è immortalato per terra; lo sfortunato Tommy Simpson, qui morto, è invece immortalato da una lapide.
La discesa invece delude: catrame liquido in mezzo ai tornanti, brecciolino non ancora pigiato dallo schiacciasassi ovunque, condotta prudente e guida poco divertente.
Continuando dopo il Mont Ventoux facciamo una strada bellissima verso sud che pare non finire mai. A Lourmarin, paese molto idillico e già noto al mio amico esperto di cose francesi, finiamo prima noi e decidiamo di fare tappa. Alloggiamo nell’altrettanto idillica Villa Saint-Louis, idillico alberghetto ex sede della Gendarmerie, con un giardino, una terrazza e un panorama da sogno. In questo posto (Lourmarin, non l’albergo…) è sepolto Albert Camus e qui vive sua figlia; dopo un pò capisci che è non solo un bellissimo posto per esserci seppelliti, ma anche prima. La serata è piacevolissima e prevede aperitivo al tavolino, passeggiata, cena al locale ristorante “La récreation” (molto buono), altra passeggiata, altro liquorino. Quasi a mezzanotte non c’è ancora bisogno del maglioncino, una bellissima serata di inizio estate che mi ricorderò.
E venne l’ora fatale, l’ora segnata dal destino, l’ora ecc.. ecc..
È l’alba del quarto giorno, i nostri eroi sono in ritardo sulla tabella di marcia: rinunciare alla costa e tornare indietro oppure marciare avanti imperterriti, incuranti delle conseguenze?
!Allons enfant de la Patrie!” Decidono i nostri. Ca ira, ca ira, ca ira!
Ci dirigiamo verso sud, arriviamo alla costa a St. Raphael. Cemento ovunque, corruzione a gogò, “le mani sulla città” in versione viveur. Mano a mano che ci allontaniamo dal centro di St.Raphael, il cemento lascia il posto a ville nel verde e sul mare di una bellezza discreta ma ciononostante quasi abbagliante; il giorno bellissimo, il mare, il cielo fanno il resto, la Germania vince giá 3 a 0 contro l’Arabia Saudita, peccato che sotto le tute di pelle faccia un tantino caldo…
Incontriamo l’Esterel, con le rocce rossastre stranissime, e arriviamo fino a Cannes.
Quivi giunti, dopo l’obbligatorio giro per un anonimo, ipercementificato pezzo di lungomare noto come “Croisette” e dopo una pausa di rifornimento per destrieri e prodi cavalieri, proseguiamo per prendere, di lì a poco, la strada che tu, lettore benigno e paziente, hai già immaginato: la Route Nationale 85, meglio nota come Route Napoleon.
Che dire di questa strada? Una cosa sola: ci tornerò, e di belle strade ne ho viste non poche.
Dalla costa verso Cogne, da lì verso Digne, tutto un susseguirsi di curve in un paesaggio che dire spettacolare e pittoresco è banale, ma inevitabile. Incrociamo les Gorges du Verdon, che non abbiamo il tempo di percorrere e questo è l’unico cruccio del viaggio. A Digne andiamo avanti e arriviamo a Sisteron, dove ci facciamo accogliere dal locale “Logis de France” che ha anche il parcheggio recintato (attenzione: nel Sud della Francia il furto è una realtà). Sisteron si rivela una cittadina molto piacevole, anche se non così mediterranea come Lourmarin. La Francia ha perso col Senegal, la gioventù locale beve per dimenticare o forse avrebbe bevuto lo stesso, non lo so, non lo chiedo, con modestia mi accontento che abbiano perso…
Decidiamo il da farsi. L’indomani è l’ultimo giorno, io devo tornare a Wiesbaden, Manfred a Saarbrücken, in più ha un appuntamento con un amico vicino Lione per fare il resto della strada assieme. Per me è un allungo notevole, in più è tutta autostrada, decido di prendere la strada “diretta” verso nordest, ma condirla il più possibile a modo mio.
Domenica mattina, dopo essermi salutato con Manfred, comincia la giornata più incredibile della mia carriera motociclistica. Prima parte: 5 ore e 330 km, prima una stupenda Route Napoleon fino a Grenoble, poi strade statali per Chambery, Annecy, quasi fino a Nantua.
Da qui comincia la seconda parte: 710 km quasi tutti di autostrada fino a casa, anzi sarebbero stati tutti ma sbaglio l’uscita a Mulhouse, mi incasino credendo che Gourzwiller sia in Germania, poi faccio la statale fino a Colmar, da dove rientro in Germania. Il traffico del ritorno da un ponte festivo mi rallenta, ma non può frenare la corsa mia e di Ombromanto, purosangue di Mandello lanciato contro il vento come un eroe futurista, in autostrada fino a 180 di tachimetro (da prendere con le molle, diciamo 165 effettivi).
Dopo 13 ore e mezza di viaggio, senza avere nemmeno mangiato perchè quando guido non ho fame e anche per evitare sonnolenze, con l’unico aiuto di 3 lattine di Coca Cola non dopate e di un fantastico, incredibile Ombromanto, arrivo a casa senza nemmeno avere male al sedere (apparso brevemente un paio d’ore prima, poi scomparso: Mr. Endorfina, I suppose?…).
Mentre, in fase di arrivo, procedo al graduale raffreddamente del motore rallentando progressivamente e poi lasciando il motore girare al minimo per un paio di minuti per evitare lo shock termico, penso a che materiale ho per le mani, quanto è adatto al turismo, quanto é affascinante il suono, come è adatto il motore, come è robusto il telaio.
La Guzzi non produce più moto da turismo.
Che volete farci. Non piace al marketing.
Bella vacanza, con un caro amico, bel tempo e una moto eccellente.
Da domani si torna al lavoro. Ma con dei ricordi in più.
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Appendice
Consigli utili per chi viaggia in Francia
a) paese sostanzialmente disabitato tranne i grandi centri, pochissimo traffico, fantastico.
b) asfalto molto duro nella francia centrale e orientale, ottimo perchè non bisognoso di rammendi col catrame.
c) fare benzina presto, anzi prima, anzi adesso! Sì, proprio quel benzinaio lì! Avere sempre dietro banconote da 5 e 10 euro. Pregare che il prossimo benzinaio sia aperto (se la preghiera era intensa, alle volte succede…..).
d) stare attenti ai furti.
Le Moto Guzzi da corsa degli anni cinquanta, da uno a otto cilindri
Conferenza tenuta dall’Ing. Giulio Cesare Carcano il 5 novembre 1988 al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, Milano. Monografia Aisa 4
Grazie a Lorenzo Boscarelli dell’AISA (Associazione Italiana della Storia dell’Automobile)
Parlare dei tempi trascorsi alla Moto Guzzi e, particolarmente, delle moto da corsa, è per me un onore e un piacere. Il tema riguarda le Moto Guzzi degli anni ’50, ma ritengo utile premettere una breve carrellata su quello che erano le Moto Guzzi da corsa prima degli anni ’50, ma con ricordi non così diretti per il periodo anteriore al 1936, anno in cui cominciai a lavorare alla Moto Guzzi.
Fin dagli inizi, la Moto Guzzi fu caratterizzata della originalità delle sue soluzioni, originalità spesso felice, qualche volta meno, ma certamente fu una macchina che precorse i tempi, basti ricordare il Campionato d’Europa del 1924, vinto a Monza dal compianto Nino Mentasti, per capire come allora la Moto Guzzi precorresse i tempi. Infatti, quel motore monocilindrico aveva la distribuzione monoalbero a quattro valvole in testa, la lubrificazione forzata con doppia pompa di mandata e recupero, soluzioni che sarebbero divenute di uso generalizzato sulle altre motociclette solamente molti anni dopo. Aveva, inoltre, la biella tubolare, un piccolo capolavoro di lavorazione meccanica, se pensate che questa era forgiata piena e poi forata.
La moto usata da Mentasti per aggiudicarsi il Campionato d’Europa era particolarissima perché non aveva cambio. Mentasti, infatti, aveva provato con il cambio a tre velocità comandato a mano, come si usava allora, ed aveva constatato che poteva girare a Monza in presa diretta senza usare il cambio, con qualche inconveniente nei punti in cui il cambio si sarebbe rivelato utile, per esempio alla partenza o alla prima curva di Lesmo; ma, a prove fatte, decise di correre quella corsa con la macchina in presa diretta ed, infatti, nei primi giri, pagò qualcosa in tempo e distanza per la difficoltà ad entrare in velocità con una moto di quel genere senza cambio.
Un fatto curioso è che lui si permetteva di circolare per le strade di Mandello e di andare al caffè con questa macchina senza cambio, che solo lui riusciva e a far partire e a governare, tant’è che nessuno degli altri corridori usò mai una macchina di quel tipo senza cambio.
Negli anni successivi, va ricordato il trionfo della Moto Guzzi nel 1935 con Stanley Woods all’isola di Man, quando, per la prima volta, una motocicletta da corsa utilizzò su quel circuito il telaio elastico, per altro già adottato su qualche moto civile, ma il cui impiego su moto da competizione era praticamente inesistente. Stanley Woods era uno specialista del Tourist Trophy, che vinse la bellezza di 14 volte. Si trattava di un circuito difficilissimo che, quando vi andai per la prima volta nel 1950, mi lasciò esterrefatto per la possibilità di ottenere medie così elevate su una strada con fondo asfaltato, ma molto granuloso ed ondulato, sulla quale quindi l’andatura della macchina, specie nei tratti veloci, era molto incerta ed inoltre con la caratteristica pericolosissima della continuità di muretti di pietra che fiancheggiavano la strada. Se un pilota cadeva dalla moto, si faceva veramente male ed era fortunato se poteva raccontare la sua caduta. Ho visto delle abrasioni e delle mutilazioni impressionanti provocate da cadute su quel circuito, che ha il triste primato di 130 centauri che hanno perso la vita in corsa o durante le prove.
Nel 1937, due anni dopo la vittoria di Woods, Omobono Tenni compiva un’impresa memorabile con la 250, vincendo la sua categoria, primo corridore “straniero” ad aggiudicarsi una prova nel Tourist Trophy. Tra le moto degli anni ’30 va ricordata anche una quattro cilindri di 500 cc con compressore, raffreddata ad aria, costruita nel 1931, una macchina che, in pratica, non corse mai; avrebbe, infatti, dovuto correre il Gran Premio di Mona, ma fu ritirata prima di correre. Il motore era ad aste e bilancieri, con teste di ghisa, molto pesante, non facilmente guidabile, e con una potenza non sufficiente per controbattere la Norton che, allora, era la macchina all’avanguardia e che, infatti, si aggiudicò quel Gran Premio delle Nazioni con Piero Taruffi.
Nel 1932, Carlo Guzzi ebbe l’idea di costruire la bicilindrica a V di 120°, utilizzando due cilindri della 250 cc ad asse a camme in testa, nata nel 1927, che aveva dato prova di avere un ottimo motore sia dal punto di vista del rendimento che della tenuta. Questa macchina di 500 cc è stata una di quelle che ha più resistito all’usura del tempo come macchina da corsa e, infatti, dal 1932, con modifiche successive che hanno interessato telaio, testate, ecc. ma mantenendo sempre lo schema originario, restò attiva fino a dopo il 1950.
Prima della guerra, era consentito l’uso della sovralimentazione ed il problema che ci si era posto alla Moto Guzzi era quello di avere qualcosa di efficace per controbattere la Rondine, costruita a Roma dalla C.N.A. ad opera dell’Ing. Gianini, poi diventata Galera con una storia strana che non tutti conoscono, nel senso che ci furono delle trattative tra la C.N.A. e la Guzzi per l’acquisto di quella macchina, ma Carlo Guzzi pose un veto su questa ipotesi di accordo perché non concepiva che esistesse una Guzzi che non fosse progettata alla Moto Guzzi; e così la Rondine finì alla Gilera ottenendo i successi che tutti ricordano, grazie anche alle successive elaborazioni, prima col compressore, poi senza compressore. Alla Moto Guzzi ci si pose, quindi, il problema di avere qualche cosa di efficiente da contrapporre a questa macchina. Carlo Guzzi prima della guerra aveva messo in cantiere due soluzioni entrambe sovralimentate: la prima era una tre cilindri in linea a doppio asse a camme in testa e compressore Cozette. Questa macchina fece la sua apparizione sul circuito di Alessandria ed all’ultima corsa di campionato a Genova con Sandri, ma si rivelò molto pesante ed ingombrante e, probabilmente, non avrebbe potuto essere sviluppata ulteriormente.
L’altra soluzione che era stata studiata consisteva in un motore bicilindrico a V di 120°, sempre sullo schema del noto bicilindrico raffreddato ad aria, ma raffreddato a liquido e dotato di compressore. Questo motore fu provato in sala prove con risultati soddisfacenti, però venne giudicato troppo ingombrante, cosicché non venne nemmeno realizzato un telaio in grado di accoglierlo e non scese mai in pista. L’idea di raffreddare a liquido un motore di quel genere sovralimentato era buona nel senso che le precedenti esperienze fatte nel 1931 con la quattro cilindri raffreddata ad aria ed anche col tre cilindri successivo avevano dimostrato come il raffreddamento ad aria di un motore sovralimentato fosse un problema di non facile soluzione.
Questo, sinteticamente, fu quanto avvenne in campo sportivo alla Moto Guzzi negli anni anteriori al 1936, quando vi entrai come dipendente. Mi sembrava di aver realizzato un sogno; infatti, fin da bambino, io vivevo a Mandello d’estate, ero diventato molto amico di Ulisse, figlio di Carlo Guzzi, e ricordo che con lui andavano di straforo in motocicletta quando ancora avevamo i calzoni corti.
Il successo della Moto Guzzi nel Tourist Trophy 1935 mi aveva particolarmente colpito ed era stato per me veramente un piacere il fatto di poter entrare nell’azienda, finito il servizio militare, nel 1936. I miei primi lavori riguardarono le forniture di motociclette all’Esercito; venivano realizzate moto a telaio elastico, alcune potevano montare anche la mitragliatrice, ed un motocarrino anch’esso con possibilità di portare la mitragliatrice. Molti progetti venivano portati avanti per i militari, tra i quali ricordo l’attuale generale Garbari, allora giovane tenente, che ci proponeva nuove idee.
Dal 1936 al 1940, erano già in auge le corse per i corridori di seconda categoria, prevalentemente sui circuiti cittadini, organizzate dai vari MotoClub, e a quelle corse partecipavano corridori che avevano una macchina propria. Ricordo che allora la 500 in vendita di tipo sportivo adatta a queste corse era il tipo “C”, derivato dal tipo “W”, che si distingueva per il doppio scarico e quattro marmitte; era una macchina relativamente poco potente e molto pesante, che per questo non ebbe grande successo. Uno dei miei primi lavori in campo sportivo alla Moto Guzzi fu di derivare da questa macchina il “Condor”, che era una 500 cc ad aste e bilancieri, che arriva a dare 27+28 cavalli, a 5000 giri, pesava 130 Kg e risultava molto più maneggevole e meglio frenata della tipo “C”.
Ricordo una corsa che ebbe per me un particolare rilievo: il Circuito del Lario del 1939. Si trattava, come gli anziani ricordano, della corsa di casa, perché disputata proprio sull’altra sponda del lago su un circuito stradale impensabile ai giorni d’oggi, con gran parte del fondo non asfaltato, spesso con ghiaietto, sul quale era difficilissimo guidare una macchina molto potente. Questo circuito ci aveva insegnato negli anni precedenti come macchine di potenza inferiore, ma più maneggevoli, fossero avvantaggiate e a tale proposito ricordo le vittorie della Bianchi 350 di Nuvolari e di Prini con la Moto Guzzi 250. Macchine meno potenti delle Norton e delle Sunbeam a delle stesse Moto Guzzi nella classe maggiore, potevano, su questo circuito, sperare di ottenere la vittoria assoluta.
Il Circuito del Lario del 1939 si presentò per noi con una scelta da fare: allora si poteva correre col compressore ed il carburante era benzina o benzolo e noi avevamo una 250 monocilindrica molto a posto, molto competitiva, con la quale si poteva sperare di vincere il circuito nella massima categoria. L’avversario da battere era la Gilera 4 cilindri compressore, affidata a Dorino Serafini, prima guida Gilera, che era un pilota molto adatto ad una macchina di quel genere. Ricordo che, con Nello Pagani e con il “Condor”, godevo di pochissimo credito nella stessa Moto Guzzi, perché c’era moltissima gente che riteneva impensabile che, con una macchina di 28+30 cavalli, si potesse competere con una macchina di potenza doppia o più che doppia, sia pure su un circuito non molto veloce, ma dove la stabilità e la maneggevolezza contavano molto. Devo confessare che io stesso avevo qualche dubbio e ricordo che più volte Pagani ed io andammo al mattino presto sopra Civenna in un punto dove si poteva cronometrare il tempo impiegato da Civenna al Ghisallo e, con mia sorpresa, vidi che Pagani in quel tratto, soprannominato “le scale del Ghisallo”, era in grado non solo di non perdere, ma di guadagnare qualche secondo sui rivali più agguerriti. Tenni non poté partecipare a causa delle conseguenze di una rovinosa caduta che aveva avuto durante le prove, Sandri corse e vinse con la 250 compressore, ma la corsa fu memorabile per il duello a distanza (le partenze al Lario erano separate) tra Pagani e Serafini.
Pagani riuscì a vincere con il “Condor” il Circuito del Lario, l’ultimo che fu disputato stabilendo anche il record sul giro.
Questo fatto tecnicamente fu molto importante perché mi convinse che la sola ricerca della potenza massima nei motori era una via pericolosa, talvolta necessaria, ma che non bastava disporre del motore più potente per vincere su tutti i circuiti; era altrettanto importante disporre di una macchina che fosse ben frenata, stabile, facile da guidare, e che avesse in definitiva tante qualità più facilmente ottenibili su di un mezzo leggero che su uno pesante.
Ricordo ancora l’ultima corsa disputata prima delle guerra, a Genova, dove venne schierato, dopo il debutto avvenuto ad Alessandria poche settimane prima, quel tre cilindri con compressore di cui ho già parlato. In quella corsa s’impose Ferdinando Balzarotti, che proveniva dalla seconda categoria, e che divenne così un corridore ufficiale Moto Guzzi per i Gran Premi.
IL DOPOGUERRA
Durante la guerra, alla Moto Guzzi cessarono le prove e gli esperimenti e, alla ripresa, la formula venne cambiata, il compressore non era più ammesso nelle competizioni e, quindi, fu necessario rifarsi una mentalità. Risale a quell’epoca il mio incontro alla Moto Guzzi con due validi collaboratori: il “Moretto” Agostini, conosciuto su tutti i campi di corsa, mancato nel 1988, all’età di 87 anni, che era il capo dei motoristi e dei meccanici del reparto corse, e Carlo Bacchi, forse meno noto all’esterno, ma molto bravo nello sviluppo dei motori sia normali che da competizione, che vive tutt’ora a Lecco.
Nel 1945, ricominciarono le competizioni con i circuiti cittadini, praticamente si correva ogni domenica, specie nell’Emilia Romagna, dove la passione per la motocicletta non era mai venuta meno. Il primo lavoro che feci nel dopoguerra fu una elaborazione del “Condor”, che venne un po’ alleggerito e potenziato, arrivando a 28+30 cavalli, a 5000 giri. La moto così modificata prese il nome di “Dondolino” e, con le successive modifiche, arrivò ad avere 31+32 cavalli a 5500 giri. Devo ricordare brevemente il Gran Premio delle Nazioni corso a Milano attorno alla Fiera campionaria nel 1946, che fu, a mio parere, una corsa notevolissima perché gli organizzatori ebbero l’adesione della Norton che iscrisse Harold Danieli e Bell, famosi campioni, della Gilera che schierava sulla 4 cilindri Bandirola, passato anche lui dalla seconda alla prima categoria, ed il “Saturno”, macchina monocilindrica elaborata nel dopoguerra dall’ing. Salmaggi, che ne era il padre, che era la classica antagonista del nostro “Condor” sui circuiti di seconda categoria.
Gareggiavano per i colori della Moto Guzzi tra gli altri: Balzarotti, che portava in corsa il Gambalunga – che era un’ulteriore evoluzione del “Condor”, con un telaio più leggero, una nuova forcella, dei freni più efficienti – e Lorenzetti, per il quale alcuni mi rinfacciavano una simpatia smodata. Lorenzetti l’avevo conosciuto prima della guerra; lo ricordo nella prima corsa della stagione 1937, ai primi di marzo a Verona in occasione della fiera dei cavalli. Lorenzetti allora aveva una Triumph 250, una macchina minuscola, molto piccola per lui, molto alto e magro; subito mi impressionò il suo stile di guida e il suo modo di ragionare, raro per un corridore. Lorenzetti normalmente partiva male, faceva i primi giri perdendo qualcosa sui primi, poi trovava la possibilità di riguadagnare, si avvicinava nel finale e, nell’ultimo giro, vinceva. Spesse volte vinceva non per merito suo ma per errore degli altri. Un corridore che si trovava in testa, quando gli veniva segnalata la rimonta di questo strano avversario, era indotto a sbagliare. Lorenzetti era strano perché allora la mentalità era certamente diversa da quella dei corridori attuali e lui fu il primo corridore “razionale”. Già prima della guerra, Lorenzetti aveva acquistato una 250 ed una 500 che si metteva a punto da solo, con il nostro aiuto saltuario, ed era caratteristico l’arrivo sui campi di gara di Lorenzetti con il suocero, che gli faceva da meccanico, seduto sul parafango posteriore della moto da corsa, portando con sé una cassettina con dentro non si sa cosa e che, arrivato sul posto, prendeva i tempi e faceva tutto il necessario.
Questa caratteristica figura di Lorenzetti ebbe la sua conferma negli anni ’50, quando divenne l’uomo di punta della Moto Guzzi, e collaborò con noi sia nella preparazione delle macchine che come corridore, ottenendo diversi campionati italiani, il campionato del mondo della 250 e molte vittorie internazionali. Tornando alla corsa disputata attorno alla fiera Campionaria, questa fu caratterizzata dal fatto che, contro gli inglesi della Norton, noi avevamo schierato Freddie Frith, un grande campione, cui era stata affidata la bicilindrica. Questo corridore era stato ingaggiato dal nostro presidente Giorgio Parodi, ma gli inglesi non si trovavano bene sui nostri circuiti cittadini, molto diversi dalle piste sulle quali erano abituati a correre e così né Daniell né Frith fecero nulla in questa corsa, che fu accesa da un iniziale duello furibondo tra Tenni con la nostra bicilindrica e Bandirola con la Galera 4 cilindri.
I due si scontrarono così irruentemente che, dopo un terzo di gara, si trovarono fuori entrambi e Balzarotti, che seguiva col Gambalunga, presa la testa. Lorenzetti era in 4° o 5° posizione, essendo partito male come suo solito, ma stava rinvenendo. Continuando a recuperare, al penultimo giro passò a mezzo secondo da Balzarotti e, quindi, ci si aspettava un arrivo tra i due drammatico; di fatto, però, Balzarotti, sotto pressione per resistere all’attacco di Lorenzetti, cadde nella curva di fronte all’ingresso principale della Fiera, Lorenzetti riuscì a non investire Balzarotti, ma non riuscì ad evitare la motocicletta, cadde anche lui, dovette rialzarsi e rimettersi in condizioni di ripartire perdendo secondi preziosi e così la corsa fu vinta da Artesiani sul “Saturno”.
Tra i piloti che meglio conobbi, debbo ricordare Omobono Tenni, un uomo che aveva due caratteri, assolutamente contrastanti. C’era il Tenni giù dalla motocicletta, che era un uomo pieno di buon senso, un ragionatore, un calmo, ed il Tenni sulla motocicletta, che era assolutamente irriconoscibile, era un uomo che doveva andar forte in qualunque condizione. Ho parlato tante volte con lui e ricordo che una volta mi disse: “Tu pensi che la gente vada a vedere le corse in motocicletta per vedere se vince Moto Guzzi o Gilera? No..! la gente va a vedere le corse perché vuole vedere andar forte, quindi uno che è davanti e va piano tradisce il pubblico, e quindi un “campione” deve sempre dare il massimo, anche se perde la corsa, anche se va contro il proprio interesse”. A questo proposito va ricordata una gara di Campionato Italiano, corsa a Bologna attorno ai giardini di villa Margherita, nel corso della quale ci fu una terribile battaglia tra quattro Moto Guzzi con compressore e tre Benelli, battaglia che fece una quantità inopinata di vittime perché della squadra Guzzi arrivò solo Tenni. Infatti, Sandri, che era di Bologna, non voleva assolutamente cedere ad Omobono Tenni e nella battaglia iniziale cadde e fu eliminato; Pagani, che era la giovane speranza del motociclismo italiano, da poco arrivato alla Moto Guzzi, voleva restare con Tenni, ma con Tenni era difficile restare e così anche lui cadde; Alberti era solo preoccupato di non disturbare Tenni quando lo avrebbe doppiato; questo dava un’idea del carattere del nostro uomo di punta. Per la Benelli correvano Soprani e Rossetti. A un giro dalla fine erano rimasti in corsa solo Tenni e Soprani ma Soprani stava per essere doppiato da Tenni. Malgrado tutte le nostre segnalazioni, ignorate da Tenni, questi doppiò Soprani in corrispondenza del cancello d’ingresso dei giardini di Villa Margherita, passandolo all’interno e non toccandolo credo per un centimetro. Se si fossero toccati sarebbero probabilmente saltati per aria tutti e due; potete immaginare con quale consolazione di tutti noi della Moto Guzzi.
Tenni era veramente un uomo coraggiosissimo e un irriducibile. Per lui non esistevano problemi di stabilità; non l’ho mai sentito lamentarsi perché la macchina era poco stabile o poco frenata. Lui aveva solo bisogno di avere “del motore” e di “camminare” e, infatti, “camminava” sempre e questo gli è costato tante volte la perdita di tante gare già vinte. Però, per questo suo modo di correre, aveva, come facilmente intuibile, un ascendente enorme sulle folle, che lo adoravano. Tenni morì in Svizzera a Berna, nel circuito del Bremgarten, in prova, nello stesso tragico giorno, il 1° luglio 1948, in cui perse la vita anche Achille Varzi. Io quella volta non c’ero, ero a Roma per forniture militari, e la telefonata che mi pervenne con quella notizia mi addolorò profondamente. Tenni è rimasto nel cuore di tutti i vecchi della Moto Guzzi ed ancora oggi tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo lo ricordano con tanta simpatia.
Negli anni successivi, mentre la 250 con successive evoluzioni, da “Albatros”, era diventata “Gambalunghino” ed era arrivata ad avere 29+30 cavalli a 8000+8500 giri, si profilava la minaccia tedesca con la NSU bicilindrica, che aveva certamente più potenza e disponeva di uno squadrone di ottimi corridori, e questo ci fece pensare che l’era del glorioso monocilindrico 250 stesse per finire.
Per tentare di migliorare la nostra posizione, nel 1948, fu realizzato un bicilindrico, riprendendo un progetto di prima della guerra, per il quale era stata prevista la possibilità di montare il compressore.
Questa macchina, che però era poco più potente del monocilindrico, fece poche apparizioni, vinse un Tourist Trophy nel 1949, dopo di che fu abbandonata perché non vedevamo possibilità di ulteriori sviluppi.
IL TOURIST TROPHY
Nel 1950, Giorgio Parodi finalmente mi convinse ad andare al Tourist Trophy. Io non ci ero voluto andare, con sua grande meraviglia, per le ragioni che avevo già esposto. In quella prima occasione vidi, nel corso delle prove che svolgevano alle quattro della mattina perché la strada era chiusa al traffico, per la prima volta un grandissimo campione della Gilera: Geoff Duke, all’epoca sconosciuto a livello internazionale.
Va ricordato che il Tourist Trophy è un circuito ad andamento misto, con una parte bassa pianeggiante ed una salita che porta alla cima di una montagnola cui segue una discesa pericolosissima sia per la pendenza che per il fondo stradale molto ondulato con curve da percorrere a 170 km/h tra due muretti di pietra.
La prima volta che vidi Duke fu in prova, lungo quella discesa che ho descritto, e davanti a lui c’era Artie Bell, allora considerato il corridore di punta della Norton e senz’altro il più veloce della squadra Norton. Io vidi Duke seguire Bell, che stava facendo cose incredibili con quel fondo e su quel circuito, e rimasi talmente impressionato che prognosticai a Parodi che il giovane Duke, salvo incidenti, avrebbe vinto facilmente il Tourist Trophy nella 500, e che, per la nostra bicilindrica allora guidata da Foster, ottimo corridore inglese, le possibilità erano assai scarse. Infatti quella corsa fu un’esibizione spettacolosa di Duke che, partendo con il n° 57 (le partenze al Tourist Trophy erano a coppie ogni 30”), si permise di superare tutti quelli partiti davanti a lui e di arrivare, quindi, primo anche in tempo reale; e questo dopo 426 km di corsa, dando una dimostrazione chiara di capacità e potenza.
Infatti, il seguito della carriera di Duke dimostrò che era un raro esempio di corridore veloce, coraggioso e ragionatore, che contribuì non poco con le sue doti ai successi della Gilera nel Campionato Mondiale.
IL QUATTRO CILINDRI
La situazione della nostra 500 era, però, quella che era: non potevamo pretendere che la gloriosa bicilindrica, nata nel 1932 e ancora sulla breccia nel 1951, potesse avere un avvenire contro i quattro cilindri Gilera e poi MV e contro il bicilindrico BMW, che rappresentava sempre un pericoloso rivale in campo internazionale.
Il nostro Presidente Giorgio Parodi decise allora di commissionare all’Ing. Gianini, che era il padre della prima “Rondine”, un quattro cilindri raffreddato a liquido che, a mio parere, soffriva di un peccato originale nel senso che era stato concepito come un motore automobilistico, ossia in asse longitudinale tra le ruote del telaio, con il cambio e la frizione in linea.
Si trattava di un vero e proprio piccolo motore automobilistico, bi-albero raffreddato ad acqua, con un particolare sistema di iniezione, che ci avrebbe forse creato delle grane regolamentari e che, comunque, non adoperammo mai perché, quando la macchina arrivò a Mandello, dovemmo rifare il telaio praticamente subito e, nell’evoluzione del motore, passammo ai carburatori, appunto per non avere quelle possibili grane regolamentari.
La macchina dava 50/52 CV, che era una potenza buona per quei tempi, a 9000 giri, ma aveva il grosso inconveniente comune a tutti i motori con asse disposto longitudinalmente di avere un comportamento diverso a seconda se si curvava a destra o sinistra, perché da un lato tendeva a raddrizzare, mentre dall’altro tendeva a chiudere la curva.
Questo inconveniente, che è assolutamente irrilevante per una motocicletta da turismo, com’è la BMW o il nostro “V7”, ha sempre dato qualche noia in corsa e la BMW, infatti, ebbe molto più successo nei sidecar che non con le moto sciolte, proprio per questo motivo.
Io allora avevo la qualifica di “Direttore degli esperimenti e prove” e di esperimenti e prove, alla Moto Guzzi, ne facemmo in grandissima quantità e di questo devo dare atto sia al Presidente Giorgio che a Enrico Parodi, che ricordo ancora con molta nostalgia ed affetto, sia a Carlo Guzzi, che era molto largo di vedute in fatto di esperimenti e che si interessava di qualsiasi prova e ricordo che proprio con lui ne facemmo di ogni genere. Ricordo uno speciale motore che consentiva di provare tutti i rapporti possibili di alesaggio/corsa, cambiando naturalmente cilindro pistone e testa ed, infatti, era soprannominato “Esagera”.
Prima che nascesse il “Galletto”, Guzzi era curioso di sapere se un motore a corsa cortissima avesse qualche inconveniente ignoto; e mi ricordo che provammo a cilindrata fissa rapporti alesaggio/corsa esagerati nei due sensi e ne ricavammo una certa esperienza.
Ed il “Galletto”, fra le creature più originali di Carlo Guzzi, non solo come aspetto e concezione, ma anche come motore perché, tra l’altro, non aveva un albero a gomito tradizionale, ma la biella lavorava su un volantino a sbalzo ed una corsa molto corta, trasse ispirazione da alcune delle prove che facemmo col motore “Esagera”.
LA GALLERIA DEL VENTO
Nell’ambito di questa apertura agli esprimenti vi fu anche la famosa galleria del vento, che nel 1950 fu realizzata alla Moto Guzzi, ed anche in questo caso, con una preveggenza che oggi è facile intuire quanto fosse felice; noi potemmo provare oltre alle carenature per le motociclette da corsa molte altre cose, tra cui la carenatura del famoso bob progettato per le Olimpiadi del 1956 (che vinse la medaglia d’oro con gli Ufficiali della Aeronautica Militare Italiana).
Questa carenatura fu costruita e provata alla Moto Guzzi perché noi eravamo certi di poter dare all’equipaggio italiano un vantaggio valutabile tra 1,5+2 sec. in una discesa sulla pista olimpica.
Il nostro tunnel nacque con un motore di aviazione Fiat di 900 cavalli che faceva un tremendo rumore e che fu presto sostituito con un motore elettrico; venne installata un’elica a tre pale a passo variabile e potevamo provare nella camera di prova con motocicletta e corridore al vero, e riuscivamo ad ottenere una velocità di 220+225 km/h.
Noi lo usammo molto, tanto è vero che tutte le carenature della Moto Guzzi ufficiali furono messe a punto nel tunnel e noi riuscimmo a controbattere la NSU, che disponeva di motori più potenti dei nostri, soprattutto grazie alla galleria del vento.
L’inconveniente era che, poco tempo dopo aver visto le nostre carenature, anche gli altri ne avevano di analoghe ed il nostro vantaggio risultava di breve durata; bisognava, quindi, risolvere il problema del 500 non affidandosi solamente all’aerodinamica. Il problema poteva, a mio parere, essere risolto in due modi: o costruendo un monocilindrico leggerissimo, che pesasse circa 100 kg, e già avevamo raggiunto con la 350 il peso di 98+100 kg, mentre con la 500 eravamo a 105+110 kg, che però potesse disporre di almeno 50 cavalli, oppure battere l’altra strada di avere una potenza ragguardevole, cioè la massima ottenibile, rinunciando a quei pesi così ridotti.
In effetti, scegliemmo entrambe le strade, e questo apparente controsenso mi fu fatto notare; ma io ritenevo che, se si volevano ottenere dei risultati, bisognava esplorare le soluzioni limite per poi, eventualmente, adottare una soluzione intermedia.
A quell’epoca il 4 cilindri Gilera ed il 4 cilindri MV, che erano molto simili, anche perché l’Ing. Remor era passato dalla Gilera alla MV, avevano anche il vantaggio di disporre di piloti eccezionali quali Duke e McIntyre. L’idea di fare un quattro cilindri trasversale a immagine e somiglianza dei due sopracitati, che inoltre avevano il vantaggio di essere ormai ben collaudati e perfezionati, non mi sembrava valida.
Il sei cilindri, che poi fu fatto dalla MV, aveva certamente una larghezza eccessiva.
IL MOTORE OTTO CILINDRI
L’otto cilindri a V sembrava la soluzione più interessante, perché molto stretto e ben equilibrato.
All’epoca avevamo già fatto qualche motore bicilindrico a V di 90°; avevamo, quindi, qualche esperienza e quindi adattammo lo schema che ci poteva dare qualche speranza di ottenere potenze superiori a quelle delle macchine concorrenti. Con i miei validissimi collaboratori: Umberto Todero, tutt’ora affezionato collaboratore della Moto Guzzi, Enrico Cantoni, che dopo il 1976 andò alla Dell’Orto carburatori, e l’Ing. Renzetti, che oggi è consulente della Ferrari e che, dopo aver lasciato la Moto Guzzi, ebbe una brillante carriera alla Fiat, realizzammo in un tempo molto ristretto l’otto cilindri e lo portammo al banco alla fine del 1955. Questo motore, col quale speravamo di ottenere 70/72 CV, ci sorprese perché diede subito potenze più elevate di quelle che ci aspettavamo. Va ricordato che il primo otto cilindri era un doppio quattro, con le manovelle a 180°. Avemmo inizialmente qualche noia, legata essenzialmente alla lubrificazione.
Il motore aveva cinque supporti: i tre centrali su cuscinetti ad aghi ed i due laterali erano uno su cuscinetto a rulli e l’altro su cuscinetto a sfere.
Tentammo varie soluzioni, quali: gabbie in duralluminio con centraggio esterno e con centraggio interno, fino a che potemmo adottare i colli costruiti in Germania dalla Hirth, che ci risolsero ogni problema.
La macchina fece le primissime uscite nel 1956 e, nel 1957, era già abbastanza a punto, vinse con Colnago a Siracusa la prima gara di Campionato Italiano, dopo un bellissimo duello con gli amici della Gilera e vinse con Dicky Dale la Coppa d’Oro ad Imola.
Nell’ultimo anno di corse di questa macchina, va ricordata la battaglia tra Duke e Bill Lomas, in Germania alla Solitude, che si concluse con il ritiro di entrambi dopo sette giri di duello furibondo.
Devo ricordare anche Campbell, che fu Campione del Mondo nella classe 250 e che, con la otto cilindri, nel Gran Premio di Spa a Francorchamps fece il giro più veloce e condusse la gara fino a quando non fu costretto al ritiro a causa di un guasto all’accensione.
Noi arrivammo a Monza, quell’anno, con la macchina a punto, ma senza i corridori; infatti, Lomas non si era ancora ripreso da una caduta, Dale era indisponibile ed anche Campbell, nostro uomo di punta, ebbe una caduta e così la macchina non poté correre.
Fu un vero peccato perché, in prova, la macchina aveva percorso la bellezza di tre Gran Premi senza inconvenienti.
LO STOP ALLE CORSE
Alla fine del 1957, mi trovavo a Modena per una corsa, quando ricevetti la notizia che Moto Guzzi, Gilera e Mondial avevano firmato un impegno a non correre più.
La cosa mi addolorò profondamente, non tanto perché questo significava un cambiamento nella mia vita, ma per il fatto di non essere stato avvisato. Probabilmente, anche se lo fossi stato, non avrei avuto peso sufficiente per far cambiare una decisione sicuramente ben ponderata dai miei dirigenti; ma, il fatto di apprendere dal giornale della fine di una carriera gloriosa di tutto il reparto corse della Moto Guzzi, mi addolorò profondamente, anche e di più perché avevamo in preparazione diverse novità, quali: un 500 leggero che nessuno aveva ancora visto, una testa a quattro valvole per il nuovo 500 e varie modifiche per la otto cilindri, che era arrivata a 72 CV alla ruota, ma che prometteva ulteriori sviluppi, avevamo dei nuovi radiatori che ci risolvevano il problema del raffreddamento, avevamo intenzione di mettere un radiatore per l’olio che sapevamo essere troppo caldo in certe circostanze ed infine un collo nuovo fatto in casa Guzzi.
Avevamo, in complesso, molta carne al fuoco, e questo dover troncare di colpo mise tutti noi in una condizione di grande disagio.
Quando tornai a Mandello fui consolato dai miei dirigenti con la nomina a Direttore della progettazione e, con i miei amici collaboratori, ci mettemmo a lavorare alla realizzazione delle varie macchine che ancor oggi sono in circolazione.
Il V7, che ci era stato richiesto dai Corazzieri come macchina di rappresentanza, fu uno dei nostri primi lavori.
Realizzammo anche lo Stornello, ed alcuni motori sperimentali fra i quali il motore a V di 90°, nato di 500 e poi portato a 600 cc, che fu montato su una Fiat 500, riconoscibile esternamente per una fascia rossa.
Il nostro motore dava 36 CV, invece dei 19+20 del 500 Fiat, e consentiva di avere prestazioni brillantissime, specie in salita ed in ripresa, e di ottenere una velocità massima di oltre 135 km/h.
Fu naturalmente un esperimento che non ebbe seguito.
Ricordo anche, tra le escursioni automobilistiche che fece la Moto Guzzi, che realizzammo con un vecchio motore BMW di 750 cc, residuato bellico, una vetturetta da corsa che anni dopo venne ritirata da Ruffo, che la utilizzò per disputare qualche corsa in salita nel Veneto.
Quella vetturetta era da ricordare perché costruita sullo schema delle attuali vetture da corsa ossia con motore posteriore, con i due cilindri che uscivano ai lati della scocca, la trasmissione era stata realizzata adattando un gruppo differenziale, con i freni adiacenti al differenziale, di provenienza Lancia Aprilia, e le quattro ruote erano indipendenti.
I motori Moto Guzzi, oltre che sulle motociclette, vennero montati su vari altri veicoli, quali: il primo “Bisiluro” di Taruffi, che stabilì numerosi record, i vari “Nibbio” del Conte Lurani, che ottennero altri record e, per ultimo, la strana vettura costruita da Gino Cavanna, che veniva guidata stando bocconi e agendo su due leve, che ottenne dei record sull’Autostrada del Sole non ancora aperta al traffico, superando i 200 km/h con un motore di 250 cc con compressore.
Moto Guzzi stabilì anche dei record motonautici con Gino Alquati che, col nostro 250 ad asse a camme in testa, realizzò uno strano fuoribordo raffreddato ad aria, che superò i 90 km/h.
DOPO LA MOTO GUZZI
Il mio incarico alla Moto Guzzi è durato fino al 1966.
In questo ambiente ho avuto la fortuna di lavorare per trentun anni, ma gli ultimi anni non furono certo piacevoli come i primi. Debbo confessare che la mia gioia di lavorare alla Moto Guzzi finì nel 1957; dopo di allora, purtroppo, mi venne a mancare quello che a poca gente al mondo è stato concesso di provare, di poter cioè lavorare per il piacere e non per il denaro.
Posso dire che avrei pagato di tasca mia tanto era il piacere e l’entusiasmo con cui lavoravo alla Moto Guzzi.
Nel 1966, la Moto Guzzi si trovava in difficoltà. Della vecchia guardia era rimasto solo Enrichetto Parodi, che ricordo come uomo troppo generoso per poter fare l’industriale; Giorgio Parodi era morto a Genova nel 1954 ed anche Guzzi era morto nel 1964. Nel novembre di quell’anno fui chiamato improvvisamente dal liquidatore, Prof. Marcantonio, che, con buone parole, mi disse di andarmene ed io, da un giorno all’altro, me ne andai.
Lasciata la Moto Guzzi, ricevetti parecchie proposte di lavoro da parte di persone che mi conoscevano.
Fra tutti ricordo il Conte Domenico Agusta, che mi avrebbe voluto a Gallarate alla MV e che mi offriva la possibilità di dedicarmi a quello che preferivo: motociclette da corsa o di serie, elicotteri, aeronautica…
In un pomeriggio nebbioso e piovigginoso, andai con mia moglie a trovare il Conte Agusta e francamente mi si strinse il cuore al pensiero di cambiare la mia casa, le mie abitudini, di lasciare i miei gatti, che già allora erano i padroni di casa, non me la sentii di accettare e così bastò uno sguardo a mia moglie per capire che la mia scelta era fatta e che non avrei mai più lasciato Mandello.
Dopo il 1966, con Cantoni e un altro disegnatore ex Moto Guzzi, aprii uno studio di progettazione nautica e mi dedicai anima e corpo alla realizzazione di barche a vela, non per lucro, ma, anche in questo caso, riuscendo a lavorare con molta soddisfazione alla realizzazione, per clienti amici, delle barche che mi piacevano.
In complesso, ritengo di aver avuto una vita molto divertente, dal punto di vista professionale, e di aver trascorso degli anni indimenticabili alla Moto Guzzi, almeno fino al 1957, anni che rimpiango veramente e di cui mi resta vivissimo il ricordo di tanti amici, dei piloti, della gente.
* * *
Domanda: Quali furono le esperienze in Moto Guzzi sull’impiego di motori motociclistici su autovetture?
L’esperimento di montare il motore bicilindrico a V sulla scocca di una Fiat 500 non era avvenuto dietro richiesta o previo accordo con la Fiat; si trattava, invece, di uno dei tanti esperimenti che, in quegli anni, alla Moto Guzzi eravamo liberi di compiere.
Quando quel motore fu costruito e provato, il nostro Enrico Parodi ne parlò in Fiat e la cosa ebbe un seguito, perché quella vettura fu portata a Torino e fu provata dai collaudatori Fiat, ma la cosa finì lì.
Questo era abbastanza logico. Infatti, come la Moto Guzzi a suo tempo non volle adottare, nel caso della “Rondine”, una macchina fatta da altri (e fu un errore, a mio parere), così non era facile che il maggior costruttore automobilistico italiano equipaggiasse una sua vettura con un motore costruito da altri.
Comunque, dalla Fiat, ricevemmo lusinghieri apprezzamenti sulle qualità di questo motore.
Lo schema da noi adottato, che pur risultava ottimo dal punto di vista delle vibrazioni e del bilanciamento, aveva il difetto di avere gli scoppi non equidistanti e, quindi, girando a un minimo veramente basso, questo motore sembrava zoppo.
Questo fenomeno, però, non dava praticamente nessun fastidio, tant’è che nelle moto da turismo ancora in circolazione la cosa risulta impercettibile.
Domanda: Come ha influito sul dimensionamento del motore e sulla scelta del rapporto alesaggio/corsa il limite alla velocità lineare del pistone?
Il motore sperimentale Moto Guzzi, senza alcune intenzioni corsaiole, era stato costruito in occasione della realizzazione del “Galletto”, per tentare di ovviare ad un inconveniente tipico delle moto a motore orizzontale: il grande interasse del telaio che era provocato dalla lunghezza del motore.
Infatti, tutte le Moto Guzzi, sia da turismo che da corsa, avevano in generale un passo superiore a quello delle analoghe macchine fatte dalla concorrenza.
Questo fatto, non rilevante per le macchine da turismo, poteva costituire un inconveniente per le macchine da corsa.
La velocità lineare del pistone, all’epoca, non superava i 20+21 m/sec. Nelle nostre esperienze arrivammo ad un limite massimo di 23 m/sec. Nelle nostre macchine da corsa vennero di regola adottati dei motori sottoquadri, a partire dal famoso 88×82 mm del “quattrovalvole”, seguì la 250 e la bicilindrica, che erano quadre 68×68 mm, l’otto cilindri era leggermente sottoquadro, ma non riuscivamo a ridurre la corsa facilmente, tant’è che il collo che avrebbe sostituito quello attualmente montato avrebbe portato ad una corsa leggermente più lunga dell’alesaggio per una questione fisica alfine di poter ottenere dei più alti rapporti di compressione.
Con la 350 avemmo la possibilità di effettuare molte prove, perché si trattava di un motore nato dalla 250 maggiorata nell’alesaggio; le prime uscite nella 350 furono, infatti, compiute con dei 250 alesati che avevano cilindrata di poco superiore al 250. Poi realizzammo un motore di 320, lontano quindi dal limite della categoria, ottenuto ancora con la corsa 68; poi, quando passammo al vero 350, avemmo la possibilità di provare sempre dei motori sottoquadri e dei motori quadri; ma non andammo mai sulla corsa lunga.
L’unica escursione Moto Guzzi nella corsa lunga fu il “Gambalunga”, che aveva tanti vantaggi come macchina, ma non come motore, tant’è che gli ultimi esemplari che corsero facilmente erano dotati di motori “Faenza” ancora sottoquadri.
Per la nostra esperienza dell’epoca, non conveniva mai, salvo casi di forza maggiore imposti dall’elevazione del rapporto di compressione, ricorrere a motori a corsa lunga.
Domanda:Quale angolo delle valvole veniva impiegato in Guzzi e quale era la geometria delle teste che veniva adottata?
La Moto Guzzi non ha mai usato teste emisferiche con valvole a 90°; l’angolazione delle valvole normalmente si aggirava sui 30° rispetto all’asse cilindrico, cioè 60° complessivi.
Quando venne fatto il quattro valvole di 250 cc, nel 1950, l’angolo era stato ulteriormente ridotto a 27° ed avevamo in progetto per la 500 di diminuirlo ulteriormente.
Il problema era che, con angoli molto aperti, si potevano avere valvole molto grandi, ma peggiorava la forma della camera di scoppio e, quindi, per avere rapporti di compressione sufficienti, bisognava avere il pistone a tetto che dava altri inconvenienti.
Domanda: Quale fu la genesi delle soluzioni telaistiche Moto Guzzi più originali?
I telai delle Moto Guzzi erano costruiti totalmente in casa, salvo la forcella che, su tutte le moto da corsa di prima della guerra, doveva essere obbligatoriamente la vecchia “Brampton” inglese, e non era chiaro cosa avesse di speciale questa forcella, del resto analoga alle altre forcelle dell’epoca.
Una delle prime prove che feci, ancora prima della guerra, fu quella di adottare sulle macchine da corsa quella strana forcella impiegata dalla OEC, che non aveva il cannotto di sterzo, ma era costituita da un trapezio superiore ed uno inferiore deformabili, e col perno ruota che si muoveva parallelamente a due foderi collegati ai trapezi deformabili.
Il sistema era molto attraente perché consentiva di guadagnare i 15+20 cm d’altezza richiesti dal cannotto di sterzo.
Realizzai, prima della guerra, un telaio per una 250 destinata a tentativi di record, particolare in quanto comprendeva anche l’ossatura della carenatura ed il pilota era in posizione prona analogamente a quanto fece qualche anno dopo Ray Amm con la Norton “Kneeler”.
Provammo con Tenni a Monza quel telaio, ancora privo di carenatura, montato con la forcella a trapezi deformabili.
Il pilota era racchiuso dentro la struttura del telaio e per l’arresto la moto era dotata di un carrello che poteva scendere a comando e mantenerla in equilibrio da ferma.
Feci a Tenni tutte le raccomandazioni di prudenza, prima dell’inizio prova, e infatti, nel primo giro sull’anello, fece 162 km/h di media, e nel secondo giro uscì di pista sulla curva alta, per sua fortuna senza troppi danni.
Il secondo tentativo con la forcella a trapezi deformabili fu fatto con il 500 cc a quattro cilindri in linea, che era piuttosto alto e, quindi, poteva essere interessante vedere se si riusciva ad abbassare il telaio.
In questo caso provai io stesso la motocicletta, rendendomi conto che non andava bene e che, se l’avessi data in mano ad un corridore, questi probabilmente sarebbe caduto. In conseguenza di questi fatti, decisi di accantonare quella soluzione.
La forcella che adottammo sul “Gambalunga”, e poi su tutte le Moto Guzzi, con ottimi risultati, era a biscottini oscillanti bassi, le parti non sospese ridotte al minimo, ammortizzatori e molle inizialmente nei foderi, che vennero poi portati all’esterno per facilitarne la regolazione e sostituzione.
Mandello del Lario, 09.05.2002
by Luca Angerame with the cooperation of Aldo Locatelli
Thanks to:
Aldo and his wife Terry: without them organizing this interview wouldn’t have been possible.
Fange, Goffredo and Alberto for editing.
Paola for her patience and support.
My uncle Marco for hospitality.
Under a merciless rain we arrived. We were in a timeless courtyard among the alleys of the old part of Mandello, on the shore lake.
At the top of a little staircase there was a wooden door with a simple brass nameplate. I read it and I lost a heartbeat: “Ing. Carcano”.
The simple brass nameplate
Everything started some months ago with the idea to have the workshop manual of my bike autographed by its designer, then slowly this idea became a bit different: interviewing Ing. Carcano for “Anima Guzzista”. (note: ing. is the italian abbreviation for Ingegnere, Engineer)
Giulio Cesare Carcano is the man who designed both the 500 V8, the ultimate racing bike of every time, and the V90, one of the most famous motorcycle engines, the engine that made “Moto Guzzi” surviving by more than 35 years.
Thanks to Aldo Locatelli’s good offices, we had his approval and then I spent a lot of hours reading the preceding interviews, thinking to new questions with the help of Fange, Goffredo, Alberto and of Aldo himself. Then I spent a lot of time reading again the questions in order to eliminate banalities, manage the interview properly and organise the logistics aspects.
The train trip from Rome, then a good lunch by Aldo and a last equipment check and I was ready, but still full of doubts: will our questions be interesting? Or our interview will be banal for a person who already has had hundreds of interviews. Will he say goodbye to us unceremoniously? Will the equipment be OK?
But now there we were and all these questions became meaningless.
I knocked at the door and a tall gentleman just a bit bent for being 93 years old, with a lot of white hairs opened the door. It’s him! I recognized him from Colombo’s pictures taken some 50 years ago. I lost another heartbeat.
We were invited to enter in the dining room. A dining room with a floor made with squared marble tiles and old time’s furniture. It seems like time passed there without touching anything. We sit and start the interview warmed up with Mrs Carcano’s coffee.
Luca Angerame: First of all, I whish to thank you for being willing and so kind. I’m here on the behalf of a Motoclub of guzzisti and above all we simply wish to thank you for what you did. Everyday we use your motor and the all the kilometres we travelled depend on you.
Aldo Locatelli; every starting it’s: ing. Carcano… ing. Carcano… ing. Carcano…
LA: we wish to ask you some questions for an interview.
Giulio Cesare Carcano: (smiling) please do! If I’m able to answer, it ‘ll be a pleasure.
LA: as a present for you there is the T-shirt of our web site “anima guzzista”; all fans, you know, almost maniac people…
GCC: (smiling) I see! Guzzi having soul, that’s very very nice!
The V motor and the V7 the first motorbike
LA: I would like to start by asking about your engine V90. It’s a project dated 1965, and nowadays it is still there; what was the evolution you foresaw when you projected it? What could this engine achieve?
GCC: it’s an old story. As you know, because now it’s common knowledge, the corps of cuirassiers (note: the special Guard of the President of Italy) needed a new official motorbike because the Falcone they had, looked very poor. A colonel commander of cuirassiers said to me “you know we choose our horses in Normandy because it’s bad for the men and for the horses to see a two meters tall man riding a little horse… We need a bike that is what those Norman horses are for our rider”. And this was the main starting point. We realised the first V project (note: he referred to the engine and not to the motorbike), a 704 cc. From that project all the complications and the elaboration of the subsequent motorbikes were born.
At that time I also built a V, 500 cc first and then a 600 cc. I put it on a Fiat 500. I remember that it gave me a lot of satisfactions. It was a motor, the 600, giving 36 or 38 HP. Exactly twice the output of the original Fiat engine, giving 18-20 hp.
The car was very brilliant, pleasant and funny; it had a very good acceleration and the maximum speed was almost too much:140 Km/h for such a small car!
Then I built another V, much more a humble project, I’d say; it was assembled for a a military vehicle, the so-called mechanical mule, the 3×3. We did some tests for that purpose.
Eventually, the V model for the bike was the chosen one, because police forces and the Army liked it, and not only the Italian ones but all around the world.
Then it was increased to 750 cc. making it a sport engine, almost a racing engine. In any case, in my view, in spite of several advantages for tourism, police corps and stuff, that engine scheme is not too suitable for a racing motorbike, for several reasons that I do not explain for I fear to become boring…
AL: is it because of the projecting cylinders…
GCC: Not only for the problem with fairings. The main difficult is that the shaft drive gives rise to an overturning torque. This torque is dangerous for a racing motorbike, while it is tolerable in a walking machine. This can be confirmed by BMW. They have had several successes with the sidecar, because of the third wheel, while without sidecar the performances weren’t satisfactory, because of the side lying down during the bend.
Then, the actual motorbikes have been derived from that 700 cc engine, by using always the same scheme. In my view, the scheme is very practical, even now, for a touring bike, while it isn’t so for a racing bike.
Aldo Locatelli talking with Ing. Carcano
LA: indeed the V was supercharged a lot
GCC: yes they even built the four valves (he smiles). But try to think to some motorbikes existing today, they are super machines and only few people can really used them up to what they can give. The 100hp Japanese motorbikes are able to run to speeds over 200 km/h, they are wonderful machines, but few people can drive them.
AL: but still everyone wants to drive them!
GCC: yes and it’s quite strange if you think about that: the motorbikes market is in crisis for mopeds and light scooters but there is no crisis for the superbikes, and they are dedicates to few people able to really drive them…
LA: Thus when you projected the V90 you didn’t think it would be able to get the actual 1100CC
GCC: (smiling) oh no, I didn’t thought that that motorbike could have been so successful with the police corps worldwide. We sold it in US, in Egypt in Argentina… It was a motorbike made for the police corps and in fact it was projected for that use.
LA: a very reliable bike
GCC reliable, clean, with good performances and above all robust.
LA: thus you didn’t foresee the development of that engine for bikes such as the 850 Lemans of 1975.
GCC: no it was something that happened then and it was a commercial success. But as I said before, the origin of the motorbike was as requested by big horse (the nick name of the cuirassier colonel NDA), i.e. an impressive motorbike made to be ridden by an impressive tall man, a cuirassier.
LA: If you consider what that engine eventually got, I mean 1100 cc, 4 valves, etc; according to your opinion what could be the evolution in the future? Do you think about it with liquid cooling?
GCC: mmmm, today a part of the marked is focused on sports motorbikes and another part is focused on half-sports motorbikes. And next to than the GP races there are also championships dedicated to currents road models that are successful in the market, so…
La: Thus according to your opinion the V90 keep evolving because there is market?
GCC yes sure, even if I don’t really know the situation of Moto Guzzi after it was bought by Aprilia. Inside Guzzi, I still know some draftsmen, old friends of mine but I’m not too much informed about their programs, but I think they will have to do something new and different.
LA. People are talking about liquid cooling, rotating the engine of 90°C with aspiration ducts inside the V and exhaust ducts outside on a side.
GCC always keeping the V scheme?
LA: yes.
Al: the most actual evolution, the hydraulic tappets, are already mounted on the engine.
GCC: I don’t know, 35 years have been passed from my retirement, I still have some friends of mine such as Todero that was my tight hand man, sometimes he tells me something but I’m not so informed about what they are doing. But they should do something new.
LA: your engine made Moto Guzzi surviving from 1965 until today, and it is still in production
GCC yes, there is a problem; but I don’t know what they have in their minds. Regarding the competition I know today at Aprilia there is a new engine that already raced. As you know starting from the next year the highest category will be only for 4 strokes engine.
They (Aprilia NdA) built a 3 cylinders engine that raced in some competitions but they are very late. I don’t know if this engine will be able to compete with the 5 cylinder Honda or with all the 4 cylinders Yamaha, Suzuki and so on.
Regarding the production, I don’t know what they want to do. I felt they wanted to built the V liquid cooled (It’s the VA10 NdA), but I don’t know if they will keep developing it.
AL by now your engine has been developed to the maximum…
GCC Indeed and I believe that people are always attracted by something new and frankly I believe my V cannot be something so new, yes maybe it can become the liquid cooled; I heard rumours but, who knows…
LA: Not everybody would agree on that; for example I read of a pool in which the majority of people declared that they would not buy a Guzzi with a different engine!
GCC (laughs)
AL: there was the same problem when the V90 turned out, i.e. nobody would have abandoned monocylindric Falcone…
GCC if we forget Moto Guzzi for a moment, the problem is that today the competition on the market of racing motorbike is very hard. I remember that people said “Japaneses? Will they be reilable?” but Japanese men today succeed impeccably either in motorbikes or in cars.
There are not qualms anymore about Japanese products. Such as considering the product only as fashionable at a first view ; now they are able to built very good cars. Thus if today one wants to abandon the V scheme it is necessary to go on high fractioned engine and high powers. Today, 100 hp are just not enough.
Actual Racing Motorbikes
LA: today motorbikes having up to 160 hp are sold; it is difficult to think to pass this value talking street motorbike
GCC: yes and I’m not able to understand. Now there is the new 990 4 strokes formula for the GP. In the first year this formula has to rice together to 500 2 strokes: you have to consider that a 1000 cc 4 strokes can reach 300 hp. Do you know what this mean? They are crazy, the two strokes engine has more than 200 hp and the new 4 strokes engine that is trying to race now seems to have 240 250 hp.
The argument is simple. If we assume that in the Formula 1 a 3 litres powered has easily 800 hp. A small engine is able to turn quicker or at least at the same regime thus it is easy to predict that the Honda engine racing this year would have almost 300 hp once it will be completely developed, next year.
Now think what means 300 hp on a 4 inches tyre…. It’s..absurd!!
Thus one of the scopes of racing it’s to attract the public, fascinate it by showing that it’s always more engaging and difficult, but at the extreme, it’s only absurd.
LA: they will have to introduce some electronics controls as in formula 1
GCC on these machines everything is electronic..
LA: I meant traction, suspensions brakes control
GCC: yes and by the way, those old circuits where effectively power made the difference have now disappeared. I remember Avus circuit in Germany. It was composed by two straight tracks 10 km long, one bend to be made practically at very low speed and a big banked bend where at the time, Auto Union and Mercedes speeded at 400 km/h.
Today these circuits do not exist anymore, but there are circuits in which it is difficult to remain on the seat with a motorbike having so much power.
Just think about a wet race nowadays! I know it is exaggerated, but people are fascinated by this show.
If the aim is to make money with the public then fine, it is achieved, but if the goal is to use this r&d in practical way what can be learnt from such powerful bikes, I really don’t know… (He is puzzled)
LA: thus according to your view it is unlikely Guzzi come back to competitions
GCC I don’t know, I heard that Guzzi would come back to competitions, but I don’t’ know when and how, it’s only rumours. Even because to go back to the competitions means to race in the Grand Prix formula where Aprilia is already present.
I don’t know the power they have. They gave a motorbike to Laconi, in the first racings he is in the eighth, ninth position (he is puzzled)
I don’t know how much horsepower they have, but for fighting there among other things there is a weight scale. With a minimum weight depending on the power and splitting, with the exception of a splitting above to 6 cylinder.
Of course the 6 cylinders engine has a weight the four weights less the three even less. The differences are about 20 kg. That is important but not enough to cut the power of these engines
AL: it seems that even today you are still close to the motorcycle racing world…
GCC (smiling) no no I’m just one who listen to rumours from time to time… But I see car and motorcycle races with pleasure.
AL Thus you still have the passion, you didn’t forget your first love!
LA what competition engine would you use today?
GCC for actual formula of 1000cc?
LA yes.
GCC The weight scale need to be studied because it is decisive. It’s clear that with the same power a 6 cylinders is able to give something more than a 5 and 4 cylinder and even more than a 3 or 2 cylinders, that goes without saying…
Al: Is this what you were thinking when you thought about the V8?
GCC yes, but now it is not possible anymore to do it, so we can simply avoid talking about it. The three cylinders could be a good solution, but one has to keep in mind the limitation of the turns of the engine.
I don’t know the maximum power and the number of turns of Honda 5 cylinder. If the Italian three cylinders is able to turn at almost same speed it could be competitive, but if that turns at 20000 and the latter at 14000 it is not possible to do. People said that an engineer who worked at Ferrari cooperates for the 3 cylinders and that the engine has pneumatic return of the valves. In this case, well, it could turn enough.
The problem is that to be competitive you have to think about power as we said before. At least 200 HP and I believe now we are quite far from that.
The origin of eight cylinders engine
LA: The choice of the eight cylinders was made because it would be better than six and four cylinders?
GCC: We thought differently. Once abandoned the monocylindric and the bicylindric, our closest solution would be a four cylinders. But building a 4 cylinder meant stay behind Gilera and MV because they started earlier and we would had to work at least a couple of years to be at the same level of experience and development.
Then we thought that aiming to the eight cylinders the power was not an issue anymore, on the contrary weight and dimensions would be important. Our 8 cylinders was brilliant because it was as large as a 250 (waving)
When it was tested on the bench for the first time it already gave 63 hp while the Gilera gave 60 hp, and we were just at the very first tests. Then it achieved 70-72 hp and the power would be increased more and more if they did not kill it with the famous 1957 agreement.
LA: What will it would have been able to achieve, according to your view?
GCC: we had so many things to test. A new crankshaft and other things. From 75 hp, I think 100 hp could have been achieved relatively easily in one or two years. I’m pretty sure because we tested the engine at the bench at 12500 rounds, but Lomas said that at the Avus circuit, it turned at 14000 rounds. I remember I said we were going to install a turns limiter (smiling).
For sure 14000 rounds were possible with that dimensions. The problem was with distribution. Think what margin of improvements that engine had, by using what today is normal, the possibility to have an electronic starter or the distribution with the pneumatic return of the valves…There were huge possibilities to improve it.
LA: and even an electronic ignition in the middle of the V of the cylinder would have solved the carburettors problem.
GCC yes sure, with the indirect or direct ignition, depending on the case. We were able to do the V with eight carburettors and all these stuffs. But it would be so much simplified with the injection. It would be possible to improve fuel consumption, the power, everything. There were plenty of room for development in front of us.
LA if regulations would not forbid it, would today your eight cylinders still relevant?
GCC the actual engine we were talking about, no I don’t think so; but its son, probably yes! There are so many technological innovations that became available after that engine. And if it would be possible, you can bet that Japanese would have already done that. I remember on 1956 Honda built a 125 5 cylinders. Do you know what it means??? It turned at 19000 rounds; I saw it turning at the Tourist Trophy. Was it between 1955 and 1957? Maybe later… (he thinks).
It is true that the V8 engine had fans worldwide (He points out a picture hanged above the fireplace with a drawing representing the eight cylinders): the Mandello Moto Guzzi Club gave me that.
Last year an Australian man comes to visit me. It was a peculiar person: in Australia he built two eight cylinders motorcycles, a 750 and a 1000 and he told me a bit of the story. He built them by himself
LA: thus if it would be possible, today would you project the same 8 cylinder for racing?
GCC if it would be possible, you bet I would do that! An 8 cylinders engine with the same V scheme but very few other common features besides it. Today if you don’t build a four or 5 valve you will already lose. The old 8 cylinders had two valves. Then the new one would have completely different cylinder heads and starter. At that time for that engine the ignition problem was practically without solution.
8 cylinders is still alive in his mind
We started trying the Vertex, a Switzerland magnet. It was quite good, but it didn’t hold. When the engine turned at half of the maximum (6000-6500 turns) it already had problems. Then we built a system with a cylindrical ignition coil and spark plug point. It worked well but such a system today would be ridiculous.
AL: I am thinking about your engine with the modern starting injection distribution…
GCC: yes, sure. It seems to me that engine is square, with the diameter equal to the stroke. Today they built undersquare engine able to turn more quickly. I think that an 8 cylinder thought in this way could turn at 20000 rounds/min and it would be possible to have 150 hp with half a litre…
LA: is it true that at that time it was thought to develop a four cylinders from half of the eight one?
GCC no it isn’t true. A test was made by reducing the power to 350. It was thought to take of one cylinders block. But the test was never carried out.
We talked about this 250 four cylinders, but it would be bulky since it has the carter, speed gear clutch and also the radiator of the eight cylinders engine. And the test was not carried out.
On the contrary the 350 (8 cylinder) was built and tested at Monza: I remember that engine was able to give more than 50 hp, 52 or 53. But it was only for fun, and only the 350 8 cylinders was built.
LA: Could it have been interesting development for a street use?
GCC: Yes maybe you are right but it would not have been so easy to sell it because of the high price. The ones who can afford to spend so much money on race bikes, would rather buy a 500, a 750 or 1000 cc, that kind of superbikes.
LA: maybe it could have grown until 500 or 600 cc and hence become as the japanese fours of the seventies, but with 15 years earlier?
GCC: well, maybe yes but at that time, from what I remember, nobody ever though to have something to sell, starting from the bikes we used in the competition. At that time people were not into superbikes.
Ing Carcano and Moto Guzzi
AL: what was the relation between the racing department and the production department?
GCC: If you thing about modern factories, The Guzzi’s organisation of that time will make you shuddering! Thinking about Guzzi’s organization at that time, for example: the racing department didn’t have a workshop of its own. We had our own staff managing the racing but for the rest it depended on the production department.
The toolmaker department that normally produced the tools for normal motorcycle, had to work also for us and we, in the racing department, had always to beg them while a part of the workshop people shilly-shallying. It was a continue fighting.
There was not an organisation dedicated to the races as for example today in Ferrari. We depended to the toolmaker people that helped us on a personal courtesy base!
LA: how did you live the end of the racing, the famous “patto di astensione” of 1957?
GCC I’m saying the truth: I lived it in a bad way because it was a completely unexpected decision; I don’t know if it was right or wrong. If they had called me…
I remember we were in Modena, for some tests for a city race on the Modena local circuit, a simple fenced lawn. When we came back somebody told me: “do you know Guzzi withdrawn from racing?” I got the news like that, the decision could have been right or wrong but a different approach was necessary. In any case if Guzzi have had keep racing, it would have become more modern. Organize itself in a different way.
AL: So it was that bad for you…
GCC (nodding)
LA: by brusquely interrupting the racing a lot of knowledge and experience was wasted, wasn’t it?
GCC yes it’s true, I remember in the 1936, my first year in Guzzi, there wasn’t a divisions of works and responsibilities, all people did everything, sharing knowledge.
Since at that time I was the only engineer in Guzzi, every time there was a problem or a trouble, people come to me and I had to find a way to solve it. There were some military supplies that needs to have a list of drawings about the values of some tests such as powers consumption, torque and so on, and these drawings were due according to the contracts. And I had to do them, there was no choice! They wanted the accelerations of the military motorcycles in the first second third fourth gear, and I have to draw all the plots. I did so many different tasks, every time there was a trouble, they came to me saying: “and now? What do we do?”
LA: What was your nicest moment in Guzzi?
GCC the worst moment is easy to remember, on the other hand then there were a lot of good moments. Let me say, and nobody can deny that, that I was so enthusiast, I would have paid to work in Guzzi! I never had controlled time or badges, neither at the beginning nor later.
Some times I went to the work at 10a.m. and the porter, scared, told that Dr Parodi was looking for me. And I answered: “Yes I am late but yesterday at midnight I was still drawing”.
He never obliged me to clock in or out, and I worked with passion; I didn’t fell the weight.
After the 1957 I didn’t’ clock in or out but the situation was completely different. That enthusiasm, that team spirit which made us try and try again everything, just disappeared. When we built the eight cylinder my co-workers and me did enormous efforts for drawing, then we had to go to the model maker in Milan, then to Isotta Fraschini that moulded the first carters… It was a continuous moving, then after the 1957 everything stopped.
AL After the 1957 you was employed in the series production…
GCC; after ’57 more or less we went on pretty well until 1965-66 then SEIMM arrived, then… You see, I had a boss, Dr Enrico Parodi, who was such a nice person, a good fellow, too good to be a manager. To be a manager you have to be cruel. If one of his employers was sick he sends him a specialist at home, he was really a remarkable person. Of course, some people knowing that took advantage of the situation and therefore we had that period of ’60 when there was also a general crisis. Moto Guzzi didn’t participate to races anymore and the thrill of past times was gone. He was badly treated by some managers. And I’m very sorry for this because he was really a good fellow; he was too generous to be an executive officer.
The boats and the American Cup
AL: then you took refuge in the boats.
GCC: yes I took refuge in the boats and I have also had a lot of fun. You see, I honestly have to say that I still prefer boats to bikes! (he laughs)… Next year there is the American Cup and I can only watch it on the TV…
LA: So, what is better, motorbikes or boats?
GCC even when I was involved in motorbikes, I always loved sailing boats. For this reason I keep working with boats. Sailing boats gave me a lot of satisfaction.
AL: so you are an artist for aerodynamic and hydrodynamic shapes both in the water and in the air…
GCC (laughing) it‘s a very pleasant problem because there are a lot of variables. You see, now I can only watch the American cup on the telly, but there was a period in which I was near to be part of it. It was on 1962 when Gianni Agnelli wished to challenge the America’s Cup. He went to Croce and the latter to me asking if I would be able to make a drawing. I answered something like: “I don’t’ know, let’s see what can be done”. I went in America with Agnelli and Croce, we were received by Kennedy at the New York yachting club. At that time there was a rule that the challenging boat for the American cup had to be the drawn by a designer of the challenging nation, and all the boat parts such as masts, sails, winches, keel, and rudder and so on had to be built in the challenging nation. I think that rule still exists but it is possible to bypass it. It was not possible to build a boat and take say the mast in America, the sails in Australia and so on as it is done today. Now if the two Italian challenging teams were forced to compete using only the Italian instrumentation and Italian masts they would not even be taken in serious consideration.
So, I remember on 1962 we went to watch the American Cup and since there were the strict and controlled rule that the boat and all the tools had to be Italian we just forgot about it. And we were right because we couldn’t have been competitive.
Next year there will be this new edition of the American Cup, where there are two Italian challenging the Switzerland, France and England among others. In my view the best one is the Swiss boat because they faced the problem in the right way. They took away the steersman and the design engineers from New Zealand. They took away from New Zeeland all the good they can.
The America’s cup problem is fascinating because is at the same time easy and complicated; the problem is easy in its formulation, you need to have a boat that in the average conditions in which the American Cup is played is quicker than the others. It’s easy, isn’t it?
But here the difficult bit: New Zealand won the last American cup, it was a quite strange boat. Now everybody thinks to copy it but it’s the worst thing you can do, because after four years New Zealand people have gone for sure further on. The experience of the America’s cup shows that both the Americans and the non Americans won the cup with different boats representing something new with respect to the solution that won four or five years before.
When people did copy-cat boats, as I called them, they always lost badly.
Ing Carcano tells about Carlo Guzzi
AL: what Carlo Guzzi told when you proposed to built the wind gallery?
GCC: The wind gallery was a Carlo Guzzi‘s craze. I said him not to do a home-made wind gallery as this one: we either had a good one or none. But to do that perfectly, would have been four times more expensive…
That wind gallery was born with an internal combustion engine. A Fiat aeronautic one of 900 hp it had a propeller capable to suck everything around it! After then it was installed an electric engine. As I said, Carlo Guzzi really wanted the wind gallery.
AL: How were you relationship with Carlo Guzzi?
GCC I admired him a lot.
AL, and he let you did whatever you wanted?
GCC well, yes especially lately, but at the beginning no, he didn’t. Carlo Guzzi was a clever person, having a sense of humour I didn’t find in anybody else. He was a pleasant person because he was facetious and unmistakably clever .
As everybody, he had his good and less good sides, one of them was that he didn’t give acknowledged a thing if it wasn’t effectively tried and tested. As a results, sometimes he was lost in tests and trials of which he already knows the result, but he wanted to try nonetheless.
Carlo Guzzi in an old photo
AL how was working with Carlo Guzzi?
GCC Carlo Guzzi was a clever person with a pleasant sense of humour; plenty of good laughs…
AL: Before you were introduced in the racing department was Carlo Guzzi the only one involved?
GCC Carlo Guzzi was involved in everything and accidentally also in the races. Before 1936 when I joined Guzzi, he built the four valves European champion of 1924 and then after he built a liquid cooled 4 cylinders with a timing with push-rods that didn’t was successful, but he did that in 1929 or 1930. Then in 1932 he built the first twin, then two Albatros 250 in 1926 or 1927.
Then when I joined the company, the Guzzi racing motorbikes were the Albatros and the 500 twins at 120°. The Condor was then built. I worked a lot on the Condor.
AL: How was your “fork with little biscuits” born?
GCC the “fork with little biscuit” was born for Gambalunga. We tried the first one in Bergamo in the “Circuito delle Mura” with Balzarotti who was still with us at that time
I remember that the damper was in two sheaths and it was too difficult to let it work well. When we put the two external dampers, they worked very well. In fact that fork was mounted also on the world champion 350 and even on the V8!
AL, In fact it had the external dumper
GCC yes right they were external. It was a practical solution because we could change the couple of dampers in 5 minutes. Now the forks are much more evolved, we didn’t have problem anymore with that fork putting the dampers outside
LA: you had full power for the races. On the contrary, for production bikes, did Carlo Guzzi sometimes refuse an idea of yours?
GCC well, even for production series, factory organisation wasn’t exactly… (He does a vague gesture) At that time we were a floor above the “villetta” (a part of Guzzi plant used for the offices) that was used for the designers. On the left there were Paolini with 5 or 6 draftsmen: that was Carlo Guzzi’s reign, on the side Guzzi had a little office. On the other side, facing the street there were my co-workers Cantoni, Todero and me
AL When did they join you?
GCC Cantoni arrived just before the war, when we drawn a small engine for a bicycle. With the roller working on the tyre. It was around 1940 or ’41. At that time I didn’t have an office even because I never asked for it. I was itinerant in the plant. When Cantoni was assigned to me I had to find a place, a desk and a drawing table. Then I went to Carlo Guzzi who gave me a sort of passage near the department in which the engines were mounted. It would have been about half of this room wide and twice long (note: about 2×10 mt)
It was a warehouse for the tyres. He had it emptied and then said: “that will do!” (he laughs). People told this to me only later… He wondered I didn’t refuse to stay in that tunnel. There was space only for a small drawing table because the big one touched the walls. That was my debut with Cantoni.
AL: and going back to the question (Luca’s question) about assistance with the production models…
GCC: if there were problems in the lines, then I attended. For example sometimes there were problems with the thermal treatment. We had a thermal treatment where there was a quite good technician. Sometimes they had a problem and then I went there to see what the problem was.
Of course, after 1957 I was involved only in production only.
LA: Was there a motorbike built by something else that according to your opinion should have been built by Guzzi?
GCC: mmm I don’t know. I was a friend and a fan of Ing Salmaggi. At that time he worked in Gilera. A competitor of our Condor was Gilera Saturno. That was a very good machine. In my view the best Gilera motorbike of all time. Exception made for the first 4 cylinders, I mean the Roman one. The story of the Gilera 4 cylinders is known. It was the Rondine that was offered to Guzzi before. But Guzzi refused it.
Mandello del Lario
LA: if you’d stayed in Guzzi, what would be the motobike you’d have suggested for the production?
GCC That’s the million dollar question (he laughs). To be honest, I don’t know… When I left Guzzi, for a period of two or three years, I was disgusted by motorcycles…
Count Augusta looked for me to give me a free hand. I remember well that day of November. I went to Gallarate with my wife Claudine, where I was invited. It was raining and there was a bit of fog. I reluctantly answered that I didn’t feel ready to abandon Mandello, and my wife agreed with me. You see… I already had two or three cats going around my home.
Great emotions for Luca with the father of his Guzzi
I thanked Count Domenico but I did not accept the offer. He gave me absolute freedom to take care of motorbike, helicopters airplane, anything I wanted! But I was in a sort of nostalgic moment, as it happens and I didn’t fell right about leaving Mandello.
AL Mandello helped you also for your work at Guzzi because it was a quiet and pleasant village
GCC: My father bought this house a couple of years before my birth. We spent here Easter holidays and summers.
My father was an electronic engineer, born in 1876. He got his degree in 1900 or 1901.
During the war, the first year I worked in Guzzi, I couldn’t use this house because there was no heating, so I lived at the Grigna or at the Giardinetto (note: two hotels of Mandello) after 1940 my parents was evacuated and we installed some small commodities. From 1940 on, I always lived in this house.
LA: are you somehow addicted to Mandello ?
GCC sure I was here till I was 2 or 3 years old…
I remember that me and my brother who was three years older than me, were members of a sort of gang of tourists. There was also the gang of local people, and of course we hated each other. Those days, one needed to be very careful because sometimes there were some fights and stones flying by (laughs)
LA: In your view, the people of Mandello made an impact on Guzzi success? I mean from the human point of view.
GCC: Yes for sure. In my view Carlo Guzzi was lucky because his first co-workers I known were good local fellows and very good technicians. I remember Agostini called “Moretto” who was called also “l’uomo del diton” (the big thumb man, NDT) for his way to build the cams of racing motorbikes
He made the bobbin, and then he gave it to toolmakers to mill the crankshaft according to the established angle. Then he made the profile with the Indian stone and the file. Then the crankshaft was cemented and tempered, he finished it off with the abrasive stone, the Indian stone. In order to check if it was good and if it was smooth enough he used his “diton” (big thumb) and passed it on the crankshaft in this way (he makes the gesture) . I remember this “diton”, he was such a joke.
The first Guzzi’s co-workers were simple people but very very good technicians.
Omobono Tenni
AL: How did you live the races? The journeys, those moments when you are preparing a race..
GCC: in the last year we had two OM trucks, with the body fitted to transport racing motorbikes. If we were going to go very far, such as the Tourist Trophy, the truck drivers arrived at Calais, then from Calais to Dover, then Liverpool and at Liverpool they took the ferry boat for the Isle of Man. That was the longest travel.
Al : about a week?
GCC yes.
LA: What was your favourite racer?
GCC: it’s difficult to say, you know, I had some friends of mine also among the pilots. For example I remember Lorenzetti: he was a clever man, I don’t remember another person similar to him. Lorenzetti had a talent, I don’t’ know if it’s the case to tell about it, but he was a bad rider in terms of sense of balance, but he was a good pilot. I remember once we were in Genew, He had a Condor 500 with something wrong in the carburettor. We went on a street open to the traffic in Geneve: he was riding the motorbike and we tried to regulate it; he was going slowly and behind him there was a BMW sidecar of a tourist; suddendly he turned without looking and the sidecar make him fall. A rider doesn’t do these things. In any case he was good. He was the opposite of what people can imagine about a pilot, he wasn’t a boaster neither exuberant, but he was very clever and expert.
The one I truly admired, even if I did not agree with his views, was Tenni.
Tenni was a very strange person. If you knewn him..if Tenni were to sit with us right now, he would have been calm, quiet, as a timid person. But as he was on a motorbike, he changed completely (makes a rapid gesture with his hands). I remember well that his only aim was to go fast when riding; not to win the race but to go fast. One day he told me: “ d’you believe the public come here to watch the races just to see if Guzzi or Gilera win? No! They go to the race to see people going fast”.
For example: Lorenzetti was a calculating man, if he was ahead, he cut off the gas 20 meter before. Tenni was the opposite, if he was leading, he cut off only 5 meters before the bend. He said “I fell as I am stealing from the public otherwise”. He was exactly the opposite of Lorenzetti.
Another good friends of mine was Alano Montanari. I don’t know if you remember him. I don’t know exactly how good as a pilot he was but he surely was a unforgettable person. Let me tell you about Montanari: when I knew him, he had an Albatros, he was already about 45 years old, I’m not sure, but in any case he was more than 40. We were at Ospedaletti and I was introduced to him by a friend of mine who came often to make a visit in Guzzi. He said I’d like to introduce you Montanari: he has just fallen, losing a thumb nail and he was lamenting.
He was a Guzzi’s maniac; do you know what maniac means? He would never conceive to race on a Gilera or Norton. To him it was either on a Guzzi or no race at all.
This story was reported to me thus I’m not sure it is true, but it gives you a picture of the man: he had a 250 PES normal (PE sport NdA) for using everyday. He was a “Romagnolo” from Cesena (Romagna is the Region in central Italy famous for the passion about motorsports) and once in Romagna he was on its bike with a passenger, riding very peacefully; all of a sudden, a Gilera came and passed him. Terrible! It was a personal insult, then with twisted mouth he said to the passenger behind: get off the bike, jump! (He is saying that in romagnolo slang) but the passenger didn’t understand immediately, so Alano repeated: jump! And so did the passenger and let him go to catch the Gilera who dared to pass him!
AL: Were you in charge for the selection of the pilots?
GCC: no I didn’t, sometimes they called me for an opinion but we were not involved in the recruiting of riders.
LA: In you view, was Tenni the most courageous pilot?
GCC Tenni was reckless. If you didn’t know him, it is difficult to think that a man could drive in that way…
There was a race of the Italian championship in Bologna, at the time when city circuits were still used. In that race there were 4 Guzzi’s with 250 equipped with the compressor. The pilots were Alberti, Pagani, Sandri and Tenni. There also were three Benelli’s equipped with the compressor, the pilots were Soprani, Rossetti and maybe Ciani, I don’t remember well; then there were all the other people around them, but the fight was between Guzzi and Benelli. Guglielmo Sandri comes from Bologna, he was a very good pilot and Bologna was his homeland.
Ok, so: ready?And go: Tenni and Sandri left behind all the others. Tenni was able to force Sandri to fall (something that gave him huge satisfaction) and he was the first.
Rossetti, with Benelli was late behind and at the penultimate turn there was Tenni first and Soprani second with a delay of almost one turn. At the entrance of Giardini Margherita, the street become narrow and there was a small passage Tenni caught Soprani up and overtook him on the inside of the bend! Both of them passed by but if they just touched each other… they would fly off. That was the kind of riding that today you would never think possible. Tenni wan the race with a turn of vantage with respect to Soprani, I said him: “listen, do you understand how crazy was what you did???” “Yes” he replied” “But if I’d passed him after the narrow bend it would not have been as fun…”
AL: You know what? We envy you for such memories!
GCC (laughs) I would love to have fewer memories and fewer years too, but it’s not possible, I am afraid…
LA: do you remember the Tenni victory at the 1937 Tourist trophy?
GCC: yes of course, but I wasn’t at Isle of Man. I remember well the telegram coming from the Isle saying that Tenni was the winner in the 250 class and that then he run in the 500 class with Stanley Woods. While in the 1935 Stanley woods won, in 1937 I don’t remember what happened to him but he didn’t win…
I remember that when I received the news, there was people coming to me asking: “who is arrived? Who is arrived?” and then they asked :“ with Guzzi?” ; that because there bets on the victory and a premium promised if Guzzi would have won also in the 500 class (laughs)
LA: how was Omobono from the human point of view?
GCC he was positive and proud. I remember with sadness when he felt and died in Bern. I was in Rome and I have remorse of conscience. You know, there are things that one thinks and, who knows, maybe they are not true but… maybe if I was in Bern, it would not have happened.
You see, at that time we built an experimental bicylindric motorcycle and we sent it to the “centro studi” of the Army in Rome there were some discussions because there was something they wanted, some specifications and stuff… but I don’t remember well and then Carlo Guzzi told me to go to Rome to see what it was all about.
In Bern Tenni tested for a lot of time this twin 250 and he wasn’t sure to use it in the race, and before the practice close, he said to Moretto “ I want to try my 250 mono as well” . The two motorbikes were different: the 250 twin has taller footboard and the rest while the other one was lower. In few words, he took this normal Albatros, he did a turn and arrived when the climb starts; in a bend on the right, he leaned the bike too much, touched the street and lost it. He knocked his neck against a small three (he makes a gesture) and he died on the spot. I don’t know, I don’t know… Practice sessions were about to finish and if he decided to run with the twin or with the Albatros he wouldn’t need to try it because he tried it a lot of times… But this is how things go, sometimes… He was a good man.
LA you were lucky to see both the pilots of 30’s and the modern pilots. Who was the best one and the most courageous you have ever seen?
GCC: It’s difficult to say who was the best one (he pauses thinking…) there were a lot of them and it’s difficult to say who’s better even because you should test them on the same machines and the same conditions… Among the Italians, excepting Lorenzetti who was more a technician than a pilot and he was able to do things the other wasn’t, I’d say riders such as Tenni and Valdirolo. The later run for Gilera; he was a daring and very good pilot.
Among the strangers, Duke amazed me. I don’t exactly remember the year, it was when he won the first TT with the Norton 500. We were at the Isle of Man with the twin 120° of Bob Foster. I was gone to Craig Ni Bah; that was a descent bend. That circuit now it’s more or less put in order but at that time.. One wanted to kill the managers because they allowed to race on that street with tarmac having such a coarse grain full of holes and with stone walls on the left and the right that if you went against them you could seriously damage yourself…
Well, I remember to have seen Duke, when he was 18 years old and was at his first year of racing. He was the co-pilot of Harty Bell who was the Norton number one. I saw this boy at Craig Ni Bah and I was speachless: this young boy behind Harty Bell gave the impression to say :“go away! let me pass!” it was amazing to see! Duke was really a very good pilot. Another good pilot was Surtees, for sure a very good pilot.
Then there was Ray Amm, He did not race for long though. There were a group of three or four riders who were really exceptional.
We have had for a lot of years Bill Lomas who was a very good pilot. Champion of the word in the 350 and he was the pilot of eight cylinder. Then , besides Duke, the Gilera Team had McIntyre who was another very good pilot.
AL: now when you watch the races, the pilots fall and get up in a second….
GCC: it has to be said that now they have runaways that we haven’t at that time; if one crashed, he would be damaged, period. Now they have that shield back they started using after the Rainey’s accident. You know he was paralyzed, the poor man.
Sure, even today it is always better to avoid falling but I see that eight times to ten they fall and they have only some scratches on the hands…
LA: and what do you think about Valentino Rossi?
GCC: I think Valentino Rossi is very good. To be honest, I always enjoy watching him because he is really very good. Now as I said, with the motorbikes used in the GP it is very difficult to be able to go up to the limit…With all due respect to all the competitors around but he is really good.
AL: indeed…
LA: one would stay here for hours to listen to your memories…
GCC: yes I understand
AL: You were the designer of V90: some people say that the right cylinder of the engine is more brittle and more subject to breakage
GCC do you mean on the V7?
AL: yes.
GCC I don’t know, this is the first time I hear this story! I don’t know it at all.
LA: people say that it is because is less oiled than the left cylinder…
GCC: well, this is an old story of the workshop manual of Moto Guzzi, now I’ll tell it to you: when I joined Guzzi, they sold the motorbikes with the workshop manual.
Together with the workshop manual there was a sort of vademecum for the Guzzi rider, in which there was explained the reason for which there was an horizontal cylinder, because the engine turn on the contrary and there was written that since the engine turned on the contrary it push the oil above and in this way oiled. That was all false, because, as you know, inside a carter when there is an engine running there is just oil fog going everywhere.
“Now i’m going to tell you this thing of the engine that runs reverse “
But the fact that the engine turned on the contrary because it sprayed the oil above and then they went down was written on the workshop manual of that time…
AL: Thus is there no reason in the project for the presumed fragility of the right cylinder?
GCC to be honest it’s the first time I hear that the right cylinder is more fragile! I have never heard about it.
LA: in your view would today a horizontal monocylindric on a street motorbike be possible?
I’m thinking to your monocylindric 500 long stroke. The son of that engine may be adapted on a sport street or a tourist motorbike…
AL: lets say a modern Gambalunga revised and adapted for the street use…
GCC it may be would be fit, but the difficult would be to find a client. Who would buy this kind of motorbike? Today people want 4 cylinders for 100 hp or more with high performances.
I believe that this kind of motorbike would be difficult to sell. And of course it has to be cheaper than a 4 cylinders… It would be difficult to find a market.
The main argument is that the motorbikes are not means of transportation but they are means for fun: if you are looking for means of transportation, you get yourself a car.
If you put on the market a 500 monocylindric today even at a modest price, I think you would find a lot of problem to sell it
AL: but there would be the Guzzi lovers…
GCC I don’t know… I would not agree, but maybe I’m wrong.
The Guzzi of tomorrow; why not a diesel?
LA: according to your view in this moment what would be the best choice for the Guzzi…
AL: if you’d work in Guzzi now…
GCC: Well, I‘d tell you something, but maybe its better I don’t say it, or maybe I’ll tell you later, privately…
LA: please say it, then if it’s the case we will delete it…
GCC: well, if I worked in Guzzi I think I should do something completely new: Rumours say that they want to liquid cooling the V90. But it is in any case always the same engine. What I would do -please don’t panic!- it’s a three cylinders diesel engine.
AL: I see…
LA: You said diesel?
GCC: diesel indeed! Because with a properly done common rail, today with a three cylinder diesel you can target all police corps and the army. In military motorbikes the fact to use diesel instead of petrol gives an enormous advantage. Imagine today you build a three cylinder of 900 cc. With about 60 HP. This motorbike could achieve 180 km/h with a tank that you fill once a month. A motorcycle what will never break easily. I told about this idea to some friends of mine in Guzzi. I don’t know if they will ever give any thoughts on it.
If you think the diesel engine did enormous progress with respect to a petrol engine. Surely if we are thinking about sport bikes, the ones who want a brilliant engine,, well, this is not the solution. But if the buyer is the army or the police dept and then maybe some enthusiasts…Well, then I think this is not a completely wrong idea.
If I’d be in Guzzi I will judge important the fact to be implied with the common rail technology development.
Al: You see, Luca, how ideas are born…
GCC: then they can do that or not but today the fact to be ablet to say…
AL: Yes, it would be a revolutionary idea
GCC: more than revolutionary; it would be an idea for the future. If you see that the trend y for petrol engine is flat while the trend for diesel engine is steadily growing. To say: “I don’t even know how to touch a diesel engine” it is not an advantage, for a brand that used to build engines.
LA: I think just by considering the traffic we have today, the advantages of motorcycles of this kind…
GCC: yes, you start from a pool of potential clients that are police departments, urban police etc, and then from that you make the project grow with the same evolution of the V7…
AL: Oh my, what a loss for Guzzi your departure…
GCC: Oh well, I already told you that I was called again about one year ago. I have to say that the new proprietor, Mr. Beggio was very kind with me, that must be said. As soon as there is a party or a meeting about Guzzi I’m invited, he send somebody to pick me up. I remember I was introduced to five top managers, now I don’t remember their names, but we talked a bit about what the future programmes could be. When they asked me “but if you are still in Guzzi what will you do? I answered as above. Now, I don’t know if that seed will fall on a fertile soil or on a stone. I think the seed has fallen on… Oh, well, I headt about this project to build the liquid cooled twin engine. I really don’t know what they will do.
AL: this would be a follow up of the initial project.
GCC: yes yes
AL: the maximum possible evolution; on the contrary, this diesel idea would be a new thing, a revolutionary thing
GCC: yes it means to be the first in the world, with an engine that has a future, it’s undoubted.
I remember the diesel engine of some years ago, so irritatingly bad smelling and noisy! Some days ago a lady with whom I had to have a lunch, picked me up with one of the last model of Lancia, I think a Lybra, with a common rail diesel engine, and it’s hard to recognize it as a diesel engine if you don’t know it!
Nice, smooth… the diesel technology has made tremendous progress.
LA: we can think about the big scooters used in the city, the diesel engine would be better than petrol…
AL: I already see Ing Carcano designing a diesel engine if asked….
GCC: I’m too old, gentlemen!
LA (to Aldo) you preceded me, because I wanted to ask: when you left Guzzi, who lost more? I Would say Guzzi, to be honest…
GCC (smiles) I don’t know if Guzzi lost a lot, but I suffered a lot for the way I was forced to leave suddenly. I didn’t like it. As the Poet says “il modo ancor m’offende!” ( I’m still upset by their ways) It would be better if they called me and said: “you cost us too much” even if it is not true because, among the wrong things I did in my life in Guzzi, I always have a very low salary, because it was more what I got from Guzzi under the table.
That mistake was reflected in my severance pay and my pension, because I should now live with (omissis) but fortunatley I have had some savings. In other words, I would not live on my pension schem, calculated on what I officially had.
LA in any case it is a fact that when you left Guzzi. Guzzi stopped innovating. The last engine was yours. After, there wasn’t anything really new. De Tomaso built the 4 cylinder in the 70’s…
GCC (agreed) a bad copy of Japanese engines
LA thus Guzzi stayed at that point
GCC: (agreed puzzled without commenting)
V8 again…
LA: it is a common opinion you designed the most extraordinary motorbike of all time: the V8. But you are remembered as well for the V90 engine, a piece of Italian story, the engine that motorized Carabinieri’s motorbike and so on. What’s your feeling about the fact to be the designer of a fabulous racing machine as the V8 and to be remembered for the V90, don’t you think it is strange?
GCC (laughs) I don’t know, they are two completely different things. That one (the V8) was born as the possibility for the Guzzi to defend its name in the 500 class, because Guzzi in 500 class lived modifying the bicylindric 120° from 1930-32 till 1950. And from that engine they pulled out everything possible.
Of course we had the problem to build a completely new machine. The concept of that machine was, in my view, quite simple, in the sense that we didn’t have any choice. If we made the 4 cylinders at least for a couple of years we would have to learn because there already were Gilera and MV and they were already evolved and developed. Then if we must make something new what would be our choices? No the Six cylinders too large, by putting 6 cylinders in line there was the well known effect we wish to avoid (overturning torque NdA). It seemed that the solution was to have an engine as large as a 250 even with all the troubles due to 8 cylinders. Especially for that time because today that solution would be match more easy.
We had to invent a new starting system because it was not possible to have satisfacting results by using a magnet. That solution seemed quite logic to us, let’s start with a 8 cylinder and then try to evolve it …
LA: sure! A V8 it is pretty normal!
GCC: (laughing) Well…
AL: people has to believe in such a project. They have to see someone’s will and incitement who told them “make that” so one puts the heart in the project.
LA: at the end you are famous for the V90 that is a utilitarian engine.
GCC: at the end I didn’t invented anything with the V90. It is a quite logic and rational scheme. And it is quite practical to be a tourism engine. I didn’t invent the V of 90° it was only a good solution for an engine having those features.
AL: yes but you were the one who did that.
LA: and you designed the engine that allowed Guzzi to survive.
GCC: ok, but come on…(he makes a gesture as to say ‘that’s not so important”…)
LA: what is the most satisfactory engine you worked on?
GCC: it’s a difficult question, (laughing)… It’s difficult. Well, the V8 among others left me with a lot of regrets. Because in 1957 when they decided to stop racing, we had already designed a new crankshaft and we had a list of things to do. The 1958 V8, if it had existed, would have not been just a modification of that of 1957 but probably a big evolution.
LA: Did you follow Tonti’s course of events when he developed the V bicylindric for the small series?
GCC: I knew Tonti, but when he was in Guzzi I wasn’t there anymore. As I told you, my relationship with Guzzi was bad and stayed bad until Mr. Beggio’s arrival; He had been a very kind person with me. I visited Todero and Cantoni, we had a chat, but at the end I didn’t know much more than people in the street.
LA: For this reason you neither followed the stories of De Tomaso…
GCC: I know he built the four cylinders copied from the Japaneses; it was a disaster, but I know it only because from time to time I met somebody who told me the news. Not because I was informed in a particular way.
LA: De Tomaso delayed the Le Mans 850 the sport motorcycle. It was ready on 1972, but he rejected it till ‘76 after that in the Milan showroom of 1975 he saw the motorbike was judged very well.
GCC: (agrees without commenting)
LA: Have you ever been involved with motor racing?
GCC: yes, I was involved with that because for some years – now I don’t exactly remember the period – I was a member of the Italian motor racing sport commission the CSAI when Ing Rogano was the president. I was involved with Formula One rules and stuff. I remember I had leather arm-band that allowed me to enter everywhere (smiles). I did that for 3 or 4 years. I always loved the formula 1 racing; I watch them with pleasure on TV but I’m not into the secret things…
LA: What do you feel to see that there are a lot of v90 fans? Even people who wasn’t born yet when the V90 was projected…
GCC (laughing) to be honest, I don’t feel anything!
LA: there are people for which your engine is a cult.
AL: when you find 10.000 guzzisti at a meeting that own your motorcycle, you would be a bit proud, would’nt you?
GCC: yes yes, but to be honest, even if it could seem a little strange, nowadays I think much more about sailing boats than about motorbikes…
AL: (laughing) that was your refuge.
GCC: yes a refuge, but even today I’m more informed of what people do with the boats than on motorbikes, there is a quite simple reason. After I left Guzzi, for some years I was disgusted by motorbikes.
LA: it’s incredible. You know, there are a lot of people going around with the image of your engine drawn on a t-shirt…
GCC: (laughs)
AL: And it would not be bad to add a writing: “Ing Carcano made it”
LA: Yes I’d put it on mine!
AL: The Carlo Guzzi’s monocylindric lasted till 1956, it went on for 35 years, then there was the evolution of the new Falcone, that was a different motorization, but your engine it is 40 years old and it is still running (laughing)
LA: there are a lot of teenagers who don’t look for the performance of 150hp, people who choose carefully, because as you said how many people are able to drive a motorbike having 120, 130 or 150 hp?
GCC: (agreed) yes only few people can. I have also to say that when I was in Guzzi sometimes I tried to ride motorcycles, but I know I have always been a mediocre biker, and maybe I’m lucky, for this reason I’m still alive.
I remember than every time I tried a motorbike and they told me to brake when I reached a roadside mark, I always missed it. I fell an enormous admiration for the bikers having that innate talent… You can’t buy it…
I remember a circuit in Ospedaletti, it was raining cats and dogs, class 250, there was the usual duel between Ambrosini on Benelli and Ruffo on Guzzi. First lap, I was with the Lorenzetti’s brother in law with first time sign. They leave, and do you remember the Ospedaletti circuit?
AL: Ehr…a little bit
GCC they leave, and after 100 meters a sharp turn, they keep climbing, then the slope they turn and come back. At the end of the first lap I heard the noise of the motorbikes arriving. Ambrosini was preceding everybody with Benelli. In front of hotel Regina, that is 100 meter far away from the sharp turn, at full speed on the wet he seized! I heard a strong noise, the motorbike turned on itself… We left the paddock and run for our lives! Do you now he runs 20 meters with the wheel in this way? (Across, NdA) without falling? Then he was able to push himself up and went to gently leave the motorbike near the straw bales…
That man had… eight balls for sure. I have never seen such a thing. I’ll remember it till I live that he seized at 200 km/hour on wet tarmac… And nothing happened.
LA: it‘s the sense of balance that….
GCC: yes yes they were very good, and they are even now when they fall. If one of us falls, he is in trouble, but if they fall they make their selves into a ball, and knock the hands (it make the gesture to knock the hands on the table) and they manage to get away with. They are good.
The Mille Miglia Race
LA: and your preferred car pilot?
GCC I remember at that time when Varzi and Nuvolari run, I was a Varzi’s fan and I thought Nuvolari was a brag and a car-destroyer! Then I become a Nuvolari fan, when he runs with German cars…
LA; with the Avus (I meant Auto Union NdA).
GCC: With Auto Union actually.
LA: Sure.
GCC: in1938 Nuvolari run at Monza GP. It was a moving moment. At that time there was a fight between Mercedes and Auto Union and the first ten runs Nuvolari on Auto Union fought with Lang on Mercedes. Then Lang broke and he was alone. When he was at the refuelling they put on his head an apron as big as this table. You see, they put 200 litres of alcohol in the tank and they were afraid that during the refuelling the alcohol could wet the pilot so that to make him as a human torch in case of accident… I remember at the end he won and when they pulled outside him he was as dry as a towel, poor boy. That Auto Union was so big, 16 cylinders, very hard to drive, it was a terrible thing, what run he did…
LA between Nuvolari and Varzi there was the episode of driving with the light turned off…
GCC: yes the light turned off. Guidotti, who now is dead, lived in Bellagio. Guidotti was a dear friend of mine and a good fellow. We meet twice or three times a year with him and some other friends of mine. Now it’s two or three years he is dead. He told me these stories. In the turned off light story the couples were Varzi-Bignami and Nuvolari-Guidotti.
Al: I was thinking how Ing Carcano remembers all these particulars and…
GCC: Well, nothing to be too happy about it! To be honest I remember all these old things but if you ask me what I had for lunch, I have to think about it twice and it is not easy…
AL: don’t worry, it also happens to us to not remember immediate things…
LA: in the ’57 even the Mille Miglia stopped
GCC: yes because of the Guidizzolo crash
LA: involving De Portago and Nelson
GCC: and so Taruffi won
LA: PietroTaruffi is the father of Prisca Taruffi, the pilot that appears sometimes at the TV.
GCC: yes, indeed.
LA: thus the 1958 was a quite strange year for the Italian motor sport. the Mille Miglia and the motorcycle races ended..
GCC (agrees)
LA: Anyway the Mille Miglia was not possible anymore. Cars at 300 km/h in small open roads
GCC: Indeed. it was simply not possible in 1957.
LA: and in the Mille Miglia there were all kinds of cars too: ranging from Fiat 500s to Ferraris.
GCC: yes, indeed.
LA and it had to be raced respecting the street signals!
GCC: That’s true; people had to stay on the right and bend on the left keeping staying on the right because if the bend was cut the fault, in case of crash would be of the driver…
LA: and traffic lights were to be respected too, because at that time there weren’t speed limits
GCC: Exactly.
LA: In the old pictures cars speed by bicycles and barrows…
GCC: yes yes I remember one of the Omobono automotive experiences. Tenni, you know that Tenni run with the cars. He run the Mille Miglia with Bertocchi who was for Maserati what the “Moretto” was for Guzzi. Bertocchi when he go out with Tenni the first time, put a big button that connected to the ground the starter, (he smiles) because if something happened he would have pushed the button. Bertocchi said that Tenni was terrible; Tenni was simply Tenni.. even in a car.
In Milan they built a circuit around the Arena between the arena and the Park. I don’t remember the exact year but it was after the war. Maserati came with the 1500 and 3000. Tenni did about ten rounds testing the 3000cc and he already took away all the straw balls!!! Thus they made him run with the 1500cc (he smiles)
I remember he had the 1500 4 cylinders and there was Trossi with the new 1500 6 cylinders. Trossi won but Tenni was just there immediately behind. I don’t know if it was behind because of a team’s order or because he wasn’t able to go faster. Omobono… always running… With cars too he was irreducible…
LA: I thought I wasn’t able to ask all the questions, on the contrary…
LA: do you have an unpublished anecdote? An episode?
GCC: (thinking) a lot of them probably! But no episode in particular rises to mi mind right now.
AL: the research of lightness in the racing motorbike?
GCC we were able to make the 350 world champion on 1957 weighting 98-100 kg more or less. That was the motorbike I loved the most, because it was complete. The engine had 38 HP and it run against Gilera four cylinders 500cc.
Now, listen… Here, the episode! This is the gossip that shouldn’t be reported, ok? You know the famous rumours where in in a race at Monza during the tests the four cylinders 350 Gilera broke? Then they didn’t want to miss the race the day after so they run with a 500 in a 350 class, and that is not nice at all. When the race ended the motorcycle stopped at Lesmo, before the finishing line and it went straight in the direction of Arcore and nobody saw it anymore! Nobody doubted about that race, but I received a letter signed by a person from Arcore saying that the motorbike was so and so… It was a signed letter. But it would be impossible to raise such a weird episode but the fact that it didn’t arrive to the finishing line and then it quickly disappeared on a truck gave rise to a lot of rumours..
AL: Let’s talk about the wind gallery the aerodynamic lightness…
GCC yes it was one of the Guzzi’s obsession; he wanted it and we used it for sure! The advantages you get with the wind gallery are pretty straight-forward advantages: we did a certain kind of fairing and fifteen days after the others had exactly the same fairing!
It’s the same on the formula 1 cars. They cover the aileron in the front for the picture on the Gazzetta dello sport (an Italian sport newspaper NdT) then when all people sees it, if they think it could be an advantage, they will copy it
LA: you also projected the Guzzi records car, the Nibbio.
GCC no, actually I didn’t; the Nibbio was an obsession of Count Giovannino Lurani who was a friend of Parodi; but we didn’t projected the car, we just supplied the engine.
LA: I think we covered almost all the topics…
At this point we end the interview. I thank him and I ask for an autograph on the first page of my workbook.
GCC this is a workbook… (he seems to be amazed) I never saw it, it should be more recent (he turns the pages) it’s very well done (he signed the first page) and Look here: they explain the engine I did!!!
“Look here: they explain the engine I did!”
AL: well, I think that concludes our interview. We are grateful…
GCC: you are welcome, It has been a long chat.
LA: thank you!
GCC: not at all, you are welcome.
Epilogue
We leave the old house, while the ‘Ingegnere’ escort us to the door. It is still raining. We walk the narrow roads on the lake shore, we don’t talk too much, still amazed by how the meeting went.
We spent two hours with a man who let us approach at the very roots of the Moto Guzzi legend.
The suggestive street of Mandello Del Lario
A man who used to joke with Carlo Guzzi, who disagreed with Omobono Tenni, who used to go out for lunch with Guidotti who talked with him about Nuvolari and the Mille Miglia… And he talks to you about that, as the simplest thing, as it has happened the day before… I feel I talked with a piece of History itself, I had glimpses of a spirit almost disappeared nowadays. I find myslef thinking about Carcano refusing the offer from Count Agusta. Because of the rains and the cats he had in Mandello…
I am soaked under the rain and I cannot help smiling. It was the passion that made him refuse that offer, surely not the climate…
We pass by the liberty-style ferry dock at Mandello, I still hear the Ingegnere talking about designing the V8 or the V90 as a pretty simple thing, suggesting a three cylindres diesel engine as an obvious design.
How different Moto Guzzi history could have been if only they asked him to stay…
Intervista di Luca Angerame, in collaborazione con Aldo Locatelli
Grazie a:
Aldo e sua moglie Terry., senza i quali non sarebbe stato possibile organizzare questa intervista;
Fange, Goffredo ed Alberto, per il contributo pre e post;
Paola, per la pazienza ed il supporto;
mio zio Marco per l’ospitalità
Eravamo finalmente arrivati, sotto una pioggia implacabile. Tra i viottoli della vecchia Mandello, in riva al lago, ci ritroviamo in un cortiletto senza tempo.
In cima ad una scaletta c’è una porta di legno, con una semplice targhetta di ottone. La leggo, e mi perdo una sistole: “Ing. Carcano”.
La targhetta di ottone
Tutto era partito mesi prima, con l’idea di far autografare il mio manuale d’officina dal progettista della mia moto, che pian piano si era trasformata nell’idea di intervistare l’Ingegner Carcano per AnimaGuzzista.
L’Ingegner Giulio Cesare Carcano, l’uomo che ha progettato sia la moto più straordinaria di tutti i tempi, la 500 V8, sia uno dei motori motociclistici più famosi di sempre, il V90 che tiene a galla la Moto Guzzi da più di 35 anni.
Avuto il suo assenso grazie ai buoni uffici di Aldo Locatelli, sono seguite ore ed ore a leggere interviste passate, a pensare domande inedite, con l’aiuto di Fange, Goffredo, Alberto e dello stesso Aldo, poi a rileggerle mille volte per purificarle dalla banalità, a stendere il piano d’intervista, ad organizzare la logistica.
Finalmente il viaggio in treno da Roma, un robusto pranzo a casa di Aldo ed un ultimo controllo all’attrezzatura, sempre con tanti dubbi: sapremo porre domande interessanti? O sarà tutto troppo banale per uno che avrà già rilasciato centinaia di interviste? Ci congederà frettolosamente? L’attrezzatura funzionerà come si deve?
Ma ora eravamo lì, e tutte quelle domande stavano per perdere senso.
Ho bussato, e ci ha aperto un signore alto, appena curvo sotto il peso dei suoi novantatré anni, con tanti capelli bianchissimi. E’ lui, lo riconosco dalle foto del Colombo, scattate mezzo secolo fa. Un’altra sistole mi dà buca.
Ci fa entrare nella sua sala da pranzo, di quelle con il marmo a rombi per terra ed i mobili di altre epoche, dove sembra che il tempo passi senza intaccare nulla. Ci sediamo, e riscaldati dal caffè della signora Carcano iniziamo con le domande.
Luca Angerame: volevo innanzitutto ringraziarla per la sua disponibilità e per la sua gentilezza. Io sono qui a nome di un motoclub di guzzisti e volevamo innanzitutto ringraziarla per quello che ha fatto: noi tutti i giorni usiamo il suo motore, e tutti i km che facciamo dipendono da lei.
Aldo Locatelli: ogni avviamento è ing. Carcano… ing. Carcano… ing. Carcano…
LA: volevamo farle qualche domanda per un’intervista.
Giulio Cesare Carcano: (ride) faccia pure, fin dove sono in grado di risponderle lo faccio volentieri.
LA: intanto ecco per lei la maglietta del nostro sito Anima Guzzista: tutti appassionati al limite della mania.
GCC: (sorride) ah sì, le Guzzi con l’anima, bene, bene…
Il motore a V e la prima moto V7
LA: volevo partire con il suo motore V90. E’ un progetto del 1965 che è rimasto attuale ancora oggi: qual’era l’evoluzione che lei aveva previsto quando l’aveva progettato? Dove poteva arrivare questo motore?
GCC: è una storia vecchia. Come sapete, perchè ormai è di dominio pubblico, i Corazzieri avevano bisogno di una moto di rappresentanza perchè il Falcone, che era la moto che loro avevano in dotazione, gli sembrava un pò misera. Un colonnello comandante dei Corazzieri, mi disse: “Sa, noi ordiniamo i nostri cavalli in Normandia, perchè vedere un uomo di due metri su un cavalluzzo è male per il cavallo ed è male per l’uomo. Avremmo bisogno di un motociclo che fosse come il cavallo normanno per il nostro cavaliere”. E questa è stata l’impostazione principale all’origine di quella moto. Fu così realizzato il primo progetto del V (lo pronuncia “vì” e si riferisce al motore, non al modello di moto, NdA), che era 704 cm cubici. Da lì poi sono nate tutte le complicazioni e le derivazioni delle moto successive.
In quell’epoca avevo anche fatto un V, prima 500 poi 600, che avevo montato su una Fiat 500. Ricordo che mi dava delle grandi soddisfazioni. Era un motorino, il 600, che dava 36 o 38 cv: era esattamente il doppio del motore originale Fiat, che dava 18-20 cv.
La macchina era brillantissima, piacevole, divertente: aveva delle accelerazioni notevoli ed una velocità fin troppo elevata. Faceva 140 km/h, per una macchinetta così…
Poi feci anche un altro V, molto più modesto, che era montato sul mulo meccanico, il 3×3. Anche con quello avevamo fatto delle prove per quello scopo.
Quello della motocicletta è stato un modello fortunato perchè è piaciuto alle Polizie ed alle Forze Armate, non solo italiane ma un pò in tutto il mondo.
Poi l’hanno portato a 750 cc, sportivizzandola fino a farla diventare una macchina non dico da corsa ma quasi. Tuttavia quello schema, a mio modo di vedere, nonostante abbia tanti vantaggi per il turismo e per i servizi di polizia, vigilanza urbana etc., non è lo schema più adatto per una macchina da corsa (usa il termine “macchina” per indicare la motocicletta, NdA), per tante ragioni che non vi illustro qui per non annoiarvi.
AL: anche per i cilindri che sporgono…
GCC: non solo per la difficoltà ad essere carenata. La difficoltà principale è che la trasmissione ad albero comporta una coppia di ribaltamento che è dannosa per una macchina da corsa, mentre è tollerabilissima per una macchina con cui andare a spasso. La prova migliore di questo è la BMW, che ha avuto successi continui con il sidecar, che resta appoggiato, mentre senza carrozzino aveva prestazioni non molto soddisfacenti, proprio a causa del coricamento laterale in curva.
Dopo, dal motore 700 sono state derivate le moto che ci sono ancora adesso, sempre su quello schema che, le ripeto, a mio modo di vedere è molto pratico ed attuale ancora oggi per una moto granturismo, mentre non lo è per una moto da corsa.
Aldo Locatelli dialoga con L’Ing Carcano
LA: in effetti il V è stato spinto parecchio…
GCC: sì, hanno fatto il quattro valvole… (ride). Ma pensi a certe moto che ci sono in giro adesso… delle supermacchine che poca gente può usare al livello di quello che possono dare. Le giapponesi da 100 cv, con velocità parecchio oltre i 200 km/h: sono macchine bellissime, ma non possono portarle tutti.
AL: tutti però le vogliono guidare…
GCC: sì, ed è davvero una cosa un pò strana vista dal di fuori. Il mercato della motocicletta è in crisi con i cinquantini ed i motoscooter leggeri, ma non lo è per le supermoto, che sono dedicate ai pochi che sanno veramente portarle.
LA: dunque lei quando ha progettato il V90 non pensava che arrivasse fino agli attuali 1100 cc.
GCC: (ride) no, le assicuro. Io pensavo che quella moto avesse successo nelle polizie di tutto il mondo. A parte la nostra, l’abbiamo venduta in America, in Egitto, in Argentina… era proprio una moto richiesta dalle polizie, infatti era nata per quello.
LA: molto affidabile…
GCC: affidabile, pulita, con buone prestazioni e soprattutto robusta.
LA: per cui la 850 LeMans del 1975, che all’epoca fece scalpore, lei non l’avrebbe vista inizialmente?
GCC: no, è stata una cosa venuta in seguito e che ha avuto un successo commerciale. Ma come le dico, la nascita di quella moto è stata la richiesta del Cavallone (era il soprannome del colonnello dei Corazzieri, NdA), ossia una moto imponente fatta per essere cavalcata da un uomo prestante, da un Corazziere.
LA: vedendo dove è arrivato quel motore oggi, 1100 cc, 4 valvole…, secondo lei quali altre evoluzioni potrebbe avere in futuro? Tipo raffreddamento a liquido…
GCC: mah, oggi c’è una parte del mercato sportiva ed una parte semisportiva. Ora accanto al Campionato del Mondo per la cilindrata classica, ci sono anche Campionati dedicati alle moto di produzione, che hanno incontrato poi il favore del mercato
LA: per cui secondo lei continueranno ad evolvere il V90, perchè comunque vende.
GCC: sì, sicuramente, anche se non so come stia andando la Moto Guzzi dopo essere stata acquistata dall’Aprilia.
In Guzzi ho ancora qualche vecchio disegnatore mio amico. Non sono addentro ai loro programmi, ma qualcosa di nuovo, di diverso lo dovranno fare.
LA: si parla di raffreddarlo a liquido e di ruotarlo di 90°, con i condotti di aspirazione all’interno della V ed i condotti di scarico sull’esterno laterale.
GCC: sempre sullo schema del V?
LA: sì.
AL: l’evoluzione più attuale sono le punterie idrauliche, già sono uscite.
GCC: mah, non lo so, ormai sono passati 35 anni da quando sono venuto via. Ho ancora qualche amico… Todero per esempio che era il mio braccio destro: ogni tanto mi racconta qualche cosa ma non sono molto al corrente di cosa stanno facendo. Qualcosa di nuovo dovranno fare.
LA: anche perchè di fatto il suo motore è quello che ha tenuto a galla la Moto Guzzi dal 1965 fino ad oggi, ed ancora oggi lo vendono.
GCC: sì, il problema c’è, ma non so bene cosa abbiano in mente.
Per quanto riguarda le competizioni so che adesso è uscito un nuovo motore che ha già corso nella categoria Gran Premio a 4 tempi. Come sapete, dall’anno prossimo la massima categoria sarà solo 4 tempi, mentre quest’anno corrono sia i 2 tempi che i 4 tempi.
Loro (l’Aprilia, NdA) hanno fatto un 3 cilindri che per adesso ha fatto qualche corsa, ma è ancora molto, molto indietro. Non so se sarà in grado di competere con il 5 cilindri Honda o con la pletora dei 4 cilindri Yamaha, Suzuki e compagnia bella.
Per la produzione non so cosa vogliono fare. Ho sentito che volevano fare il V con il raffreddamento a liquido (è il VA10, NdA), però non so se lo porteranno avanti.
AL: ormai il suo motore l’hanno strizzato in tutti i modi.
GCC: sì, ma io credo che il pubblico venga sempre attratto da qualcosa di nuovo, e ormai credo che il mio V di nuovo non possa dare molto. Sì, forse il raffreddamento a liquido… l’avevo sentito, ma chissà…
LA: ma non tutto il pubblico, comunque, ad esempio avevo letto un sondaggio in cui la maggioranza ha dichiarato che non comprerebbe una Guzzi con il motore diverso dal suo.
GCC: (ride)
AL:sarebbe lo stesso problema di quando uscì il V90, che nessuno avrebbe abbandonato il Falcone monocilindrico.
GCC: la questione è che, astraendosi dal concetto Guzzi per un momento, la concorrenza che c’è oggi sul mercato delle moto grandi e sportive è una concorrenza fondatissima. Io mi ricordo che tutti dicevano “sti giapponesi… chissà…” ma i giapponesi oggi riescono impeccabilmente, sia nelle motociclette che nelle vetture.
Non c’è più la remora del prodotto giapponese che affascina sul momento ma che poi scavando, sotto sotto…: fanno delle ottime macchine. Quindi oggi se si vuole abbandonare quello schema per fare qualcosa di appetibile bisogna andare su cilindrate frazionate e su potenze grosse. Ormai 100 cv non bastano più.
Le moto da Gran Premio di oggi
LA: si vendono moto da 160 cv, difficile pensare di andare oltre, su strada…
GCC: sì, io non li capisco. Adesso c’è questa nuova formula del 990 4 tempi da Gran Premio che nel primo anno doveva correre insieme alla 500 2 tempi: guardate che il 1000 4 tempi si avvia verso potenze di 300 cv. Sa cosa vuol dire 300 cv?
È una pazzia: già il 2 tempi ha più di 200 cv, e per questi 4 tempi che stanno iniziando a correre adesso parlano di 240-250 cv.
Il ragionamento è semplice: assumiamo come attendibili le potenze della Formula 1, che con 3 litri di cilindrata e 10 cilindri: parlano di 800 cv con disinvoltura. Con un motore piccolo i giri salgono e le potenze specifiche salgono, o almeno non diminuiscono. E’ facile pensare che l’Honda che corre quest’anno sarà vicino ai 300 cv quando sarà a sviluppo completo, l’anno prossimo.
Ora lei pensi a cosa vuol dire 300 cv su una gomma larga 4 pollici…. è un assurdo.
Come vede, uno degli scopi delle corse è quello di attrarre il pubblico, di affascinarlo con il sempre più difficile, ma poi alla fine diventa un assurdo.
LA: dovranno sicuramente introdurre qualche forma di elettronica, come sulle Formula 1.
GCC: ma su quelle macchine è già tutto elettronico…
LA: intendevo controllo della trazione, sospensioni, controllo della frenata…
GCC: Tra l’altro quei circuiti che c’erano una volta dove effettivamente contava la maggior potenza non ci sono più. Io ricordo, non so voi, il circuito dell’Avus in Germania, che erano due rettilinei di 10 km, una curva da fermo ed un curvone sopraelevato che all’epoca le Auto Union e Mercedes facevano a 400 km/h.
Oggi questi circuiti non ci sono più, ma ci sono dei circuiti dove è difficile stare in piedi con una moto con tutti quei cavalli.
Pensi solo sul bagnato: è un’esagerazione, ma la gente è attratta da quello spettacolo.
Se lo scopo è incassare i soldi del pubblico, allora lo scopo è raggiunto, ma se lo scopo è di riportare sul terreno pratico qualcosa di recepito da quelle potenze spaventose, allora… non so (è perplesso).
LA: quindi secondo lei è poco probabile che la Guzzi torni alle competizioni?
GCC: non so. Io ho sentito dire che la Guzzi tornerebbe alle competizioni, ma non so quando e non so come, era solo una voce. Anche perchè tornare alle competizioni adesso vuol dire partecipare a questa formula Grand Prix, dove c’è già questo tentativo Aprilia.
Non so che potenze abbiano; hanno fatto una moto affidata a Laconi, nelle prime corse sta intorno all’ottavo-decimo posto… (è perplesso).
Non so quanti cavalli abbiano a disposizione, ma per battersi lì… tra l’altro c’è una scala di pesi, con un peso minimo per cilindrata e frazionamento, con l’esclusione del frazionamento superiore ai 6 cilindri.
Naturalmente il 6 cilindri ha un certo peso, il 4 ha un peso inferiore, il 3 ancora un peso inferiore… sono differenze dell’ordine dei 20 kg, che contano sì, ma non abbastanza per tagliare le potenze di quei motori.
AL: certo che tutte queste nozioni che conosce dimostrano che ancora adesso è rimasto vicino al mondo delle corse motociclistiche…
GCC: (ride) no, no, ora sono solo un orecchiante… guardo volentieri i gran premi auto e moto.
AL: ha ancora passione, dunque non ha dimenticato il suo primo amore.
LA: che motore da competizione progetterebbe oggi?
GCC: sempre per la formula da 1000?
LA: sì.
GCC: bisognerebbe studiare bene quella scala di pesi che è determinante. E’ chiaro che, a parità di cilindrata, un 6 cilindri ben fatto dà qualcosa in più del 5 e del 4 cilindri ed anche del 3 e del 2 cilindri, non c’è dubbio.
AL: da qui nasce la sua scelta dell’otto cilindri?
GCC: sì, ma ora non si può più fare quindi non ne parliamo. Il 3 cilindri può essere una soluzione buona, ma bisogna mettersi in mente i limiti della possibilità di girare del motore.
Non so la potenza massima ed il numero di giri del 5 cilindri Honda. Se il 3 cilindri italiano riesce a girare quasi agli stessi giri può essere competitivo, ma se quello gira a 20000 e questo a 14000 non si può fare. Mi hanno detto che in quel 3 cilindri c’è la zampa di un ingegnere che era alla Ferrari e che ha il richiamo delle valvole pneumatico: in questo caso può darsi che riesca a girare abbastanza.
Il problema è che per essere competitivi bisogna ragionare sull’ordine delle potenze che dicevamo prima: almeno 200 cv e credo che per adesso siano lontani.
La nascita del motore 500 8 cilindri
LA: per cui a suo tempo la scelta dell’otto cilindri era dettata dal fatto che andava meglio di un 6 e di un 4?
GCC: era un ragionamento diverso: abbandonando il monocilindrico ed il bicilindrico dove eravamo arrivati noi, la soluzione più vicina era il 4 cilindri. Ma se avessimo fatto un 4 cilindri, saremmo partiti con anni di ritardo sull’esperienza della Gilera e della MV ed avremmo dovuto tribolare almeno un paio d’anni per portarlo al loro livello.
Allora pensammo che puntando su un 8 cilindri il problema potenza non era in gioco, piuttosto erano importanti il problema peso ed il problema ingombri. Il nostro 8 cilindri era brillante perchè era largo come un 250, così (fa il gesto con le mani).
Quando è stato provato al freno per la prima volta dava già 63 cv, mentre il Gilera ne dava 60, ed eravamo ai primissimi test. Poi è andato su fino a 70-72 e sarebbe cresciuto ancora se non gli avessero tagliato le gambe con quel famoso accordo del ’57.
LA: dove sarebbe potuto arrivare secondo lei?
GCC: avevamo tante cose da provare, un nuovo albero a gomiti e tanto altro. Dai 75 cv sarebbe arrivato ai 100 cv con relativa facilità, uno o due anni dopo. Ne sono sicuro, perchè noi provavamo il motore al banco a 12500 giri, ma Lomas mi diceva che lui all’Avus andava a 14000 giri. Mi ricordo che gli dissi che avremmo messo un limitatore dei giri (ride).
Sicuramente i 14000 giri erano possibili con quelle dimensioni. Era questione di arrivarci anche con la distribuzione. Pensi che margine di miglioramento aveva quel motore, rispetto a quello che oggi è una cosa normale, con la possibilità di avere un’accensione elettronica, o una distribuzione con richiamo delle valvole pneumatico.
C’era una possibilità di miglioramento enorme.
LA: ed anche un’iniezione elettronica in mezzo alla V dei cilindri, che avrebbe risolto il problema dei carburatori.
GCC: sì, certamente, con l’iniezione indiretta o diretta, a seconda dei casi. Noi siamo riusciti a fare il V con 8 carburatori e tutte quelle balle lì, ma sa come si semplifica con l’iniezione? Si guadagna sui consumi, sulle potenze, su tutto. C’era un’enorme prospettiva davanti.
LA: se non fosse proibito dal regolamento, oggi sarebbe ancora attuale il suo 8 cilindri?
GCC: quello lì no, ma un figlio di quel motore probabilmente sì. Adesso c’è un gran numero di innovazioni tecnologiche che sono venute dopo quel motore. E se fosse libero, stia tranquillo che i giapponesi l’avrebbero fatto subito.
Io vi ricordo che nel 1956 la Honda fece un 125 cc a 5 cilindri. Sa cosa vuol dire? Faceva i 19000 giri, io l’ho visto girare al Tourist Trophy. Era tra il 1955 ed il 1957.
(riflette)
Poi l’otto cilindri ha affascinato molti cultori nel mondo. (indica un quadro appeso sul camino con il disegno della Ottocilindri) Il Motoclub Mandello mi ha regalato quello.
L’anno scorso è venuto a trovarmi un australiano, uno strano tipo, che in Australia aveva fatto due motociclette 8 cilindri, una 750 ed una 1000 e mi ha raccontato un pò la storia. Le aveva costruite tutte lui.
LA: per cui se fosse possibile oggi progetterebbe lo stesso un 8 cilindri per le gare?
GCC: se fosse possibile, sì. Un 8 cilindri, che di quello avrebbe lo stesso schema a V, ma poi poco altro. Oggi chi non fa 4 valvole o 5 ha perso in partenza e quello ne aveva 2; poi con teste ed accensioni diverse.
Il problema dell’accensione per quel motore, a quell’epoca, era praticamente irrisolvibile.
L’otto cilindri è ancora vivo nella mente dell’Ing. Carcano
Eravamo partiti provando con del Vertex, un magnete svizzero;era fatto anche bene, ma non durava. Girando a metà giri, a 6000-6500 giri era già in crisi. Allora avevamo fatto quel sistema di una bobina a cilindro con le puntine etc. Andava bene, ma quel sistema sarebbe ridicolizzato dai sistemi di accensione attuali.
AL: il suo motore con i servizi moderni di accensione, iniezione e distribuzione…
GCC: sì certo. Mi pare che quel motore fosse quadro, con il diametro uguale alla corsa. Oggi invece fanno i motori sottoquadri che permettono di girare di più. Penso che un 8 cilindri così concepito potrebbe girare a 20000 giri/minuto, e sarebbe possibile avere potenze di 150 cavalli con mezzo litro.
LA: è vero che all’epoca si pensò anche di ricavare un 4 cilindri da metà dell’otto?
GCC: no, veramente no. E’ stata fatta una prova riducendo la cilindrata a 350. Era stato anche detto di togliere un blocco di cilindri. Si pensava di fare una prova, che non è mai stata fatta, con un otto cilindri con la sola fila di cilindri davanti, che diventava così un 250.
Di questo 250 quattro cilindri se ne era parlato, però era ingombrante perchè aveva carter, cambio, frizione ed anche il radiatore dell’otto cilindri 500. Era una cosa macchinosa, e la prova non fu poi portata avanti.
Il 350 [8 cilindri], invece, è stato fatto e provato a Monza; mi ricordo che quel motore dava più di 50 cv, 52 o 53 cv. Era un gioco, e fu fatto solo il 350, otto cilindri.
LA: ma poteva avere sviluppi commerciali interessanti, per un uso stradale?
GCC: sì, forse sì, ma sarebbe stato impopolare da vendere perchè avrebbe avuto un prezzo molto elevato. Chi è disposto a spendere quei soldi si compra un 500, un 750 o un 1000. Le supermoto sono tutte di alta cilindrata.
LA: magari poteva poi crescere fino a 500 o 600 cc, e diventare come i 4 cilindri che i giapponesi hanno venduto poi all’inizio degli anni ’70 [solo che arrivava 15 anni prima, NdA].
GCC: sì, ma a quell’epoca, che io ricordi, non si era mai pensato di arrivare a qualcosa da vendere partendo da quelle esperienze delle competizioni. Anche perchè a quell’epoca il gusto della supermoto non era ancora entrato nel pubblico.
L’Ing. Carcano e la Moto Guzzi
AL: che rapporti c’erano tra il reparto corse e la produzione? Pochi, nessuno?
GCC: l’organizzazione della Guzzi di allora farebbe rabbrividire chi pensa alle organizzazioni di adesso. Penso alla Guzzi come era organizzata allora: per esempio, la parte corse non aveva un’officina propria. Aveva un personale proprio che era quello che gestiva le corse, ma per tutto il resto dipendeva dalla produzione di serie.
Noi avevamo un reparto attrezzisti che faceva le attrezzature per produrre le moto normali, e noi del reparto corse eravamo lì a soffiargli sul collo, con una parte dell’officina che nicchiava. Era una lotta continua.
Non c’era un’organizzazione, per esempio, come la Ferrari adesso, indirizzata per le corse e dedicata a quello; noi dipendevamo da questo reparto attrezzisti, i quali, andando a sollecitarli, ci facevano quello di cui avevamo bisogno, a mò di cortesia.
LA: lei come ha vissuto la fine delle corse, il famoso “patto di astensione” del 1957?
GCC: l’ho vissuto male, dico la verità, perchè è stata presa una decisione in maniera del tutto inaspettata, non so poi se giusta o sbagliata. Se mi avessero chiamato…
Io mi ricordo che eravamo a Modena per delle prove per la corsa cittadina sul circuito locale di Modena, in un prato tutto cintato. Al ritorno qualcuno mi ha detto “ma lo sai che la Guzzi si ritira dalle corse?”, l’ho saputo da terzi. La decisione poteva essere giusta o sbagliata, ma ci voleva un altro approccio.
Certo che se la Guzzi avesse continuato a correre avrebbe dovuto modernizzarsi, organizzarsi diversamente da come era organizzata allora.
AL: è stata una bastonata insomma
GCC: (annuisce)
LA: c’è stato anche un grande spreco di esperienze e di conoscenze, interrompendo le corse così bruscamente, no?
GCC: eh sì, effettivamente… io mi ricordo che nel ’36, il primo anno che sono arrivato alla Guzzi, non c’era una divisione dei compiti e dei lavori, tutti facevano tutto.
Essendo io allora l’unico ingegnere alla Guzzi, ogni volta che c’era una rogna o un problema venivano da me e io dovevo arrangiarmi a risolverlo.
Allora c’erano delle forniture militari che volevano nei contratti allegati una fila di disegni: per esempio le potenze, consumi, coppie etc. rilevati in sala prove. Lì dovevo farli io, non c’era niente da fare. Volevano le accelerazioni delle moto militari in prima, seconda, terza e quarta e bisognava fare tutti quei diagrammi. Ecco, facevo le cose più varie, (ride) ogni volta che c’era una grana venivano da me e mi dicevano “Come dobbiamo fare qua?”
LA: qual’è stato il suo momento più bello alla Guzzi?
GCC: il momento più brutto è facile da ricordare, poi ci sono stati molti momenti belli. Le assicuro, senza tema di essere smentito, che ero tanto appassionato che avrei pagato io qualche cosa per lavorare alla Guzzi. Non ho mai avuto orari controllati, o cartellini, nè all’inizio nè dopo.
Certe volte andavo a lavorare alle 10 e veniva il portinaio a dirmi: “Ecco è arrivato, il dott. Parodi l’ha cercata”, tutto spaventato, e io dicevo “Guardi che io ieri sera a mezzanotte ero su ancora a far disegni”.
Non mi ha mai costretto a timbrare il cartellino, eppure io facevo quel lavoro proprio con passione, non ne sentivo il peso.
Dopo il ’57 non timbravo lo stesso il cartellino, ma era tutta un’altra cosa; non c’era più quell’entusiasmo e quello spirito di corpo, che ci faceva provare e riprovare…
Quando è stato fatto l’otto cilindri, io e i miei collaboratori abbiamo fatto certe tirate per disegnare… poi bisognava andare dal modellista a Milano, poi dall’Isotta Fraschini che ci aveva fuso i primi carter.
Era un movimento continuo, che effettivamente dopo il ’57 non c’è stato più.
AL: dopo il ’57 si è dedicato alla produzione di serie.
GCC: dopo il ’57 si è tirato avanti mica male fino al ’65-’66, dopo è venuta ‘sta SEIMM che poi…
Io avevo un principale, il dottor Enrico Parodi, che era una persona d’oro, troppo buona per fare l’industriale. Per fare gli industriali bisogna avere… (fa il gesto del pelo sullo stomaco). Lui, se un suo dipendente stava male, gli mandava lo specialista a casa; era davvero una persona troppo buona.
Naturalmente, sapendo questo, qualcuno se n’è un pò approfittato ed è venuto fuori quel periodo degli anni ’60, quando c’era un pò di crisi generale. La Moto Guzzi non correva più e non c’era quindi quella verve che c’era sempre stata.
Lui fu trattato male dai suoi capoccia vicini. Gli han fatto delle porcherie e questo mi rincresce perchè era proprio un uomo troppo buono, troppo di cuore generoso per fare l’industriale.
Le barche a vela e la Coppa America
AL: poi lei si è rifugiato nelle barche…
GCC: sì, mi sono rifugiato nelle barche, con cui mi sono divertito molto. Ancora adesso devo dire che mi piacciono più le barche… (ride).
L’anno venturo c’è la coppa America, e mi tocca vederla in televisione.
LA: sono meglio le moto o le barche a vela?
GCC: anche quando mi occupavo di moto, ho sempre avuto una passione per le barche a vela, ed è per questo che ho continuato con le barche. Anche le barche a vela mi hanno dato tante soddisfazioni.
AL: lei è un artista delle forme filanti, in acqua ed in aria.
GCC: (ride) è un problema piacevole da risolvere perchè è figlio di molte variabili.
Per esempio, la Coppa America è una cosa che ora vedo dal di fuori, ma c’è stato un momento che ho rischiato di vedere dal di dentro. E’ stato nel ’62, quando Gianni Agnelli voleva sfidare per la Coppa America; è andato da Croce e questi è venuto da me a dirmi se mi sarei sentito di fare un disegno. Gli dissi: “Non so, vediamo cosa si può fare”; con Agnelli e Croce siamo andati in America, siamo stati ricevuti da Kennedy, e dal New York Yachting Club. Allora c’era il regolamento, che c’è ancora adesso ma viene scappottolato, che la barca sfidante per la Coppa America doveva essere figlia di un progettista italiano e tutta la parte albero, vele, verricelli, chiglia, timone etc. doveva essere di produzione della nazione che sfidava.
Non si poteva fare una barca e prendere l’albero in America e le vele in Australia, come fanno oggi correntemente. Oggi se i nostri due sfidanti della Coppa America fossero costretti a correre con la strumentazione italiana e con l’albero italiano non sarebbero nemmeno presi in seria considerazione.
(rimane sovrappensiero)
Mi ricordo nel ’62 siamo andati a vedere quella Coppa America, e siccome c’era appunto quella regola severa e controllata, che sia la barca che le attrezzature dovevano essere di produzione nazionale, abbiamo lasciato perdere. Abbiamo fatto bene perchè non si sarebbe potuto essere competitivi.
L’anno prossimo ci sarà questa nuova edizione della Coppa America, dove ci sono due sfide italiane, la sfida svizzera, la sfida francese, la sfida inglese, ce ne sono tante. Chi è messo molto bene, secondo me, sono gli svizzeri, che hanno affrontato il problema con la mentalità giusta, perchè hanno portato via dalla Nuova Zelanda il timoniere ed i progettisti. Hanno preso tutto quello di buono che potevano prendere dalla Nuova Zelanda.
Il problema della Coppa America è affascinante, perchè è terribilmente semplice e terribilmente complicato allo stesso tempo. Il problema, semplice nella sua formulazione, è: bisogna mettere in mare una barca che nelle condizioni medie in cui si disputa la Coppa America sia la più veloce delle altre. Semplice, no?
Il difficile è proprio quello: l’ultima Coppa America l’ha vinta New Zealand, che era una barca piuttosto strana, adatta a quei tempi.Adesso tutti pensano di copiarla, ma è il passo più sbagliato che ci sia, perchè in quattro anni i neozelandesi sono sicuramente andati oltre. L’esperienza della Coppa America dimostra che sia gli americani che i non-americani hanno vinto la Coppa con barche diverse, che rappresentavano qualcosa di nuovo rispetto alla soluzione vincente di quattro-cinque anni prima.
Quando hanno fatto delle barche conformi, come le chiamo io, hanno sempre buscato.
L’Ing. Carcano racconta Carlo Guzzi
AL: cosa ha detto Carlo Guzzi quando lei propose di fare la galleria del vento?
GCC: la galleria del vento era un pallino di Carlo Guzzi. Io gli dissi di non fare una galleria del vento artigianale come questa qui: o non la facciamo, o la facciamo come Dio comanda, ma farla per bene sarebbe costata quattro volte tanto.
Questa galleria del vento era nata con un motore a scoppio Fiat aereonautico da 900 cv e con un’elica che tirava dentro l’ira di Dio. Solo in seguito è stato messo un motore elettrico.
Comunque la galleria del vento è stata voluta proprio da Carlo Guzzi.
AL: come erano i suoi rapporti con Carlo Guzzi?
GCC: io ero un ammiratore di Carlo Guzzi.
AL: e lui le lasciava fare quello che voleva?
GCC: sì, specialmente negli ultimi tempi, in principio no. Carlo Guzzi era una persona intelligente, che aveva il senso dell’umorismo come non ho mai trovato in nessun altro. Era un individuo piacevole perchè era spiritosissimo ed indiscutibilmente intelligente.
Come ogni persona, aveva i suoi lati buoni ed i suoi lati meno buoni. Uno di questi era che lui non dava per provata una cosa se non era stata effettivamente provata. Per cui a volte si perdeva in prove di cui si sapeva già l’esito, ma lui voleva provare lo stesso.
Carlo Guzzi in una foto d’epoca
AL: com’era lavorare con Carlo Guzzi?
GCC: Carlo Guzzi era una persona intelligente e di buon gusto, che aveva un piacevole senso dell’umorismo.
Tante volte ci siamo fatti tante risate.
AL: prima del suo inserimento nel reparto corse, era solo Carlo Guzzi che se ne occupava?
GCC: Carlo Guzzi si occupava di tutto il resto, ed incidentalmente delle corse. Prima del ’36, quando sono entrato io, Guzzi aveva fatto il 4 valvole Campione d’Europa del ’24, poi più avanti aveva fatto un 4 cilindri raffreddato ad aria ad aste e bilancieri, che non ha mai avuto successo ma l’aveva fatto già nel ’29 o ’30. Poi nel ’32 aveva fatto il primo bicilindrico, poi i due Albatros 250 già nel ’26 o ’27.
Quindi quando ero arrivato io, le macchine da corsa Guzzi erano il 250 Albatros ed il 500 bicilindrico a 120°. Faceva poi il Condor, su cui io ho lavorato parecchio trasformandolo.
AL: da cosa è nata la sua forcella con i biscottini?
GCC: la forcella con i biscottini è nata per il Gambalunga. La prima l’avevamo provata a Bergamo al circuito delle mura con Balzarotti, che era allora con noi.
Mi ricordo che l’ammortizzatore era nei due foderi ed era troppo difficile farlo lavorare bene. Quando sono stati messi i due ammortizzatori esterni, lavoravano benissimo: infatti quella forcella era montata anche sul 350 Campione del Mondo ed anche sull’otto cilindri.
AL: che infatti aveva gli ammortizzatori esterni.
GCC: sì, esatto, erano esterni. Era una soluzione pratica, perchè si cambiava la coppia di ammortizzatori in 5 minuti. Adesso le forcelle sono molto più evolute.
Noi portando gli ammortizzatori al di fuori non avemmo più problemi con quella forcella.
LA: lei aveva carta bianca per le competizioni. Invece per la produzione di serie, Carlo Guzzi le ha mai rifiutato qualche idea?
GCC: anche per la produzione di serie l’organizzazione non era… (fa un gesto vago)
Allora eravamo un piano sopra la villetta (una parte dello stabilimento Guzzi adibita ad uffici, NdA) che si vede, che era adibita ai disegnatori. Sulla sinistra c’era Pasolini con cinque o sei disegnatori che era il regno di Carlo Guzzi; di fianco a quella sala Guzzi aveva uno studiolo; sulla parte verso la strada c’eravamo io e i miei due collaboratori Cantoni e Todero.
AL: Cantoni e Todero sono arrivati dopo?
GCC: il primo, Cantoni, è arrivato subito prima della guerra, quando disegnammo un motorino per bicicletta, con il rullo che lavorava sul pneumatico. Sarà stato il ’40 o il ’41. Io allora non avevo un ufficio, anche perchè non l’ho mai chiesto: ero girovago per lo stabilimento. Quando mi hanno assegnato Cantoni dovetti trovare un posto, con una scrivania ed un tavolo da disegno. Allora andai da Carlo Guzzi, che mi mise in una specie di corridoio, vicino al montaggio motori.Sarà stato lungo meno della metà e lungo il doppio di questa stanza (circa 2m x 10m, NdA).
Era un magazzino dove mettevano le gomme. Lui fece tirare fuori le coperture e disse “ecco fatto” (ride). Me lo hanno detto dopo, lui si meravigliò che non rifiutai di stare in un budello di quel genere. Ci stava solo un tavolo da disegno piccolo, perchè uno grande toccava nelle pareti. Quello fu il debutto con Cantoni.
AL: e tornando alla domanda [di Luca] degli interventi in produzione?
GCC: per gli interventi in produzione allora io intervenivo se c’erano delle grane. Ad esempio, qualche volta c’erano stati dei problemi di trattamento termico. Avevamo un reparto Trattamento Termico dove c’era un termico abbastanza specializzato e bravo. Ogni tanto capitava qualche cosa, allora andavo là per vedere cosa succedeva.
Invece dopo il ’57 mi dedicai alla produzione di serie.
LA: c’è una moto realizzata da qualcun altro che lei avrebbe visto bene prodotta dalla Moto Guzzi?
GCC: mah, non saprei. Io ero amico ed estimatore dell’ing. Salmaggi, che era alla Gilera in quell’epoca. Il rivale del nostro Condor era il Gilera Saturno, che era una bella macchina. Per me era la migliore Gilera che sia stata fatta dalle origini della Casa, a parte il 4 cilindri che era quello romano. La storia della 4 cilindri Gilera è nota, era la Rondine che era stata offerta alla Guzzi prima che alla Gilera e la Guzzi rifiutò.
Mandello del Lario
LA: se lei fosse rimasto in Guzzi, che moto avrebbe proposto per la produzione?
GCC: è una domanda da 100.000 dollari (ride). Francamente non saprei, anche perchè quando sono venuto via dalla Guzzi, per un periodo di due o tre anni ho avuto la nausea delle motociclette.
Il conte Agusta mi aveva cercato per darmi carta bianca. Io mi ricordo così bene quel giorno di novembre in cui ero andato con la mia prima moglie Claudina con la macchina a Gallarate, dove mi aveva invitato. Era un giorno che pioveva e c’era una nebbiolina. Mi si è stretto il cuore e gli ho risposto, concorde con mia moglie, che non mi sentivo di abbandonare Mandello.
L’emozione del nostro Luca Angerame di fronte al papa’ della sua Guzzi
Avevo già allora due o tre gatti che bazzicavano per la casa. Ho ringraziato vivamente il conte Domenico ma non me la sentivo. Lui mi aveva fatto ponti d’oro per occuparmi delle moto, di elicotteri, aereplani, quello che volevo: ma io ero in un momento nostalgico, come capita e non me la sono sentita di lasciare Mandello.
AL: Mandello dunque l’ha aiutata anche nel suo lavoro alla Guzzi perchè era un borgo tranquillo e piacevole
GCC: questa casa l’ha comprata mio padre due o tre anni prima che io nascessi, e noi venivamo qui a Pasqua e durante i tre mesi estivi a fare le vacanze.
Mio padre era un ingegnere elettrotecnico, era del 1876, si sarà laureato nel 1900 o 1901.
Quando c’è stata la guerra, nei primi anni che lavoravo alla Guzzi non potevo venire in questa casa perchè non aveva riscaldamento, quindi vivevo al Grigna o al Giardinetto (due alberghi di Mandello, NdA). Dopo, nel ’40, i miei sono stati sfollati ed abbiamo messo qualche comodità. Dopo di allora sono vissuto in questa casa.
LA: lei è molto attaccato a Mandello?
GCC: certo, lo frequento da sempre, da quando ero bambino e avevo tre o quattro anni.
Mi ricordo che io e mio fratello, che era maggiore di me di tre anni, facevamo parte di una specie di congrega di villeggianti e c’era anche la congrega dei locali, con cui ci odiavamo. In quegli anni lì bisognava stare attenti che ogni tanto volavano certe sassate… che non si sapeva da che parte arrivavano (ride).
LA: secondo lei la gente di Mandello ha influito sul successo della Guzzi? Intesa come carattere e come elemento umano.
GCC: sì, sicuramente. Sa, secondo me Carlo Guzzi è stato fortunato perchè i primi collaboratori che ha avuto, e che io ho conosciuto, erano delle persone semplici, dei meccanici bravissimi. Guardi, io ricordo l’Agostini, detto il Moretto, che era chiamato “l’uomo del ditòn”, che sarebbe il pollice, per come faceva le cammes delle macchine da corsa.
Lui faceva il rocchetto, poi lo passava agli attrezzisti per fresare secondo l’angolo che era stato stabilito. Quindi il profilo lo faceva lui con la pietra d’India e con la lima. Quando era cementato e temperato, quindi duro, lo finiva ritoccandolo con la pietra abrasiva, la pietra d’India. Per sentire se andava bene e se era liscio sufficientemente, col famoso “ditòn” ci passava sopra così (fa il gesto con il pollice). E mi ricordo di ‘sto “ditòn”, che era una barzelletta.
I primi collaboratori di Guzzi erano gente semplice ma molto in gamba.
Omobono Tenni
AL: come vivevate le trasferte per le gare? Quei momenti della partenza, carichiamo le moto, andiamo…
GCC: negli ultimi anni noi avevamo due autocarri OM, mi pare, carrozzati apposta per il trasporto delle macchine da corsa. Se andavamo molto lontano, come per esempio al Tourist Trophy quelli che andavano con il camion arrivavano a Calais, poi da Calais andavano a Dover, poi da Dover a Liverpool, a Liverpool li imbarcavano sui traghetti ed i traghetti da Liverpool andavano all’isola di Man. Ecco, quella era la trasferta più lunga.
AL: una settimana di viaggio
GCC: sì sì
LA: qual’era il suo pilota preferito?
GCC: eh, è difficile… sa, io ho avuto degli amici anche tra i piloti. Lorenzetti, per esempio, era una persona intelligente. Non ricordo un altro corridore che fosse simile a lui.
Lorenzetti aveva un dono di natura: non so se è il caso di dirlo, ma era un cattivo motociclista, per il senso dell’equilibrio, eppure era un buon corridore.
Io mi ricordo una volta che eravamo andati a Ginevra; lui aveva un Condor 500 che aveva qualcosa nel passaggio, nella regolazione [della carburazione?]. Siamo andati su una strada aperta al traffico a Ginevra. Lui andava con ‘sta moto e noi cercavamo di regolare la spina, il diaframma, la vitina del minimo etc., in modo che ci fosse un passaggio agevole. Quella volta lui era lì dove eravamo noi, veniva avanti piano e dietro c’era un sidecar BMW di un turista. Lui ha voltato senza guardare e quello l’ha buttato per terra (ride). Sono cose che un motociclista non fa.
Eppure lui era bravo, era tutto il contrario di quello che uno si immagina sia un corridore, per niente spaccone o esuberante, ma molto raziocinante e molto preparato.
Chi ammiravo, pur non condividendone il modo di correre, era Tenni.
Tenni era un individuo stranissimo, se lo aveste conosciuto. Se fosse qui seduto con noi sarebbe calmo, come noi, proprio una persona normalissima. Come metteva il sedere sulla moto cambiava da così a così (fa il gesto con la mano).
Ricordo bene che, quando era sulla motocicletta, il suo scopo era andare forte. Non vincere la gara, ma andare forte. Un giorno mi ha detto: “Ma tu credi che il pubblico vada a vedere le corse per vedere se arriva Gilera o se arriva Guzzi? No, va a vedere le corse perchè vuole vedere andare forte.”
Ad esempio Lorenzetti era un calcolatore: se era in testa staccava 20 metri prima. Lui no, se era primo staccava 5 metri dopo. Diceva: “Mi sento di derubare il pubblico”; era un concetto diametralmente opposto.
Un altro che mi era caro, un amico, era Alano Montanari, non so se ve lo ricordate. Non so quanto valesse come corridore ma era una persona indimenticabile.
Montanari, le dico com’era. Intanto era uno che quando l’ho conosciuto io aveva già sui 45 anni, o forse no ma di sicuro più di 40 anni. Eravamo a Ospedaletti e lui aveva una 250 Albatros. Mi ricordo che me l’ha presentato un romagnolo che io conoscevo.Veniva a spasso qui alla Guzzi e un giorno mi disse “Le presento Montanari”. Era appena caduto e si era staccata l’unghia del pollice, e si stava ancora lamentando.
Era un fanatico guzzista, sa cosa vuol dire un fanatico? Era uno che non avrebbe mai concepito di poter fare una corsa con un Gilera o con un Norton. Moto Guzzi e non se ne parlava.
Questo aneddoto sulla Moto Guzzi mi è stato raccontato: non posso giurare che sia vera ma illustra l’uomo. Lui aveva una 250 PES normale (PE Sport, NdA), per andare in giro. Lui era romagnolo di Cesena ed una volta, in Romagna, aveva un passeggero dietro e andava per la sua strada. Arriva una Gilera e lo passa. Non l’avesse mai fatto!
Era un’offesa personale (ride). Allora con la bocca storta ha detto a quello di dietro “Buttati giù!” (lo dice in romagnolo, suona “bute zò”, NdA), e quello non aveva capito, e lui ancora “Buttati giù!” e quello (ride) l’ha lasciato andare solo alla caccia dell’odiato Gilera.
AL: li sceglieva lei i corridori?
GCC: no, qualche volta mi chiamavano ma tutta la parte finanziaria non la facevamo noi.
LA: secondo lei fu Tenni il pilota più coraggioso?
GCC: Tenni era uno spericolato. Se uno non l’ha conosciuto, è difficile pensare che un uomo possa guidare in quel modo.
Guardi, c’è stata una gara del Campionato Italiano a Bologna, quando ancora usavano i dentro-fuori, i circuiti cittadini insomma. In quella gara c’erano 4 Guzzi 250 col compressore: erano Alberti, Pagani, Sandri e Tenni.
C’erano 3 Benelli col compressore: erano Soprani, Rossetti e forse Ciani, non mi ricordo bene. E poi c’era il resto di contorno, ma la lotta era fra queste Guzzi e Benelli.
Guglielmo Sandri era di Bologna, un corridore forte, e Bologna era la sua casa.
Morale: pronti, via! Partono e si sono staccati Tenni e Sandri. Tenni è riuscito a far cadere Sandri, cosa che era la sua massima soddisfazione, e s’è trovato davanti.
La Benelli di Rossetti era indietro tanto, ed ad un certo momento, al penultimo giro, c’era Tenni primo, che stava raggiungendo Soprani che era secondo, quasi indietro di un giro. All’ingresso dei Giardini Margherita, la strada si restringeva un pò ed era un passaggio abbastanza largo ma relativamente stretto. Tenni ha raggiunto Soprani e l’ha passato all’interno, sono passati in due alla Porta che se si toccano vanno per aria tutti e due, è una di quelle cose che oggi non si pensano più.
Tenni vinse la corsa con un giro di vantaggio su Soprani. Io gli dissi:”Senti, ma ti rendi conto…?” ma se l’avesse passato dopo, per lui non sarebbe stato divertente come era stato passarlo all’interno alla Porta.
AL: lo sa che la invidiamo per tutti questi ricordi che ha?
GCC: (ride) ma io vorrei avere qualche ricordo di meno e qualche anno di meno, ma non è possibile.
LA: ricorda la vittoria di Tenni al Tourist Trophy del ’37?
GCC: sì, ma non ero andato all’isola di Man. Ricordo bene il telegramma che venne dall’isola di Man, che Tenni aveva vinto la 250, e poi aveva corso nella 500 con Stanley Woods. Mentre nel ’35 Stanley Woods aveva vinto, nel ’37 non mi ricordo più cos’era successo e non vinse.
Mi ricordo che alla seconda telefonata c’è stato uno che è venuto da me e mi ha detto: “Chi è arrivato, chi è arrivato?” e quando gli hanno detto chi era arrivato lui ha chiesto. “Su Guzzi?” perchè c’era in ballo un premio in soldi che avevano promesso se avessero vinto anche la 500 (ride).
LA: e com’era Omobono Tenni dal punto di vista umano?
GCC: aveva un morale ed un coraggio enormi. Mi ricordo con dispiacere di quando è caduto ed è morto a Berna. Io per combinazione ero a Roma, ed ho un rimorso di coscienza. Sa, sono quelle cose che si dicono e magari poi non sono vere, ma forse se ci fossi stato io non sarebbe successo.
Allora avevamo realizzato una bicilindrica sperimentale, e l’avevamo mandata al Centro Studi dell’Esercito, a Roma. C’erano state delle discussioni perchè non ricordo più cosa volevano, ed allora Carlo Guzzi mi aveva detto di andare a Roma per seguire la situazione.
Là a Berna Tenni aveva provato a lungo questa 250 bicilindrica ed era convinto sì e no, se adoperarla in corsa e prima che chiudessero gli allenamenti aveva detto al Moretto “Io voglio provare la mia 250 monocilidrica”. Le due moto erano diverse, nel senso che la 250 bicilindrica era molto più alta, di pedane e di tutto, mentre l’altra era più bassa. Insomma prese questa Albatros normale e ci ha fatto un giro, è arrivato dove comincia la salita, una curva a destra, ha inclinato molto, ha toccato giù ed è andato via. Ha picchiato col collo proprio contro un alberello grosso così (fa il gesto) ed è morto sul colpo. Non so… gli allenamenti stavano finendo e se lui decideva di correre con la bicilindrica o con l’Albatros non aveva bisogno di provarla, perchè l’aveva straprovata chissà quante volte. Son cose che vanno così. Era un uomo buono.
LA: lei ha avuto la fortuna di vedere dal vero sia i piloti degli anni ’30 sia i piloti moderni. Qual’è stato il pilota migliore in assoluto ed il più coraggioso che lei abbia mai visto?
GCC: è difficile dire il migliore in assoluto (ci pensa su), sa ce ne sono parecchi, ed è difficile dire questo è meglio dell’altro anche perchè bisognerebbe vederli sulle stesse macchine e nelle stesse condizioni. Degli italiani, a parte Lorenzetti, che era un tecnico più che un pilota, e sapeva tirarci fuori cose che altri non sapevano, degli italiani c’era Tenni e Vandirolo. Vandirolo, che correva con la Gilera, è stato un coraggioso, era un ottimo pilota.
Degli stranieri, Duke mi ha impressionato. Non mi ricordo esattamente che anno era, l’anno in cui ha vinto il primo Tourist Trophy con il Norton 500; noi eravamo all’isola di Man con la bicilindrica a 120° che aveva Bob Foster, mi pare. Io sono andato a Craig Ni Bah, che era una curva in discesa. Quel circuito, adesso l’hanno sistemato, ma allora era una roba da ucciderli, a far correre della gente in una strada con un asfalto con una grana grossa così, tutta buche ed ondulazioni con a sinistra ed a destra dei muretti di pietra viva, che se uno ci andava contro si faceva male.
Mi ricordo di aver visto questo Duke, che aveva 18 anni ed era il primo anno che appariva;girava dietro ad Harty Bell, che era il numero 1 della Norton. L’ho visto a Craig Ni Bah e mi sono messo le mani nei capelli, questo ragazzo dietro ad Harty Bell, dava l’impressione di dire “tirati via che io vado”, era una cosa impressionante. Duke è stato veramente un grosso pilota.
Un altro grosso pilota è stato Surtees, sicuramente, un grossissimo pilota.
Poi c’è stato Ray Amm Anche quello è durato poco. C’era un gruppo di tre o quattro veramente fuoriclasse.
Noi abbiamo anche avuto per molti anni Bill Lomas, che era un ottimo pilota, Campione del Mondo nella 3 e mezzo, ed era il pilota della Otto Cilindri. Poi, oltre a Duke, la Gilera aveva McIntyre, che era forte, un grosso pilota anche lui.
AL: certo che adesso vedendo le corse, come cadono e si rialzano in un attimo…
GCC: intanto ora hanno delle vie di fuga che allora non c’erano, uno cadeva e si faceva male, e poi ora hanno quel salvaschiena che hanno messo dopo l’incidente di Rainey. Lo sapete che è rimasto paralizzato, povero Cristo.
Anche adesso è sempre meglio non cadere, però vedo che otto volte su dieci cadono e si fanno solo un pò male alle mani.
LA: e di Valentino Rossi che ne pensa?
GCC: Valentino Rossi per me è bravissimo.Per la verità lo vedo molto volentieri perchè è molto bravo. Adesso, come dicevo, con quelle moto da Gran Premio, è difficilissimo, poter andare al limite o quasi.
Rispetto a tutta la concorrenza che c’è in giro è veramente bravo, niente da dire.
AL: mamma mia.
LA: abbiamo fatto una carrellata di ricordi… uno starebbe qui ore ed ore ad ascoltare.
GCC: eh sì.
AL: lei che è il progettista del V90, dicono che il cilindro di destra del suo motore sia più fragile e più soggetto a rotture.
GCC: del V7?
AL: sì.
GCC: mah, non lo so, questa è la prima volta che lo sento, non saprei.
LA: si dice perchè è meno lubrificato del cilindro di sinistra.
GCC: quella è una vecchia storia dei libretti Moto Guzzi, ora ve la racconto.
Quando sono entrato io alla Guzzi, vendevano le motociclette con insieme un libretto di istruzioni.
Insieme al libretto di istruzioni c’era una specie di vademecum per il guzzista, in cui era spiegato perchè c’era il cilindro orizzontale, perchè il motore girava indietro e poichè il motore girava indietro si diceva che mandasse l’olio sopra e lubrificava… Son tutte balle, eh, perchè lei capisce che all’interno di un carter di un motore che gira c’è una nebbia d’olio che va su, giù, dentro, fuori, da tutte le parti.
“Adesso ve la racconto io ‘sta storia del motore che gira al contrario!”
Ma quel fatto del motore che girava all’indietro perchè mandava gli spruzzi d’olio sopra e poi da sopra scendevano giù, si leggeva solo sui libretti d’istruzioni dell’epoca.
AL: quindi non c’è una ragione di progettazione per la presunta fragilità del cilindro destro?
GCC: io veramente è la prima che sento che il cilindro di destra fosse più fragile. Non l’ho mai sentito.
LA: secondo lei oggi sarebbe attuale un monocilidrico orizzontale su una stradale?
Sto pensando al suo monocilindrico 500 a corsa lunga. Un figlio di quel motore, magari adattato su una stradale sportiva o turistica oggi.
AL: diciamo un Gambalunga rivisto e corretto, adattato all’uso stradale.
GCC: sarebbe forse adatto, ma la difficoltà sarebbe trovare il cliente. Chi compra una moto del genere? Oggi vogliono i 4 cilindri ed i 100 cavalli, con alte prestazioni.
Io credo che una moto così sarebbe difficile da vendere. Naturalmente lei la vende ad un prezzo inferiore alle 4 cilindri, ma sarebbe difficile trovare un mercato.
Il ragionamento fondamentale è questo: la motocicletta non è un mezzo di trasporto, ma è un mezzo di divertimento: se uno cerca un mezzo di trasporto trova l’auto.
Se lei mette in commercio un 500 monocilindrico oggi, anche a prezzo relativamente modesto, penso che trovi difficoltà a venderlo.
AL: rimane il gruppo di estimatori della Guzzi,…
GCC: non so, io penserei di no ma può darsi invece che sia sì.
La Guzzi del futuro? Diesel!
LA: secondo lei in questo momento quale sarebbe la mossa migliore per la Guzzi?
AL: se lei fosse in Guzzi adesso.
GCC: mah, io le direi una cosa, ma forse è meglio che non la dico, o la dico in separata sede.
LA: la dica, casomai poi la togliamo.
GCC: se fossi la Guzzi, dovrei fare qualcosa di nuovo. La cosa nuova che ho sentito parlano di voler fare è raffreddare a liquido il V90, però è sempre quello… Io farei – non spaventatevi – un tre cilindri. Diesel.
AL: ah…
LA: diesel?
GCC: diesel, sì, perchè con un common rail fatto bene, oggi lei con un tre cilindri diesel avrebbe tutte le polizie del mondo, tutti gli eserciti. In una motocicletta militare il vantaggio di non avere benzina ma gasolio è enorme. Oggi lei fa un tre cilindri di 900 cc, con una sessantina di cavalli ed è una moto che può fare i 180 km/h, che ha un serbatoio che riempie una volta al mese. Una moto che dura un’ira di Dio. Ma io l’ho detto così scherzando ai miei amici, poi non so se lo fanno.
Effettivamente il diesel ha fatto dei progressi enormi rispetto al motore normale a benzina. Certo che se chi compra la moto è lo sportivo che vuole la brillantezza per prima, allora non è la soluzione. Ma se invece chi compra la moto è l’Esercito o le Polizie stradali come base e poi qualche appassionato come plus, allora magari non è un’idea sbagliata.
Se io oggi fossi in Guzzi riterrei importante il fatto di avere le mani in pasta sul common rail.
AL: Vedi, Luca, da dove nascono le idee!
GCC: poi possono farlo o non farlo ma oggi il fatto di dire…
AL: sarebbe un’idea rivoluzionaria!
GCC: più che rivoluzionaria sarebbe un’idea proiettata nel futuro. Guardi che mentre la la tendenza dei motori a benzina è orizzontale, la tendenza dei diesel è in impennata. Il fatto di dire “non so neanche dove mettere le mani su un diesel” non è un vantaggio per una Casa che fa motori.
LA: penso solo con il traffico di oggi, la Polizia che vantaggio avrebbe da una moto del genere.
GCC: sì, il fatto di poter dire “io ho una base di clienti quasi sicura, che sono le Polizie, Vigili Urbani etc.”, poi su quello costruire, con la stessa evoluzione del V7.
AL: cosa ha perso la Guzzi con l’ing Carcano! Possiamo dirlo.
GCC: mah, io glie l’ho anche detto, sono stato chiamato circa un anno fa… devo dire che il proprietario, Beggio, è gentilissimo con me, non posso che parlarne molto bene.
Appena c’è una festa o una riunione mi invita, manda a prendermi. E mi ricordo che mi hanno presentato i cinque capoccia, di cui adesso mi sfugge il nome, ed abbiamo parlato un pò del più e del meno, e di quello che potevano essere programmi futuri.
Quando loro mi hanno chiesto “Ma se lei fosse ancora in Guzzi, cosa farebbe?” e io glie l’ho detto. Adesso poi non so se quel seme è andato a finire sulla pietra o sul terreno fertile. Credo sia andato a finire su… (lascia in sospeso), tanto più che ho sentito parlare di questa voglia di fare il bicilindrico raffreddato a liquido. Non so poi cosa faranno.
AL: Questo sarebbe un proseguo del progetto iniziale…
GCC: sì sì
AL: …la sua massima evoluzione, invece questa idea è una cosa nuova, rivoluzionaria.
GCC: sì, vuol dire arrivare primi nel mondo, con un tipo di motore che ha un avvenire davanti, è innegabile.
Io ricordo cosa erano i diesel solo di qualche anno fa, erano fastidiosi, rumorosi, puzzolenti. Qualche tempo fa una signora con cui dovevo pranzare è venuta a prendermi con una delle ultime Lancia, mi pare una Lybra con il common rail. Se uno non lo sa è difficile dire che è un diesel.
Bello, elastico, hanno fatto un progresso enorme.
LA: possiamo pensare per tutti gli scooteroni da città cosa sarebbe un motore diesel motociclistico, molto meglio di un benzina
AL: io già vedo l’ing. Carcano che se avesse la possibilità di mettere le mani, smanettare su un diesel…
GCC: sono troppo vecchio, cari signori
LA: prima [Aldo], mi hai preceduto, perchè volevo domandare se quando lei è uscito dalla Guzzi, si è impoverito più lei o la Guzzi. Secondo me la Guzzi, glie lo dico a cuore aperto.
GCC: (ride) io se ha perso la Guzzi non lo so. Io ho sofferto per il modo con cui sono venuto via, dalla sera alla mattina. Non mi è piaciuto. Come direbbe il Poeta: “Il modo ancor m’offende”.
Sarebbe stato meglio se mi avessero chiamato e mi avessero detto “Guardi, lei costa troppo”, anche se non era vero. Io tra le tante cose sbagliate che ho fatto in vita mia, alla Guzzi ho sempre preso quattro soldi, perchè era più il sottobanco che prendevo che il banco.
Poi però si è ripercosso sulla mia indennità di licenziamento e sulla mia pensione, perchè io dovrei vivere, se non avessi qualche soldo da parte, con (omissis) al mese. Ossia dovrei non vivere, perchè loro hanno calcolato la pensione sul palese e non sull’ignoto e quindi… c’è stata quella fregatura lì.
LA: è un fatto comunque che quando lei è andato via, la Guzzi è rimasta lì, l’ultimo motore è stato il suo. Dopo non c’è stato nulla di veramente nuovo. De Tomaso ha fatto il quattro cilindri negli anni ’70…
GCC: (annuisce) era una copia dei giapponesi, ma mal fatto
LA: …per cui la Guzzi è rimasta ferma lì.
GCC: (annuisce perplesso, ma non commenta)
Ancora sul V8
LA: è opinione comune che lei abbia progettato la più straordinaria moto di tutti i tempi, la V8. Però poi passa alla storia per il V90, che ha fatto un pezzo della storia d’Italia, ha motorizzato le moto dei Carabinieri etc. Che effetto le fa aver progettato una macchina favolosa come la V8 e passare alla storia per il V90, non le sembra strano?
GCC: (ride) mah, non so, sono due cose completamente diverse. Quella lì [la V8] è nata come possibilità per la Guzzi di difendere il suo nome nella classe 500, perchè la Guzzi nella classe 500 ha tirato avanti, modificando quel 120° bicilindrico del 1930-32 fino al 1950 o giù di lì. E da quello è stato tirato fuori tutto il possibile.
Naturalmente ci siamo trovati davanti al problema di avere una macchina nuova. Il concetto di quella macchina è stato, a mio modo di vedere, abbastanza semplice, nel senso che c’era poco da fare: se facevamo un quattro cilindri, per un paio d’anni almeno dovevamo fare scuola perchè c’erano già il Gilera e l’MV che erano già evoluti e sviluppati. Allora dovendo fare qualcosa di nuovo, che potevamo fare? Il sei cilindri no, era troppo largo. Mettendo un sei cilindri in linea c’era il famoso effetto che volevamo evitare (la coppia di rovesciamento, NdA).Ci sembrava che la soluzione fosse di avere un motore largo come un 250, sia pure con tutte le complicazioni dovute ad un 8 cilindri. Specialmente per quell’epoca, perchè se fosse di oggi, quella soluzione sarebbe venuta molto più semplice.
Noi ci siamo trovati ad inventare un sistema d’accensione perchè con il magnete non si riusciva ad avere risultati soddisfacenti.
Quella soluzione ci sembrava abbastanza logica, partiamo con un 8 e vediamo di evolverlo.
LA: certo, è normale…
GCC: (ride)
AL: ma in progetti di quel tipo le persone ci devono credere, ed avere la voglia e lo stimolo di qualcuno che gli dica “fai”, e uno ci mette l’anima.
LA: e alla fine lei è diventato famoso con il V90, che è un motore utilitario.
GCC: ma alla fine io non ho inventato niente con il V90. E’ uno schema abbastanza logico e razionale, ed è abbastanza pratico per una macchina da turismo. Non è che io abbia inventato il V di 90°. Era solo una buona soluzione per una macchina con quelle caratteristiche.
AL: sì, ma l’ha fatto solo lei.
LA: ed ha progettato un motore che trent’anni dopo tiene ancora a galla la Guzzi.
GCC: sì, ma… (fa un gesto come per indicare una cosa trascurabile).
LA: quale motore le ha dato più soddisfazioni?
GCC: difficile… (ride) mah… è difficile. Il V8 tra l’altro mi ha lasciato tanto rimpianto perchè lei pensi che nel ’57, quando decisero di smettere le corse, noi avevamo già disegnato ed avevamo in produzione un nuovo albero a gomito ed avevamo UNA FILA di cose. Il V8 del 1958, se ci fosse stato, sarebbe stato non una modifica di quello del ’57, ma probabilmente un deciso passo avanti.
LA: lei poi ha seguito la vicenda di Tonti quando ha sviluppato il bicilindrico a V per la Guzzi serie piccola?
GCC: Tonti l’ho conosciuto, ma quando c’era lui non c’ero più io e non ho più seguito. Come le dicevo i miei rapporti con la Guzzi erano cattivi fino all’arrivo di Beggio, che invece è una persona gentilissima.
Io andavo a trovare il mio amico Todero e l’amico Cantoni, facevamo quattro chiacchiere ma alla fine ne sapevo come l’uomo della strada, non di più.
LA: per cui non ha seguito neanche la vicenda di De Tomaso…
GCC: so che aveva fatto ‘sto quattro cilindri copiato dai giapponesi, che era un disastro, ma solo perchè ogni tanto trovavo qualcuno che me lo diceva, non perchè sapessi le notizie in prima battuta.
LA: De Tomaso aveva ritardato la Le Mans 850, la sportiva, che era pronta nel ’72, ma lui la scartò e la fece uscire nel ’76 dopo che al Salone di Milano del ’75 vide che c’era stata una buona accoglienza.
GCC: (annuisce ma non commenta)
LA: si è mai occupato di automobilismo?
GCC: me ne sono occupato sì, perchè sono stato per alcuni anni, ora non ricordo esattamente il periodo, membro della Commissione Sportiva Automobilistica Italiana, la CSAI, quando era presidente un certo ing. Rogano. Mi ero occupato di Formula 1 e di regolamenti. Mi ricordo che avevo un bracciale di cuoio che mi permetteva di entrare dovunque e di girare dappertutto (sorride). E’ durato tre o quattro anni.
Le corse di Formula 1 mi sono sempre piaciute, le guardo volentieri in televisione, ma non è che sia addentro le segrete cose.
LA: che effetto le fa vedere che ci sono tanti appassionati del suo motore V90, anche più giovani di quando lei l’ha progettato? (volevo dire che non erano ancora nati quando il motore è stato progettato, NdA)
GCC: (ride) le dirò che non mi fa nessun effetto…
LA: c’è gente che ha il culto del suo motore.
AL: beh, quando lei si trova al raduno 10.000 guzzisti che hanno la moto, un pò di orgoglio ci sarà pure, che diamine.
GCC: sì, sì, ma vede, per quanto possa sembrarvi strano io penso molto di più alla barca a vela che non alla moto.
AL: (ride) quello è stato il suo rifugio…
GCC: sì, un rifugio, ma ancora oggi mi soffermo più volentieri, e sono più al corrente di quello che stanno facendo sulle barche a vela che sulle moto. Poi c’è una ragione abbastanza semplice… io quando sono venuto via dalla Guzzi, per alcuni anni la motocicletta proprio mi ripugnava.
LA: incredibile… eppure c’è tanta gente che va in giro con la maglietta con su disegnato il suo motore…
GCC: (ride)
AL: e non ci starebbe male scritto sotto “ing. Carcano”.
LA: sì, io lo metterei.
AL: il monocilindrico di Carlo Guzzi è arrivato fino al ’56, è durato 35 anni, poi dopo c’è stata l’evoluzione del Nuovo Falcone, che però era una motorizzazione differente, ma il suo motore sono 40 anni che va, è ancora lì (ride).
LA: ci sono molti ragazzi di 20 anni…
AL: …che non sono alla ricerca della prestazione da 150 cavalli. Sono più oculate quelle scelte, perchè come diceva lei giustamente all’inizio quanti sono in grado di condurre una motocicletta da 120, 130 o 150 cavalli?
GCC: (annuisce) sì, sono pochi. Le dirò anche che io quando ero alla Guzzi ogni tanto provavo anche le motociclette da corsa, ma so di essere un pessimo motociclista, e forse è la mia fortuna, è per questo che sono ancora vivo.
Mi ricordo che tante volte provavo e mi dicevano di provare a frenare ad un paracarro, ed io niente, passavo sempre oltre. Io ho un’ammirazione enorme per i motociclisti che hanno quella dote innata, che non è trasmissibile, non è acquistabile.
Mi ricordo un circuito a Ospedaletti, pioveva che Dio la mandava. Classe 250, c’era il solito duello Ambrosini su Benelli e Ruffo su Guzzi. Primo giro, io ero con il suocero di Lorenzetti, con i cartelli dei tempi. Partono e… vi ricordate il circuito di Ospedaletti?
AL: qualcosa, sì…
GCC: partono, fanno 100 metri, tornante, vanno su, poi vanno in fondo, girano e tornano indietro. Alla fine del primo giro sento il rumore delle macchine che arrivano, c’era davanti Ambrosini con la Benelli. Davanti all’Hotel Regina, che è a 100 metri dal tornante, in piena velocità sul bagnato ha grippato, si è sentito un rumore forte, ‘sta macchina si è messa per traverso. Noi abbiamo mollato il cartellone e siamo scappati. Lo sa che ha fatto 20 metri con le due ruote così (di traverso, NdA) senza cadere? Di fianco, poi è riuscito a mettersi un pò dritto ed è andato a posare la moto accanto alle balle di paglia.
Quello lì aveva otto palle, io non lo so. Per dire cos’è la vita, io non ho mai visto una roba del genere.Me la ricordo finchè campo questa grippata a duecento all’ora sul bagnato e non è successo niente.
LA: è un senso dell’equilibrio che…
GCC: sì, sì, sono bravissimi, e lo sono ancora adesso, quando cascano. Se casca uno di noi sono guai, ma se cascano loro si raggomitolano e battono con le mani per terra (fa il gesto di battere le mani sul tavolo) e a fare così per stare nella strada. Sono bravi.
La Mille Miglia
LA: ed invece il pilota automobilistico che preferisce?
GCC: io all’epoca, , quando c’erano Varzi e Nuvolari, mi ricordo che ero un ammiratore di Varzi e pensavo che Nuvolari fosse uno sfrondato, uno spaccamacchine. Poi invece sono diventato ammiratore di Nuvolari quando ha corso con le vetture tedesche.
LA: con le Avus (volevo dire le Auto Union, NdA)
GCC: erano le Auto Union
LA: ah, sì
GCC: guardi che Nuvolari nel ’38 fece un Gran Premio a Monza che fu commovente.
Allora la lotta era Mercedes e Auto Union, e i primi dieci giri Nuvolari su Auto Union era in lotta con Lang su Mercedes. Poi Lang ha rotto ed è rimasto lui. Quando faceva il rifornimento arrivava lì e gli mettevano sopra la testa un grembiale grande come questo tavolo, andavano dentro 200 litri di alcol ed avevano paura [che durante il riempimento del serbatoio, fatto con alcool, l’eventuale tracimazione o dispersione di carburante bagnasse appunto il pilota e lo rendesse cosi’ una torcia umana in caso di un eventuale incidente o di un guasto che avessero come conseguenza una scintilla o un incendio]. (L’integrazione è di AL, NdA).
Mi ricordo che quando ha finito, ha vinto, e l’hanno tirato fuori che sembrava un asciugamano, poverino. Era un bestione di macchina quell’Auto Union, 16 cilindri, con la guida seduta, era una cosa paurosa. Che corsa che ha fatto.
LA: tra Nuvolari e Varzi ci fu l’episodio della Mille Miglia, dei fari spenti.
GCC: sì, i fari spenti… Guidotti, che ora è morto, abitava a Bellagio. Guidotti era un caro amico, una cara persona, e ci trovavamo due o tre volte all’anno io e degli amici a Bellagio. Adesso saranno già due o tre anni che è morto. Lui mi raccontava queste storie della Mille Miglia: nella storia dei fari spenti le coppie erano Varzi-Bignami e Nuvolari-Guidotti.
AL: sto pensando a come l’ing. Carcano si ricorda di tutti questi particolari.
GCC: non si rallegri troppo. Le dirò che purtroppo io ricordo le cose antiche, ma se lei mi chiede cosa ho mangiato oggi a mezzogiorno… forse ci arrivo, ma faccio fatica (ride).
AL: non si preoccupi, capita anche a noi di non ricordare le cose immediate.
LA: e nel ’57 finì anche la Mille Miglia…
GCC: sì, l’incidente di Guidizzolo.
LA: De Portago e Nelson.
GCC: e vinse Taruffi.
LA: Pietro Taruffi era poi il padre di Prisca Taruffi, la pilota che si vede ogni tanto in televisione.
GCC: sì.
LA: per cui il ’57 fu un anno strano per lo sport motoristico italiano, hanno chiuso la Mille Miglia ed anche le corse motociclistiche.
GCC: (annuisce)
LA: e comunque la Mille Miglia non era più fattibile su strada, macchine da trecento all’ora nei viottoli.
GCC: no, assolutamente era già poco fattibile nel ’57.
LA: e nella Mille Miglia correvano anche le macchine di serie, trovavi la 500 e la Ferrari.
GCC: sì.
LA: e doveva svolgersi rispettando la segnaletica stradale.
GCC: sì, uno doveva stare a destra e curvare a sinistra stando a destra, perchè se tagliava la curva era colpa sua in caso di incidente.
LA: semafori compresi. Perchè all’epoca non c’erano limiti di velocità.
GCC: (annuisce)
LA: si vedono le foto dell’epoca con le macchine che sorpassano carretti e biciclette…
GCC: sì sì, mi ricordo una delle esperienze automobilistiche di Omobono Tenni. Sapete che Tenni ha corso in automobile, e ha fatto una Mille Miglia con Bertocchi, che era il Moretto della Maserati. Questo Bertocchi dopo le prime uscite che ha fatto con Tenni, per prima cosa ha messo un bottone grosso così che metteva a massa l’accensione, (ride) perchè se succedeva qualcosa pigiava e via. Bertocchi diceva che Tenni era terribile, era Tenni anche in automobile.
A Milano avevano fatto un circuito intorno all’Arena, tra il parco e l’Arena. L’anno di preciso non me lo ricordo, era dopo la guerra. La Maserati aveva portato il 1500 ed il 3000. Tenni fece una decina di giri in prova con il 3000 ed aveva già portato via tutte le balle di paglia che c’erano. Allora l’hanno fatto correre con il 1500 (ride).
Mi ricordo che lui aveva il 1500 quattro cilindri, e c’era Trossi che aveva la nuova 1500 sei cilindri. Ha vinto Trossi, ma Tenni era lì, stava dietro non so se per ordine di scuderia o se perchè non riusciva ad andare più forte.
Corre Omobono… anche con l’auto era un irriducibile.
(c’è un attimo di silenzio, si alza per offrirci delle caramelle)
LA: pensavo di non riuscire a fare tutte le domande, invece…
AL: l’ingegnere è disponibilissimo, poi va a ruota libera con i ricordi.
LA: ha un aneddoto inedito da raccontarci? un episodio…
GCC: (ci pensa) saranno anche tanti ma non mi viene in mente nulla.
AL: la ricerca della leggerezza nelle moto da corsa?
GCC: noi con il 350 Campione del Mondo nel ’57 eravamo arrivati a farlo pesare 98-100 kg, chilo più chilo meno. Quella era una macchina che io ho amato molto perchè, nel suo piccolo, era completa. Pensi che il motore aveva 38 cavalli, e correva contro Gilera quattro cilindri 500.
Questo è un pettegolezzo che non si dice, ma lei sa che c’è stata quella famosa indiscrezione di una corsa a Monza, nelle cui prove il 350 quattro cilindri Gilera aveva rotto.
Allora non volevano non farlo correre nel giorno dopo e hanno fatto correre una 500 nella classe 350, il che è antipatico. Solo che quando è finita la corsa, la moto si è fermata a Lesmo, prima del traguardo, ha preso la strada per Arcore e nessuno l’ha vista più.
E nessuno avrebbe dubitato di quella cosa, se non che io ho ricevuto una lettera firmata da uno di Arcore in cui diceva che quella moto… così e cosà… era una lettera firmata. Ma sarebbe stato impossibile andare a tirare su una grana di quel genere.
Ma quel fatto, che non è arrivata più sul traguardo ed è sparita con il motocarro con la moto sopra, dava molti sospetti.
AL: la galleria del vento, leggerezza, aereodinamica…
GCC: sì, era una delle manie di Guzzi, l’ha voluta lui, e noi l’abbiamo adoperata.
Certo che i vantaggi che lei ottiene con la galleria del vento sono vantaggi per tutti. Mi ricordo che noi facevamo un tipo di carenatura e quindici gorni dopo l’avevano anche gli altri.
E’ lo stesso nelle vetture di Formula 1, che stanno lì a coprire l’alettone davanti, ma lo coprono per la fotografia sulla Gazzetta dello Sport. Poi nel momento in cui lo levano lo vedono tutti, e se pensano che costituisca un vantaggio lo fanno tutti.
LA: lei ha anche progettato delle vetture da record per la Guzzi, la Nibbio…
GCC: no, no. La Nibbio era una fissazione del conte Giovannino Lurani, che era amico di Parodi ma la vettura non l’abbiamo progettata noi. Gli abbiamo fornito il motore e basta.
LA: abbiamo esplorato quasi tutto lo scibile.
(A questo punto chiudiamo l’intervista. Ringrazio e gli chiedo un autografo, sul mio manuale d’officina che gli porgo. GCC sembra meravigliato)
GCC: manuale d’officina… questo qui non l’ho mai visto, sarà più recente (sfoglia). Bello però, è fatto bene (firma il frontespizio).
“Thò, qui spiegano il motore che ho fatto io!!”
AL: a questo punto noi ci congediamo, le siamo riconoscenti.
GCC: ma s’immagini, abbiamo fatto una lunga chiacchierata.
LA: è stata molto bella, grazie.
GCC: ma si figuri.
(Lo informo che l’intervista sarà pubblicata sul sito, e che glie la manderò prima per approvazione).
GCC: vuvuvu guzzisti it…, va bene, me la mandi.
(facciamo la foto con la maglietta di AnimaGuzzista. Si presta ridendo, sorpreso. Gli diamo la maglietta in regalo, ringrazia)
GCC: bene signori, vi ringrazio.
LA: grazie a lei.
GCC: mah, per quello che avevo da fare oggi…
LA: oggi siamo andati oltre le nostre speranze.
Ci congediamo ed usciamo dalla vecchia casa, mentre l’Ingegnere ci saluta sulla porta. Non ha smesso un attimo di piovere. Nel tragitto tra i viottoli in riva al lago, fino alla macchina, parliamo poco, forse ancora dobbiamo assimilare l’evento. Siamo ancora stupiti dalla sua disponibilità, e dal tono amichevole che ha subito preso il nostro colloquio.
Le suggestive strade di Mandello Del Lario
Abbiamo esaurito tutte le domande, trascorrendo più di due ore con un uomo che ci ha fatto fare un tuffo nel passato, fino a toccare le radici della Moto Guzzi.
Uno che scherzava con Carlo Guzzi, esprimeva la sua disapprovazione a Omobono Tenni per la sua condotta in gara ed andava a pranzo con Guidotti, che gli raccontava le sue MilleMiglia con Nuvolari. Te lo racconta con naturalezza, come se fosse successo il giorno prima.
Ho la sensazione di aver dialogato con un pezzo di storia, di aver assaporato uno spirito che non esiste quasi più.
Ripenso all’Ingegnere che va a Gallarate: il conte Agusta gli offre carta bianca e lui rifiuta per il clima piovoso e per i gatti che aveva a Mandello. La pioggia bagna imperterrita il mio giaccone. Non riesco a trattenere un sorriso… questa si chiama passione e lealtà d’altri tempi, il clima c’entra poco!
Passiamo davanti all’imbarcadero di Mandello, in stile liberty.
Mi sembra di sentire ancora l’Ingegnere raccontarci che l’aver progettato motori come il V8 o il V90 era una mossa obbligata, addirittura ovvia. E presentarci con disinvoltura un’idea rivoluzionaria come il tre cilindri diesel motociclistico.
L’imbarcadero
Penso a cosa potrebbe essere oggi la Moto Guzzi, se non l’avessero mandato via.
Report tragicomico di un sabato “affamato” nella Sicilia del West
Lunedi 13 Maggio 2002
Nicola scrive:
Di Ficuzza, il mio amico Pippo, me ne parlava sin dai tempi del liceo, ma, pensando che fosse mosso da incontenibili smanie sessuali, non gli davo retta. Col tempo però, l’argomento Ficuzza non si è mai sopito, anzi, causa esuberanti produzioni giovanili di testosterone, togliendo, il vezzeggiativo “…uzza”, siamo andati, ognun per la sua via, baldi e rampanti alla ricerca costante ed indefessa di quella vera, l’unica, insomma, di quella….. “originale”. L’abbiamo trovata? Forse!!!! Ora, padri di figli e mariti di mogli, l’argomento “Ficuzza”, vuoi per stanchezza, vuoi per monotonia, da qualche tempo, insistente, era tornato a roderci la mente! Finchè, dopo vari tentativi di coinvolgimento tra amici motociclisti Trapanesi, dopo ben quattro settimane passate ad organizzare la “zingarata”, dopo vari rimandi e posticipazioni, questo sabato, con la pioggia, con la neve od anche sotto il solleone, a Ficuzza dovevamo andarci per forza! E così fu!
Sebbene il destino si mostrasse avverso, sabato mattina, dopo aver liberato il Quota 1000 di Pippo, che era stato imprigionato in garage da un’impalcatura edile spuntata nottetempo, come un gigantesco fungo di 8 piani, dopo essere sfuggiti da un mega-ingorgo causato dal “giuramento delle reclute” che ha bloccato per l’intera giornata tutta la città, dopo le defezioni causate dalla pioggia e dall’influenza di due nostri amici “bancari”, alle 11.00 io e Pippo ci incontriamo e con una semplice, gelida inequivocabile occhiata da sotto il casco, ci intendiamo e partiamo per la nostra “misteriosa” avventura. Misteriosa perché, nonostante fosse ben chiara la nostra destinazione finale, nonostante fossimo muniti entrambi di cartine geografiche, Guida Monaci, Pagine Gialle ed aggiornamenti Treccani in volumi da 4 Kg cadauno, nonostante fossimo preparati a qualsiasi condizione meteo, nonostante fossimo psicologicamente pronti ad ogni evenienza, appena usciti dalla città, la domanda sorta spontanea è stata “per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare?”. La cosa tragica è che la risposta, non è arrivata altrettanto “spontanea” e tutto questo ci ha fatto capire che l’esperienza “Ficuzza” sarebbe stata oltremodo avventurosa.
Decidiamo per una veloce Trapani-Partinico via A29 perché, cosa che ancora non ho detto, l’obiettivo principe era una bella grigliata di salsiccia nel bosco di Ficuzza e, sebbene avessi da più d’una settimana preparato la griglia metallica, gli spiedini di bambù, forchette e coltelli, mancava tragicamente la materia prima, ovvero l’insaccato di porco, indi per cui, dovevamo arrivare al primo paese utile, prima che chiudesse l’ultima macelleria utile. Col California ed il Quota a “manetta” ci fiondiamo in autostrada come Rossi inseguito da Capirossi, solo che alla prima piazzola di sosta ci siamo fermati per decidere chi dei due fosse Valentino e chi Loris. Dopo esserci picchiati selvaggiamente, all’unanimità stabiliamo, per motivi di stazza io avrei fatto ‘u ‘rossu e Pippo che si era accalorato più del solito ‘u caparrussa. Per recuperare il tempo perduto, ho viaggiato lungo gli ultimi km denunciando un’inesistente emergenza col fazzoletto fuori dal finestrino, ma non ci ha creduto nessuno anche perché avete mai provato voi ad andare in moto reggendo tra i denti una portiera di 600 divelta dall’auto del primo contadino che incontri? E’ molto difficile, credetemi.
Per motivi di tempo si conclude qui la prima parte del report. .
NiQ. (che a Pippo di questo report ancora non gli ha detto niente)
P.S. a presto il seguito, se sopravvivo
Martedì 14 Maggio 2002
Pippo scrive:
…..o part one and a half :
A Partinico, dopo aver rifocillato la “Califfa” di NiQ, ci rechiamo dal più vicino macellaio, non prima di essere passati dal più vicino panettiere: due quartini di pane di casa, risultati poi insufficienti, e appena Kg 1.700 di carne, tra salsiccia e pancetta: da…. “scialo”. La sasizza alla pizzaiola (carne di porco, pomodoro, cipolla, pepe, sale, origano gli ingredienti principali ‘sniffati’ da NiQ ad un primo assaggio) ci mette le ali alle ruote, si parte alla volta di Ficuzza, ma Ficuzza non è alle nostre ali, non è alle nostre ruote, insomma comincia la vera avventura: la ricerca di Ficuzza. Cosa non facile per chi non batta abitualmente quelle zone. Strade e straduzze tutte simili tra loro, senza uno straccio di indicazione, tutte dello stesso colore (sulla cartina) e con gli stessi odori (stallatico).
Come se non bastasse tutto ciò, ci si mette anche un villico che ci manda in direzione del Santuario di Tagliavia. Non lo conoscevamo neanche, molto bello, isolato e quindi molto caratteristico (stile ‘cattedrale nel deserto’, forse meglio ‘cattedrale tra i funnachi’). Stop e foto di rito, con autoscatto. la macchinetta del NiQ, poggiata di traverso su un blocco di marmo cade all’indietro spinta da una folata di vento proprio mentre aspettavamo che autoscattasse una foto. vengono inquadrati mestamente il cielo e qualche nube di passaggio.
Intanto la fame e la pipì, incalzavano…………………………………………………………………………………….
con questi ed altri sentimenti che passerò ad esprimere in una mia prossima,
caro NiQ
a te la linea
fine della seconda puntata (o della prima puntata e mezza)
the big one
Martedi 14 Maggio 2002
Nicola scrive:
Al villico di cui ha parlato Pippo, l’informazione sulla via per Ficuzza, gliel’ho chiesta io, ecco come è andata: dopo aver riempito la Kambusa dell’ammiraglia Californiana con tutto quel bendiddio acquistato alla “boutique della carne” di Parti…”nico” (ma se si mangia cosi tanto Torni…”grosso”), seguiamo l’indicazione “San Cipirrello” e ci ritroviamo a percorrere la provinciale 2, una strada molto bella e panoramica che si affaccia sulla Valle dello Jato, con curve quanto basta, con traffico quanto basta, buche quanto basta e quasi interamente costeggiata da platani secolari purtroppo però quasi tutti bruciati e capitozzati.
Arrivati ad un “fatidico bivio”, consultando la cartina che Pippo aveva fotocopiato in formato A4 a colori con vari ingrandimenti, stabiliamo che la strada da percorrere era la Veloce 624 Palermo/Sciacca. Considerando che carnevale era passato da tempo, poco prima di arrivare a Sciacca, il tarlo del dubbio di aver sbagliato strada comincia ad insinuarsi nella mia mente, ma visto che la cartina consultata era quella di Pippo, per non dargli un dispiacere, ho aspettato che fosse lui ad indicare di fare marcia indietro.
Ritorniamo al “fatidico bivio” ed imbocchiamo l’altra strada che ci porta in aperta campagna. Ormai i platani ombrosi sono solo un vago ricordo. Intorno a noi, solo messi verdeggianti di frumento e, sotto le nostre ruote, zolle enormi di terra impastata da sterco appiccicoso di vacca. La strada si restringe sempre più, ogni tanto intravediamo un servo della gleba con badile e cappellaccio di paglia, potremmo chiedergli qualcosa, ma chissà in che lingua ci avrebbe risposto e chissà cosa ci avrebbe detto, dato che, alla nostra vista, l’espressione che gli si dipinge sistematicamente sul volto è quella di uno che ha avuto un incontro ravvicinato del 4° tipo con chissà quale entità extraterrestre.
Proseguendo per la Provinciale ecco che davanti a noi si apre un secondo “fatidico bivio”. Ci fermiamo e decidiamo di consultare nuovamente la cartina. Questa volta prendo una delle mie: “Sicilia Occidentale, itinerari turistici edizione 1999 – De Agostini in carta patinata”. Ma non abbiamo il tempo di aprirla che da lontano, come nei cartoons di Wilcoyote, vediamo formarsi ed avvicinarsi una nuvola di polvere. Davanti al polverone una SIMCA 1100 con carrozzeria a pois su sfondo bianco e ruggine d’annata a macchia di leopardo. Percorreva la trazzera a velocità impressionante ed in men che non si dica, ce la siamo ritrovata davanti. A 30 metri dall’incrocio pianta i freni ed alza una nuvola di terra mista a ghiaia.
A bordo un villico dalla faccia eburnea e gli occhi di cielo, età incalcolabile ad occhio e variabile dai 35 ai 70 anni, cappello di paglia e sorriso a 3 denti, uno di sopra e due di sotto ad incastro. Si ferma per dare la precedenza, ma capiamo che era un pretesto, il vero scopo era cercare di capire che ci facevano due “fessi” in motocicletta, vestiti da “spaziali”, persi in mezzo alle campagne. Non mi lascio sfuggire l’occasione, prendo il coraggio a due mani e mi avvicino al Villico che aveva già il finestrino abbassato, (o forse era scassato da anni e non poteva rialzarlo). Pippo assiste attonito alla scena. Gli chiedo in maniera “circoncisa” senza perifrasi:
“Scusi, la conosce Ficuzza?”
“Unca!! Cetto ch’a canuscio” mi risponde ed aggiunge sornione con sorriso malizioso “havi un bel vuschiceddu… cavuru e accogliente!”
-ma guarda ‘sto vecchio porco!- penso io e gli ribatto:
“Ficuzza, il bosco di Ficuzza, quello con gli alberi, noi ci vorremmo andare, ci sa dire che strada dobbiamo fare?”.
Il Villico capisce che le sue fantasie sessuali, spesso spente da qualche pecora o gallina o vacca, se le poteva tenere per lui e mi dice:
“Vaìte ‘ri ‘ddocu, seguite la strata, e arrivati a lu’ Santuariu, e ppoi chiedete indicamento”.
Manco il tempo di capire quale delle due strade era quella da seguire, che il Viddrano, sicuramente imparentato con Alesi, era già ripartito.
Pippo mi aspettava appoggiato ad un palo sul quale c’era il cartello marrone con la freccia che indicava “Santuario della Madonna di Tagliavia”, cerchiamo di capire, inutilmente, in quale zona della cartina ci trovassimo e poi, felici di perderci ancora una volta, decidiamo di imboccare la trazzera da cui il contadino era arrivato con la sua SIMCA. Dopo una decina di Km percorsi attorno a collinette, su per dossi e giù per valli, sempre avvolti dal frumento e dalle distese lillà di malva, quando ormai stava per spegnersi anche l’ultimo barlume di speranza di incontrare un’anima viva, finalmente, su un’ermo colle, vediamo una costruzione. Non era la dimora di qualche latitante, bensì una chiesetta, bella, antica, misteriosa. La raggiungiamo e con sorpresa scopriamo che tutt’attorno, numerosi ambulanti avevano allestito le loro bancarelle. Ci vedono passare e parcheggiare le Guzzi nella piazzetta e sicuramente avranno pensato:
“Ma questi, qui, che ci fanno? la festa della Madonna è domani?”.
Decidiamo di fare i turisti ed, anche per sgranchirci le gambe anchilosate, entriamo nella chiesetta già addobbata per la festa. Il colpo d’occhio è stato inebriante, e subito capiamo il significato della parola “pellegrino”, ovvero colui che per voto o devozione nell’antichità, a piedi o a dorso di mulo, percorreva tanta strada per raggiungere un posto così lontano e solitario. Dopo una prece alla Madonnuzza, convinti che ci avrebbe Ella stessa condotta a destinazione, dopo le foto di rito, una al Cielo e l’altra a noi, dopo aver chiesto “indicamento” ad uno degli ambulanti, ci rimettiamo in viaggio. Ficuzza è vicina, ce lo dice la pansa vuota che, alle 13.30, comincia a lamentare il suo avere.
Fine Terza Parte
NiQ.
MARTEDI 14 Maggio 2002
Pippo scrive:
………il servo della gleba, nel suo idioma personale, ci aveva indicato tutto sommato la direzione esatta. Infatti, seguendo poi le indicazioni dell’ambulante raggiungiamo l’agognata meta in 15 minuti e 32 secondi netti.
Il passo successivo consistè nell’acquisto di acqua e birra che berremo avidamente mentre si succedono i tentativi di accendere un fuoco per cuocere quella salsiccia che, nel nostro immaginario, ormai diventava un’eterea chimera, in perfetto stile tantalico, una meta che si allontanava man mano che noi ci si avvicinava. Ma vedremo come alla fine avremo giustamente la meglio.
Prima di volgere le nostre biciclettone a fuoco, verso l’area attrezzata chiediamo all’alimentarista di cosa sarebbe attrezzata la suddetta area. Risponde testualmente:
“In verità vi dico…. di niente, ci sono solo i tavoli e un ricordo di barb-q”
Tristemente compriamo anche la carbonella. Allorchè io chiedo a NiQ:
“Ma come accendiamo il fuoco per arrostire e, indi, sgramarci la salsiccia?!?!?”
niq risponde poco profeticamente:
“Ci ho l’accendino!!!”
Aveva parlato troppo presto!………………………..
s’è fatto tardi,
NiQ, please, go on, it’s your turn!
the big one
Giovedi 16 maggio 2002
Nicola scrive:
…….finalmente arriviamo a Ficuzza. La strada imboccata dopo l’obelisco (o la “culunna” come l’aveva chiamata l’ambulante) che si staglia quasi al centro dell’incrocio con la Provinciale che sale verso Piana Degli Albanesi, ci fa capire che i nostri sforzi ed il nostro perderci, avrebbero avuto la giusta ricompensa. In leggera salita, circondata da un lussureggiante querceto, ci conduce, tra poche villette ed ampi parcheggi, lenta e stanca fino al paese. Oddio, definirlo paese forse è un’esagerazione. Diciamo pure quattro casuzze che si ergono attorno alla dimora di caccia borbonica che fa di questo sito una meta molto indicata per le gite scolastiche. Il palazzo sembra quasi una Reggia ed innanzi alla costruzione secolare, un prato inglese grande quanto un campo di calcio che quel giorno si presentava tutto transennato, il perché lo scopriremo dopo. Ora è il momento di soddisfare gli ultimi dettagli prima della grigliata.
Non avevamo infatti portato nulla di liquido se non la benzina delle nostre Guzzi, ma quella, anche se poi ci sarebbe servita ugualmente, con la salsiccia alla pizzaiola, non si sposa al palato. Parcheggiamo le moto nella piazzetta e Pippo, che a Ficuzza c’era già stato, con fare austero e deciso, si infila dentro l’unica bottega alimentare del paese. Lo seguo e lo shock è peggio di un pugno nella pancia (purtroppo ancora vuota): il negozio è stracolmo di ragazzi e ragazzine che stanno litigando con l’unico banconista, circa gli ingredienti da schiaffare dentro i paninazzi che si dovevano sbafare per pranzo. Considerando la velocità dell’alimentarista (tra tagliare il pane, affettare il companatico, sistemarlo senza sbavature dentro il panino, avvolgere l’opera d’arte nella carta, calcolare il costo in virtù del peso e del tipo del companatico, fare la conversione da £ire in €uro, prendere i soldi, calcolare il resto contare le monetine ed asciugarsi il sudore dopo tutta ‘sta fatica = circa 7 minuti a panino), e considerando il numero incalcolabile di panini che doveva preparare, se avessimo aspettato il nostro turno avremmo fatto direttamente cena. Così, dopo una tacita occhiata, sempre restando sull’uscio della bottega, quasi all’unisono esclamiamo: “si arrabbia qualcuno se prendiamo una bottiglia d’acqua, paghiamo e ce ne andiamo?”. Tutti si girano per vedere da quali bocche fosse uscita quella proposta oscena. Sarà stato per i due metri di Pippo o per il mio quintale e mezzo, non lo so, ma cordialmente ci dicono “Prego! Accomodatevi!!!!” mentre il nonno ottuagenario dell’alimentarista aveva già tirato da sotto il bancone la bottiglia più fresca che aveva e porgendola tentava di dirci “Ba-ba-stano du-du-due litri o ne volete d-di più?”
Venerdi 17 Maggio 2002
Alle 03.30 del mattino Nicola termina di scrivere:
Presa la bottiglia d’acqua, approfittando spudoratamente della situazione, ci siamo fatti consegnare anche 66cl di birra Bavaria e, chiacchierando con l’alimentarista, veniamo a conscenza della ricca offerta turistica dell’area “attrezzata” del bosco di Ficuzza, ovvero: alberi, verde e natura, come in qualsiasi bosco non “attrezzato” e in più, quattro assi di legno inchiodate a formare tavoli e panche, sistemate un po’ qua e un po’ là, sotto le querce.
-“Ma ci avevano parlato anche dei barbeque”- proviamo ad obiettare.
-“No signori, queste cose non le abbiamo a Ficuzza” -ci risponde il brav’uomo chiedendosi, fra se e se, come mai questi strani motociclisti di città devono venirsene in campagna per farsi la “barba-qua”?
-“Senta, noi abbiamo quasi due chili di carne da arrostire e da mangiare, che lei sappia, ci sarebbe la possibilità di accendere un fuoco?”
-“Certo!” – ci risponde, – “vicino ogni tavolo, per terra, c’è la brace, quattro pietre incementate con i tondini di ferro per appoggiarci sopra la carne, solo che non c’è la legna! Se volete vi posso vendere una confezione di carbone così non restate a digiuno!”.
Con la leggera sensazione di essere stati elegantemente presi per il culo, paghiamo quasi 5 Euro, prendiamo bottiglie e scatolone e ce ne andiamo.
Il bosco è appena fuori al paese, verde, ombroso e bucolico, recintato al di là del nastro d’asfalto. Parcheggiamo le moto sotto un’albero sul ciglio della strada e ci infrattiamo di corsa tra la boscaglia per due torrenziali pisciate che ci portavamo dentro da Partinico. Dopo il deposito “liquido” scarichiamo le vettovaglie e Pippo, che pur non essendo un fumatore, aveva, come me, il fumo della fame che gli obnubilava la vista, esclama la fatidica frase:
-“NiQ, come l’accendiamo il fuoco?” ed io
-“Con l’accendino!!!!”.
Nell’immaginario collettivo il rude biker, quello vestito di pelle e borchie, quando va dal benzinaio, si fa riempire sia il serbatoio della moto che lo “Zippo” e, quando gli chiedi da “accendere”, se non gli stai a giusta distanza, col fuoco inestinguibile del suo “lanciafiamme” tascabile sarebbe capace di arrostirti la faccia dalla quale penzola il mozzicone di sigaretta che volevi fumarti. Io di Zippo ce n’ho una collezione, ma, a casa! A Ficuzza, m’ero portato uno di quegli accendini usa e getta, 10 a mille lire, di plastica verde trasparente, che dopo il primo pacchetto di sigarette, s’è scassato, fuso, svuotato, esploso. Dobbiamo innescare il carbone col fuoco vivo e Pippo non trova di meglio che fare a brandelli il cartone in cui era contenuto il carbone da noi profumatamente acquistato. Lo sistemiamo strategicamente sotto i cocci di carbonella e gli diamo fuoco.
-“Prende!!!… prende!!!!” – esclamo entusiasta – “Pippo, dai… prepara la sosizza nella graticola che io lo tengo vivo!” e Pippo serafico:
-“Caalma!, prima che s’adduma u carvuni cinne voli!”. Ed infatti, il cartone va in cenere ed il carbone sembra rimasto indenne alla prima ed unica fiammata!
– “S’astutò!”
– “’U vitte!”
– “Ch’amaffari?”
– “Sciusciamo!”
– ” Ammatula! ‘un s’adduma!”
– “E tu sciuscia!”
– “E se piglio la benzina dal California?”
– “Và pigghiala!”
Inizio a cercare una lattina, un bicchiere, qualcosa in cui mettere il liquido combustibile, trovo tra l’erba una bottiglietta di Estathè, la stappo e mentre sto per dirigermi verso la moto mi arriva un messaggio sul telefonino. Mollo tutto e con le mani tutte nere di carbone digito sull’apparecchio e leggo l’SMS. È Giulio che, pur volendo venire con noi, causa “pioggia”, ha preferito rimanere a casa e, saputo della nostra partenza solitaria, non potendoci raggiungere mi ha scritto in tre parole tutto il suo disappunto:
-“SEI UN CORNUTONE”.
Incasso la botta, prendo le chiavi della Guzzi e dal bauletto tiro fuori la “sucalora” che mi porto sempre dietro. Succhio il carburante, che a stomaco vuoto è davvero un piacere, riempio la bottiglia e mi catapulto da Pippo ch’era rimasto a fare il Guardiano del Fuoco (spento ovviamente).
-“Per accendere il fuoco, ci vuole strategia!” mi dice il saggio Pippo
-“Ora prendiamo lo Scottex, lo strappiamo, lo appallottoliamo, lo imbibiamo di Verde, sistemiamo le esche madide sotto il carbone, le accendiamo ed il gioco è fatto!”.
Dopo aver fatto a pezzi un rotolone di carta assorbente e pregustando il fascino della fiammata, ancor prima del sapore della salsiccia, esclamo:
-“Professore, qui è tutto pronto, puoi accendere!”
– “Dammi l’accendino ed ammira il falò!”
– “Pippo, ce l’hai tu l’accendino!”
– “No, l’hai preso tu!”
– “Io non ce l’ho!”
– “E dov’è? Cerca nelle tasche che la benzina si sta asciugando!”
Ho cercato nelle tasche, nei pantaloni, nel giubbotto, nelle mutande, nel bauletto della moto, per terra, vicino al fuoco, in mezzo all’erba…. dappertutto! Dopo un quarto d’ora, m’arrendo:
– “Ebbene sì, Pippo! ho perso l’accendino!”
– “Ed io ho perso la pazienza! staiu murennu ‘ra fami, ora mi mangiu u pani e a sosizza m’a portu ‘ncasa!”
– “Aspetta! Ora chiedo a questi ragazzi che stanno passando se hanno da accendere!”.
Erano quelli dei panini, che dopo esserseli sbafati tutti, allegramente satolli, se ne stavano tornando a casa. Ne placco uno e gli estorco un mini-mini-Bic, quegli odiosi accendini talmente piccoli che, uno come me, se non sta attento se lo succhia in gola con la prima sospirata di sigaretta. I batuffoli di Scottex erano ancora umidi, verso sul carbone quel po’ di benzina rimasta nella bottiglia e dò fuoco! La fiammata è stata IMMENSA! Con tutti i peli della mano arricciati dalla vampata, restituisco al ragazzo l’accendino e quello, preso lo strumento, rincorrendo gli amici che se ne stavano andando inizia a gridare:
-“Minchia picciotti! Avete visto che fiamma potente che ha questo BICCHE!”
La fiammata era stata potente, ma troppo veloce. La benzina stava per spegnersi e quel cornuto di carbone era appena appena bruciacchiato negli angoli.
Io e Pippo, stanchi, disperati ed affamati, nei vari tentativi di resuscitare un morto, ad un certo punto, ci siamo ritrovati inspiegabilmente sdraiati a pancia in giù, uno di fronte all’altro, con le facce infilate nel braciere, a soffiare, come due zampognari scemi, sopra i ciocchi di carbone che stavano per spegnersi. Soffio io, soffi tu, con le guance deformate alla Dizzie Gillespie, alziamo lo sguardo dal carbone e ci fissiamo per tre lunghissimi secondi negli occhi col fiato ancora in bocca. Scoppiamo a ridere! Una risata incontenibile, isterica, liberatoria.
A Pippo gli vengono i crampi alla pancia, a me una paresi sottonasale che mi blocca la bocca da orecchio a orecchio in un ghigno demente. Spunta anche qualche lacrima, ma non può essere solo colpa della fame!
Sono quasi le tre del pomeriggio ed i tafani e le vespe di campagna già pregustano un’abbuffata di carne di porco. Pippo si decide, si rimette il giubbotto, prende la moto e va’ in paese a comprare un’accendino nuovo. Io resto a contemplare il nero carbone pensando ad alta voce a ciò che la maestra mi aveva insegnato alle elementari:
-“La più grande conquista dell’uomo è stata il fuoco!”
-“Ma anche la più grande botta di culo!” aggiunge il saggio Pippo allontanandosi verso il Paese.
Passano pochi minuti e Pippo sconsolato ritorna a braccia aperte
-“E’ tutto chiuso, ninni putemu iri!” esclama da lontano!
-“Buttanazza d’a miseriaccia!” Gli faccio eco. E mentre comincio a fare l’appello di tutti i Santi e le Santissime del calendario afro-birmano, da lontano, lungo il sentiero sento alzarsi potente una canzone. Alzo lo sguardo cercando di capire chi fosse a cantare a squarciagola in mezzo al bosco, in una mal riuscita imitazione di Celentano la canzone che fa’:
“SI E’ SPENTO IL SOLE….. E CHI L’HA ACCESO SEI TU!!!!”
Era Pippo! Aveva ritrovato in mezzo all’erba verde, il mio schifiato accendino verde, dopo che ci aveva fatti diventare verdi anche a noi!
Capriole, salti di gioia, balletti Can-Can, fotografie per immortalare l’evento:
1) “Pippo che tiene in mano l’accendino”
2) “Nicola che prende in braccio Pippo che tiene in mano l’accendino”
3) L’accendino che ha preso per il culo Nicola che prende in braccio Pippo che tiene in mano l’accendino”
4) “Nicola e Pippo che, con l’accendino in mano fanno al carbone il gesto dell’ombrello”
5) Nicola e Pippo che cercano di convincere la pattuglia dei Carabinieri di passaggio che va tutto bene!….Che è tutto ok! Che non siamo scappati dalla Neuro……
Prendo la bottiglietta, faccio di nuovo il pieno con la “sucalora” e questa volta il carbone s’accende, la salsiccia si cuoce, la pancetta frigge di grasso colante, il pane, un quartino a testa, non basta per la nostra fame e, come cannibali ci pappiamo quasi un chilo di carne a morsi. Lo scialo è stato immane. Ci appansiamo come due Buddha e scateniamo immantinente la furia degli “Elementi”!
Tolta la “terra” che ci sta ospitando in questo ameno boschetto, tolta l’acqua che ci siamo scolata tutta per spegnere il peperoncino della salsiccia, tolto il “fuoco” che ormai abbiamo domato e sfruttato, non ci resta che l’”ARIA”. Ma quanta…..aria! da ogni dove! da sopra ed anche da sotto!!!
-” Tanto…. che ce frega, siamo all’aperto!” E vaaiii col concertino per fiati senza orchestra, anche se, a dire la verità, saranno stati i fumi della birra a stomaco vuoto, da lontano qualche “SAALUUTE!!!!” m’è sembrato di sentirlo.
Sono le 16.30. Ci vuole un caffè. Raccattiamo il pattume. Raccogliamo le vettovaglie. Lasciamo quello str…o di carbone a bruciare fino a diventare cenere e ce ne andiamo in paese salutando il Bosco di Ficuzza. C’è una specie di festa che ci aspetta in piazza. Cavalli e Falchi Pellegrini abilmente ammaestrati stanno intrattenendo sul prato antistante la Reggia un centinaio di persone. Lo spettacolo è coinvolgente, un falco che in picchiata afferra al volo con gli artigli due “bolas” che il suo istruttore gli ha lanciato. I piccioni che svolazzano appena il falco decolla, le circonvoluzioni del rapace, cose che avevo visto soltanto nei documentari TV, tutto molto bello.
È tardi, dobbiamo tornare a casa, dopo il caffè ripartiamo, non prima di aver chiesto una foto ad una ragazza in gita, troppo stanchi per scegliere l’autoscatto.
Il ritorno è stato più facile, senza perderci, abbiamo raggiunto Piana degli Albanesi ammirando la Valle dello Jato dalla sponda opposta.
Entrati in paese, seguiamo l’indicazione “Portella della Ginestra” e ci ritroviamo di nuovo in altura. Paesaggi mozzafiato si offrono al nostro sguardo, colori intensi sotto un tiepido sole che volge al tramonto, una leggera bruma che azzurra le valli e, sui costoni, le colline verdi di frumento e rosse di papaveri e malva. Ci fermiamo a Portella, foto e via di nuovo in moto.
Ritorniamo allo svincolo di San Cipirrello che all’andata ci aveva “fottuto”, ma stavolta, passata la prova del fuoco, “un ‘nni futte cchiù ‘nnuddu!!!”. Ripercorriamo la Provinciale dei platani fino a Partinico. Sosta benzina e caffè e poi di nuovo Autostrada fino a Trapani. Quando arriviamo sono già passate le 19.00. Stanchi, ma soddisfatti ci salutiamo ripromettendoci che a Ficuzza ci dovremo tornare, magari con le mogli ed i figli. Prima di partire dico a Pippo:
“Professo’, ma tu, a Ficuzza, non hai detto che ci sei andato per la gita scolastica? E che cacchio di strada hai fatto col Pullman???”
Vi è mai accaduto di vedere all’improvviso, con la chiarezza di una bella mattina di sole, una verità, una risposta, una spiegazione logica ad un vostro desiderio mai contornato? Mi spiego meglio: è mai successo che un evento sebbene temporaneo e circoscritto, limitato di spazio e tempo, abbia anestetizzato completamente la vostra insoddisfazione latente e tutti i suoi “simpatizzanti”? Continuo: vi è capitato mai, in barba all’egoismo e alla ricerca di un ragionevole isolamento, di sentirvi parte, ingranaggio felice e giocondo di una democrazia viaggiante, mai celebrata ma assolutamente reale?
La mia prima volta con i Guzzisti
Un paio d’anni fa entrando in un negozio di Carate Brianza vengo colpito al cuore da una fetta di pandoro; d’accordo a Natale si usa, ma cosi? Cioè tempo zero sconosciuto avventore e al minuto due pandoro e spumante nelle mani, circondando insieme ad altri un “ponte” malfermo su cui dorme un Idroconvert? Scusate gente, sono nuovo dell’ambiente.
Epicentro del sistema Bruno e Tiziano che stanno direttamente proporzionali nella complementarità ad Andy Cup e signora, ma al tempo stesso massa gravitazionale del sistema “STORIA DELLA MOTO GUZZI”.
Tutti gli altri li rivedrò, costantemente nelle “Collezioni Estate-Inverno” di quei sabati qualunque, spesi con gioia nella noiosissima Brianza di Carate.
Viaggio o son desto?
Tiziano ci teneva molto e Bob da laggiù lo prendeva veramente sul serio, tanto sul serio da riuscire insieme ad organizzare la più bella vacanza in moto che io personalmente ricordi.
Gli ingredienti c’erano e tutti di prima qualità: in primis la meta, la Sardegna terra magica, che in una primavera per noi lombardi solo annunciata esplode di colori, sole e mare immaginati tutto l’inverno come ricordi di estati lontane.
La strada: chi non conosce le strade della Sardegna non conosce uno degli ormai pochi paradisi rimasti per il motociclista viaggiatore; qui badate non si parla di avventura estrema, ma di ore in sella inseguendo un abominio di curve dolci e veloci in un panorama di bellezza naturale infinita.
La sicurezza: volete mettere viaggiare con due meccanici al seguito, pronti e attrezzati a qualsiasi evenienza e volete mettere se quei meccanici si chiamano Bruno e Tiziano?
Il ritrovo è fissato a Carate davanti all’officina:
giovedì 25 Aprile 2002 primissimo pomeriggio: ci sono quasi tutti, compresi alcuni amici che per motivi diversi non verranno, altri addirittura ci scorteranno fino a Monza per poi salutarci, sono sicuro, con un pizzico di benevola invidia.
Prima sosta dell’allegro serpentone all’inizio della MI – GE , “ueh ueh bisogna aspettare il Bellotti che l’e’ de Milan el ve’ colla fidanzata la Michela”, infatti arriva e dai che si riparte. Il viaggio si fa materia ed i rettilinei di risaie uno dopo l’altro li archivi nel carniere dei ricordi: che bella la Padania quando te ne vai.
In fondo all’orizzonte sgranato nei contorni appare finalmente il segnale, la scritta che aspettavi, e che per tutti ha l’effetto di cento caffè: Serravalle.
E’ il Nino a cominciare, l’hanno visto tutti, e allora Roberto che certo non si tira indietro parte all’attacco e dietro tutto il gruppo.
Per quanto divertente non bisogna esagerare: in fondo siamo solo a Genova e gia’ qualche motoretta necessita di cure straordinarie. Niente di che; il solito record, infatti Marcello l’ingegnè ha bucato; il solito chiodo penserete voi; troppo facile: a fermare il pratico “sp” ci ha pensato una punta da trapano demolitore.
Prendiamo possesso della Nave e delle rispettive cabine (proprio impeccabile questa organizzazione “ma non è la bmw ? Curioso!”).
Nelle ore precedenti alla notte si parla tra noi, ci si rilassa, si ride e al mattino non più colleghi ma compagni.
La sveglia coincide con l’arrivo o quasi. A terra ci aspetta Bob con la Manu, da non credere: è venuto col “Fiorino” e si offre di trasportare tutti i bagagli, “ma siamo sicuri che non c’è dietro la bmw ?” Bob, leader assoluto, ha pensato itinerari, tappe, visite ed altre necessità; così da quel giorno assumerà il governo della comunità e ci accudirà per tutta la vacanza.
Sintesi delle giornate Sarde:
26.04
Arrivo a Porto Torres
Visita alle grotte di Nettuno
Alghero – Bosa (litoranea da non perdere)
Bosa – Macomer – Villacidro (quest’ultimo sara’ il punto dove rientreremo dopo ogni gita)
27.04
Visita al museo delle miniere di Montevecchio, Piscinas e le dune
Bugerru e Nubida (scogliere di un’inquietante bellezza)
Rientro a Villacidro passando da Vallermosa
28.04
Cagliari – San Priamo (Costa Rei)
Villa Simius – (rientrando sulla litoranea fino a Cagliari)
29.04
Visita al Nuraghe di Barumini (con tanto di guida)
Spiaggia del Poetto
30.04
Rientro direzione Olbia con pranzo-spettacolo direttamente sul mare di Budoni
Credete: non c’è modo più suggestivo per concludere un viaggio meraviglioso che una nave in partenza verso est, mentre sulla poppa ti struggi guardando lo schermo più maxi che c’è; dove il sole con cura si sta mettendo via…
Si dice che l’uomo ad una certa età ritorni bambino (ovviamente il seguente concetto non vale per le donne, per loro tema libero; pensate cosa vi pare), dicevo l’uomo, ma guardate che non è mica vero che il bambino che abbiamo dentro ritorna, il bambino non è mai andato via: come lo so? Semplice:
1° principio della termodinamica guzzista
Qualsiasi sia la moto la si trasforma
Qualche pezzo lo si crea
Qualcuno lo si distrugge
Ma se biella e pistone sono sgusciati sul banco, pieni d’olio come si conviene e voi tutti avete la camicia pulita, almeno in quattro infilerete le mani e palpando alesaggi senza capirci un’acca arriverete a sera.
Comportamento adulto? Sicuramente no! Ma guai se non si potesse…!
Sonetto del Notaio
Scrive l’integerrimo:
Noi abbiamo lasciato a casa la macchina fotografica.
E la cinepresa era troppo ingombrante.
Noi non riuscivamo a piegare.
Eravamo troppo scadenti.
Cavoli che ci fa uno che non sa fotografare, non sa riprendere, non sa piegare, su una moto, in Sardegna?
Eppure abbiamo fatto tutto questo che non sappiamo fare senza che ce ne fossimo accorti. Sembrava volassimo sulle ali di una magnifica nuvola, in un magnifico cielo turchino, dentro una magnifica favola.
Una piccola, infinitesimale, insignificante (per gli altri siigh! ), meravigliosa favola che ha il sapore di un altro tempo. Di un tempo in cui gli uomini sapevano essere amici, ciascuno aldila’ dei propri mezzi. Di un tempo in cui respiravi e sentivi l’odore del fieno. Di un tempo in cui guardavi il mare ed il vento ti sniffava dentro tutti i sapori del sale. Di un tempo in cui mangiavi il formaggio e la cipolla odoranti di campo sul pane appena sfornato dai forni di pietra. Di un tempo che ci lasciava ancora il tempo per essere umani. Non c’e’ stata differenza tra le cilindrate. Hanno aspettato anche noi!
C’era chi sfidava le leggi della fisica (e poco ci mancava che me la facessi addosso quando Mauro mi portò a comprare un pacchetto di sigarette!).
Chi ha sfidato le leggi della meccanica (eppure Roberto ha comunque salvato un pistone). Chi ha sfidato le leggi del tempo (ma che fusto comunque quella moto del Bruno!). Chi quelle dello spazio (vero Tiziano che la Sardegna si avvicina?).
Ma tutti siamo stati fratelli, amici, compagni di un’avventura fantastica a due passi da casa ma lontana nel tempo. Di un’avventura che per sei brevissimi giorni ci ha fatto rivivere echi di un passato che ogni giorno sembra sempre più lontano, finito, in disuso.
Ne abbiamo raccolte di foto! Le abbiamo staccate dall’album dei sogni, siamo stati capaci d’incollarle alla realtà ed ogni giorno vivranno al cadenzare sordo del nostro bicilindrico. E, per una volta, consentiteci una vittoria:
IN CULO ALLE GIAPPONESI!
Immaginatevi una Guzzi Daytona RS. Ve la ricordate? Usci’ nel 1996; arrivava tardi ed era ormai anni luce lontana dalle piu’ leggere Honda, Suzuki e Ducati che si contendevano i favori degli smanettoni.
Con i suoi 225 chili e il suo interasse chilometrico, quella che era pur sempre la Guzzi sportiva piu’ potente, non riusci’ a fare breccia tra gli appassionati e rimase un prodotto elitario: alcune soluzioni tecniche poi, soprattutto per la ciclistica facevano storcere il naso ai puristi. Ora immaginatevi che cosa avrebbe potuto combinare in un campionato per bicilindriche, una Daytona da sogno, che non pesasse piu’ di 160 chili, con un interasse non piu’ lungo di 1450 mm, spinta da 142 cavalli erogati dal quattro valvole…
A dire il vero non c’e’ bisogno di farsi questa domanda perche’ una Daytona cosi’ esiste davvero e ve lo diciamo noi cosa ha fatto:
ha vinto il campionato francese Protwin nel 1999!!!
Questa la classifica finale di quel campionato:
FRANCE PROTWIN 1999
1- C. Charles-Antigues 127 pts (MOTO GUZZI, Moto Bel su base Daytona)
2- M. Amalric (Aprilia RSV, cazzo, ha stracciato la RSV!!!) 126 pts
3- M. Robert (Suzuki TL-R HA SVERNICIATO PURE QUESTA CHE C’HA ER MOTORONE!!) 99 pts
4- C. Schiavinato (Ducati) 53 pts
5- C. Loustalet (Yamaha TRX) 42 pts
6- T. Gallo (Ducati) 38 pts
7- F. Vidal (Ducati 916) 38 pts
8- P. Thomas (Honda VTR) 31 pts
9- A. Watkins (Ducati) 31 pts
10- D. Dalet (Ducati) 31 pts
Andiamo a fare quattro chiacchiere col suo creatore, Jacques Ifrah, titolare di Moto Bel’, Concessionario Guzzi di Levallois, periferia nord di Parigi, indiscusso riferimento per i Guzzisti dell’Ile de France dal 1979.
Monsieur Jacques Ifrah e’ una persona schietta e dai modi spicci.
Me ne ero accorto due settimane prima, quando ero andato a cambiare le gomme per la mia V11.
– Le gomme te le cambio, ma sappi che io al posteriore ti metto un 160, non un 170.
Era stato il suo esordio.
– Sul cerchio da 4,5 della V11 non ci va un 170 ma un 160. Ti caschera’ un po’ in curva fino ai 60 kmh, poi e’ tutta un’altra cosa.
Inutile dire che aveva perfettamente ragione. Adesso siamo all’interno del suo negozio, vero tempio dedicato alla Guzzi. Alle pareti selle, borse da serbatoio, una infinita’ di parti speciali artigianali. E la Daytona ProTwin che fa bella mostra di se’ in attesa di tornare a ruggire in pista. Iniziamo l’intervista. Alcuni Guzzisti si uniscono alla chiacchierata: a giudicare dalle loro risate trattenute a stento il mio francese deve avere su di loro lo stesso effetto del “noio volevan savuar’ di Toto’…
G: Dunque, Moto Bel: Concessionario Guzzi dal 1979.
J: Esatto.
G: Esclusivista?
J: Esclusivista: sempre e soltanto Guzzi!
G: Perche’?
J: Pardon?
G: Perche’ Guzzi e non un’altro marchio. Ce lo dica in tre parole.
J: Eh…Dunque…Ci posso pensare? Ci torniamo dopo su questa domanda?.
G: Ok, Moto Bel’ adesso e’ rinomata soprattutto per le vittorie di Christophe Artigues con la Daytona nel Campionato Protwin ma prima di questa vittoria, in cosa vi siete cimentati?
J: Siamo stati per decenni l’unico team Guzzi in molte manifestazioni, soprattutto Endurance, Bol d’Or, 24h di Le Mans, Spa ma anche Supermotard…
G: Supermotard Guzzi?
J: Si! Siamo stati Vicecampioni nell’85 eccola – e mi mostra la foto della sua creatura, animata dal piccolo 4v 750, opportiunamente riveduto e corretto – pesava solo 140 chili!
G: Veniamo alla sua creatura piu’ famosa. Un giornale ha scritto che l’unico pezzo che non ha toccato e’ il cardano.
J: E’ vero. Tutto il resto della moto e’ completamente rivisto. Il telaio e’ completamente nuovo, il motore e’ stato tagliato di 15 mm e…
G: Come, tagliato?
J: Si, lavorando sugli accoppiamenti tra carter cambio e motore, c’e’ ne e’ di roba da togliere. E poi ovviamente il monobraccio interamente in alluminio, completamente diverso da quello di serie, vede? il motore e’ perfettamente centrato e monto una gomma piu’ larga. L’interasse e’ di 1450 mm, il peso e’ di 162 chili e l’angolo di sterzo e’ di 22,5 gradi.
G: 22,5? E’ una soluzione abbastanza estrema..
J: Stiamo parlando di una moto che e’ tutta estrema. E’ fatta per andare bene in pista…
Ridacchia e io mi accorgo di aver fatto una precisazione idiota. Provo con un altra:
G: il motore e’ perfettamente centrato. Sulla moto di serie era spostato a destra. Una imposizione, si diceva, dettata dalla…
J: Ma per carita’ – sbotta confermandomi di aver fatto la seconda domanda idiota – non c’e’ nessun problema tecnico che impedisca di centrare quel motore. Certo, se si lascia un cambio fatto in un certo modo, insomma, se non si vogliono fare le cose, non si fanno. Se le si vuole fare bene, le si fa bene… se si pensa che tanto non importa, si fanno le cose cosi’ come vengono…
G: La Daytona Guzzilla della Dynotec ha lasciato molti senza fiato a Mandello.
J: Mmm si’, molto bella. – Jacques Ifrah ridacchia sotto i baffi – Conosco il preparatore. Comunque quando e’ venuto qui al Carole (Circuito parigino) e’ rimasta sempre dietro a Christophe. Ma di parecchio, eh! – poi, in un impeto di cavalleria, concede: – ma del resto noi conosciamo bene il circuito, sai, le traiettorie….
G: Partecipare a queste competizioni ha il suo costo. Chi l’aiuta?
J: Fino all’anno scorso Moto Guzzi France.
G: E quest’anno? Il campionato e’ iniziato la settimana scorsa a Magny Cours ma voi non c’eravate.
J: Quest’anno Moto Guzzi France ha ritirato il suo appoggio.
G: Perche’?
J: Mi hanno detto che l’ordine e’ venuto dall’Italia. La strategia a livello globale Guzzi e’ di non partecipare ne’ sostenere le competizioni.
G: Strategia folle secondo noi e secondo molti appassionati in tutto il mondo che non aspettano altro che un ritorno della Guzzi alle gare.
J: Effettivamente non la capisco come strategia: la Guzzi mi ha aiutato per due anni ma in cambio ha avuto un ritorno di immagine infinitamente piu’ grande di qualsiasi campagna pubblicitaria, ad un costo minore!
Guardo i ritagli di giornale che campeggiano sui muri: la sua Moto e’ effettivamente finita a piu’ riprese su tutta la stampa di settore, anche oltre confine.
G: Anima Guzzista sarebbe orgogliosa di sponsorizzarla ma le nostre finanze non ci permettono di andare oltre il berrettino. Bastera’?
J: Eh, non credo – ridacchia – quest’anno, se ce la facciamo, faremo due o tre gare, sui circuiti che ci piacciono di piu’ ma solo per divertirci, perche’ non sopporto l’idea di tenere la moto ferma una stagione; ma nulla di piu’.
G: Ok, lasciamo le gare per un attimo. E torniamo alla Guzzi. Perche’ Guzzi? sempre in tre parole, eh!
J: Uh, – sbuffa!- eh ma come si fa, dunque… spiegare la Guzzi a uno che non consce le Guzzi, intendi? In tre parole?
G: Si’, ad esempio?
J: Eeh..mmmm..O la la…La Guzzi… beh, Ci ritorniamo, proseguiamo!
G: Ok, il nostro sito si chiama Anima Guzzista. Ma davvero c’e’ una anima nelle Guzzi? Cosa hanno di speciale?
J: Ah, non lo so…e’ un fascino particolare, specialmente quest’architettura a v, questo motore che va messo a punto in un certo modo, ha il suo carattere, ci si puo’ lavorare su, insomma da’ soddisfazione, e’ una base ideale per un preparatore.
G: La storia della Voxan (recentemente fallita ed ora in mano ad una cordata di finanziatori svizzeri)insegna che la passione non basta, il mercato puo’ essere spietato. La Guzzi e’ stata sull’orlo del fallimento. Che cosa serve adesso per il rilancio?
J: Allargare la gamma, senza dubbio, subito, subito. Una moto piu’ piccola, agile.
G: Anche partendo dal piccolo 750 cosi’ com’e’?
J: Ma si’, ma si’! Rivisto pero’, non come e’ adesso. Ma piu’ che altro deve cambiare il processo col quale la casa madre segue lo sviluppo delle moto… Mi spiego, in tutte le moto del mondo ci sono difetti. Sempre. Vengono fuori su una prima serie, il cliente se ne accorge, il concessionario ripara in garanzia e segnala alla casa et voila’: la seconda serie non presenta il difetto.
G Non fa una grinza.
J: Eh, non fara’ una grinza ma in Guzzi non e’ mai accaduto!! C’era un particolare sbagliato su una moto? Beh ci potevi scommettere che sarebbe rimasto con quella moto fino all’ultima prodotta!! E poi le evoluzione dei gusti, del mercato, delle tecnologie… Noi avevamo l’impressione che la Fabbrica a Mandello fosse sotto una campana di vetro, separata dal mondo reale, dal mondo di chi le moto le deve far piacere e vendere…
G: Ha accennato all’importanza del contatto tra casa madre e concessionari e preparatori.
J: Guarda, io per tutti gli anni ’80 e anche piu’ in la’ sono andato tante volte a Mandello… piu’ volte l’anno per imparare, per parlare, per riferire dei commenti. Ma poi, tante volte si iniziavano delle discussioni interessanti ma come si fa? Ogni sei mesi c’era un nuovo manager a cui parlare?
G: E adesso?
J: E adesso non lo so. Speriamo. Aprilia e’ una ditta seria.
G: E’ cambiato qualcosa?
J: No, per adesso no. Cioe’, c’e’ stato un cambiamento con la V11, prima quindi dell’avvento Aprilia. Qualitativamente la V11 e’ stato un bel paso avanti rispetto ai modelli precedenti. Il cliente se ne accorge quando fa il tagliando e non ci sono sorprese, quando la puo’ utilizzare tranquillamente in citta’. Lo sa che in Francia abbiamo venduto piu’ V11 che California? Per la nuova gestione, per quanto riguarda Moto Guzzi France… E’ ancora tutto come prima. E’ ancora presto… Non credo che si siano ritrovati una ditta senza grossi problemi da risolvere..
G: Al salone della moto di Paris ho chiesto che venisse rimosso il coprisella di una V11 Le Mans per poterla provare con mia moglie. Non e’ stato possibile. Non avevano l’attrezzo specifico.
J: Ma quale attrezzo? E’ una brugola!!
G: Lo so anche io, ma questo e’ quanto mi e’ stato risposto. Ed ero un potenziale cliente al Salone della Moto.
Jacques Ifrah scuote la testa: “Non ci sono parole, vero?”
G: Mi dica secondo lei cosa NON deve fare Beggio.
J: L’Esprit de la Marque! (lo spirito del marchio. ndr) – qui Monsieur Ifrah si fa serio – quello non lo deve distruggere. Il marchio Guzzi e’ unico al mondo.
G: Beggio ha parlato di Superbike nel 2004…
J: Bene, benissimo. Oddio…Non so quanto sopravvivera’ la Superbike con questa formula, qui’ sta rapidamente perdendo interesse. Credo che le case si orienteranno su due categorie di gare principalmente: la neonata GPOne e poi l’Endurance e le derivate dalla serie.
G: Problemi di conflitti tra i due marchi, lei non li vede?
J: Ma dove? Guardi il mondiale Rally! Due case si contendono a denti stretti il primato e si fanno una guerra feroce, Citroen e Peugeot! Due team diversi, due responsabili corse diversi, tutti e due che rispondono allo stesso direttore generale del gruppo PSA!!! Dov’e’ il problema? Si fanno pubblicita’ a vicenda, altro che concorrenza. E poi, si potrebbe ad ogni modo evitare ogni problema puntando con Aprilia verso la GPOne e con il Marchio Guzzi verso l’endurance. E poi non serve necessariamente andare a ripescare formule dove si aveva un passato, eh..Pensi alla BMW. Cosa erano le enduro BMW prima delle imprese alla Paris-Dakar?..
G: Per le gare serve un nuovo motore. Cosa sa del VA10?
J: Niente. Ho chiesto un paio di volte in fabbrica ma non ne so davvero molto. So quello che sai te, quello che hanno scritto.
G: Il quattro valvole e’ andato in pensione. Rimpianti?
J: UEh beh, si’: ci si poteva tranquillamente tirare fuori altri 10, 15, forse 20 cavalli su strada.
G: Mi avete dato un ottimo consiglio suggerendomi il cambio del pneumatico posteriore. Quali altre modifiche consigliate?
J: Dipende dal modello e da cosa si cerca e anche da quanto si vuole spendere. Ci sono diverse modifiche per i diversi modelli e motori. Noi realizziamo artigianalmente parti speciali di ogni tipo: dai cambi alleggeriti agli alberi a cammes, alle valvole, bielle. Tutto. Per esempio per la Centauro ho creato io degli scarichi omologati, degni di quel motore.
G: Quelli di serie non andavano bene?
J: Ma per carita’!
G: Ci descriva la sua Guzzi ideale, non necessariamente pensata per avere un mercato…
J: Ah, se fossi libero da ogni logica di mercato… Dunque, a me piacciono le roadster… Quindi io vorrei una nuda con manubrio alto, posizione estrema come il Centauro, come parte ciclistica e look prenderei la V11, e poi il motore, il quattro valvole preparato, s’intende.
G: Un preparatore tedesco ha montato il motore della Daytona sulla V11.
J: Anche io sono in procinto di farlo, ma insieme ad altre cose… e’ tanto che non sperimento cose nuove… Magari… Torni a trovarmi fra qualche mese, ok?
E’ tempo di salutare Monsieur Ifrah e di augurargli in bocca al lupo per le gare cui riuscira’ a far partecipare la sua moto quest’anno. Mentre torno verso casa penso a quanto le sue parole assomigliassero a parole gia’ dette, da anni, da tanti appassionati preparatori… L’immobilismo di Mamma Guzzi, l’assenza di strategie e investimenti a lungo termine, la miopia nel riconoscere l’immenso patrimonio di immagine sportiva contenuto nel marchio. Penso all’occasione storica che si presenta a Beggio per riportare questo marchio al posto che gli spetta… Quando arrivo a casa mi viene anche in mente che Jacques Ifrah non mi ha poi piu’ spiegato la sua passione in tre parole. E forse e’ giusto cosi’: la passione per la Moto Guzzi la si vive. Ma come cavolo si fa a spiegarla?
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